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sinistra

“Scava, scava, vecchia talpa...”

di Eros Barone

eventi tedesco guerra dei contadini 1524 1526 i soldati che attacca un cascinale incisione su rame da domenicus custos circa 1560 16 bjw8nxUn tempo, era di norma nelle riunioni dei partiti operai (dai congressi dell’Internazionale Comunista alle cellule di fabbrica, passando attraverso le sezioni nazionali e territoriali), svolgere la relazione introduttiva partendo dall’analisi della situazione internazionale per poi passare all’analisi della situazione interna e concludere l’esposizione con le opportune indicazioni politiche e organizzative. È quello che mi propongo di fare anch’io, limitatamente alla prima parte e in modo schematico, spero con qualche utilità, in questo articolo.

Mi sembra giusto allora prendere le mosse, per il rilievo che essa assume nell’àmbito della difesa dei princìpi di autodeterminazione, indipendenza e sovranità nazionale, dalla sconfitta delle macchinazioni degli Stati Uniti, della NATO e dei mercenari al loro servizio in Siria: un risultato certamente reso possibile dall’intervento politico e militare della Russia, ma anche dall’ampiezza e dalla compattezza del consenso popolare al regime baathista. Una vittoria, quindi, che assume una portata non solo geopolitica ma anche ideale, poiché, altrettanto certamente, ha contribuito a determinare la crisi delle correnti più reazionarie dell’islamismo, spingendo le masse popolari del Medio Oriente a superare le divisioni settarie di tipo religioso e tribale, su cui hanno giocato fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’imperialismo israeliano ed occidentale. In tal modo, milioni di persone hanno rialzato la testa e hanno cominciato a lottare per obiettivi economici e sociali, aprendo un fronte di classe contro lo sfruttamento capitalistico, per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro.

Come dimenticare infatti che gli Stati Uniti e Israele hanno utilizzato la spinta settaria delle ideologie religiose (si pensi alla divisione del mondo arabo-islamico tra sunniti e sciiti) per destabilizzare e rovesciare i governi progressisti, nazionalisti, laici e socialisti come il nasserismo, il movimento baathista, il gheddafismo e il movimento di liberazione nazionale palestinese, che rappresentavano un ostacolo per l’accaparramento delle risorse petrolifere e per l’istituzione di un regime di ‘apartheid’?

Parimenti, l’influenza del fronte reazionario formato dall’Arabia saudita e dagli emirati del Golfo Persico, dai potenti alleati anglo-americani di queste monarchie petrolifere e da uno Stato razzista, militarista, bellicista ed espansionista quale è Israele, è stata drasticamente ridotta, rispettivamente, nello Yemen e in Siria, mentre la Turchia espansionista, oscurantista e neo-ottomana di Erdogan, in questo momento alleata dell’Italia nell’intricato contesto libico, segue una politica spregiudicatamente ondivaga alla ricerca di una supremazia regionale, destreggiandosi fra la Scilla dell’instabilità interna e il Cariddi di un vincolo sempre più precario con la NATO. Del resto, sono state – e sono tuttora - queste le forze cui va attribuita la responsabilità storica di aver rovesciato il vaso di Pandora dell’oscurantismo religioso, del terrorismo e del tribalismo, vale a dire i mali che hanno ridotto il Medio Oriente in questi ultimi tre decenni ad un inferno di disunione fra i popoli arabi, di conflittualità distruttiva e di sottosviluppo socio-economico. In questo senso, le recenti sollevazioni antigovernative in Sudan, Algeria, Libano, Iran e Iraq segnano, a livello di massa, una presa di coscienza importante ed una prima combattiva risposta rispetto al carattere irriducibile e persistente, reso ancor più acuto e insopportabile dalla dipendenza economica e da uno sviluppo distorto, dell’oppressione di classe legittimata e, nel contempo, ideologicamente rimossa dalle autorità religiose musulmane. Queste sollevazioni scaturiscono quindi, nei ceti subalterni, da una coscienza di classe emergente e da una rabbia irreprimibile verso coloro che accumulano la ricchezza e detengono il monopolio del potere politico. Il percorso di questa febbre insurrezionale non nasce più, come nelle passate, artificiali e illusorie “primavere arabe” (o come nei conati eversivi promossi ad Hong Kong), dalle centrali dell’imperialismo e dalla loro ricerca di proconsoli più adeguati per mediare ‘in loco’ i propri interessi, ma dalla battuta d’arresto e dalla crisi del capitalismo monopolistico transnazionale prodotte dalla disarticolazione dei poli imperialistici: disarticolazione la quale, a sua volta, acuisce la loro conflittualità reciproca. Per usare un’immagine di stampo cinese, abbiamo una tigre ferita ma non abbattuta, perciò quanto mai aggressiva e pericolosa.

