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mondocane

Serbia: vittime, carnefici e loro vivandiere

di Fulvio Grimaldi

Parla il ministro degli Esteri di Milosevic in margine a un convegno a Firenze

facceUna Serbia che non muore

Zivadin Jovanovic ha 80 anni, ne dimostra venti di meno, da viceministro degli Esteri fino al 1998 e poi ministro fino alla caduta del governo nel 2000, è stato protagonista e testimone serbo, accanto a Slobodan Milosevic, dell’intera vicenda jugoslava e balcanica. Oggi è il protagonista della custodia, rivendicazione e propagazione della memoria di quanto fatto alla Serbia dalla Nato. Contro le turbe di occultatori e mentitori, è anche il combattente della verità sui Balcani e sulla Serbia di oggi e sui complotti che l’Occidente insiste a tessere a danno di sovranità, integrità e autodeterminazione della Serbia. Alto, snello, dritto e determinato, come uno di quegli abeti rossi che nel Sud Tirolo svettano verso la luce del sole, ha appena organizzato, nel XX dell’aggressione Nato e nel LXX della fondazione dell’Alleanza Militare Atlantica, l’ennesimo convegno internazionale del Forum di Belgrado per un Mondo di Uguali, da lui presieduto e al quale ho avuto il privilegio di partecipare. Ve ne ho riferito in www.fulviogrimaldicontroblog.info: Convegno internazionale a vent’anni dall’aggressione - “DIMENTICARE? PERDONARE? MAI !” Inviato sotto le bombe, testimone di oggi.

Ci siamo trovati fianco a fianco, in amicizia e causa comune, grazie al modesto contributo che ho potuto dare da responsabile del “Comitato Ramsey Clark per la Jugoslavia” e poi da portavoce, insieme a Enrico Vigna, del “Comitato Milosevic”, che si batteva per la liberazione del Presidente della Federazione Jugoslava e della Repubblica Serba, e per la demistificazione delle menzogne che ne volevano giustificare l’arresto e il processo da parte di un tribunale-farsa.

 

Le trombe degli eserciti

Jovanovic mi ha concesso l’intervista sull’oggi dei Balcani, sottoposto a nuove minacce da parte degli stessi criminali di ieri e di sempre. La leggerete più avanti. Prima, mi vorrei soffermare brevemente sul contributo che alla tragedia serba hanno fornito quelli che chiamerei “vivandiere”, o “corifei”, dei carnefici.

Coloro che, pur passando per oppositori dell’opzione guerra, per “sinistri”, pur lamentando bombe e uranio, ne hanno avvallato gli obiettivi, spesso nel nome della democrazia, dei diritti umani e del dittatore da abbattere. Quella volta e tutte le successive.. Una genìa che non ha mai smesso di prosperare e che, oggi come non mai, rappresenta una conventicola clerico-sinistra di amici del giaguaro e utili idioti per i Grandi Vecchi dei genocidi. Il manto fatto di buonismo, di carità, solidarietà, democrazia, diritti umani e civili, inserito nel guardaroba dell’epistemologia imperialista, continua a fornirgli copertura e credibilità.

Se ne registra la comparsa sia nell’ante, quando si tratta di condividere calunnie e falsità dell’aggressore, lastricandone la strada; sia nel post, dove ci si può permettere di piangere sui piatti rotti, ma senza mai smentire l’iniziale assunto mistificatorio. Ciò vale per l’operazione global-neoliberista e neocolonialista di spostamento e confusione dei popoli, come per le varie guerre per le quali quella della Serbia – “colpa degli ultranazionalisti, pulitori etnici, dittatori (solo Milosevic, però) del Balcani” – ha fornito il precedente e il modello, con effetto di progressiva normalizzazione di efferatezze belliche, regime change, sanzioni e conseguente passivizzazione dell’opinione pubblica.

Sotto questo cielo, striato di scie tossiche (stavolta vere), a Firenze, vittime, loro difensori e vivandiere del carnefice, sono stati riuniti, all’insaputa dei più della prima categoria, per una grande kermesse per il 20° della frantumazione delle Serbia e il 70° della fondazione Nato. Per un obiettivo assolutamente da condividere, la lotta alla Nato, hanno partecipato alcuni tra i più intemerati assertori della verità e della denuncia, come lo stesso Jovanovic, il canadese prof. Michel Chossudovsky, Diana Johnstone, saggista euro-americana e tra coloro che più a fondo hanno guardato nel pozzo delle mistificazioni e dei delitti Nato, Paul Craig Roberts, analista Usa, Peter Koenig, analista svizzero. Gente davanti alla quale tutti, non solo i patrioti serbi, devono togliersi il cappello. Gente che ha costituito il plotone di esecuzione politico e morale di mandanti ed esecutori. Tra i relatori degni di attenzione da molti anni, per la profonda e onesta osservazione dei fatti balcanici (seppure spesso presente su una rivista come "Limes"), va citata anche Jean Toschi Marazzani Visconti.

