Print Friendly, PDF & Email

lafionda

Commissariare il parlamento

di Alessandro Somma

pnrrIl Piano nazionale di ripresa e resilienza e le sue condizionalità

Presentato come un segno della solidarietà e generosità dell’Europa unita, il Pnrr è in verità tutt’altro. In questa prima parte del contributo vedremo perché i soldi di cui si parla sono in realtà pochi e tutti da restituire, per poi illustrare le condizionalità cui sono collegati: innanzi tutto quelle che impongono una sana governance economica, ovvero l’austerità. Nella seconda parte ci dedicheremo alle condizionalità che riguardano la tutela della concorrenza e che comportano liberalizzazioni e privatizzazioni. Concluderemo riflettendo sulla finalità prima del Pnrr: impedire la partecipazione democratica in quanto ostacolo al definitivo consolidamento dell’ortodossia neoliberale.

 

Pochi soldi tutti da restituire

Tra gli strumenti predisposti dall’Unione europea per affrontare la crisi determinata dall’emergenza sanitaria, occupa un posto di rilievo il Next generation Eu: un pacchetto di sovvenzioni e prestiti per 806,9 miliardi di Euro ai prezzi correnti, erogati nell’ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-27 (il cui valore è di complessivi 2018 miliardi). La parte più consistente di questi denari verrà distribuita dal Fondo per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility), la cui dotazione ammonta a 723,8 miliardi[1], così suddivisi: 338 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto e 385,8 miliardi in prestiti da restituire.

Tra i Paesi dell’Unione, l’Italia è il destinatario delle cifre più consistenti: 191,48 miliardi, comprendenti sovvenzioni per 68,9 miliardi e prestiti per 122,6 miliardi. Queste grandezze hanno alimento una retorica europeista tutta volta a celebrare la generosità di Bruxelles, oltre al cambio di passo rispetto alla crisi del debito sovrano: quando la risposta fu l’austerità.

La sostanza è però un’altra, innanzi tutto per quanto riguardo l’effettiva entità del contributo. Parliamo invero di cifre da cui occorre detrarre i trasferimenti dell’Italia all’Unione europea, particolarmente consistenti se si considera che l’Italia è un contributore netto. Nell’ultimo ventennio ha infatti destinato al bilancio europeo circa 110 miliardi in meno di quelli che ha ricevuto da Bruxelles: persino l’anno scorso, in piena pandemia, il saldo è stato negativo per circa 7 miliardi[2]. Sono peraltro le stesse istituzioni europee a fornire la reale entità al netto dei trasferimenti, seppure sulla scorta di calcoli divergenti: 57 miliardi per la Commissione e 34 per la Banca centrale[3]. Parliamo cioè di circa 8 miliardi su base annua nel primo caso e di 5 nel secondo: un ammontare irrisorio e del tutto incapace di fare la differenza.

Ma non è tutto. I prestiti ricevuti dall’Italia vanno prima o poi restituiti, sebbene a interessi contenuti, e nel frattempo contribuiscono a far lievitare il debito: circostanza notoriamente sanzionata da Bruxelles con la richiesta di tagli e austerità. E lo stesso vale poi per le sovvenzioni, anche se le relative somme si sono ottenute con prestiti richiesti direttamente dall’Unione europea: sebbene il debito sia comune, ciò non toglie che debba essere onorato attraverso i futuri bilanci dell’Unione europea. Ciò può avvenire ricorrendo a nuove risorse proprie, ma questo è altamente improbabile e comunque almeno in parte connesso con un incremento della pressione fiscale sulle imprese e i cittadini europei. In alternativa si possono ridurre i trasferimenti ai Paesi membri, il che danneggerebbe soprattutto i Paesi in difficoltà. Infine si potrebbero incrementare i contributi nazionali al bilancio europeo, e questo comporterebbe tagli.

Insomma, dal Fondo per la ripresa e la resilienza arriveranno risorse trascurabili, ma lo stesso non si può dire delle conseguenze derivanti dal relativo indebitamento: queste si faranno sentire[4]. Con buona pace della retorica europeista, non ci troviamo di fronte a un atto generoso, né tanto meno a una reale inversione di rotta.

 

Verso una nuova austerità

Non è però la reale entità dell’assistenza finanziaria a preoccupare di più, quanto l’insieme delle condizionalità che risultano dalle complesse procedure attraverso le quali la Commissione europea valuta i Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr): lo strumento con cui gli Stati membri identificano i progetti che finanzieranno con le sovvenzioni e i prestiti, e soprattutto elencano le riforme a cui questi ultimi sono vincolati.

