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linterferenza

Il Capitalismo all’offensiva su tre fronti

Fabrizio Marchi

tp9 coverHo appena letto questo articolo Tutte zitte se il “raptus” viene attribuito a una madre assassina?di “Eretika” (questo è il nick che utilizza da tempo e con cui è conosciuta), una “femminista critica” – definiamola così – sulla recente sentenza che ha di fatto assolto la madre di Lecco che aveva assassinato le sue tre figlie.

Eretika ha assunto da tempo posizioni sicuramente coraggiose, molti dei suoi articoli sono apprezzabili e condivisibili, per lo meno in parte, e in un’ occasione in cui fu duramente attaccata da alcune sue ex compagne ed ex compagni, presi anche pubblicamente le sue parti, esprimendole la mia solidarietà.

Tuttavia non riesce (non vuole? non può?…) a fare il salto definitivo (e anche il più coerente…), cioè a fuoriuscire dall’ideologia femminista che pure ha sottoposto ad una critica molto severa. Ma questo è eventualmente un suo problema. L’ articolo in ogni caso ha avuto il merito di sollecitarmi ad una riflessione più ampia e la ringrazio per questo.

Per lei l’attuale contesto sociale sarebbe tuttora dominato dalla cultura maschilista e patriarcale, e anche quest’ultimo articolo lo conferma. E’ ovvio che dal mio punto di vista è un’analisi a dir poco obsoleta, perché l’attuale sistema capitalistico tutto può essere e tutto è tranne certamente che maschilista e patriarcale.

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manifesto

Benjamin sul confine tra lavoro e amore

Fabrizio Denunzio

Il testo di Maurice de Gandillac [pubblicato in calce a questa nota] costituisce il primo confronto della filosofia francese con l’autore dei «Passages». Emergono temi che lo collocano nel solco della riflessione contemporanea sulla società del rischio

benjamin portrait 200La rice­zione fran­cese dell’opera di Wal­ter Ben­ja­min si lega alla prima tra­du­zione che ne fece Mau­rice de Gon­dil­lac nel 1959 per conto dell’editore Juil­lard. Come quella ita­liana – l’epocale Ange­lus Novus del 1962 curata da Renato Solmi – anche l’edizione di de Gan­dil­lac si basava su una scelta dei saggi ben­ja­mi­niani più impor­tanti che Theo­dor W. Adorno aveva rac­colto e pub­bli­cato con Suhr­kamp di Fran­co­forte nei due volumi che por­ta­vano come titolo lapi­da­rio Schrif­ten. Molto più dell’Italia, la Fran­cia era quasi natu­ral­mente pre­di­spo­sta ad acco­gliere un’operazione edi­to­riale di que­sto tipo, non solo per­ché Parigi era stata luogo di asilo, seb­bene non troppo ospi­tale, di Ben­ja­min, non solo per­ché que­sti ne aveva amato e pro­mosso la let­te­ra­tura, ma anche per­ché, pen­sando soprat­tutto alle tor­men­tate vicende edi­to­riali dell’Opera d’arte nell’epoca della sua ripro­du­ci­bi­lità tec­nica, ne aveva fre­quen­tato alcuni dei pro­ta­go­ni­sti: Ray­mond Aron, il grande socio­logo diret­tore della sede pari­gina dell’Istituto per la ricerca sociale di Fran­co­forte, sulla cui rivi­sta vide la luce la prima ver­sione del sag­gio; Pierre Klos­so­w­ski, non solo tra­dut­tore di quest’ultimo, ma anche mem­bro di quel Col­le­gio di Socio­lo­gia di cui face­vano parte Geor­ges Bataille e Roger Cail­lois, ad alcune delle cui riu­nioni Ben­ja­min era stato ammesso.

Il breve sag­gio che pre­sen­tiamo alle let­trici e ai let­tori de «il mani­fe­sto», qui tra­dotto per la prima volta in ita­liano, è il testo dell’intervento che de Gan­dil­lac tenne nel corso dell’importante con­ve­gno inter­na­zio­nale svol­tosi a Parigi dal 27 al 29 giu­gno del 1983 e dedi­cato, non a caso, a «Wal­ter Ben­ja­min et Paris», i cui atti nel 1987 furono pub­bli­cati dai tipi di Cerf.