La domanda cruciale che va posta è dunque la seguente: dopo decenni di stasi, di dissenso organizzato dall’alto e di ‘falsi movimenti’ (si pensi, come modello storico di questi fenomeni artificiali, all’Ochrana, la polizia segreta zarista capace di organizzare le provocazioni più disparate, dalla creazione di movimenti sindacali filogovernativi all’infiltrazione di spie persino nella direzione di partiti rivoluzionari), la rottura della pace sociale imperialista, cui stiamo assistendo, è un segnale che può preludere ad una guerra imperialista generalizzata? Gli elementi per formulare questa ipotesi non mancano e altrove sono stati oggetto di un esame specifico. 1

Sennonché sono da porre in rilievo anche i limiti che condizionano il sommovimento politico e sociale in corso: la mancanza di una direzione strategica, il carattere spontaneo e meramente antigovernativo di una ribellione popolare che è (almeno per ora) priva di un programma alternativo e di capi riconosciuti. Orbene, nonostante questi limiti, peraltro inevitabili se si considera la congiuntura controrivoluzionaria che da alcuni decenni caratterizza l’attuale momento storico, non mancano né i motivi (crisi dell’imperialismo) né le ragioni (ripresa del socialismo) che consentono di prevedere che questi sommovimenti, da un lato, si trasformeranno in movimenti organizzati e, dall’altro, si orienteranno anche soggettivamente in una direzione anticapitalistica.

Se ora volgiamo lo sguardo all’America centro-meridionale, il dato che colpisce l’attenzione è, per un verso, la crisi del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, ossia di un progetto intrinsecamente contraddittorio in quanto, ad un tempo, socialdemocratico e antimperialista, e per un altro verso, in continuità con quanto si è or ora rilevato a proposito del Medio Oriente, la mancanza di una direzione politica chiara e decisa delle imponenti mobilitazioni popolari che si sono sviluppate su aspetti concreti ma dirompenti della condizioni di vita delle persone (non solo energia e imposte, ma anche diritti sociali e democrazia), scuotendo i relativi governi e attaccando le classi dirigenti di cui questi sono espressione, in Cile, Ecuador, Colombia, Argentina e Haiti, nel mentre Cuba, Nicaragua e Venezuela incarnano un esempio di tenace resistenza all’imperialismo, che è fonte di solidarietà operante per tutti i popoli americani. Per quanto riguarda la Bolivia, il colpo di Stato che ha portato al rovesciamento del governo di Morales obbliga a riflettere, oltre che sulla differenza tra accesso al governo e conquista del potere, sulla inevitabilità della violenza reazionaria interna ed internazionale (si pensi al Cile del 1973!) quando vengono posti in discussione interessi economici fondamentali delle classi al potere (questione del litio), e sulla correlativa necessità della violenza rivoluzionaria e di misure dittatoriali per impedire che la controffensiva antipopolare di tali classi utilizzi gli apparati militari e polizieschi dello Stato borghese come basi di appoggio della sovversione interna e strumenti di intervento controrivoluzionario dell’imperialismo.

Nell’Occidente imperialista, regno dell’opulenza ostentata ma sempre meno fruita dalla maggioranza delle persone a causa della perdurante e ingravescente crisi economica mondiale, le pesanti politiche neoliberiste portate avanti dal capitale finanziario e dalle sue alleanze (Unione Europea) hanno determinato la disaffezione e la sfiducia nei confronti di sistemi parlamentari in gran parte corrotti e svuotati di potere decisionale, spacciati peraltro da una bolsa retorica quali esempi di "democrazia liberale", e hanno suscitato una crescente opposizione di massa ai governi, che si manifesta negli scioperi generali e in forme di mobilitazione permanente.

Di fronte alla capitolazione e alla bancarotta della sinistra opportunista e filo-imperialista milioni di lavoratori, nei paesi capitalistici avanzati, hanno finito, per il disgusto e per la disperazione, con l’indirizzare i loro voti a formazioni politiche del populismo reazionario. Ma se si tiene conto della sostanza economica e politica dei problemi e delle alternative del tutto endosistemiche in cui essi vengono formulati (neoliberismo/protezionismo, cosmopolitismo/nazionalismo, ‘porti chiusi’/‘no border’), non è difficile prevedere che il cosiddetto “momento populista” si dimostrerà effimero e controproducente quanto il continuo sostegno ai partiti tradizionali che incatenano il destino dei popoli agli imperativi dell'accumulazione capitalistica.