Tutti questi aspetti sono disciplinati dal Regolamento istitutivo del Fondo per la ripresa e la resilienza (n. 241 del 12 febbraio 2021), che prevede innanzi tutto una serie di misure per collegarlo a “una sana governance economica” (art. 10). Questo significa che le sovvenzioni e i prestiti possono essere sospesi in caso di disavanzi eccessivi, ovvero se non si rispettano i cosiddetti parametri di Maastricht: un deficit contenuto entro il 3% del pil e un debito non superiore al 60% del pil. Significa poi che la stessa misura viene prevista nel caso di squilibri economici eccessivi, quindi in particolare nel caso di elevato debito pubblico. E sappiamo che al suo aumento contribuisce proprio il Fondo per la ripresa e la resilienza, che da un simile punto di vista rischia di trasformarsi in un rimedio peggiore del male.

I Pnrr devono poi essere coerenti con “le priorità specifiche individuate nell’ambito del Semestre europeo” (art. 17): una complessa procedura volta a coordinare le politiche nazionali di bilancio, e in particolare imporre di perseguire il cosiddetto obiettivo di medio termine. Quest’ultimo concetto è stato introdotto dal Patto di stabilità e crescita, che ha inasprito i parametri di Maastricht: ha precisato che il limite del 3% è stato definito per consentire di “far fronte alle normali fluttuazioni cicliche”, sicché al netto delle congiunture negative l’obiettivo da raggiungere è “l’equilibrio del bilancio, con un saldo prossimo al pareggio o positivo”[5].

Certo, con lo scoppio della pandemia il Patto di stabilità e crescita è sospeso per “consentire uno scostamento temporaneo coordinato e ordinato dai normali requisiti”[6], motivo per cui il Semestre europeo non viene al momento utilizzato per imporre l’austerità. Ciò non ha peraltro impedito di mettere sotto accusa le politiche pensionistiche e di redistribuzione del reddito, così come di stimolare il ricorso a forme di “lavoro flessibile” e più in generale la rimozione degli “ostacoli alla concorrenza”[7].

Detto questo il Patto tornerà presto in funzione, presumibilmente nel 2023[8], e se anche verrà riformato non sarà certo per metterne in discussione l’impostazione di fondo: il suo costituire un presidio dei parametri di Maastricht e dunque un argine contro qualsiasi tentativo di introdurre una inversione di rotta. Non è invece sospeso quanto si dice a proposito di squilibri macroeconomici e in particolare di debito eccessivo, tanto che le ultime raccomandazioni formulate nel merito all’indirizzo di Roma insistono sulla necessità di perseguire “una politica di bilancio prudente”[9].

 

Una sana governance economica

Alle condizionalità cui abbiamo fatto finora riferimento, come si è detto poste a presidio di quanto l’Europa considera “una sana governance economica”, occorre aggiungere il complesso delle riforme indicate nei Pnrr come presupposto per l’ottenimento delle sovvenzioni e dei prestiti. Queste riforme sono negoziate dal Paese proponente il Piano e le autorità europee, e sono in massima parte volte a consolidare la funzione principale dell’Unione europea nella sua essenza di dispositivo neoliberale. È del resto lo stesso Regolamento istitutivo del Fondo per la ripresa e la resilienza a precisare che il Piano nel suo complesso “contribuisce ad affrontare in modo efficace” le sfide individuate “nell’ambito del Semestre europeo” (art. 18).

Abbiamo trovato ampi riscontri di questo schema considerando il Pnrr italiano[10], analizzato dal punto di vista dei suoi contenuti allineati all’ortodossia neoliberale[11]. Possiamo ora dedicarci ai materiali che hanno fatto seguito alla presentazione del Pnrr, e in particolare alla Decisione del Consiglio dell’Unione europea relativa all’approvazione del Pnrr e al relativo Allegato[12], adottata ai sensi del Regolamento istitutivo del Fondo per la ripresa e la resilienza (art. 20). È in questa sede che si sono identificate le riforme la cui adozione costituisce condizione per l’ottenimento di rate semestrali dell’assistenza finanziaria (art. 24), successive al prefinanziamento concesso nei limiti del 13% dell’importo complessivo (art. 13): per l’Italia 9 miliardi di sovvenzioni e 16 miliardi di prestiti erogati il 13 agosto 2021.

