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sinistra

Oblio della parola

di Salvatore Bravo

L’Europa non ha un’anima, ha solo il pareggio di bilancio nei suoi obiettivi. L’anima l’ha persa nel conteggio del plusvalore. L’omogeneità e la sterilità creativa sono i due volti della dimenticanza della cura dell’anima e del porsi in ascolto con il logos della profondità insondabile. Nel contatto tra le forme passionali dell’anima, simbolizzate nel mito dell’auriga alata dal cavallo bianco e dal cavallo nero con il logos, l’auriga, vi è la grandezza dell’Europa. La cura dell’anima è stata la forza creatrice capace di trarre dalla profondità concreta e storica della soggettività l’universale condiviso con cui fondare comunità di pensiero. La decadenza dell’Europa è nella dimenticanza dell’anima, nella sua caduta a semplice presenza “ontica”. Il silenzio della parola è indifferenza verso la cura della propria anima e dell’altrui. Senza la reciprocità dell’ascolto non vi è mondo condiviso, ma solo l’intercosalità che riduce la vita a rapporto mercantile. Le parole tacciono dietro il peso delle transazioni, senza le parole l’anima è solo un fondo oscuro senza forma, in cui disperdersi. La disperazione dell’europeo medio è il silenzio nel quale non vi è ascolto di sé, e dunque si è incapaci di comunicare.

Il ritiro della parola è oblio del fondamento veritativo che emerge dalla soglia dell’incontro emancipato dal vincolo mercantile. L’integralismo economico ha sostituto le parole e l’agire interiore con il freddo calcolo dell’utile immediato. Senza la profondità della cura un’intera civiltà perisce sotto i colpi del Prometeo scatenato della tecnocrazia. L’Europa non ha nulla da donare al mondo, ha solo i suoi calcoli con i quali seppellire la sua storia. Per riprendere il cammino, per uscire dalla caverna oscura delle negazioni bisogna ricominciare a porsi domande ineludibili. La prima domanda è che cos’è l’anima, perché solo al tocco con l’anima si vive l’eternità nella pienezza della coscienza che tocca e riconosce se stessa. La filosofia e la scienza sono state esperienze dell’anima, ma non di una singola anima, ma di una comunità intera che credeva nello spirito, credeva nel logos quale agire relazionale con cui disporsi verso la totalità. L’eternità si storicizzava nella visione della totalità, diveniva esperienza palpabile con cui eternizzarsi nella brevità della vita. La visione dell’eternità è creatività con cui partecipare alla vita della comunità per innalzarsi verso il cosmo. Il bene nel suo storicizzarsi fecondava i singoli unendoli nell’armonia dialettica del pensiero:

Che cos’è la cura dell’anima? Che cos’è l’anima? Alcuni filosofi greci, ma non tutti, hanno formulato il concetto di anima immortale. Ma tutti, sia i sostenitori dell’anima immortale sia quelli che pongono un’anima mortale e corruttibile, tutti affermano che occorre prendersi cura dell’anima, che la cura dell’anima è capace di far giungere l’uomo - malgrado la brevità della sua vita, malgrado la sua finitezza - a una situazione simile a quella degli dèi. Perché? Perché l’uomo, e quindi l’anima umana, è ciò che possiede un sapere sulla totalità del mondo e della vita, ciò che è capace di guardare questa totalità, ciò che vive a partire da questa visione, ciò che, in quanto ha in sé il sapere riguardante l’intero, è in totalità e in rapporto a questo intero. L ’eternità dell’anima consiste in questo rapporto esplicito con qualcosa che è indubbiamente immortale, che è indubbiamente eterno, che non passa, aldi fuori del quale non c’è nulla... e l’anima stessa ha in questo rapporto la sua eternità1

 