Ma, incredibilmente, perfino preponderanti, accanto ad alcune delle più valide e coraggiose figure dell’informazione corretta e della battaglia per la verità sui Balcani, il battaglione delle vivandiere delle armate con i cingoli e le bombe all’uranio, alla grafite, a grappolo, degli spargitori di veleni perenni attraverso la disseminazione di sostanze chimiche conseguenti a bombardamenti assolutamente intelligenti. Cosacce deprecate, è ovvio, “restiamo umani”, no? Ma che l’altro ieri, ieri e fino a stamattina, non hanno ritirato quanto, da corifei dell’inganno, del rovesciamento dei fatti, avevano avallato: Milosevic macellaio ultra nazionalista, dittatore, repressore delle opposizioni e dei media e pulitore etnico in Kosovo, i serbi tutti in preda a fanatismo nazionalista ed etnico, gli albanesi del Kosovo perseguitati e massacrati, Mladic e Karadzic sterminatori di bosniaci fino all’eccidio di Srebrenica. E intanto correvano a Sarajevo, “città martire” per colpa dei serbi, a straparlare di un assedio serbo che decimava civili. Erano due le parti in conflitto, ma sono stati i 130mila serbi a essere cacciati, sostituiti dai jihadisti importati dal despota vero, Izetbegovic e di quell’altro fascista, il croato Tudjman, pagati dai sauditi, ma definiti vittime della Grande Serbia di Milosevic. Jihadisti poi ritrovatisi in centinaia in Siria.

 

Acrobati tra pace e guerra: deprecare i bombaroli e condividerne le ragioni

Uno Slobo iperdemocratico, che tollerava le bugie e i sabotaggi dei media di Soros e Cia , libere elezioni, rivoluzioni colorate in piena aggressione, con libertà d’azione per la Quinta Colonna esterna (Casarini e i suoi centri sociali, i pellegrini di Sarajevo) ed interna (Donne in Nero, monarchici, Otpor, Zoran Djindjic, poi premier per grazia di Washington, che da Vienna indicava ai raid di D’Alema e Clinton gli obiettivi serbi da disintegrare). Io stesso ho potuto incontrare, sotto le bombe, in una sala di governo in pieno centro di Belgrado, dirigenti politici e sindacali d’opposizione , compreso il famigerato Srda Popovic di Otpor (da allora utilizzato in tutti i colpi di Stato), che si vantavano di essere sostenuti dalle “democrazie occidentali”, CIA e NED in particolare.

Il Comitato No Guerra No Nato, che fa capo a Giulietto Chiesa, organizzatore del convegno, ha ritenuto di mettere a fianco di chi ha subito o denunciato i crimini Nato (e dei fantasmi degli oltre 4.000 civili che ne sono morti, delle generazioni di avvelenati da uranio e chimica), coloro che hanno lastricato la via dell’inferno accreditandone le bugie. Manca Casarini, impegnato in mare per impresa analoga a quella di Belgrado, quando è corso ad abbracciate i giornalisti di Soros di Radio B-92. Manca Adriano Sofri, che s’inventò, reiterando la menzogna, due bombardamenti serbi sulle donne al mercato di Sarajevo, poi provati colpi dei bosniaci. Manca Alex Langer, che a Lotta Continua allestiva “processi del popolo” contro devianti e poi si erse a santone della non violenza, ma sui serbi invocò le bombe.

Ma molti altri ci sono: Tommaso Di Francesco, vicedirettore del “manifesto”, che incontrai mentre gironzolava per Belgrado, mandava a Roma notizie sul despota Milosevic e ribadiva, ancora oggi, sia la “contropulizia etnica” inflitta agli albanesi, sia la terribile balla di Srebrenica (*). Un suo collega in mestiere e spirito, Salvatore Cannavò, cestinava miei reportage sui profughi Rom del Kosovo, accolti a Belgrado e sistemati nelle ottime case del quartiere della loro etnia, perché tornavano “troppo a favore di Milosevic”. Poi tutti i pacifisti, nonviolenti, protettori dei poveri musulmani di Bosnia, assertori della naturale malvagità dei serbi come constatata a Sarajevo, o biasimatori dei fanatici nazionalisti eredi di Tito: i comboniani con Zanotelli che scriveva: “Una Europa che in tutti questi anni e' stata incapace di fare una politica seria per i Balcani lasciandola fare solo agli interessi economici, egemonici o imperial, quando proprio l’Europa, dentro la Nato, Germania in testa, era fautrice ed esecutrice della tragedia balcanica. Insieme al papa di Zanotelli, postosi a vessillifero della distruzione.