Dunque, è in atto e si sta estendendo a numerosi e importanti paesi del mondo un profondo malcontento di massa che crea le basi di una situazione potenzialmente rivoluzionaria in cui le classi dominanti non possono più vivere come per il passato e le classi dominate non vogliono più vivere come per il passato. In alcune situazioni nazionali, tale malcontento si sta trasformando in uno scontro fisico diretto con lo Stato e i suoi apparati repressivi. Basti pensare alle mobilitazioni prolungate dei ‘gilets jaunes’ e al grandioso sciopero generale contro la riforma delle pensioni varata dal governo di Macron in Francia. In altre situazioni le masse procedono ancora a tentoni, senza riuscire per ora a identificare con chiarezza il nemico di classe, talché il malcontento o si esprime deformandosi e rifluendo su un terreno elettorale sempre più angusto o si polarizza in una direzione sbagliata (è questo il caso dell’Italia). Infine, non va dimenticata l’esistenza di un pericoloso focolaio reazionario rappresentato da alcuni paesi fascisti o simil-fascisti dell’Europa centro-orientale (Ungheria, Polonia, Stati baltici, Ucraina), i quali sono organicamente funzionali alla strategia di accerchiamento aggressivo della Russia, perseguita dagli Stati Uniti e dalla NATO.

In un articolo precedente ho analizzato le cause e le ragioni dello spostamento verso destra delle classi dirigenti di un certo numero di importanti paesi del mondo, 2 mentre in questo articolo sottolineo la sempre più diffusa resistenza che si registra nei confronti del ‘combinato disposto’ fra il dominio capitalistico e la dominazione imperialistica. Si tratta di un’onda sempre più alta che, come mostra anche questa sintetica rassegna delle crisi internazionali, può trasformarsi in uno ‘tsunami’ devastante. Un antico detto cinese recita: “Ti auguro di vivere in tempi interessanti”. Non mancano segni e segnali che indicano il prossimo anno come un “tempo interessante”. Se si capirà che ad azioni e idee duramente di destra bisogna contrapporre azioni e idee duramente di sinistra, il 2020 potrebbe essere un anno non solo interessante, ma anche importante nella storia del movimento rivoluzionario mondiale.

