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fuoricollana

L’abbaglio della guerra etico-democratica

di Michele Prospero

Una guerra che ha avuto una copertura mediatica mai vista, con scene di morte e distruzione mandate in onda minuto per minuto, non produce nelle reazioni del pubblico l’automatismo sperato dai registi dell’indignazione: una mobilitazione bellicista contro il criminale di guerra, il macellaio, il folle malato terminale che si cura con il sangue di cervo. I sondaggi mostrano una opinione largamente ostile all’invio di nuove armi per vincere in Ucraina la bella guerra di civiltà.

Su questa sfasatura tra orientamenti politici (anche il capo dello Stato ha fatto ricorso ad un irrituale invito alla prosecuzione delle ostilità sino “al ritiro degli occupanti”) e paure di una massa ampia di cittadinanza, che percepisce l’effetto autolesionista delle misure di sanzione ed embargo, cerca di far leva Salvini. Le sue trovate di capitano della pace sono grottesche, nei modi poco diplomatici adottati, e strumentali negli obiettivi (il 21 giugno dal chiacchiericcio si passa alle esplicite assunzioni di responsabilità in aula). Però reali sono i sentimenti di preoccupazione che esistono nella società per il timore della caduta progressiva in una catastrofica economia di guerra.

Non sorprende che, dinanzi alle materiali angosce della porzione di popolo che teme il peggio dinanzi all’inflazione, Letta reagisca con un lessico etico: il suo partito non ha salde radici nei ceti subalterni. Contrapponendo la dignità ideale del combattimento all’interesse materiale alla trattativa, egli cavalca l’immagine di una guerra etica. In uno dei suoi ultimi tweet contro Lavrov (cha ha avuto condivisione e like anche di filosofe importanti come Urbinati, Mancina, Cavarero) il segretario del Pd dichiara che lo scontro è tra noi e loro, da una parte i pacifici democratici e dall’altra gli autocratici guerrafondai.

In tempi di sbrigativa cancel culture, che nel risentimento post-coloniale delle periferie del mondo fa tabula rasa delle tracce anche simboliche dell’occidente, Letta certifica che mai Parigi avrebbe occupato altri territori e così condona a fin di bene il pesante passato coloniale francese. Le guerre di conquista e di aggressione degli eserciti transalpini sono scambiate evidentemente per delle allegre scampagnate in Indocina, a Suez, ad Algeri, in Libia.

Con la coppia noi-loro, democrazia-autocrazia si alimenta la guerra infinita e si chiude ogni spiraglio per la mediazione. Anche al vice segretario Provenzano la semplice parola trattativa produce un nodo in gola: “noi dobbiamo sostenere l’Ucraina ed essere i più netti e i più coraggiosi nel farci carico delle conseguenze della guerra”. Non pace e negoziati, con una lotta per la soluzione politica, ma trovare qualche bonus per rendere sopportabile il costo di una guerra di lunga durata. L’abbaglio della guerra etico-democratica è davvero disarmante.

In Ucraina si svolgono molteplici guerre, e tra di esse non compare proprio la polarità democrazia-autocrazia come effettivo motivo del ricorso alle armi. C’è invece una guerra etnico-territoriale, una guerra geo-politica che non è cominciata da 100 giorni. Ha a che fare con l’estensione della Nato oltre ogni limite ragionevole e con il confinamento della Russia in spazi sorvegliati e ristretti nel disconoscimento delle sue rivendicazioni di grande potenza seppur decaduta.

La follia strategica di Putin, che si getta in una impresa costosa e illegale, non può essere disgiunta dalla provocazione strategica del 10 novembre del 2021 quando Usa e Ucraina hanno firmato il Charter on Strategic Partnership. Il documento contiene passaggi molto forti (assistenza piena per una “solida formazione ed esercitazioni”) e impegni destinati a scatenare nell’avversario delle risposte rabbiose, sino all’azzardo dell’invasione. In un crescendo di sfida verso il ruolo geopolitico russo, la dichiarazione congiunta richiama il comunicato del vertice Nato di Bruxelles del 14 giugno 2021 e ribadisce il sostegno alle legittime “aspirazioni dell’Ucraina a entrare nella Nato”.

Per scansare ogni equivoco interpretativo, la carta scandisce a chiare lettere: “gli Stati Uniti sostengono gli sforzi dell’Ucraina per massimizzare il suo status di Nato Enhanced Opportunities Partner per promuovere l’interoperabilità”. Il nesso causale (che non significa in alcun modo legittimazione della guerra di aggressione) tra la impresa criminogena della Russia e il reclutamento di Kiev in una alleanza militare ostile parrebbe piuttosto evidente. Invece che di etica e democrazia occorre parlare di aree geopolitiche, di alleanze militari, di multilateralismo.

Anche le imprese belliche non legittime, come quella russa, devono pur trovare una soluzione politica che riduca i costi imponderabili della escalation militare. Il nuovo governo degli spazi, con la riclassificazione dei territori contesi a suon di bombe, non potrà che ratificare le esigenze di mantenimento della sovranità dell’Ucraina insieme alle legittime istanze di sicurezza della potenza russa che non può tollerare che la Nato si estenda con gli arsenali sino “ad abbaiare” verso Mosca.

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