Sono due i motivi d’interesse che spin­gono a pub­bli­care que­sto inter­vento: l’autore e l’interpretazione che dà della vita e dell’opera di Ben­ja­min. Seb­bene in Ita­lia di de Gan­dil­lac non sia stato pub­bli­cato nulla, il suo nome si lega a quello – que­sto sì molto più noto nei nostri ambienti cul­tu­rali – di Gil­les Deleuze. Esperto di filo­so­fia antica e medioe­vale, de Gan­dil­lac fu diret­tore di tesi di Deleuze, di quella grande ricerca che cono­sciamo come Dif­fe­renza e ripe­ti­zione.

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poliscritture

Eduardo Galeano, un critico antisistema

di Giorgio Riolo

galeano 1Ci sono opere e persone che, al di là del valore intrinseco, grande o piccolo, non importa, svolgono un ruolo formidabile nel contesto storico in cui sorgono. Diventano metafore di un moto storico, di un cammino in corso.

Diciamo subito che il valore letterario e di contenuti degli scritti di Galeano era veramente grande. Fossero libri o i suoi tipici folgoranti pezzi giornalistici, egli mostrava quale forza si può celare nella penna, se la si sa usare e a qual fine usarla. Sciascia ricorreva a questa metafora della penna come spada, pensando al suo ruolo di scrittore e di intellettuale. Impensabilmente coincidente con quello che l’analfabeta bracciante siciliano riteneva a proposito del valore, dell’importanza della cosa scritta. Ma oggi con il minimalismo, la ciarlataneria chiassosa, le parole in libertà, in ogni dove (la falsa democrazia del Twitter, Facebook e minchiate varie), tutto ciò assume distanza, alterità omerica, biblica.

La cultura, la letteratura, la grande arte non cambiano il mondo, sicuramente. Ma è sacrosanto che esse contribuiscano a preparare, a invogliare, a spingere gli esseri umani a “desiderare” un altro mondo, a cambiare la propria vita e la vita quindi dei gruppi associati. L’antropologia culturale viene prima della politica, sostanzia la politica e la spinge in avanti. Non al contrario, come taluni bonzi si ostinano a pensare e a praticare. Il risultato necessario, di causa ed effetto, come il giorno segue alla notte, è inevitabilmente la malapolitica.

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ilconformista

La semplicità non è così semplice

Francesco Paolo Cazzorla ( Zu Fra )

A Giovanni, lui dovrebbe sapere perché

by yukoshimizuSpesso si dice che le cose più semplici siano sempre le cose migliori. Che, forse, siano le uniche che meritano di essere perseguite per condurre una vita sana e tranquilla; le sole quindi da cercare, perseverare e valorizzare, sempre. Le cose complicate, al contrario, sono assolutamente da evitare, da rigettare a priori, perché non hanno alcun senso, e perché l’apparente caos che producono – in quel loro tramestio sconclusionato – non è minimamente gestibile, né comprensibile: risulta difficile da declinare nelle nostre singole (e complicate) vite. Per questo motivo, la semplicità fa star bene, non crea problema, ed è sempre comprensibile: la possiamo utilizzare a nostro piacimento quando e come vogliamo: è una cosa immediata.

Sostenendo questo però ci si dimentica, altrettanto spesso, da dove deriva quell’immediatezza; che cosa alimenta quella semplicità così vivida, così facilmente introiettabile, tale da conquistare – con quel suo potente accesso – le nostre percezioni, la nostra gamma di emozioni, e tutto quello che diventeremo una volta averla assimilata, una volta averla assorbita.

Se dimentichiamo cosa c’è dietro – quale sia stato il processo che l’ha portata fino a lì – affinché quella semplicità sia così genuina, così chiara, e si mostri in quel modo così piacevole tale da esaltarci, affascinarci, catturarci in quel suo inconfondibile brio; se non riusciamo ad avvertire cosa veramente la rende tale, probabilmente quella semplicità durerà poco, e sarà semplicemente (!) una semplicità di “facciata”, che subito dopo averla vissuta creerà necessariamente un vuoto interiore, una specie di mancanza, e che andremo a sopperire cercandone ancora, e poi ancora, sempre di più, magari della stessa “semplice” specie.