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Eros Barone
Saturday, 21 December 2019 22:14
Provo a confrontarmi con le considerazioni del compagno Alessandro, che in gran parte condivido, presentando un dialogo fra due amici, il cui tema è “la complementarità tra destra e sinistra nel tempo presente”. È superfluo sottolineare quanto la personalità intellettuale e l’orientamento politico dei due interlocutori siano legati alla storia recente del nostro paese e in particolare, come è chiaro, alle vicende della sinistra italiana.
Caio: carissimo Mevio, nel discutere sullo stato presente del nostro paese e sulle prospettive di quel ‘movimento reale’ che ci sta molto a cuore per la buona ragione che ‘abolisce lo stato di cose presente’, ti propongo, di fronte alla catastrofe storico-morale della sinistra e allo spostamento verso destra di vasti settori delle masse proletarie, un aforisma di Niccolò Machiavelli, che forse può essere assunto come lapidaria epigrafe del momento attuale: “È comune defetto degli uomini non fare conto, nella bonaccia, della tempesta".
Mevio: l'aforisma è certamente adeguato al momento e indica per la sinistra comunista e marxista-leninista una direttiva di marcia e una conseguente selezione dei quadri politici, il cui senso si può riassumere in due figure mitologiche: è finito il tempo di Proteo, è cominciato il tempo di Anteo.
Caio: immagino che, evocando Proteo, tu intenda riferirti ai comportamenti di tipo trasformistico che hanno segnato la storia del declino della sinistra a partire dal 1989-1991; così come, contrapponendo Anteo a Proteo, simboleggi nel primo quella sorgente inesauribile di forza e determinazione che, per un verso, la sinistra può attingere dal popolo e, per un altro verso, risvegliare in esso, giacché Anteo fu vinto da Ercole allorché questi riuscì a staccarlo da quel contatto con il suolo che era in grado di rigenerare le sue forze.
Mevio: ma vi è di più, mio caro Caio, tu che ami, come Stalin e come Roosevelt che la usarono nei loro discorsi degli anni Trenta del secolo scorso, questa potente
metafora tratta dalla mitologia greca. Io, per me, sono convinto che, malgrado le dure prove che ci toccano, questo è un momento favorevole. Ed è favorevole perché è in corso un passaggio di fase. Non di epoca, poiché non è dato al nostro tempo di vivere un passaggio di epoca. A noi è dato vivere solo un passaggio di fase.
Caio: del resto, i passaggi di epoca sono rari, piombano sugli uomini all’improvviso con balzo di tigre, spezzano la continuità storica, producono formidabili accelerazioni del tempo storico: giorni che valgono anni (come quei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”), non anni che valgono giorni, come quelli che attualmente ci è dato di vivere: anni in cui in cui non succede più niente e il meglio che ti possa capitare è un ’68. Gli ‘anni mirabiles’ come il 1648, il 1789, il 1917, il 1945, ossia i momenti in cui rotolano le teste dei potenti, si dà l’assalto al Palazzo d’Inverno, si porta a termine vittoriosamente una guerra di liberazione, be’, quelli, beato chi ha avuto la fortuna di viverli.
Mevio: ora, però, mettiamo da parte sia la mitologia che la filosofia della storia e facciamo il punto sul passaggio di fase che si sta realizzando. Ebbene, i due processi politici e sociali che hanno caratterizzato l’ultimo trentennio si sono ormai conclusi: da un lato, la trasformazione del sistema politico-istituzionale e, dall’altro, la trasformazione, cioè il dissolvimento, della sinistra.
Caio: forse possiamo dire che al passaggio di fase corrisponde un passaggio di ciclo, nel senso che è ormai sotto i nostri occhi l’esaurimento del ciclo neoliberista. Eppure, che lo sviluppo capitalistico abbia un andamento ciclico ce lo avevano insegnato i nostri maestri, ma evidentemente ce lo siamo dimenticato.
Mevio: e invece la soluzione neoliberista è stata assolutizzata, come se fosse l’approdo definitivo della storia del capitalismo. Ti ricordi quel dispositivo
ideologico, denominato ‘fine della storia’, che fu allestito dopo la sconfitta del socialismo?
Caio: come no? D’altronde, lo sappiamo, la funzione delle ideologie è quella di rovesciare e di occultare la realtà oggettiva. Sennonché la realtà, come ha detto qualcuno (forse uno specialista di fantascienza), è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci.
Mevio: ebbene, di fronte a una crisi economica mondiale in pieno dispiegamento, con una progressiva contrazione dello sviluppo e una conseguente perdita di competitività, non di questo o quel paese, ma dell’intero Occidente rispetto ad un resto del mondo che comincia a sfuggire alla sua egemonia, io vedo i segni di un risorgente primato della politica. Naturalmente, si tratta di una svolta che è funzionale agli equilibri e agli imperativi del sistema capitalistico e imperialistico, ma che crea, nel contempo, le condizioni per l’estensione di tale primato al campo delle forze antagonistiche.
Caio: seguendo il filo della tua ipotesi, si potrebbe dire allora che le stesse guerre scatenate dagli Usa dopo l’11 settembre 2001 siano meno determinate dagli interessi economici che non dagli obiettivi geopolitici: come è stato detto acutamente, sono guerre la cui posta in gioco è il ‘fattore tempo’, ossia il ‘gap’, che si sta sempre più riducendo e ora sembra essersi annullato, fra la crescita del Drago cinese e la capacità di iniziativa e di controllo dei rapporti internazionali messa in campo dal Gigante americano. Insomma, abbiamo assistito ai prodromi di un ritorno del primato della politica, gestito dalla destra.
