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Il confronto con la Russia: la realtà impone limiti

di Piccole Note

Beni russi congelati, c'è in ballo l'affidabilità delle banche occidentali. Gli appelli di Borrell

Gli annunci roboanti dei leader occidentali e gli asseriti successi ucraini vanno spesso a scontrarsi con la realtà. Così la proposta di usare gli interessi maturati dai beni russi congelati in Occidente per aiutare l’Ucraina – alla quale andrebbero più di tre miliardi di euro all’anno – ha creato una fibrillazione che ne ha impedito, almeno per ora, l’approvazione.

Il motivo è semplice e lo scrive la Reuters, spiegando che diverse banche hanno avvertito i leader della Ue di temere ritorsioni da parte della Russia, ma soprattutto che la decisione potrebbe portare “a una più ampia erosione della fiducia nel sistema bancario occidentale”.

Il pericolo è ovvio: i Paesi che hanno affidato i loro soldi a tali banche non possono non allarmarsi. I loro beni potrebbero condividere la stessa sorte, qualora entrassero in urto con l’Occidente. C’è il rischio che li ritirino per indirizzarli a banche più affidabili.

Per quanto riguarda, invece, i successi ucraini, si sta ponendo un’altra criticità. Mentre le sue forze vengono macinate sulla linea del fronte, Kiev sta cercando di ottenere dei successi tattici da poter ostentare al mondo, e in particolare ai suoi alleati, per segnalare che è ancora in grado di ferire il nemico e che quindi la guerra non è ancora persa.

 

Le incursioni in territorio russo e il fronte del Mar Nero

Sono tre i modi con cui gli ucraini stanno cercando di ottenere tali successi. Anzitutto gli attacchi via terra, tramite infiltrazione, in territorio russo, che però a oggi appaiono circoscritti.

Infatti, sono stati portati una prima volta nel periodo antecedente al pronunciamento di Prigozhin, nel tentativo di creare una bolla di instabilità che ne favorisse l’azione. Chiusa la parentesi Prigozhin, si sono esauriti per riprendere prima delle elezioni russe, nel tentativo di alimentare timori che si riverberassero nelle urne (bizzarro, ma è una metodologia propria del terrorismo). Anche in questo caso non hanno sortito l’effetto desiderato e, al momento, le operazioni languono.

Si tratta di azioni sofisticate, che costano molto in termini di intelligence e soprattutto mandano a morte più o meno sicura elementi di élite. Da cui la necessità di un dosaggio accurato.

L’altro fronte sul quale KIev sta puntando è il Mar Nero, dove in effetti le sue azioni hanno avuto un certo successo, essendo riuscite ad affondare o danneggiare alcuni navigli nemici. Tanto che il Cremlino è dovuto correre ai ripari sostituendo il comandante della Marina, l’ammiraglio Nikolai Yevmenov.

Detto questo, va sottolineato un particolare non insignificante: da tempo non si registrano attacchi al porto di Sebastopoli, avvenuti all’inizio del conflitto e molto più incisivi, anche a livello simbolico, di quelli contro le navi.

Ma resta che l’azione ucraina ha reso le acque del Mar Nero insicure per i russi. D’altronde, in loco può godere del supporto neanche troppo nascosto della Nato che, al contrario per quello dispiegato sul campo di battaglia ucraino, resta al di fuori della portata dei missili russi.

 

Gli attacchi alle infrastrutture energetiche della Russia

L’altra direttrice sulla quale Kiev sta puntando è quella degli attacchi in profondità in territorio russo, sia attraverso sabotaggi che con attacchi di droni e missili di lunga gittata. Bersaglio privilegiato di tali attacchi la produzione e le linee di distribuzione dell’energia russa. E su tale fronte, sembra che abbiano ottenuto un certo successo, con Mosca costretta ad ammettere la perdita di 600mila barili di petrolio.

Ma, secondo il Financial Times, gli americani avrebbero chiesto agli ucraini di recedere da tali operazioni perché temono un rialzo del prezzo dell’energia, che in un anno elettorale sarebbe disastroso per le sorti di Biden.

La circostanza è stata confermata dal governo ucraino, che per bocca di Olga Stefanishina, vice primo ministro, ha affermato che si tratta di “obiettivi legittimi”, di fatto rigettando la richiesta di Washington.

Probabile che le cose siano andate diversamente da quanto raccontato dal FT, che cioè i russi abbiano informato gli States, con i quali restano vie di comunicazione sottotraccia, che non sono più disposti a tollerare tali attacchi, possibili solo grazie all’armamento e all’intelligence Nato. E abbiano minacciato ritorsioni, da cui il pressing americano.

Al di là dei possibili retroscena, resta che il rigetto di Kiev spiega perché ieri Mosca abbia attaccato in maniera mai così massiva l’infrastruttura energetica ucraina. Un segnale forte, teso a convincere i recalcitranti nemici a più miti consigli e a prendere atto della realtà. Finora Mosca ha evitato di infierire su tali infrastrutture, limitandosi a colpi di fioretto, ma potrebbe cambiare idea e brandire la spada.

Tale la complessa dinamica della guerra ucraina, che si sviluppa a vari livelli e che vede compromessi continui tra le parti, dove una parte importante, anzi decisiva, è la Nato.

 

L’opzione apocalisse resta in sospeso

E, a proposito di Nato, resta in sospeso l’opzione apocalisse, cioè la possibilità di un invio di truppe da parte dell’Europa con rischi altissimi di un conflitto globale. Lo sfoggio muscolare di Macron, e di altri con lui, non è del tutto rientrato, nonostante i timori e le reazioni negative (da ultimo, in tale esercizio si è lanciato anche Il capo del Comitato militare della NATO, l’ammiraglio Rob Bauer, secondo il quale la Nato è pronta per un conflitto con la Russia),

Sul punto, si è pronunciato il ministro degli Esteri della Ue Josep Borrell, il quale ha invitato a non alimentare falsi allarmi e ribadito che l’Europa si limiterà a supportare KIev dall’esterno. “Non è a tema andare a morire per il Donbass”, ha concluso.

Puntualizzazione significativa, avendo questi evocato la famosa domanda: “Morire per Danzica?”, che riecheggiò in Europa agli inizi della Seconda guerra mondiale. In tal modo, Borrell ha inteso tranquillizzare, ma allo stesso tempo richiamare i rischi del caso.

Un’ambiguità che si contrappone “all’ambiguità strategica” rivendicata da Macron nella sua velleitaria sfida a Mosca. Nelle intenzioni del presidente transalpino tale ambiguità, brandendo l’impensabile, cioè la guerra su larga scala fino al confronto nucleare, dovrebbe convincere il nemico a recedere.

In realtà, In tempi oscuri sarebbe necessaria un po’ di chiarezza, l’ambiguità rende solo le tenebre più fitte. Tant’è.

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