Le riforme sono variamente collegate a sei “missioni” relative alle “aree di intervento” individuate dal Regolamento istitutivo del Fondo per la ripresa e la resilienza (art. 3): (i) digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura, (ii) rivoluzione verde e transizione ecologica, (iii) infrastrutture per una mobilità sostenibile, (iv) istruzione e ricerca, (v) inclusione e coesione e (vi) salute[13]. Vi sono indubbiamente riforme apprezzabili, che non sono però minimamente capaci di mettere in ombra quelle dettate dalla volontà di consolidare l’ispirazione neoliberale della costruzione europea, i cui effetti sono di gran lunga prevalenti.

A titolo esemplificativo possiamo nel merito richiamare due riforme già realizzate: quelle che hanno inteso promuovere la semplificazione in materia di contratti pubblici e in materia ambientale, ad esempio per snellire le verifiche antimafia e la valutazione di impatto ambientale[14]. In entrambi i casi si è inteso onorare la massima, a suo tempo formulata dai teorici della scelta pubblica (Public choice theory)[15], secondo cui l’intervento pubblico che non si traduce in un mero sostegno al funzionamento del mercato produce “la moltiplicazione dei fenomeni corruttivi”[16]. Massima di chiaro stampo neoliberale, volta a screditare la politica prima ancora della democrazia in quanto fonte di comportamenti alternativi a quelli stimolati dal libero incontro di domanda e offerta. Come se il mercato non fosse anch’esso un luogo capace di alimentare comportamenti penalmente rilevanti. E come se per evitarlo vi fossero soluzioni diverse dal prevedere controlli penetranti, da ritenere un beneficio pubblico e non semplicemente un costo privato.

Tra le riforme da realizzare è esemplificativo l’impegno a completare il federalismo fiscale[17], ovvero ad adottare le misure contemplate da una legge del 2009 che porta il nome di Roberto Calderoli, all’epoca Ministro per la semplificazione normativa del governo Berlusconi II[18]. Esemplificativo non tanto e non solo perché attua quanto è stata notoriamente definita come la secessione dei ricchi in quanto voluta fortemente da Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. Ma perché lo svuotamento delle competenze statali da parte del livello infranazionale, esattamente come quello a beneficio del livello sovranazionale, contribuisce a ridimensionare il circuito della politica nella sua capacità di plasmare l’ordine economico: è una misura di ispirazione obiettivamente neoliberale.

Presentato come un segno della solidarietà e generosità dell’Europa unita, il Pnrr è in verità tutt’altro. Nella prima parte del contributo abbiamo visto perché i soldi di cui si parla sono in realtà pochi e tutti da restituire, e illustrato le condizionalità cui sono collegati: innanzi tutto quelle che impongono una sana governance economica, ovvero l’austerità. Ci dedicheremo ora alle condizionalità che riguardano la tutela della concorrenza e che comportano liberalizzazioni e privatizzazioni. Concluderemo riflettendo sulla finalità prima del Pnrr: impedire la partecipazione democratica in quanto ostacolo al definitivo consolidamento dell’ortodossia neoliberale.

 

Torna la legge annuale per il mercato e la concorrenza

Tra le riforme cui è subordinata l’assistenza finanziaria, è particolarmente dirompente l’impegno a riesumare la legge annuale per il mercato e la concorrenza, catalizzatrice di misure destinate innanzi tutto ad attuare un’altra tipica massima neoliberale: quella per cui l’inclusione sociale discende dall’inclusione nel mercato. Motivo per cui occorre concepire la tutela della persona come protezione del consumatore, beneficiato da una redistribuzione della ricchezza fondata sul libero incontro di domanda e offerta dei beni e dei servizi: fonte prima di “giustizia sociale”[19].

La legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata contemplata da un provvedimento del 2009, che ha affidato all’esecutivo il compito di predisporla per “rimuovere gli ostacoli regolatori di carattere normativo o amministrativo all’apertura dei mercati”, quindi per “promuovere lo sviluppo della concorrenza” e per “garantire la tutela dei consumatori”. Il tutto tenendo conto delle “segnalazioni” e della “relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato” (Antitrust), e soprattutto per promuovere la “conformità dell’ordinamento interno ai principi comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza”[20].

