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dinamopress

Je ne suis pas Charlie

di Augusto Illuminati

Terrore in strada e sul web. Girano in rete, a proposito dei tragici eventi parigini, sospetti plausibili di complotti e più comiche vociferazioni di “gomblotti”. Aggiungerei una terza categoria, quella di auto-complotto, ovvero come farsi male da soli

I complotti ci sono sempre stati e in genere si è trattato di cospirazioni a favore dell’ordine costituito: l’incendio del Reichstag nel 1933, l’invasione del Guatemala nel 1954, la liquidazione dello scomodo alleato Ngo Dinh Diem nel 1963 a breve seguita dall’assassinio del liquidatore Kennedy, l’incidente del golfo del Tonchino nel 1964, il sanguinoso rovesciamento di Allende nel 1973. Potremmo aggiungervi molte fasi della strategia della tensione in Italia (ma non certo, se non marginalmente, l’affare Moro). Erano operazioni concepite eseguite o mancate (vedi il disastro della baia dei Porci nel 1961) nella cornice di un assetto ideologico e internazionale di ben definita ostilità, che si è prolungato anche nella fase iniziale della controrivoluzione neo-liberale e il cui epilogo è stato la fallimentare giustificazione della II guerra in Irak con la “scoperta” delle armi di distruzione di massa.

La fine della guerra fredda e del breve unilateralismo imperiale statunitense ha reso periferica la pratica di una guida ordinata e sotterranea degli eventi, che avesse insieme credibilità ed efficacia. Siamo entrati in un periodo di disordine mondiale e di pluralità incontrollabile di centri di iniziativa in cui, almeno su vasta scala, prevalgono le altre due categorie: l’ossessione paranoica per i “gomblotti” (vecchia costante mentale, anzi asse portante della filosofia della storia, dall’abate Barruel ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion e ai romanzi di Dan Brown) e gli auto-complotti, cioè le manovre cospiratorie controproducenti di settori non egemonici, che insistono in vecchie pratiche con risultati sempre più inani.

Esempio tragico e simmetrico è il conflitto in Palestina, dove si sono contrapposte due strategie cospiratorie, una molto sofisticata, quella del Mossad (professionalmente il più valido servizio segreto al mondo), l’altra rozza e reattiva perseguita da forze eterogenee del mondo arabo, entrambe però di fatto anti-palestinesi e, in ultima analisi, inefficaci.

Gli Stati arabi tradizionalisti, collusi economicamente con Inghilterra e Usa, si sono opposti a Israele con varie forme di antisemitismo (dai pogrom al non riconoscimento), pur trattandola di fatto come un elemento di stabilità, e oggi si è formata un’entità autonoma, non-statale nel senso dello Stato-nazione classico, l’lsis –preteso erede del Califfato sunnita, in effetti sviluppo tormentato di al-Qaida– che esercita un dominio etnico-religioso totalitario, entrando in urto con gli stessi Stati del Golfo a ideologia wahabita che da principio l’avevano finanziato e, senza fretta, con lo Stato di Israele. Anche l’Isis non ha nessuna simpatia per i palestinesi –o perché troppo laici e moderati (al-Fatah) o perché costola degli odiati Fratelli musulmani (Hamas). Quando patrocina o cavalca il terrorismo in Occidente ricorre in automatico ai peggiori stereotipi antisemiti e, non avendo ebrei nei propri territori, cerca di massacrarli al di fuori. A casa deve limitarsi a cristiani e yazidi. Una strategia e un’ideologia cospiratoria il cui orrore è pari all’inevitabile fallimento, per fortuna. L’associazione fra anti-imperialismo a parole –in realtà Isis è un concorrente alla spartizione del sangue dell’impero, il petrolio– e stragismo anti-ebraico si è espresso nel doppio attacco parigino alla redazione di Charlie Hebdo e all’iper-market kosher.

