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Una catastrofe "artificiale"

di Marcello Cini

[seguito dal commento Catastrofe scientifica di A.Baracca ed E.Burgio e dalla replica di Cini]

Quel «maledetto buco» continua a sputare petrolio. Nessuno riesce a tapparlo. Ma il mondo rischia di cominciare ad abituarcisi, anche se Obama fa il possibile per tenerci i riflettori puntati sopra, e per riuscire a conciliare la fame di petrolio dei suoi concittadini con l'occasione, offertagli dal disastro provocato dall'avidità della Bp e dei suoi soci, per rilanciare la riduzione degli sprechi energetici e la crescita delle fonti di energia pulita (punti qualificanti del suo programma presidenziale).

Ma la maggior parte dell'opinione pubblica mondiale, tuttavia, non vede il disastro del Golfo del Messico per quello che è: un evento epocale che segna una tappa irreversibile della corsa verso catastrofi sempre più gravi.

Non è infatti soltanto una questione quantitativa, anche se indubbiamente da questo punto di vista il buco segna un record pazzesco. La Bp aveva annunciato agli inizi una fuoriuscita di 5.000 barili al giorno.

Dopo due mesi la stessa Bp parlava di 20.000. Ma alla fine di giugno ammette che possa arrivare a 100.000. È dunque di gran lunga il più grande disastro ecologico causato dal versamento di petrolio in mare: ogni due giorni e mezzo è quello che è uscito dalla petroliera Exxon Valdès (250.000 barili) le cui tracce devastano ancora dopo vent'anni le coste dell'Alaska. Ma quante altre Exxon Valdès sputerà fuori il «maledetto buco» prima che si riesca a tapparlo? E se arriverà a beccare la Corrente del Golfo che succederà all'Europa? Il futuro ci darà le risposte, ma resta il fatto che un drammatico record è già stato ampiamente superato.

Premesso questo, nascono alcune domande. Cominciamo da quella che dovrebbe essere la più ovvia. È possibile che lo Stato più potente e più tecnologicamente avanzato del mondo non abbia le competenze e gli strumenti per proteggere i propri cittadini dalle conseguenze nefaste di iniziative private condotte in modo, a dir poco, azzardato, e debba affidarsi ai responsabili stessi del disastro per riuscire a fermarne, peraltro senza riuscirci, la furia distruttiva? Eppure, per esempio, ha il monopolio della difesa dei cittadini dagli attacchi di nemici esterni interni e possiede per questo il dominio delle tecnologie più avanzate e raffinate. Più in generale occorre domandarsi: è possibile che la gestione di attività che comportano rischi per i cittadini così gravi come quelli dell'evento al quale stiamo assistendo impotenti, debba necessariamente essere affidata all'iniziativa privata, senza controllo pubblico preventivo?

La risposta a queste domande, a lume di ragione e di giustizia dovrebbe essere negativa. Dovrebbe infatti apparire chiaro a tutti che quantificare in termini monetari la distruzione di patrimoni naturali irriproducibili di dimensioni planetarie e la violenta annichilazione di attività di intere popolazioni frutto di tradizioni secolari e di esperienze individuali maturate nel corso di vite intere è una profonda ingiustizia che permette ai ricchi di distruggere legalmente ricchezze che appartengono a tutta l'umanità e di spazzar via, coperti dallo scudo della legge, il mondo di relazioni basilari affettive e materiali che sorregge la vita dei poveri.

Ma la cultura del mercato ormai ovunque dominante sostiene invece che i vincoli di tutela ambientale, le precauzioni per la difesa della salute pubblica e la salvaguardia degli interessi delle collettività, rappresenterebbero arbitrari ostacoli al libero sviluppo delle iniziative individuali, che, secondo il pensiero neoliberista, sarebbero l'unica fonte della ricchezza della società. Solo a posteriori, dunque, queste attività, ove provocassero danni, verrebbero sanzionate con il pagamento di un indennizzo monetario ai singoli individui colpiti.