Totalità è movimento

La totalità è il bene in movimento, l’anima nel tocco con il mondo vive la meraviglia nella forma della totalità. Il donarsi del fenomeno alla soggettività che si dispone ad accoglierlo è nella concretezza della totalità. Ogni ente ci appare in una cornice nella quale si è parte integrante. Il dominio e il potere vorrebbero matematizzare e ridurre il fenomeno ad astratta presenta, la totalità , invece, si mostra nel suo splendore solo se è riconosciuta nella sua struttura. Nel tocco l’anima conosce se stessa, ciò le consente di scoprirsi come soggetto metafisico che si svela nella relazione. Il movimento è disvelamento dell’intensità abissale, è la luce dello spirito che emerge e si configura in correlazioni sempre nuove:

L ’intera nostra vita si svolge in questa manifestazione delle cose e nel nostro orientamento tra esse, la nostra vita è continuamente determinata fino in fondo dal fatto che le cose si mostrano e che si mostrano nella loro totalità. Come siamo giunti a questa totalità? Per il fatto che ogni cosa singolare nel nostro campo ci è apparsa come facente parte di un ambiente che, poco a poco, ci ha portati sempre più lontano, finché abbiamo riconosciuto la necessità di una struttura non arbitraria di ciò che si mostra. La questione è ora di capire se questa struttura appartiene alla manifestazione o alle cose stesse che si manifestano. Il fatto di stendersi nello spazio è una caratteristica dell’ente in quanto tale, come è un tratto proprio dello spazio il costituire un insieme. Ancora una volta, ci sfugge il fenomeno in quanto tale. I tratti generali di ciò che si mostra, la struttura spaziale e temporale, sono caratteristiche dell’ente, di ciò che si mostra, e non del mostrarsi in quanto tale. Tuttavia, c’è qui qualcosa che merita la nostra attenzione. Quando le cose singolari si manifestano, c’è anche in me un sapere che riguarda il contesto generale. C’è qui qualcosa che riguarda il mostrarsi come tale2”.

 

Movimento

L’essere umano è la voce del movimento, partecipa alla dinamicità delle manifestazioni della totalità cogliendone le leggi per esserne il custode. L’esterno e l’interiorità sono in perenne contatto, per cui la profondità dello sguardo che svela le leggi della totalità si orienta verso l’agire interiore che prepara l’anima per la cura. Senza cura del movimento, senza capacità di assaporarlo per incontrarsi con il proprio “io concreto” non vi è civiltà, ma solo il lento rovinare in un abisso sconosciuto:

Che cos’è che rende un essere come l’uomo capace di rapportarsi al mondo nella sua totalità, che cos’è che gli dà la possibilità di vederlo come totalità, di coglierlo, di comprenderlo e di analizzarlo? Non è altro se non il fatto che l’uomo, come tutte le altre cose, è un essere che si muove, e il movimento naturale dell’essere umano è un movimento che lo porta non solo ad essere una forma per le altre, ma a svelare se stesso, così come le altre cose, nel movimento della sua vita. La nostra vita propria è movimento. Il movimento della spiga va dal chicco di grano fino alla pianta adulta che fiorisce, viene fecondata e genera altro grano, per cui il movimento si ripete. Questo movimento è, in qualche modo, una messa allo scoperto di ciò che si trova nascosto nel seme. Il movimento dell’essere umano -in quanto umano - consiste nel fatto che l’uomo è in grado di comprendere i movimenti di tutti gli altri esseri, di raccoglierli in sé e di riempirsene, di assegnare loro un posto nel suo pensiero, nella sua propria esistenza3”.

L’Europa rovina, perché ha rinunciato all’agire interiore, non le resta che il movimento astratto del potere con cui parcellizzare ogni estensione e atomizzare le comunità. Il movimento è solo misura e conteggio funereo dell’accumulo. Il movimento di superficie senza fondamento è semplice spazializzazione senza soggetto. L’Europa ha rinunciato al movimento dell’anima senza la quale non vi è storia, ma solo nevrosi e coazione a ripetere di automatismi senza speranza. Per capire il presente è necessario rammentare ciò che ha reso l’Europa faro di civiltà e non un semplice borsino per gli affari.


Note
1 Jan Patočka, Platone e l’Europa, Ladri di Biblioteche Milano, pag. 43
2 Ibidem pag. 49
3 Ibidem pag. 232

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