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minimamoralia

Che cosa abbiamo fatto per meritarci Diego Fusaro?

di Raffaele Alberto Ventura

klimt126In principio era un sito Internet intitolato “La filosofia e i suoi eroi”. Nei primi anni Duemila, chi cercasse in rete informazioni su Platone o Aristotele poteva facilmente imbattersi in queste pagine redatte da uno studente torinese di nome Diego Fusaro. Il sito era una galleria di santini animata da una visione schematica della storia del pensiero, ricalcata dai manuali, ma trasudava di un entusiasmo impressionante. Una decina di anni più tardi, nel 2013, il loro autore veniva annoverato da Maurizio Ferraris su La Repubblica tra i più promettenti giovani filosofi d’Europa.

Ho assistito alla folgorante ascesa mediatica di Diego Fusaro con un misto d’invidia e di stupefazione. Invidia perché, essendo suo coetaneo e avendo fatto gli stessi studi, ammetto che non mi dispiacerebbe affatto pubblicare libri con i più prestigiosi editori, dirigere una collana di testi filosofici, andare in televisione a tuonare contro il capitalismo e l’ideologia gender, partecipare a convegni col fior fiore degli intellettuali infrequentabili, condurre un programma su Radio Padania, rilasciare alla stampa russa interviste a sostegno di Vladimir Putin, fare dei selfie con Marione Adinolfi e infine essere definito “filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni”.

Stupefazione, tuttavia, perché a leggere e ascoltare certe esternazioni di Fusaro si può avere l’impressione di avere a che fare con un idiot savant che ripete meccanicamente degli slogan. Stupefazione, anche, per come Fusaro sia riuscito a non far pesare la sua progressiva radicalizzazione politica sul credito che gli prestano editori come Il Mulino, Bompiani e Feltrinelli.

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tysm

Gli spettri del capitale. Introduzione

di Mario Pezzella

I testi di Johnny Costantino, Mario Pezzella e Alessandro Simoncini – alcuni dei quali compaiono in questo numero della rivista in versione leggermente ampliata – sono apparsi sul numero 11-12, 2014 della rivista “Il Ponte”,  il cui direttore Marcello Rossi ringraziamo per il permesso di pubblicazione. Il fascicolo monografico, dedicato interamente al rapporto tra cinema e capitalismo, si intitola “Gli spettri del capitale. Cinema e pensiero critico”. È stato curato da Mario Pezzella, il quale ha scritto anche l’interessante introduzione che segue

metro51Questo numero  prosegue la riflessione sul rapporto tra cinema e pensiero critico, iniziata nel 2008 con Il cinema non è il cinema. I film –si diceva allora- non possono essere ridotti a esempi di sistemi filosofici (come se esistessero film heideggeriani, aristotelici e -perchè no- vattimiani o cacciariani). Il cinema è oggetto e soggetto di pensiero nella misura in cui contribuisce ad articolare lo spazio e il tempo della modernità, la partizione del sensibile, nella quale si cristallizzano le sue forme percettive. L’ordine simbolico in cui viviamo non è affatto neutro: è quello del capitale e del suo dominio. E’ un orizzonte di senso che nulla sembra trascendere; e pure è percorso da crepe e brecce che ne incrinano lo spazio.

In questo “speciale” cerchiamo di considerare come il cinema abbia rappresentato l’ordine del capitale e le soggettività ad esso corrispondenti: tenendo ben presente la storia più recente, in cui dilagano l’astrazione finanziaria e il nuovo autoritarismo politico che ne deriva.

Continuo a pensare che si debba distinguere un cinema “spettacolare”, apologetico dell’esistente, e un cinema critico-espressivo: o che –per usare la terminologia di Benjamin- esista una differenza decisiva tra immagini di sogno e immagini dialettiche.