Fortunatamente queste indicazioni sono state in larga parte disattese. Solo nel 2017 si è avuta una legge per la concorrenza e il mercato, su stimolo dell’esecutivo diretto da Matteo Renzi che aveva varato il relativo disegno nel febbraio 2015[21]. In precedenza si era invece avuto un provvedimento ispirato da alcune indicazioni dell’Antitrust: quello che ha convertito il cosiddetto Decreto cresci Italia[22], voluto al suo insediamento dal governo presieduto da Mario Monti per avviare le politiche di austerità. Tocca ora a Mario Draghi rimettersi lungo il medesimo cammino in un contesto solo apparentemente differente, dal momento che le politiche espansionistiche di questo periodo non indicano un abbandono dell’ortodossia neoliberale. Rappresentano al contrario la cortina fumogena funzionale ad occultare la definitiva cancellazione di quanto si reputa incompatibile con quell’ortodossia.

Quattro sono le leggi annuali per la concorrenza, contemplate dal Pnrr quali riforme cui è condizionata l’assistenza finanziaria del Fondo per la ripresa e la resilienza. La prima si occupa di “servizi pubblici locali, energia, trasporti, rifiuti”, doveva inizialmente essere presentata al Parlamento lo scorso luglio[23], ma la scadenza è stata prorogata a fine anno[24]: senza ricadute sulla tabella di marcia prevista dal Pnrr, avendo questo previsto l’entrata in vigore della legge per dicembre 2022. Una seconda legge per la concorrenza verrà presentata al Parlamento nel giugno 2022, avrà un focus su “piani di sviluppo energia elettrica” e dovrà entrare in vigore nel dicembre 2023. La terza, dedicata alla “riforma delle concessioni stradali”, sarà presentata al Parlamento nel giugno del 2023, per poi entrare in vigore nel dicembre dell’anno successivo. La quarta, i cui ambiti di intervento non sono definiti, sarà presentata al Parlamento nel giugno 2024 e dovrà entrare in vigore nel dicembre 2025[25].

Tutte queste leggi recepiscono in vario modo le indicazioni contenute in una recente segnalazione dell’Antitrust, sollecitata direttamente da Mario Draghi in occasione del discorso per la fiducia tenuto al Senato. Non richiameremo le indicazioni di dettaglio, ma solo quelle destinate a presidiare l’ispirazione neoliberale del Pnrr, a partire dall’invito a evitare che le politiche espansionistiche richieste dalla crisi pandemica introducano un cambio di rotta: è fondamentale “che le decisioni di politica economica e l’intervento pubblico a sostegno dell’economia e delle categorie maggiormente colpite siano disegnati nella piena consapevolezza degli effetti sulla concorrenza”, e considerare che “l’applicazione rigorosa della disciplina antitrust costituisce un fattore prezioso per garantire una più rapida e solida ripresa”. Il mercato deve insomma restare lo strumento principe per la redistribuzione della ricchezza, e a monte lo strumento di selezione degli operatori economici più adatti ad assolvere a un simile compito: “la concorrenza promuove la produttività e la creazione di posti di lavoro, induce le imprese a essere più produttive e innovative, favorisce una migliore allocazione delle risorse tra le attività economiche, consente alle imprese più innovative ed efficienti di entrare nel mercato e crescere”[26].

 

Spoliticizzare il mercato e retribuire clientele

Tra le misure che il Pnrr include nella legge per il mercato e la concorrenza 2021, ne campeggia una con particolari implicazioni. Riguarda i servizi pubblici locali, per i quali si invoca “un ricorso più responsabile da parte delle amministrazioni al meccanismo dell’in house providing”, imponendo “una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato”[27]. Per servizi come l’energia, i trasporti o la raccolta di rifiuti si vuole cioè sponsorizzare il ricorso a società di capitali, che se anche sono partecipate dall’amministrazione operano per produrre utili e distribuire dividendi, e non anche benefici per la collettività. Anche qui per onorare teorie di chiaro stampo neoliberale come il New public management: il governo della pubblica amministrazione attraverso criteri privatistici, nel solco di schema maturati in ambito anglosassone sul finire del secolo scorso[28].

Le particolari implicazioni di questa misura non riguardano però direttamente il solo ordine economico. Giacché in Italia parlare di privatizzazione dei servizi pubblici locali significa ulteriormente mortificare l’esito dei celeberrimi referendum tenutisi nel 2011, con i quali si sono tra l’altro abrogate disposizioni volte ad incentivarla e nel contempo a limitare fortemente il ricorso all’in house providing.