 

“Sarajevo, la Gerusalemme d’Europa”

Alberto Negri, allora del Sole24 Ore e ora del “manifesto”, sempre dalla parte di chi è schiacciato da “dittatori”. Oggi denuncia la “minaccia” di Haftar che sta investendo Tripoli. Quella del generale Haftar è l’unica forza nazionale legittima, emanata dall’unico parlamento eletto, sostenuto dai gheddafiani. Ovunque arrivi, viene festeggiato dalle popolazioni patriottiche, salvo che dai jihadisti di Misurata, quelli dello sterminio della popolazione nera a Tawarga, cari al fantoccio Serraj e alla “comunità internazionale”. I religiosi dei Beati Costruttori di Pace, i preti e le suore di Pax Christi (“Sarajevo, la Gerusalemme d’Europa”), soliti a tornare sul luogo del delitto per ribadire le coltellate alla schiena della Serbia, accompagnati anche da questo papa che non si è mai dolto, anzi, del bellicismo del predecessore in armi, ma ne ha ribadito le ragioni. Delle quali l’apparentemente meno complice, ma più infingarda, era e rimane quella che mette tutti sullo stesso piano, croati, bosniaci, albanesi, serbi, Clinton, e poi immerge le mani nella bacinella di Ponzio Pilato. Ma che la pulizia etnica fosse fatta dai serbi, e mai più dagli albanesi sostenuti da Soros e da Madre Teresa fin dagli anni ’60, e poi dai trafficanti di droga e organi dell’UCK, nessuno di questi l’ha mai messo in dubbio.

Neanche la Tavola della Pace, invitata al convegno, ha avuto mai dubbi in proposito. Il suo leader Flavio Lotti, ultimamente visto a fianco dei “ribelli” anti-Assad, è uno che marcia per la pace sottobraccio al bombardiere D’Alema e che ha avallato, senza un attimo di dubbio, ogni campagna diffamatrice inventata dall’imperialismo per far fuori regimi e paesi disobbedienti. Qualche martellata ai chiodi nelle tombe di Milosevic, Saddam, Gheddafi, dei serbi, iracheni, libici, siriani, l’ha data anche lui. Con particolare accanimento.

Ma la ciliegina su questa torta è stato il deus ex machina Michail Gorbaciov, tuttora in vita, con un suo epocale messaggio. Poteva esserci un più splendido coronamento dell’iniziativa che la parola, a quanto pare riguadagnata grazie a qualche borbottio sugli eccessi militari Usa, tra una conferenza multimilionaria e l’altra, tra Boston e Los Angeles, di questo supremo costruttore di ponti tra banche e multinazionali Usa e le macerie dell’URSS?

Concludo. E’ a questo che si arriva quando, come qualcuno ritiene si debba fare, si inalbera il vessillo italiota del volemose bene, dell’uniamoci tutti, anche se del panorama complessivo si condivide solo un albero e del bosco nient’altro. Tocca far numero, anche se poi qualcuno dei commensali sporca la tovaglia in modo indelebile. I “poveri bosniaci” sostenuti e compianti da certi commensali di Firenze, hanno avuto lo stesso ruolo dei curdi in Siria. Mercenari al servizio di un progetto nazionicida e sociocida dell’imperialismo USA-UE. Pure in questo caso strumenti consapevoli dello squartamento di un paese democratico, socialista, multiculturale, multietnico, multiconfessionale, antimperialista. Con il risultato, in Siria per ora fallito, di una costellazione di satelliti inoffensivi, subordinati, fuori dalla Storia.

Chissà se al convegno di Firenze, Tommaso Di Francesco avrà avuto l’occasione di ripetere a colui che è stato per 8 anni l’uomo della politica estera di Milosevic, Zivadin Jovanovic e oggi custodisce la memoria di quelle vicende, che il suo presidente era un despota che praticava “contropulizie etniche” in Kosovo e che i suoi serbi uccisero 8000 persone a Srebrenica.