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il rasoio di occam

Scienza della letteratura e critica della vita

Note su “The Bourgeois” di Franco Moretti

Raffaello Palumbo Mosca

Uscito nel 2013, “The Bourgeois” di Franco Moretti non ha ricevuto in Italia tutta l’attenzione che merita. Si tratta tuttavia di uno dei frutti più maturi delle digital humanities e del metodo del distant reading. La riflessione su questo metodo porta inoltre a interrogativi ancora più generali sullo statuto della critica letteraria

schiele121Il libro

Pubblicato nel 2013 presso la casa editrice Verso e subito entusiasticamente recensito da tutte le maggiori riviste americane e inglesi, The Bourgeois. Between History and Literature di Franco Moretti non ha avuto, in Italia, l’attenzione che merita. Ed è stata un’occasione persa. Innanzi tutto perché questo volume è, a oggi, il frutto più maturo e interessante delle digital humanities e in particolare di quel metodo di distant reading i cui vantaggi Moretti illustrava già in Graphs, Maps, Trees: Abstract Models for a Literary History del 2005. Ma The Bourgeois è anche ‒ forse soprattutto ‒ uno studio nel quale la virtuosistica capacità dell’autore di bilanciare e perfettamente intrecciare l’analisi storica e teorica, l’analisi dei dati e quella più propriamente critico-letteraria, tocca il suo apice.

Il risultato, notevolissimo, è uno studio che, per quanto agile, non solo riscrive e analizza in modo originale la storia e il declino della borghesia europea, ma ci consente anche di guardare da una prospettiva nuova e diversa le tecniche letterarie di volta in volta utilizzate nel corso di due secoli. Da una parte, quindi, Moretti rifiuta ‒ come vorrebbe una lettura ormai sclerotizzata di Simmel, Weber, Sombart e altri ‒ di identificare borghesia e capitalismo come due facce della stessa medaglia, o di ridurre il borghese all’etica del lavoro (come lo stesso Weber sembrava inclinato a fare), per restituirci invece una storia più complessa e sfaccettata, in grado di illuminare sia le contraddizioni interne alla borghesia stessa, sia l’ambiguo rapporto che essa intrattiene con lo sviluppo del capitalismo europeo.

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carmilla

Agonia di una civiltà

di Sandro Moiso

Emil Cioran, Sulla Francia, Voland 2014, pp. 110, € 13,00

a125Non è un autore molto frequentato Emil Cioran, soprattutto negli ambienti della sinistra antagonista.

Ed è facile capirne il perché: amico di personaggi come Mircea Eliade aveva fatto parte, negli anni che avevano preceduto il secondo conflitto mondiale, della Guardia di ferro di Corneliu Zelea Codreanu, un movimento anti-semita, filo-nazista e ultra-reazionario che si era sviluppato tra gli anni venti e trenta nel suo paese d’origine, la Romania.

Però, il libro in questione, prima traduzione italiana a cura di Giovanni Rotiroti di un manoscritto del 1941 dimenticato per decenni tra le carte depositate presso la Bibliothèque Jacques Doucet, può rivelarsi molto interessante ed utile per rivedere alla luce di un suo importante teorico la teoria della decadenza della civiltà e coglierne tutte le subdole conseguenze ideologiche e politiche. Soprattutto in momenti, come l’attuale, in cui i rischi connessi all’esplodere di crisi economiche e militari sempre più virulente e devastanti sembrano aver messo in crisi gli equilibri raggiunti nel secondo dopoguerra e l’opulenza e la sicurezza delle società europee.

Una nazione raggiunge la grandezza solo se guarda al di là delle sue frontiere, odiando i propri vicini e volendo soggiogarli. Essere una grande potenza significa non ammettere valori paralleli, non sopportare vita accanto a sé, imporsi come senso imperativo e intollerante […] Un tempo, dai villaggi francesi scaturivano energie debordanti, forze avide di gloria… Oggi, l’aratro è noioso, le fattorie intorpidite, il lavoro senza fascino” (pp.79-80).