Peraltro è il Pnrr nel suo complesso a rappresentare un attentato all’ordine democratico. Le misure previste come condizione per l’assistenza finanziaria occupano un calendario che spazia sino al 2026, ovvero che monopolizza l’agenda politica del parlamento dell’attuale legislatura ma anche nella prossima. Il tutto senza che le Camere abbiano avuto modo di esaminare il Pnrr, dal momento che il testo è stato tramesso dall’esecutivo il 25 aprile, per poi essere inviato a Bruxelles il 30 aprile: termine ultimo stabilito dal Regolamento istitutivo del Fondo per la ripresa e la resilienza (art. 18).

Esautorare il parlamento sembra del resto il fine ultimo del Pnrr, che come abbiamo detto non si giustifica certo alla luce dei vantaggi economici che produce: talmente irrisori da farli apparire come mere esche buone solo ad attirare nella trappola delle riforme. Ma in fin dei conti neppure questo sembra essere il fine ultimo del Pnrr, che solo in parte mira ad alimentare il mercato delle riforme: la prassi per cui l’Unione europea condiziona l’assistenza finanziaria all’adozione di misure pensate per consolidarne l’ispirazione neoliberale. O meglio, un simile mercato caratterizza il complesso delle misure adottate da Bruxelles per reagire alla pandemia[29], ma quanto ruota attorno al Pnrr non si può spiegare con il consueto “ce lo chiede l’Europa”.

L’Europa chiede, ma le sue richieste sono divenute anche e soprattutto l’alibi per governare senza il parlamento, o meglio per imporgli di mettere il sigillo su scelte compiute altrove, senza però poterle valutare e soprattutto modificare, o peggio sostituirle con altre scelte. Il che è stato detto in termini espliciti da Mario Draghi, nella conferenza stampa a margine del vertice Ue-Balcani occidentali appena tenutosi in Slovenia: “l’azione del governo non può seguire il calendario elettorale perché noi dobbiamo seguire il calendario che è stato negoziato con la Commissione europea, per il Pnrr ma anche per le raccomandazioni che sono state date dalla Commissione all’Italia”[30].

Tutto questo risponde indubbiamente a un’istanza tipicamente neoliberale: ricorrere all’intervento dei pubblici poteri per sostenere l’ordine economico, ma non anche per metterlo in discussione. Lo Stato deve cioè imporre il funzionamento del mercato, che notoriamente non si autorealizza, e per fare questo deve spoliticizzarlo: metterlo al riparo dal conflitto sociale, impedire che determini una redistribuzione della ricchezza alternativa a quella affidata al libero incontro di domanda e offerta di beni e servizi, e dunque al principio di concorrenza.

Vi è però anche una utilità di altro tipo riconducibile alla neutralizzazione del parlamento: retribuire il blocco di potere che sostiene l’attuale leadership accantonando il rischio che le sue richieste non passino il vaglio della partecipazione democratica. Giacché l’attuale leadership non riveste una posizione di vertice in virtù delle leggendarie abilità e doti taumaturgiche di cui tanto si favoleggia, bensì per la sua capacità di assecondare aspettative ben definite: quelle delle clientele capaci di prosperare sulle macerie delle società devastata dall’ortodossia neoliberale.


