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György Lukács, Dialettica e irrazionalismo

Recensione di Sabato Danzilli

György Lukács, Dialettica e irrazionalismo. Saggi 1932-1970, a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano pp. 200, € 18, ISBN 9788883512537

147229 mdQuesta raccolta di saggi di György Lukács curata da Antonino Infranca ha il merito di riunire testi poco noti e finora difficilmente reperibili dedicati a uno dei temi fondamentali del pensiero lukacsiano: la contrapposizione tra pensiero dialettico e filosofia irrazionalistica. Com’è noto, Lukács dedica nel 1954 all’argomento un’opera quale La distruzione della ragione. Qui il filosofo ungherese combatte le tendenze della filosofia borghese post-hegeliana che fanno del movimento storico oggettivo una categoria secondaria e subordinata rispetto alla coscienza soggettiva. Si tratta di una descrizione necessariamente generica, che racchiude però il moto di pensiero che sta alla base dell’opera e della stessa categoria di «irrazionalismo» nelle sue declinazioni storiche.

Il testo curato da Infranca è composto da nove saggi, tutti precedenti l’ampio volume del 1954, con l’eccezione dell’ultimo. Il motivo di questa collocazione cronologica non è casuale ed è spiegato bene dalla prefazione del curatore: se nel periodo giovanile di Lukács l’affermazione del carattere progressivo della dialettica, contrapposta, come in Storia e coscienza di classe, alle «antinomie del pensiero borghese», riguarda essenzialmente il problema dell’attualità della rivoluzione, gli scritti degli anni ’30-’40 sono inseriti nel contesto completamente mutato della resistenza all’avanzata nazifascista. Infranca pone l’accento sul carattere politico ed etico di questa lotta, che viene intesa come una vera e propria battaglia per il futuro dell’umanità. La rivendicazione del carattere progressivo della filosofia dialettica assume il significato di una difesa di tutte le conquiste sociali e culturali del movimento che si richiama a questa grande tradizione.

Troviamo una lettura storicistica dello sviluppo storico, in cui assume un ruolo di tutto rilievo un autore molto caro a Lukács, qual è Goethe. Come in un ideale circolo, la raccolta ha inizio e conclusione proprio con due saggi dedicati al celebre poeta: Goethe e la dialettica, del 1932 e Marx e Goethe, del 1970. Goethe costituisce, com’è noto, una sorta di precursore di Marx e Hegel, seppure la sua concezione evoluzionistica della natura più che propriamente dialettica sia “gradualista” (nel significato che verrà fatto proprio dalla filosofia post-hegeliana) e seppure rimanga fuori da questa concezione tutto il mondo storico-sociale. Nelle opere di Goethe, insiste anzi Lukács, non si dà alcuna idea concreta dell’economia, e i personaggi restano legati a una visione gerarchica e organicistica da Ancien Régime, con una scarna descrizione del contesto sociale in cui operano. Questi importanti limiti sono oggetto di una breve ma fondamentale considerazione metodologica nel discorso del 1970, tenuto proprio in occasione del ricevimento del premio Goethe a Francoforte. Qui l’importanza di quest’autore è valorizzata con molta enfasi: Lukács ne sottolinea l’importanza anche autobiografica, il ruolo nel proprio sviluppo intellettuale, da Il dramma moderno e dalla Teoria del romanzo fino agli scritti raccolti in Goethe e il suo tempo. Goethe è ricordato tuttavia soprattutto per la posizione centrale all'interno di quel movimento che cercava di trasmettere in Germania quanto di nuovo veniva dalla contemporanea Francia e quanto di meglio si trovava nel pensiero illuministico: la sua opera costituirà un seme per tutti gli intellettuali che, come Hegel, si sono inseriti in questo solco.

Altrettanto decisivi si rivelano gli scritti dedicati alla Germania di quegli anni, ormai sotto la morsa hitleriana. Il volume raccoglie Attualità o fuga, del 1941, Sul prussianesimo, di due anni successivo, e due testi del 1944: Il delirio razzista nemico del progresso umano e La svolta del destino. Il filo conduttore di tutti questi testi è l’analisi sull’intellettualità tedesca e su quello che possiamo definire il suo vero e proprio fallimento storico. Nei primi due l’accento è posizionato sull’analisi sociale e storica della Germania, sulle ragioni “di classe” dello scacco in cui la sua intellettualità si trovava. Lukács indaga le ragioni dell’impossibilità per la borghesia tedesca di sfuggire al senso di malessere del capitalismo imperialista e in particolare della sua brutale versione nazista. Essa risponde con la fuga nella mitologia del nazionalsocialismo e con il più gretto irrazionalismo, nonché con lo svilimento in senso formalistico dell’imperativo categorico kantiano ereditato dal prussianesimo, con il suo malinteso senso del dovere. Nei testi del 1944 l’attenzione è rivolta invece in misura maggiore alla rivendicazione dell’evoluzione storica in senso progressivo: il socialismo ha la pretesa di poter portare a compimento quel conato alla liberazione dell’individuo che il liberalismo ha avuto il merito di avviare. Questa rivendicazione è decisiva per sconfiggere tentativi come quello nazi-fascista, che hanno tentato di cancellare l’eredità della modernità e dell’illuminismo. In particolare, La svolta del destino si colloca a valle della scoperta dei primi campi di sterminio nazisti, che aveva svelato in tutta la sua interezza la barbarie nazista. A quest’angosciante rivelazione si poteva rispondere soltanto riconoscendone interamente la portata e indagandone l’ampiezza storica; ma anche con un mea culpa collettivo e un ripensamento radicale che chiamasse in causa non soltanto la società tedesca, ma la sua stessa intellettualità. Quella che Lukács definisce una «tragedia planetaria» non è un fungo avvelenato spuntato all’improvviso ma il frutto di ben precise decisioni delle classi dirigenti tedesche dall’età imperiale fino al fallimento della repubblica di Weimar, con l’accettazione del «tertium datur bestiale» proposto da Hitler rispetto all’alternativa fra seguire la via inaugurata dall’URSS di solidarietà tra i popoli o subire il ridimensionamento del ruolo della Germania nell'Occidente capitalistico.