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carmilla

Il viaggio dell’eroe e la coscienza di classe

di Luca Cangianti

1207px Kaninchen und Ente 1 300x255L’eroe delle narrazioni moderne percorre lo stesso cammino di chi prende coscienza di una situazione d’oppressione e decide di ribellarsi. Nel Viaggio dell’eroe, un manuale di sceneggiatura di ampio successo, Chris Vogler afferma che il protagonista, l’eroe per l’appunto, è spinto a intraprendere un’avventura che lo strappa alla realtà quotidiana, portandolo alle soglie di un mondo straordinario nel quale dovrà superare prove mortali nel tentativo di sconfiggere il nemico. Tuttavia “Gli eroi non si limitano a visitare il regno dei morti per poi tornare a casa. Ne escono trasformati” (C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Audino, 2005, p. 128.)

 

Tre storie gestaltiche

Nel film Tutti a casa il sottotenente Alberto Innocenzi (Alberto Sordi), dopo il collasso dell’8 settembre 1943, intraprende un viaggio drammatico e picaresco attraverso l’Italia sconvolta dalla guerra e invasa dai nazisti. Innocenzi all’inizio si comporta da opportunista, ma il corso degli eventi lo cambia progressivamente. Nel finale, di fronte all’assassinio del suo compagno, ha uno scatto di dignità e decide di non subire più la violenza dell’oppressore. Prende coscienza, s’impossessa di una mitragliatrice e inizia a combattere: l’inquadratura si allarga sulle azioni coordinate di una brigata partigiana; l’eroe non è più solo, è parte di una comunità più grande che sfida il potere e crea a una nuova società.

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internazionale

Cosa si nasconde dietro le nostre rabbie quotidiane

Nicola Lagioia

big 7“Dovresti finire in galera”. “Sei un cane!”. “Pezzo di merda”. “Peggio della camorra”. “Si vergogni! Sono una professoressa e so quanto soffrono i ragazzi sovrappeso quando vengono sfottuti dai compagni, e lei merita di essere rinchiuso qualche anno in un centro di rieducazione mentale”. “Ti auguro la morte”.

Molti di quelli che fino al mese scorso piazzavano l’icona Je suis Charlie sulle foto del loro profilo Twitter o Facebook non si sono fatti problemi a scagliarsi qualche giorno fa contro Alessandro Siani. Il comico, in nome di un cattivo gusto che non arriva ai talloni di quello sfoderato dal settimanale satirico francese, ha canzonato in diretta nazionale un ragazzino obeso.

Non amo la comicità di Siani, mi sembra morda poco e grossolanamente. Ma non posso non notare la contraddizione in chi, sentendosi ferito da un’offesa rivolta ad altri (”ma ci entri nella poltrona?”, che se volete è la versione moscia del Benigni prebeatificazione, quando diceva di Giuliano Ferrara “pensa che vita senza toccarselo mai, non ci arriva mica!”) non vede l’ora di ferire a sua volta augurando il decesso o la reclusione coatta all’autore dell’offesa. Non è la riprovazione di per sé a sembrarmi rivelatoria, ma la violenza con cui è espressa. Il caso di Siani è solo l’ennesimo in cui, crepato il vaso di Pandora del politicamente corretto, ne vengono fuori strani spettri.

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doppiozero

Fine della lentezza

Paolo Gervasi

bios e logo gervasi maffei festinalente 450x636Lamberto Maffei ha scritto, per la collana “Voci” del Mulino, un Elogio della lentezza  (Il Mulino, 2014) percorso dal gusto rinascimentale ed erasmiano per il paradosso. Il libro si apre con l’immagine di una tartaruga sul cui dorso è issata una grande vela gonfiata dal vento, accompagnata dal motto Festina lente, “affrettati lentamente”, l’emblema al quale Cosimo I de’ Medici affidava la sintesi della sua filosofia politica. Anziché inscenare un conflitto schematico, da risolvere unilateralmente, tra lentezza e velocità, Maffei, riprendendo alcuni degli spunti contenuti nel suo precedente, importante libro La libertà di essere diversi (Il Mulino, 2014) mostra la complessità delle relazioni tra due modalità del pensiero, tra due attitudini cognitive biologicamente radicate. Da un lato il pensiero rapido, prevalentemente automatico e inconscio, che guida le reazioni irriflesse e immediate agli stimoli ambientali, legate alle necessità primarie della sopravvivenza, ed è riconducibile alle aree più arcaiche del cervello, alle facoltà tradizionalmente associate all’emisfero destro. Dall’altro lato il pensiero lento, riflessivo, logico, il pensiero razionale associato all’emisfero sinistro, strutturato secondo sequenze temporali, espresso e messo in forma attraverso il linguaggio, modellato da un alto quoziente di plasticità neuronale, dalla plasmabilità delle connessioni sinaptiche, che si modificano a contatto con l’ambiente e nell’interazione sociale e culturale.

