La nuova arma di distrazione di massa per continuare nella macelleria sociale
di Agata Iacono
Mentre la tensione sociale è arrivata al punto da prezzolare milizie private per picchiare il lavoratori e addirittura uccidere un sindacalista, in una guerra tra sfruttati. E mentre il Consiglio di Stato decide che una fabbrica di morte come l'ex Ilva deve continuare a uccidere. Senza dimenticare poi che il primo luglio vengono sbloccati i licenziamenti - e i lavoratori Whirlpool disperati si stendono a terra per protestare - e che le piccole imprese falliscono e scendono alle mafie. Insomma, nel paese in cui aumenta la disoccupazione, (Istat: risale occupazione ma rispetto a era pre-Covid persi 870mila posti di lavoro: nel mese di aprile 2021 il tasso di disoccupazione è salito al 10,7%), in cui tre milioni di italiani hanno smesso di curarsi per difficoltà economiche e in cui 2 milioni di pazienti hanno dovuto chiedere un prestito per accedere alla sanità privata, cosa fa il parlamento italiano?
Discute la priorità del DDL Zan, aiutato anche dall'intervento del Vaticano.
Non è solo una questione di grande operazione di distrazione di massa, che sta avvenendo in tutta Europa e anche oltreoceano.
Non è come dipingere il neoliberismo e il profitto di verde per venderlo come ecologista.
È qualcosa di più.
Diceva Bauman che laddove la società sempre più liquida perde radici, tradizioni, paradigmi culturali, chi non riesce ad omologarsi cerca disperatamente un'identità sociale riconosciuta, sia essa una setta, una bandiera o un logo colorato, in cui identificarsi pur di sentirsi parte di qualcosa, purché appunto l'appartenenza possa essere definita.
E sempre rifacendosi a Bauman, che definiva facebook la vetrina delle solitudini, i nostri ragazzi, i nostri bistrattati giovani, gli adolescenti che sempre in numero maggiore presentano depressione, disturbi della personalità, atti di autolesionismo, dove sono stati rinchiusi in questo lunghissimo periodo di lockdown?
Nei social.
E lì hanno cercato la propria identità.
Questa premessa è necessaria per cercare di capire l'inesplorato mondo giovanile che ora si vorrebbe sottoporre a lezioni di identità di genere, piuttosto che aiutarli a recuperare fiducia in se stessi e nella possibilità di un futuro.
Molti psichiatri e neuropsichiatri infantili stanno rilevando che oggi i ragazzi in terapia non sono alla ricerca di un aiuto all'introspezione, non cercano la forza di affrontare nuovi riti di passaggio per emanciparsi dalla famiglia e accedere alla realizzazione del sé.
No, da due anni questi ragazzi concentrano sempre più numerosi il proprio disagio nell'identità sessuale.
È il non sapere di che sesso sei, il trend del momento.
Poiché lo stigma etero allontana dai "gruppi più fighi", con il pericolo di essere isolati come omofobi, questi giovani frequentano gruppi social in cui si discute esclusivamente di sesso incerto, a-sessualità, in cui lo stesso desiderio erotico viene colpevolizzato, poiché caratterizza un'identità sessuale definita.
Alla domanda degli psicologi e degli psicoanalisti se hanno mai frequentato gruppi gender fuori dai social, la quasi totalità risponde negativamente.
Non sono usciti dai social, perché sono i social, i gruppi virtuali, che hanno permesso loro di potersi nascondere dietro un avatar e ottenere il riconoscimento identitario negato altrove, in una nuova dinamica sociologica di trasgressione dalle norme e dalle regole.
La proliferazione indefinita delle categorie di appartenenza sessuale non contempla, infatti, il reale, né si organizza in relazioni sociali.
La percezione del sé, come immagine da offrire e imporre agli altri, diventa la corazza, il rifugio, che nessuno deve permettersi di mettere in discussione.
È un diritto.
Un diritto civile e come tale non deve incontrare ostacoli o incertezze, è libertà.
Ma la libertà di essere ciò che si vuole in una società neoliberista significa mettere al primo posto le colorate campagne arcobaleno, finanziate da Amazon e Dolce e Gabbana, a dispetto dei diritti socioeconomici, alla salute, alla vita, al lavoro.
Significa calpestare gli operai Sicobas, Whirlpool, Exilva ma con una tinta di arcobaleno.
Detto questo, occorre anche aggiungere che è da almeno quarant'anni, dalla "milano-da-bere" degli yuppies, dei paninari, dei fighetti in generale dai vestiti firmati, dei film di boldi-desica, o di tutto il pattume trasmesso sulle televisioni private (ma anche pubbliche), dell'abbinata calciatori-veline, eccetera eccetera, che si sono costruite progressivamente generazioni del disimpegno, edonistica, narcisistica, su cui i social, dalle loro torte esibite al mondo e i "selfie" con le labbra a canotto, hanno semplicemente rappresentato il colpo di grazia.
Progressivamente perché chi è stato adolescente negli Ottanta non si ritrova col degenero dei Novanta, chi lo è stato nei Novanta non si ritrova con il successivo degenero del decennio successivo, fino ai primi "millenial", come li chiamano... Ma è una parabola discendente che parte da lontano.
Prima di mercificare i nostri corpi in questa maniera indegna, il capitalismo ha dovuto scalfire una corazza operaio-contadina molto spessa, fatta di sacrifici e risparmi, di frugalità nella spesa e di polli e conigli allevati in casa, piuttosto che di ortaggi coltivati nei posti più impensati, finanche ai bordi delle ferrovie, di vestiti passati da figlio in figlio, da cugino a cugino, fino a diventare stracci di casa.
Non è stato facile scalfire quella corazza, ma di tempo ce n'era... anche in quel caso, sfruttando il "riflusso", il momento di stanca, e facendo passare come scaltrezza, furberia, "non perdere l'occasione sennò poi te ne pentirai", quello che poco prima sarebbe passato come opportunismo, ruffianeria, ipocrisia, faccia come il didietro, cerchiobottismo, eccetera. E i millenials di oggi sono figli di quella generazione lì.
Oggi è il mio onomastico. I miei, che son figli di un'altra generazione, in pausa pranzo mi hanno regalato un libro su Romero, che ho apprezzato tantissimo. Nel tornare a correre dietro ai container, alle dogane e a "chiunque ha un tiramento", avrebbe cantato qualcuno, pensavo a quanto le due generazione rappresentate da me e dai miei siamo fuori tempo, rispetto ai giorni d'oggi. Poi, secondo me, ce la possiamo giocare sempre, se vogliamo metterci noi stessi in gioco. Fuori c'è talmente tanto deserto, talmente tanto sottovuoto spinto, che mia figlia apprezza di più i Barbapapà con cui son cresciuto io che i cartoni di oggi. L'altro giorno le ho raccontato la storia di Ulisse-Nessuno contro il ciclope Polifemo (omettendo l'accecamento col tizzone rovente... perché voglio che continui a dormire nel suo lettino!). Non mi ricordo neanche più da cosa è saltato fuori il discorso... ma gliel'ho raccontata alla mia maniera e ne è restata talmente affascinata, da questo personaggio che inganna il gigante che vuole mangiare lui e i suoi compagni dandogli come nome "nessuno" al punto che poi il dio del mare suo papà che lo ascolta mentre si lamenta non sa neppure con chi prendersela... che il giochetto per qualche giorno è stato ripetere a tradimento, di sorpresa, la battuta: "come ti chiami?" "nessuno". Il che mi fa ben sperare... meglio, non mi fa disperare troppo per il futuro.
Scappo.
Ciao!
paolo