La profonda ingiustizia di questa procedura falsamente risarcitoria si collega a due aspetti complementari del dominio culturale e materiale dell'Occidente sul resto del mondo. Il primo -acutamente analizzato nelle sue forme concrete e dettagliatamente ricostruito nelle sue tappe storiche in un libro importante di Ugo Mattei e Laura Nader intitolato Il saccheggio - è riconducibile alla pratica dell'appropriazione da parte dei potenti delle risorse delle società moderne attraverso la costruzione di un «regime di legalità celebrato come quintessenza della civiltà». «In questo libro - spiegano gli autori nell'introduzione - abbiamo cercato di dimostrare che il regime di legalità è un progetto di dominazione del più forte nei confronti del più debole, una vera e propria legge del più forte in nome della quale, tramite diverse strategie culturali e professionali, si radica profondamente la superiorità del primo e l'inferiorità del secondo. Un progetto di dominazione avvolto nella retorica della legalità non può che costituire una poderosa costruzione di egemonia persuadendo le vittime della benevolenza dei predoni». Il secondo aspetto, complementare al primo, non è altro che l'estensione alle catastrofi «artificiali» delle ricette degli economisti della «Scuola di Chicago» che hanno conferito per qualche decennio dignità «scientifica» a queste pratiche malavitose nei casi di catastrofi «naturali».

Naomi Klein - nel suo celebre libro Shock Economy - ha squarciato le tenebre che nascondono lo sfruttamento delle popolazioni colpite da queste catastrofi, compiuto attraverso l'espropriazione dei diritti acquisiti, l'abbattimento delle tutele legislative e la distruzione dei loro legami associativi, culturali e sociali, da parte delle imprese capitalistiche non più vincolate dalle barriere nazionali e dalle regole che ne discendevano.

«Quando l'uragano Katrina - scrive la Klein - colpì New Orleans e la pletora di politici conservatori, think tanks e imprenditori edili iniziarono a parlare di tabula rasa e di fantastiche opportunità fu chiaro che il metodo privilegiato per imporre gli obiettivi delle grandi imprese adesso era quello di usare i momenti di trauma collettivo per dedicarsi a misure radicali di ingegneria sociale ed economica». Il caso di New Orleans è paradigmatico. «Siamo finalmente riusciti - ha dichiarato pochi mesi dopo un importante rappresentante repubblicano della Louisiana al Congresso - a ripulire il sistema delle case popolari a New Orleans. Non sapevamo come fare ma Dio l'ha fatto per noi».

Ma torniamo alle catastrofi «artificiali». Il caso del «maledetto buco» è un precedente di straordinaria importanza per le catastrofi future che inevitabilmente il mondo si troverà a fronteggiare se continuerà a prevalere la cultura neoliberista. Dalle fonti di energia all'alimentazione, dalla salute ai servizi, dalla conoscenza ai «prodotti finanziari speculativi», l'adozione della logica del profitto come unica finalità delle attività umane - anche e sempre di più attraverso l'appropriazione privata dei beni materiali e immateriali comuni - non potrà non rendere il rischio di catastrofi una merce dotata di prezzo come le altre, invece che una eventualità da scongiurare attraverso un rigoroso controllo sociale. Una merce sulla quale, magari, si potrà scommettere come sulle altre.

Questi rapidi cenni ci riportano alla conclusione sul tema del controllo sociale dei rischi e della prevenzione delle catastrofi in un caso particolare di enorme portata. Il recente annuncio da parte di Craig Venter del passo avanti compiuto nella produzione di cellule viventi sintetiche programmate per svolgere funzioni mirate è un esempio perfetto delle contraddizioni tra interesse privato e interessi della collettività. Il dibattito che esso ha suscitato si è limitato a contrapporre i favorevoli e i contrari sul piano etico e religioso, dando per scontato che l'intreccio ormai indissolubile tra le scienze della vita e il capitale globale, rappresentato dalla brevettabilità di organismi viventi naturali modificati e impersonificato dallo stesso Venter nella sua duplice veste di scienziato e di imprenditore, possa non avere delle conseguenze impreviste e non tutte auspicabili per l'umanità.