Se il pensiero lento ha bisogno di stabilità e di durata, si fonda sulla continuità e sulla stratificazione dinamica di elementi concatenati nel tempo e legati da rapporti consequenziali, il pensiero rapido crea una dimensione temporale discreta, in senso matematico, o saltatoria, che tende a dissolvere sia la continuità retrospettiva costituita dalla memoria, sia quella proiettiva della progettazione del futuro.

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nazione indiana

Un dialogo evoluto

Laura Di Corcia intervista Telmo Pievani

Charles Darwin Wallpaper by kinepipeSecondo Leopardi la “natura” è crudele e la teoria evoluzionistica darwiniana non ha fatto che confermare questo sospetto, quello di un grosso meccanismo continuamente stritolante, dove ogni tassello non ha nessun altro interesse se non quello di badare a se stesso, pensare alla propria sopravvivenza. È davvero così? Perché, allora, esiste l’empatia, come mai gli uomini (alcuni fra loro) tendono a far comunità, ad aiutarsi reciprocamente? In parole semplici, l’uomo è un animale individuale o sociale?

Abbiamo posto queste domande a Telmo Pievani, filosofo della scienza ed epistemologo, grande conoscitore delle teorie evoluzionistiche che ci ha parlato di nuove frontiere, nello studio della nostra storia di uomini, di una selezione, operata a livello macro-individuale, fra gruppi, che tenderebbe a favorire gli individui cooperativi, a fare in modo che siano proprio loro (in apparente contraddizione con quanto sostenuto da Darwin nel suo L’origine della specie, 1859) a resistere nel tempo come modello vincente.

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lindice

Un intellettuale, un letterato, dunque un niente

di Luca Lenzini

cartolina fortini fronteQuando abbiamo cominciato a pensare all’anniversario della scomparsa di Fortini, siamo partiti da una domanda molto semplice e radicale: Fortini chi? Così infatti, al modo epocale, rispondevano i librai alle richieste di chi cercava i suoi libri. Ma non solo i librai: anche avvoltoi accademici e opinion makers di dubbia fama ripetevano la domanda o tacevano del tutto (intanto fioccavano convegni e concistori, ogni weekend un centenario o un cinquantenario, e a nessuno si nega una Festschrift). Per tanti, troppi motivi di quella domanda non c’era in verità da stupirsi. Sono cambiati assai i tempi, da quando strutturalisti in crisi, barbudos in eskimo o smunti filologi bussavano alla porta di via Legnano o della facoltà di lettere di Siena per chiedere lumi sul mondo, per sapere “che fare”, per portare a casa una ­Weltanschauung o ricaricarsi d’indignazione, almeno per qualche ora. E lui, che non si negava a nessuno, ogni volta a negare ricette, a decostruire le parole d’ordine. Un libro da leggere? La Bibbia; e che andassero a studiare.

Ma oggi, bisognava pur rispondere e allora cominciavano i problemi. Almeno per me, che in molti anni di studi su Fortini poeta e intellettuale mi sono sempre rifiutato alla sintesi. Rifiutato perché intimorito dalla complessità e molteplicità dell’opera, atterrito dai nessi con gigantesche questioni storiche e sociali; ma anche perché consapevole di non disporre di altro strumento, per tentare di capire qualcosa del suo sterminato lavoro, di quello parziale, partigiano e imperfetto, imparato molto approssimativamente proprio da lui e da alcuni altri: ovvero il saggio – quindi solo assaggi, domande parziali, interrogazioni empiriche, commenti a singoli testi, interpretazioni provvisorie. Nessuna sintesi (Fortini chi?...).