Note
[1] Cfr. European Commission, The EU’s 2021-2027 long-term budget & Next Generation Eu (aprile 2021), https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/d3e77637-a963-11eb-9585-01aa75ed71a1/language-it. Le cifre sono state inizialmente stabilite ai prezzi del 2018, quando il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 ammontava a 1824 miliardi, Next generation Eu a 750 miliardi e il Fondo per la ripresa e la resilienza a 672.5 miliardi.
[2] Annuario statistico della Ragioneria generale dello Stato 2021, www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Pubblicazioni/Studi-e-do/annuario_statistico_della_ragioneria_generale_dello_stato/Annuario-Statistico-2021.pdf, p. 127.
[3] Rispettivamente Commission staff working document Identifying Europe’s needs del 27 maggio 2020, Swd/2020/98 fin., pp. 43 e 51 e A. Giovannini, S. Hauptmeier, N. Leiner-Killinger e V.Valenta, The fiscal implications of the EU’s recovery package, in ECB Economic Bulletin 6/2020, www.ecb.europa.eu/pub/economic-bulletin/focus/2020/html/ecb.ebbox202006_08~7f90a18630.en.html.
[4] A. somma, Sopravvivere al coronavirus per morire di Europa? (1. aprile 2020), www.lafionda.org/2020/03/31/sopravvivere-al-coronavirus-per-morire-di-europa.
[5] Risoluzione del Consiglio europeo 17 giugno 1997, 97/C 236/01.
[6] Comunicazione sull’attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita del 20 marzo 2020, Com/2020/123 fin.
[7] Raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2019 dell’Italia del 9 luglio 2019, in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 2019/C 301/12 e Raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2020 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2020 dell’Italia del 20 luglio 2020, in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 2020/C282/12.
[8] Comunicazione Coordinamento delle politiche economiche nel 2021: superare la COVID-19, sostenere la ripresa e modernizzare la nostra economia del 2 giugno 2021, Com/2021/500 fin.
[9] Raccomandazione del Consiglio che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2021 dell’Italia del 2 giugno 2021, Com/2021/512 fin.
[10] Piano nazionale di ripresa e resilienza, www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf.
[11] A. Somma, Il consenso di Bruxelles. Il Recovery plan sulle orme della Troika (3 maggio 2021), www.micromega.net/il-recovery-plan-sulle-orme-della-troika.
[12] Rispettivamente Decisione di esecuzione del Consiglio relativa all’approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia 10160/21 del 6 luglio 2021, https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-10160-2021-INIT/it/pdf, e Allegato riveduto della Decisione del consiglio relativa all’approvazione del Pano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, 10160/21 Add 1 Rev 2 dell’8 luglio 2021, https://www.camera.it/temiap/2021/07/13/OCD177-5010.pdf.
[13] V.le nella panoramica offerta dal sito della Camera dei deputati, che fornisce anche indicazioni sulla loro scansione temporale e progressiva attuazione: https://temi.camera.it/leg18/pnrr/cronoprogramma.html.
[14] Decreto-legge 31 maggio 2021 n. 77 Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure (convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021 n. 108).
[15] J.M. Buchanan e J. Tullock, The Calculus of Consent, Ann Arbor, 1962.
[16] Piano nazionale di ripresa e resilienza, cit., p. 69.
[17] Allegato riveduto della Decisione del consiglio relativa all’approvazione del Pano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, 10160/21 Add 1 Rev 2 dell’8 luglio 2021, pp. 9 e 142 ss.
[18] Legge 5 maggio 2009 n. 42 Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.
[19] Piano nazionale di ripresa e resilienza, cit., p. 73.
20] Art. 47 Legge 23 luglio 2009 n. 99 Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.
[21] Legge 4 agosto 2017 n. 124.
[22] Legge 24 marzo 2012 n. 27 di conversione del Decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1 recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività.
[23] Piano nazionale di ripresa e resilienza, cit., p. 73.
[24] Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2021, www.dt.mef.gov.it/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/nadef_2021/NADEF_2021.pdf, p. 118.
[25] Allegato riveduto della Decisione del consiglio relativa all’approvazione del Pano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, cit., pp. 132 e 142 ss.
[26] Autorità garante della concorrenza e del mercato, Segnalazione ai sensi degli artt. 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990 n. 287 in merito a proposte di riforme concorrenziale, ai fini della Legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021, https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/S4143%20-%20LEGGE%20ANNUALE%20CONCORRENZA.pdf.
[27] Piano nazionale di ripresa e resilienza, cit., p. 74. Anche Allegato riveduto della Decisione del consiglio relativa all’approvazione del Pano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, cit., p. 143 ss.
[28] Cfr. G. Moini, New Public Management e neoliberismo. Un intreccio storico, in Economia & Lavoro, 2017, p. 71 ss.
[29] A. Somma, Il mercato delle riforme. Come l’Europa è divenuta un dispositivo neoliberale irriformabile, in E. Mostacci e A. Somma (a cura di), Dopo le crisi. Dialoghi sul futuro dell’Europa, Roma, 2021, p. 229 ss.
[30] Il video della conferenza si trova ad esempio qui: https://video.corriere.it/politica/draghi-salvini-governo-va-avanti-non-puo-seguire-calendario-elettorale/26b7114a-26ad-11ec-80e1-1715b255e4f7.

Add comment

Submit