È estremamente significativo scorrere a questo proposito il testo di un servizio sulle possibili domande sollevate dalle ricerche di Venter pubblicato sulla rivista Science del 21 maggio dal reporter Elizabeth Pennisi insieme al direttore della rivista Artificial Science, Mark Bedau, per vedere come questi autori, che molto responsabilmente colgono alcuni aspetti problematici dello sviluppo di queste ricerche, sottovalutino al tempo stesso la radicalità del conflitto di interessi implicito nell'eventuale occorrenza di incidenti.

Per quanto riguarda l'argomento della sicurezza, infatti, alla domanda «Cosa accadrebbe se cellule batteriche venissero accidentalmente rilasciate nell'ambiente?», la risposta è abbastanza credibile: «I ricercatori - scrivono - che lavorano nella creazione di cellule sintetiche da rilasciare nell'ambiente sono ben consci dei rischi molto più significativi che essa comporta rispetto a quelli derivanti dalla ricerca sui batteri confinati nei laboratori. Qualunque rilascio nell'ambiente avverrebbe soltanto in condizioni stringenti appropriate. Tuttavia esiste ancora la possibilità che un rilascio non intenzionale possa accadere». Anche se, aggiungono: «Il team di Venter sta studiando il modo di dotare le cellule sintetiche di meccanismi di autodistruzione in circostanze inpreviste e di tracciabilità della loro origine in modo da potere individuare la responsabilità di eventuali danni».

Ma la risposta alla seconda domanda - «a che punto dovrebbero entrare in gioco i politici? Ci sono in corso piani per regolamentare la ricerca e monitorarne le conseguenze?» - è a dir poco insoddisfacente: «Numerosi gruppi - leggiamo - di scienziati, esperti di etica, leader religiosi analisti politici eccetera, negli Stati Uniti e in Europa hanno esaminato da vicino le implicazioni sociali, etiche e politiche di queste ricerche. Questo lavoro è andato avanti per molti anni e i risultati a tutt'oggi sono liberamente disponibili al pubblico. Politici a tutti i livelli, inclusi i più elevati, partecipano già all'elaborazione, e piani per certi tipi di regolamentazione sono già avanzati (ad esempio la regolamentazione della sintesi di lunghi pezzi di Dna). Ulteriori tipi di regolamentazioni sono attivamente in corso di discussione».

Sono informazioni sufficienti a prevedere uno scenario futuro assai prossimo nel quale la competizione fra imprese private metterà sul mercato una molteplicità di batteri sintetici finalizzati agli scopi più disparati. I dispositivi di sicurezza diventeranno un costo da ridurre al pari degli altri costi per massimizzare i profitti. Anche in questo caso gli scienziati degli organi pubblici diventeranno sempre meno competenti e specializzati di quelli impegnati nelle imprese private a sviluppare nuovi microrganismi e sempre meno in grado di esercitare le loro funzioni di prevenzione e di controllo.

Siamo sicuri che fra qualche anno non ci sarà un presidente americano che dovrà gridare, senza successo: «Fermate quelle maledette bestie»?

 

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Catastrofe scientifica e visioni del mondo

di Angelo Baracca ed Ernesto Burgio       

Dove traballa la critica di Marcello Cini alla manipolazione del vivente di Craig Venter

L'articolo di Marcello Cini «Una catastrofe "artificiale"» (Manifesto 10 luglio) è una delle migliori analisi della catastrofe del Golfo. Tuttavia mostra a nostro avviso un limite, quando affronta il problema delle possibili conseguenze dell'ultima frontiera della manipolazione del vivente: la sfida di Craig Venter, che ha recentemente proclamato l'avvenuta creazione nel proprio laboratorio di un microrganismo «quasi nuovo».

Condividiamo pienamente la denuncia di Cini della leggerezza con cui la comunità scientifica internazionale ha accolto e commentato questa notizia: e che raggiunge il culmine (tanto per non smentirci) nel commento addirittura entusiasta di taluni scienziati nostrani che non perdono mai l'occasione di utilizzare la propria autorevolezza per rassicurare i cittadini del Bel Paese dell'assoluta innocuità per la salute umana di inceneritori e Ogm e, più di recente, di una tecnologia vecchia, pericolosa e in netto declino come l'energia nucleare.