 

Serbi, con voi non abbiamo finito: Grande Albania e altro

Passiamo all’oggi. Nuovi nuvoloni si addensano sulle terre europee degli slavi. Alla Serbia, circondata da frammenti di Jugoslavia diventati Stati Nato, o alla Nato infeudati e inseriti nel corteo armato che Usa, UE e Nato stanno muovendo contro la Russia, si continua a non perdonare di essere stato l’unico paese ad aver avuto ragione, di continuare a non aderire alla Nato, di traccheggiare sull’inserimento-subordinazione alla UE, di denunciare i crimini dell’aggressore e di coltivare rapporti, alleanza e amicizia con la Russia di Putin. Tsipras, il rinnegato greco, accedendo alla nuova denominazione di “Macedonia del Nord” del vicino settentrionale, ha dato il via libera all’accesso di Skopje ai due grandi concerti della democrazia, della pace e della sovranità popolare: Nato e UE. Manca un altro passo decisivo per la destabilizzazione-normalizzazione dell’assetto dei Balcani uscito dalla guerra Nato: la Grande Albania.

La riunione in un unico Stato, inesorabilmente atlantista e islamista, di “tutte le terre su cui vivono albanesi”, formula che imperversa da Tirana a Pristina, dal Montenegro alla Macedonia del Nord, alla Grecia e alla Serbia e che riecheggia quella di Hitler relativa alle terre su cui c’erano tedeschi, dovrebbe essere il prossimo passo. Comporterebbe la mutilazione del Montenegro, la cui parte meridionale è popolata da Greci e albanesi, della Macedonia, in cui gli albanesi sono disseminati ovunque, ma anche i greci, e della Serbia, che annovera una minoranza albanese nella valle di Presevo. E si può immaginare con quali conseguenze: maggioranze che diverrebbero minoranze, sul modello tragico e feroce dei serbi sopravvissuti a Mitrovica, in Kosovo, alla pulizia etnica dell’UCK.

Trattative molto opache su uno scambio di territori, sotto l’egida delle potenze vincitrici, si sarebbero svolte tra Vucic e il narcos Thaci, presidenti rispettivamente di Serbia e dello pseudostato kosovaro, a latere di questo progetto imperial-albanese con griffe Nato. Vucic le ha disconosciute, forse sotto la pressione di un’opinione serba che in quasi tutte le sue componenti, rifiuta ogni cedimento sull’identità storica serba del Kosmet. E il milione di profughi dalle terre sottratte alla Serbia e da questa ospitato, un decimo della popolazione attuale, non glielo consentirebbe mai.

Del resto, con un Kosovo in cui Mitrovica Nord popolata da serbi passerebbe alla madrepatria e in cambio vi entrasse la valle serba popolata da una minoranza di albanesi, le istituzioni serbe che, bene o male, in Kosovo convivono con quelle albanesi a Pristina, cesserebbero di esistere e le restanti enclavi serbe sparse su tutta la regione sarebbero alla mercè di chi in Kosovo ha bruciato 230 monasteri, cacciato 300mila tra serbi (di cui solo 1% sono rientrati), Rom e altre nazionalità, fattosi portinaio della più grande base Usa d’Europa e principale ponte per il passaggio della droga afghana in Europa. Il Kosovo riceverebbe il riconoscimento degli 80 Stati che finora lo hanno rifiutato. Un abominio non meno gravido di disastri di una Grande Albania nel ruolo di Israele in Medioriente. Alla Serbia occorre lo spirito del suo popolo e una mano da Putin e Xi Jin Ping.

(*)Sempre su Srebrenica articolo interessante: http://informare.over-blog.it/2014/07/il-massacro-di-srebrenica-un-altro-falso-pianificato-con-cura-dagli-americani.html

La cosa più interessante è l'esistenza di un "rapporto redatto sui fatti di Srebrenica da una commissione speciale del governo della Republika Srpska" che "pur ammettendo che sporadici episodi di giustizia privata e di vendetta sommaria possono aver avuto luogo ai danni della popolazione musulmana, evidenzia come fu proprio la presenza sul campo e la determinazione del generale Ratko Mladić a scongiurare il reiterarsi di tali circostanze". Rapporto che guarda caso non è mai stato tradotto dall'ONU che ha preferito farne redigere una propria versione.

* * * *

Mia intervista a Zivadin Jovanovic

 

La UE e la Nato circondano la Serbia . Vi sentite isolati o fidate, per conservare sovranità e indipendenza, nel fronte alternativo di Russia e Cina?

