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micromega

Solo i lavoratori possono fermare la catastrofe

di Giorgio Cesarale

Tutta l'umanità è minacciata da un insieme di fenomeni a sfondo immediatamente catastrofico. A partire dalla guerra in Ucraina

L’atrocità della vita umana nelle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico è misurata dalla frequenza con la quale viene pronunziata la parola “resilienza”. Essa detiene originariamente un significato tecnico, giacché indica, così recita il Dizionario “Treccani”, la capacità dei materiali di resistere alla rottura “per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d’urto”. Nel campo della filati e dei tessuti, continua il nostro Dizionario, essa designa per estensione “l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale”[1]. A questo punto, qualcuno deve aver pensato che sarebbe bello se il mondo organico-umano-provvisto di autoconsapevolezza assumesse le medesime proprietà dei filati e dei tessuti. Au fond, il “dolore infinito” che, secondo lo Hegel di Fede e sapere, partorisce la soggettività è una seccatura, non sono certamente i traumi, nonostante gli avvertimenti di Freud, a preparare le condizioni per una vita umana integra, buona, felice.

Si badi: non è solo la psicologia contemporanea a certificarlo; persino il Dizionario della dottrina sociale della Chiesa prevede una voce dedicata alla “resilienza”, nella quale l’autrice ci assicura che gli “scritti ecclesiastici, pur non contemplando il termine resilienza, ne interpretano da sempre lo spirito e il significato”[2]. Qualche dottor sottile potrà obiettare che mentre il cristianesimo promuove la “resilienza” perché, con esso, si aspira alla resurrezione, la verbosa ideologia contemporanea impone sacrifici senza alcuna speranza di risarcimento. Ma forse sarebbe troppo “speculativo” pretenderne la comprensione: l’adattamento coatto al modo di vita presente deve trionfare su tutto.Poi arriva, nel giorno del Signore 27 febbraio 2022, la notizia: il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha ordinato l’allerta del sistema difensivo nucleare russo. Deve aver trovato minacciosi il Direttore del giornale “la Repubblica”, Maurizio Molinari, oppure il Segretario del Partito democratico, Enrico Letta, mentre in televisione alludevano a una risposta missilistica all’attacco russo in Ucraina. La mente gioca spesso brutti scherzi: se anche gli italiani non sono più quelli di una volta, gigioni e amichevoli (“bei tempi quelli di Villa Certosa!”), i Russi sono davvero in pericolo. Ma la verità della situazione è più grossa, inquietante, profonda: è tutta l’umanità che è minacciata da un insieme di fenomeni a sfondo immediatamente catastrofico. Prima, è stata una catastrofe ideologica: l’unica ipotesi concreta di diversa e più razionale organizzazione dello spazio economico-sociale è naufragata negli spasmi mentali di un Achille Occhetto; poi, è stata una catastrofe economica: vi è ancora qualcuno, dopo il credit crunch del 2007-2008, che crede che il capitalismo possa marciare autonomamente sulle proprie gambe, senza credito facile, tassi di interesse negativi, debiti pubblici alle stelle e quantitative easing? Infine, è stata una catastrofe sanitaria, con una pandemia che ha costretto centinaia di milioni di persone al confinamento e messo in ginocchio i sistemi sanitari di mezzo mondo. A tutto ciò va aggiunta la catastrofe politica, che si prolunga in quella bellica delle ultime ore: il regime democratico, il “governo popolare”, il legame diretto fra rappresentanti e rappresentati, è ritenuto dalle classi dirigenti lento, inefficiente, costoso, controfinalistico. A esso bisognerebbe sostituire, quando va bene e soprattutto nei paesi ricchi, una “tecnocrazia gentile” e, quando va male e soprattutto nei paesi poveri, forme plurime e diversamente graduate di autocrazia.

In una situazione del genere, ci avvertiva già qualche tempo fa Friedrich Engels, non “abbiamo bisogno di simulatori radicali”, organizzazioni o partiti che si formano o smembrano per puro impulso elettoralistico, “senza ottenere nulla”[3]. Il liberalismo moderno insegna che viviamo in un mondo in cui ognuno avendo cura di sé contribuisce al benessere di tutti. Sarebbe il momento di prenderlo in parola e che le classi popolari perseguano anzitutto i propri interessi alla pace, alla sicurezza e alla prosperità, sviluppandoli nel quadro di una potente solidarietà internazionalistica. Le sanzioni e le risposte “missilistiche” sono invocate solo da chi vuole favorire una frazione della borghesia internazionale contro l’altra. Oggi, nella cupa rassegnazione indotta da una realtà allo sfacelo, vi è una sola soluzione: la coordinata e fattiva mobilitazione internazionale dei lavoratori e delle lavoratrici, fuori e contro ogni posticcia divisione politico-culturale, fuori e contro ogni illusione nazionalistica e guerrafondaia, al di là e al di qua degli Urali.


Note 
[1] https://www.treccani.it/vocabolario/resilienza/
[2] https://www.dizionariodottrinasociale.it/Voci/Resilienza.html
[3] Friedrich Engels, Un partito degli operai, in “Labour Standard”, n. 12, 23 luglio 1881.

Comments

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baubaubaby
Thursday, 03 March 2022 22:49
Sintonia e speranza di diffusione di questa vibrazione di idea e di logica
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