Il limite che riscontriamo nell'analisi di Cini consiste nel fatto che di fronte all'ennesima sfida di Venter, egli si limiti a segnalare il pericolo di "incidenti" più o meno probabili, puntando l'indice sulla possibile diffusione di «microrganismi artificiali» nell' ambiente. Una critica che ci sembra minimalista a fronte di una ricerca che aspira dichiaratamente a modificare interi ecosistemi (per produrre energia dai batteri o addirittura per ridurre l'inquinamento e fermare il global warming), e che riecheggia le tesi (mai provate) dell'origine di malattie come l'Aids o la Sars, l'aviaria o la suina da virus o microrganismi manipolati o addirittura "ingegnerizzati" sfuggiti per errore da laboratori, militari e/o industriali (il confine tra i due settori essendo sempre più labile, tanto per ciò che concerne il biotech, che la produzione di energia nucleare: non si dimentichi che tra i principali mecenati e sponsor delle ricerche dello stesso Craig Venter compare, da anni, il Dipartimento USA per l'Energia, straordinariamente interessato all'applicazione delle biotecnologie genetiche al campo della produzione di «nuove forme di energia»).

E' importante sottolineare come la tesi dell'incidente biologico sia non soltanto riduttiva, ma anche fuorviante e pericolosa: trascurando di mettere in luce i veri intenti dei novelli apprendisti stregoni, impedisce di riconoscere la componente più prometeica, se non luciferina, dei loro esperimenti. L'utilizzo di una terminologia mitico-metafisica non sembra eccessiva per la sua dichiarata volontà di dirigere un processo bio-evolutivo antico di miliardi di anni, ma fin qui «imperfetto perché privo di Intelligenza» (sic!). Il delirio messianico di Craig Venter è diretto al cuore informatico della Natura. Per cui se fino ad oggi potevamo dire che l'uomo rischiava di trasformare in modo irreversibile la Biosfera, oggi possiamo affermare che la nuova meta della biologia sintetica è la trasformazione della Genosfera, del patrimonio genetico universale che si è formato nel corso di miliardi di anni di co-evoluzione biologica.

Noi riteniamo che questa sia la vera essenza e pericolosità della sfida lanciata da Craig Venter, e che il maggior pericolo non derivi, come sembra suggerire l'apprezzabile articolo di Cini, dall'immissione, più o meno involontaria (accidentale), in ambiente di microrganismi geneticamente modificati (cioè di costrutti genici più o meno instabili e potenzialmente invasivi), ma appunto dalla deliberata volontà di interferire con un processo evolutivo, la cui efficienza è attestata, e per così dire garantita, da miliardi di anni di stupefacenti successi (la meravigliosa continuità che a parere di St. J.Gould rappresentava il mistero più grande). E' purtroppo facile prevedere che queste interferenze sul codice segreto contenuto nel nucleo cellulare, avranno conseguenze altrettanto e più nefaste dell'intrusione nel cuore del nucleo atomico.

Gli equilibri eco sistemici e lo stesso processo evolutivo rischiano di essere trasformati in modo così imprevedibile e profondo (altro che i 1.700 metri del "maledetto buco"!) da rendere impossibile qualsiasi tentativo di recupero o riequilibrio. Ed è anche prevedibile che si susseguiranno nuovi tentativi di intervento, a proporre rimedi che non potranno che rivelarsi peggiori del male, perché la Natura seguirà il suo corso e non certo quello voluto dai novelli apprendisti stregoni come sta già avvenendo con le oltre 101mila molecole di sintesi che stanno disorientando i meccanismi molecolari di segnalazione intercellulare e con i residui del ciclo nucleare, che hanno introdotto processi "artificiali" che la Terra non sa metabolizzare.

Bisognerebbe arginare l'incontrollato sviluppo della Scienza asservita al profitto, senza il senso del limite, regola aurea in Natura. La concezione della "Pacha Mama" dei popoli indigeni sudamericani appare molto più avanzata della presuntuosa Scienza dei nostri apprendisti stregoni.