Sono convinto che l’opzione migliore per la Serbia sia il mantenimento di relazioni equilibrate tra Est e Ovest, per restare libera e neutrale. Per questo occorrono buoni rapporti di vicinato con la UE e la Nato e, allo stesso tempo, l’espandersi della collaborazione strategica con Russia, Cina e altri paesi importanti. Ricordandoci che la Serbia non ha mai fatto parte di un’alleanza militare, una tale politica rispetterebbe sia le esperienze storiche della Serbia , sia i profondi mutamenti attuali nei rapporti globali.

 

Cosa si ripromettono le manifestazioni e i tumulti delle opposizioni contro il governo, con la loro curiosa combinazione di destre e sinistre. C’è qualcosa che ricorda il movimento del 2000-2001 di Otpor?

Non riesco a vedere alcun programma o visione coerente nell’opposizione serba. Alcuni dei capi lo erano anche con Otpor, per cui le affinità col passato non sorprendono. Sono la loro seconda natura. Altri leader sono detriti della passata coalizione antisocialista e ripetono la formula del “nuovo accordo con il popolo”. Ma non spiegano cosa ne sia stato dell’accordo precedente, che avrebbero concluso con il popolo nel settembre 2000. A cosa puntavano quando, l’altro giorno, hanno fatto irruzione nelle redazioni della TV RTS (Tv di Stato), nel preciso momento in cui la nazione commemorava le vittime della criminale aggressione Nato di vent’anni fa e la Serbia è sottoposta a nuove pressioni perché riconosca il furto delle provincie di Kosovo e Metohija in cambio dell’entrata nell’UE, chissà quando dopo il 2030!

 

Viviamo in un’epoca in cui globalizzazione, militarizzazione, finanzcapitalismo totalitario attaccano la base stessa della sovranità e autodeterminazione delle nazioni e infrangono ogni legge e trattato internazionali. Quale sarà il futuro e ci sono forze che sapranno resistere?

Il nostro futuro è incerto e contiene molti rischi, compreso il pericolo di un conflitto globale. La “Sacra Trinità” del capitalismo liberista multinazionale, la strategia del dominio e la Nato come suo strumento sono la principale fonte delle minacce alla pace e alla stabilità. A partire dall’aggressione Nato del 1999 alla Jugoslavia, il principio militarista nel processo decisionale ha occupato tutte le sfere della vita politica, economica e sociale. Nell’UE, ad esempio, infrastrutture civili come ferrovie, autostrade, ponti, aeroporti, dovranno in futuro soddisfare standard militari. Paesi membri devono anche reclutare imprese che garantiscano la sicurezza nazionale, ma sottratte alla trasparenza del libero mercato. Aggiungiamo a ciò l’assoluto disinteresse per i trattati internazionali, la nuova corsa alle armi, comprese le nucleari, la proliferazione di basi all’estero, soprattutto nelle regioni della “nuova Europa”, abbondano i motivi di preoccupazione e per chiederci dove siamo diretti. Un nuovo ordine mondiale, fondato sul multipolarismo apre spazi alla democratizzazione delle relazioni internazionali, al partneriato e a una cooperazione win-win. Le forze della pace dovrebbero evolversi, rafforzarsi e unirsi, al fine di fermare la globalizzazione di guerre, sfruttamento e povertà. Media di massa indipendenti sono chiamati a sostenere questi obiettivi e sforzi.

 

Kosovo-Metohija e Grande Albania: una nuova minaccia per i Balcani e l’Occidente. Come affrontarla?

La questione di Kosovo e Metohija può essere risolta soltanto rispettando i principi base del diritto internazionale. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1244 (1999) garantisce la sovranità e integrità territoriale della Serbia, che della Jugoslavia è il successore legale, e autonomia essenziale alla provincia di Kosovo e Metohija all’interno della Serbia. Premere sulla Serbia e perfino ricattarla, come fa l’Occidente, per legittimare il furto di territori dello Stato, significa caricare un potenziale conflitto di conseguenze incalcolabili. Questa problema non può essere affrontato solo dal punto di vista degli interessi geopolitici dei grandi paesi occidentali, nel quadro della loro “espansione ad Est”. Per una soluzione equa e sostenibile il processo negoziale deve includere anche Russia e Cina, vale a dire tutti i membri permanenti del CDS. Non dobbiamo dimenticare che vi sono molti “Kosovo” in lista d’attesa sul continente euroasiatico.

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