Il Mossad ha perseguito, a sua volta, una strategia in due fasi. In primo luogo ha sfruttato e in qualche misura assecondato i pogrom anti-ebraici nel Maghreb e in Medio oriente nel secondo dopoguerra per sollecitare l’immigrazione in Israele –tattica che prosegue, grazie alla stupidità dei suoi avversari, anche nei riguardi della Francia odierna. Una volta consolidata la compagine nazionale, il problema è stato quello di dividere gli avversari, suscitando scissioni e producendo formazioni ancor più brutte e cattive agli occhi degli occidentali, per mantenere il loro appoggio e indebolire il nazionalismo laico palestinese. Così è stato sicuramente per Hamas, ma anche per una frangia estrema di Hezbollah, appena scoperta, e forse per la stessa Isis. Questa seconda strategia, a differenza dalla prima e proprio per le caratteristiche nuove prima enunciate dell’assetto geopolitico multipolare, sta creando più problemi di quanti ne abbia risolti frantumando l’Olp. Se il Mossad ha avuto gioco facile a Parigi, legittimando grazie all’idiozia criminale degli attentatori la presenza in prima fila di Netanyahu e Liberman alla Marche républicaine e la sepoltura in Israele di quattro vittime, preludio all’aliyah di qualche migliaio di ebrei vivi, molti dubbi sono sorti, all’interno dell’organizzazione stessa (un ottimo servizio, dicevamo, mica la Cia), sull’uso di Hamas quale capro espiatorio, data l’incontrollabilità di Isis che dovrebbe avvantaggiarsi della sua eclissi. Anche in tal caso non si vede un futuro che non sia il caos in tutto il Medio oriente.

D’altra parte, e qui torniamo alle grandi potenze territoriali fuori dal gioco dei servizi e dei terroristi, il loro problema politico e militare è lsis –del corteo parigino e delle vignette se ne sono altamente fregati Obama e Putin, iraniani, egiziani e cinesi. Problema quasi insolubile, perché le forze anti-Isis sul terreno sono sciiti irakeni e libanesi, truppe di Assad, Guardiani iraniani, curdi “buoni” poco pugnaci e curdi più impegnati ma “terroristi”, con statica assistenza aerea americana e contributi simbolici dei paesi arabi –che peraltro non hanno interrotto i finanziamenti–, mentre la Turchia gioca un ruolo più che ambiguo. Si configura, cioè, un’alleanza che non corrisponde in nulla alle opzioni Usa, fino a ieri propensi a bombardare i siti atomici iraniani e a destabilizzare la Siria, per non parlare della spinosa vertenza palestinese e delle difficoltà di una gestione unitaria Usa-Russia. La tripla sparatoria parigina ha rafforzato a breve Netanyahu, malgrado l’irritazione di Hollande, e lenito i contrasti fra Europa e Israele, ma non incide affatto sulla situazione in campo mesopotamico, che è il brodo di cultura del terrorismo.

Per tutte queste ragioni proclami sugli scontri di civiltà, vignette, libertà di stampa, frontiere di Schengen, immigrati, seconde generazioni, attentati, moschee ecc. segnano l’arena del dibattito politico europeo, comprese le preoccupazioni di un collasso della Ue per la vittoria elettorale degli euroscettici di destra in Francia, ma eludono il nocciolo della questione. Ancor meno ci interessa strologare, come fanno Severino e Žižek, su quanto i fondamentalisti abbiano sciaguratamente interiorizzato i valori occidentali e la tecnica. Abramo, padre delle tre religioni del Libro, si rivolterà nella tomba a vedere quali sono i suoi eredi teologici. Al di là delle giuste preoccupazioni per la libertà di espressione e del compianto per le vittime, la campagna #JeSuisCharlie è una formidabile arma di distrazione di massa, quando non di miserabile coscienza tardo-imperiale. Troppi se ne fregiano e fra loro i mandanti delle guerre sbagliate: Irak, Siria, Libia... Non voglio associarmi a semplificazioni. Diffido del fraterno unanimismo repubblicano. Non è il mio hashtag.

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