 

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SE LE CATASTROFI DIVENTANO MERCE. UNA RISPOSTA

Marcello Cini

Angelo Baracca e Ernesto Burgio, nel loro articolo del 17 luglio intitolato «Catastrofe scientifica» criticano il mio ragionamento (il manifesto 10 luglio) sulle catastrofi artificiali sulla base del «fatto che, di fronte all'ennesima sfida di Craig Venter» io mi sarei «limitato a segnalare il pericolo di incidenti più o meno probabili puntando l'indice sulla possibile diffusione di microrganismi artificiali nell'ambiente».

Se mi è consentita una battuta ormai d'uso corrente, non posso, a mia volta, perdere l'occasione di ricordare che concentrare l'attenzione sull'indice di chi indica qualcosa non è proprio un indizio di particolare acume. Ma siccome prima di accusare un interlocutore di non aver capito di cosa si sta parlando bisogna avere la modestia di pensare che ci si è espressi male, vorrei riassumere in poche parole il nodo essenziale della mia argomentazione.

Il punto è che il disastro del Golfo del Messico - le cui proporzioni stanno diventando a tutt'oggi (25 luglio) sempre più planetarie - non è solo una questione di petrolio. Il «maledetto buco» è invece un indizio fondamentale per capire dove ci sta conducendo - parlo della popolazione del pianeta - il connubio sempre più stretto tra il capitale globalizzato e il processo di produzione e di appropriazione privata delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche di «avanguardia», senza che venga posto in atto alcun controllo pubblico delle conseguenze materiali, economiche e sociali che esso comporta. «Dalle fonti di energia all'alimentazione, dalla salute ai servizi, dalla conoscenza ai 'prodotti finanziari speculativi' - scrivevo - l'adozione della logica del profitto come unica finalità delle attività umane - anche e sempre di più attraverso l'appropriazione privata dei beni materiali e immateriali comuni - non potrà non rendere il rischio di catastrofi una merce dotata di prezzo come le altre, invece che una eventualità da scongiurare attraverso un rigoroso controllo sociale».

Se non si coglie la novità - scusate la presunzione - di questo punto di vista, non si capisce, a questo punto, il ruolo attribuito a Venter nel mio ragionamento. Il collegamento fra quest'ultimo e il «maledetto buco» è fondamentale per almeno due motivi. Il primo è che l'immagine stessa di Venter - perfetta sintesi fra un magnate di Wall Street e uno scienziato con la testa fra le nuvole - grida in faccia al mondo che, piaccia o non piaccia, la «torre d'avorio» è crollata.

Certo, si può sempre dire che la conoscenza delle profondità degli oceani della quale la BP possiede il monopolio non è scienza ma tecnologia. Ma nessuno ormai va più tanto per il sottile. I confini si dissolvono. Agli antipodi, nemmeno la più sofisticata teoria della fisica contemporanea, la «teoria delle stringhe», venduta sola o accompagnata dalla fantascienza degli «universi paralleli» è più scienza in senso proprio, se è vero, come sostiene il premio Nobel (della fisica) Gerard 't Hoft, che non sarà mai falsificabile.

Dobbiamo rassegnarci: dei quattro imperativi istituzionali posti da Robert Merton alla metà del secolo scorso a fondamento dell'ethos della scienza moderna - l'universalismo, il comunitarismo, il disinteresse e il dubbio sistematico - sono rimasti soltanto alcuni brandelli e soltanto in qualche disciplina.

Il secondo motivo del collegamento fra il buco della BP e il batterio sintetico di Venter (che, ricordiamolo, aveva battuto sul tempo il progetto pubblico della decodifica del genoma umano) è dunque che entrambi mettono in evidenza l'incapacità delle istituzioni pubbliche di proteggere le comunità umane dai danni collettivi che possono assumere dimensioni planetarie anticipando, regolamentando e controllando l'acquisizione e l'appropriazione privata di conoscenze da immettere sul mercato in forma di merce.

È dunque l'acquisizione di questa capacità di controllo pubblico la priorità da adottare per la formazione di una cultura della sopravvivenza capace di far fronte alla prospettiva dell'intensificazione di catastrofi artificiali di entità paragonabile a quelle naturali che stanno verificandosi a un ritmo crescente.

Non aspettiamo che accadano senza far niente. 

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