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distopie

Monsters

Tracce per la decostruzione dell’immaginario distopico post-Charlie Hebdo

di Gaia Giuliani

john henry fuseli - the nightmareNelle righe che seguiranno proverò, in linea e in dialogo con quanto scritto da Gabriele, a comprendere quanto dietro all’utopia della (ri)fondazione della comunità immaginata (dei buoni, dell’occidente) stia il delinearsi di una codificazione del mostruoso che, sin dall’11 Settembre, vede nel maschio musulmano non-bianco l’altro che per contrasto definisce il Noi. La letteratura critica è, per fortuna, molto vivace e tocca tantissimi temi – quello dell’islamofobia come eredità coloniale, della nuova fondazione dello stato ‘morale’ e conservatore mediante omonazionalismo e femonazionalismo (ossia la strumentalizzazione ideologica da parte del discorso nazionalista dei discorsi emancipazionisti delle formazioni gay e femministe) contro il barbaro immorale, il razzismo multiculturalista, le nuove forme di razzismo culturalizzate. Non sto ora a darne una descrizione approfondita, ma delle fantasie di bianchezza e delle gerarchie patriarcali ed eterosessiste abbiamo scritto in ciascuno dei brevi saggi apparsi in Distopie.

Mi voglio invece soffermare sulla costruzione del Noi – bianco, borghese, cristiano, ‘moralista’ e conservatore – e dei suoi nuovi abietti, i nuovi mostri ‘alieni’ ad una supposta civiltà occidentale che viene ora descritta quanto mai omogenea e solidale al suo interno.

Ciò che vedo di solidale è solo il consenso dei potenti alle strategie neoliberiste di ristrutturazione economica, sociale e culturale, e a parte ciò, non molto altro, ‘nonostante i proclami’ – o forse sarebbe meglio dire ‘suffragate e sostenute dai proclami’ – su diritti, integrazione e uguaglianza di genere alla base dei finanziamenti europei alla ricerca e alle politiche nazionali e comunitarie.

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404notfound

Contro Houellebecq

La sottomissione di Sisifo

di Lorenzo Mecozzi

sisifoPrima di iniziare la lettura dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, Soumission (Sottomissione, nella traduzione italiana Bompiani, uscita nelle librerie il 15 gennaio), e viste le polemiche suscitate dal romanzo a seguito degli eventi degli ultimi giorni, avevo iniziato a far mente locale sul rapporto tra romanzo e morale, tra i diritti del racconto e i doveri del romanziere, ma soprattutto sulle responsabilità del giudizio critico.

Per la vicinanza tematica e di visione del presente che lega Houellebecq a Walter Siti (due “apocalittici-integrati” della letteratura contemporanea secondo la bella definizione di Carlo Mazza Galanti), per prima cosa mi era tornata in mente la lunga ed appassionata discussione nata su Le parole e le cose, a seguito di un articolo nel quale Gianluigi Simonetti rispondeva al saggio che Andrea Cortellessa aveva voluto dedicare a Resistere non serve a niente di Siti. Così avevo iniziato a riflettere su quel “purtroppo”, pronunciato da Cortellessa, che aveva dato il via alla discussione (“E Resistere non serve a niente – purtroppo – è il libro più bello dell’anno”) e sui tre argomenti con i quali Simonetti ne aveva negato la legittimità (l’«argomento-Bataille», l’«argomento De Sanctis», l’«argomento Engels» – anche se le definizioni sono sempre di Cortellessa), preparandomi a dover affrontare problematiche simili nel recensire Houellebecq. Le prime pagine del romanzo, tuttavia, disinnescavano ogni preoccupazione, almeno nel senso che le roboanti critiche al libro lasciavano immaginare, consegnandomi alla lettura di un’opera allo stesso tempo tipicamente houellebechiana e in qualche modo diversa da tutti gli altri romanzi di Houellebecq.