Mevio: sì, è esatto. Dal punto di vista della documentazione più significativa, il ‘terminus a quo’ della fase precedente, ossia l’inizio della svolta neoliberista, si può individuare nel Rapporto della Trilateral, che risale al 1973, mentre le premesse teoriche e culturali della fase attuale si possono individuare nel libro di Huntington sullo scontro di civiltà, che è del 1993.
Caio: stiamo arrivando al ‘cuore di tenebra’ del 'lungo Termidoro', il quale non va visto come pura reazione, come semplice ritorno al passato, ma è, per così dire, una ‘restaurazione modernizzatrice’. Ancora una volta la dialettica reale ci ha spiazzati.
Mevio: la definizione binaria che hai formulato sembra costituita da due termini incompatibili. In realtà, non esiste una dicotomia fra una destra per vocazione premoderna e una sinistra moderna, come sbagliando si è creduto finora, ma esiste una complementarità fra una destra moderna e una sinistra postmoderna. Se questa è la vera correlazione e, salvo poche e irrilevanti differenziazioni, ha un carattere pienamente simmetrico, non desta meraviglia che la sinistra si sia dissolta.
Caio: seguendo la corretta linea divisoria che l’analisi dialettica ci ha portato a tracciare, una simile realtà si può dire in tanti altri modi: una destra concreta e una sinistra astratta, una destra pesante e una sinistra leggera, una destra populista e una sinistra elitaria, una destra dei bisogni e una sinistra dei diritti, una destra antropologica e una sinistra sociologica, una destra sul territorio e una sinistra nelle piazze, una destra storica e una sinistra senza storia. Il risultato finale è sempre lo stesso: una destra con il popolo e una sinistra senza popolo.
Mevio: ma se quanto siamo venuti dicendo è esatto, ciò che ne consegue è che i due problemi prioritari della sinistra comunista e marxista-leninista sono: 1) il primato della politica rettamente inteso (senza la riduzione ‘politicistica’ della politica all’azione puramente istituzionale, ma anche senza la riduzione ‘movimentistica’ della politica all’azione puramente conflittuale), il che vuol dire il primato della politica fondato, conforme alla lezione di Lenin, sul nesso tra teoria e prassi, tra lotta di classe e organizzazione, tra tattica e strategia, tra economia e società; 2) la selezione qualitativa dei quadri politici cui spetta il compito, dopo un lungo periodo in cui a idee sempre più duramente di destra si è risposto con idee vagamente di sinistra, di capovolgere radicalmente questa linea, contrapponendo a idee sempre più duramente di destra idee sempre più duramente di sinistra.
Caio: mi sembra che il nostro dialogo stia avanzando nella direzione giusta, poiché rispecchia con sufficiente approssimazione la realtà oggettiva e ne fornisce
un’interpretazione utile a chi si propone di cambiarla. Per dirla in termini filosofici, se l’utile non coincide con il vero, esso tuttavia è il sigillo inconfondibile del vero.
Mevio: diceva il buon vecchio Engels che il sapore del pudding si conosce mangiandolo. Come sempre, il criterio della verità è costituito dalla prassi. È questa che deciderà, in ultima analisi, della correttezza dell’analisi e della rispondenza della teoria nell’attuale passaggio di fase.
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CLAUDIO DELLA VOLPE
Saturday, 21 December 2019 13:12
Voglio scrivere un commento qua che non riguarda direttamente l'articolo pur molto stimolante di Barone; sono contento che esista Sinistra in Rete e ringrazio chi ci lavora; mi sento meno solo;grazie.
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Alessandro Tosolini
Friday, 20 December 2019 23:35
Compagno Eros, il vento della reazione per il momento si sta diffonendendo senza incontrare nessuna resistenza. Le poche isole di marxismo-leninismo (tra cui il FGC nel quale milito) sono ancora impotenti e senza forze. Tutto questo è stato favorito dal fatto che la sinistra ha abbracciato in toto il postmoderno, l'opportunismo, il cosmopolitismo, la socialdemocrazia. Lo si vede nell'esaltazione sperticata tributata anche da chi si dichiara comunista ad un servo del sistema come Corbyn. Ludovico Geymonat nel 91' ancora metteva in guardia sulla ricomparsa dell'interesse per un filosofo reazionario come Gentile (e secondariamente dell'altrettanto colpevole Croce). Cosa direbbe oggi di un filosofastro da avanspettacolo che intontisce potenziali avanguardie con una commistione ecclettica di Gramsci e Gentile? La filosofia reazionaria da cui Lenin ci metteva in guardia è egemone in ogni dove, attraverso le buffonerie idealiste e postmoderne contro cui gli accademismi sterili e specialistici dell'Università italiana possono poco o niente. A questo livello non stupisce che ogni vagito di rivolta venga soffocato già nella culla: non ha neanche le parole per esprimersi, accecato e sterilizzato dall'onnipotenza dei media e dall'assenza di battaglie culturali paragonabili a quelle del passato. Ciò non certo per crogiolarsi nell'onnipotenza del negativo come certi filosofi del passato, ma per capire che la battaglia culturale che ci attende non è neanche agli inizi, anzi deve ancora partire, e che quindi al pessimo della ragione bisogna aggiungere l'ottimismo della volontà. Saluti.
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