Come sappiamo non ci sarà nessun ripensamento e la de-nazificazione successiva alla Seconda guerra mondiale sarà soltanto superficiale. Di questo mutato clima sono testimonianza i due saggi del 1948: il breve Perché la borghesia ha bisogno della disperazione? e Heidegger redivivus. Nel primo Lukács accenna alla discrepanza tra gli ideali etici a cui la borghesia liberale aspira e la realtà della vita capitalistica. Entra qui in gioco la categoria dell’“idealismo soggettivo”, motivo frequente dell’analisi culturale lukacsiana. Con essa egli intende, com’è noto, le costruzioni speculative con cui ogni tipo di filosofia idealistica tende a mistificare e occultare le contraddizioni della società capitalistica, attraverso una sempre più marcata soggettivazione del processo conoscitivo e il rifiuto di una oggettività conoscibile del mondo reale. Motivo ricorrente degli intellettuali borghesi, anche quelli più disposti eticamente al socialismo, è il ricorso a “filosofie della crisi”, quali il nichilismo, l’esistenzialismo, o addirittura il misticismo e nuove forme di religiosità. L’unica concreta via di uscita è l’adesione al marxismo come filosofia del movimento operaio, che significa adesione alla lotta pratica per la liberazione dallo sfruttamento capitalistico, dal dominio coloniale, dallo sfruttamento di genere.

Il saggio su Heidegger è di estremo interesse per la modalità con cui viene impostata la critica alla sua filosofia. Lukács non si sofferma sull’adesione heideggeriana al nazismo bensì sul suo tentativo di riabilitarsi dopo la fine della guerra mondiale riprendendo i temi tipici dalla sua filosofia e contribuendo al clima culturale accennato. A differenza i quanto accade ne La distruzione della ragione, a essere presa ora in esame è la Lettera sull’umanismo, più che Essere e tempo. In un certo senso la Lettera costituisce un ulteriore arretramento rispetto anche alla pseudo-oggettività dell’opera del 1927. Qui Heidegger connette l’indagine sull’“originario” e il carattere di “spaesamento” dell’uomo, significativamente in tedesco Heimatlosigkeit:

«Mentre Marx, infatti, analizza la struttura obiettiva e le leggi della società capitalistica nel suo divenire storico, nelle cristallizzazioni di questo divenire, e spiega come le relazioni degli uomini col mondo e tra di loro siano delle conseguenze ultime di tale divenire (conseguenti all’essere sociale e mediate da questa struttura sociale); Heidegger, invece, percorre il cammino opposto. Questo punto di partenza, oltre agli inconvenienti cui già abbiamo fatto cenno, finisce col trasformare la storia reale in una pseudostoria miticizzata» (p. 150).

Il rischio per Lukács è che Heidegger e i suoi epigoni usino questa concettualità per occultare i crimini del nazismo sotto la categoria di Heimatlosigkeit, il suo carattere destinale e la ricerca di una dimensione “più originaria”. Il soggettivismo heideggeriano finisce per criticare le forme democratiche, confondendole con il carattere omogeneizzante e alienante della società capitalistica. Acutamente il filosofo ungherese sottolinea il carattere epocale di questa identificazione in tutte le critiche “romantiche” dell’epoca prefascista e la continuità quindi fra l’Heidegger pre e quello post-bellico, nonché la responsabilità di tutte queste letture nel preparare il panorama culturale al fascismo. Aggiunge inoltre Lukács che «Heidegger confuta qui incoscientemente la sua affermazione [secondo cui] il man di Sein und Zeit non abbia nulla a che fare colla società, colla società capitalistica attuale» (p. 154). Afferma quindi che la visione del mondo che emerge dalle opere del filosofo tedesco è di stampo esistenzialista, nonostante le proteste in proposito dello stesso Heidegger.

La conferenza parigina del 1949 I nuovi problemi della ricerca hegeliana prende lo spunto dalla pubblicazione l’anno precedente de Il giovane Hegel. A tal proposito, Infranca fa notare nella sua introduzione che il lavoro su tale opera era iniziato nel 1931 e aveva accompagnato le vicissitudini del ventennio successivo. Soprattutto, sottolinea il curatore, la stesura del Giovane Hegel procede in parallelo con quella della Distruzione della ragione, ma anche con la lettura dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, che non a caso emergono di continuo nella conferenza parigina. L’osservazione di Infranca sul richiamo sotterraneo in questo testo a Storia e coscienza di classe, testimoniato dall’attenzione per il termine Gegenständlichkeit (oggettività), è molto rilevante. Questa categoria, dal carattere astratto e concettuale, costituisce un elemento centrale dell’opera del 1923. Qui Lukács usa questo termine per collegare l’analisi gnoseologica sulla filosofia borghese con quella sociale dell’alienazione capitalistica, mentre nelle sue opere mature, alla luce di una rimeditazione degli scritti giovanili marxiani e delle opere di Hegel, egli coglie come tale carattere di astrazione sia decisivo per la comprensione dell’«esteriorizzazione» tipica della vita sociale dell’uomo e come quindi sia parte integrante dell’essere sociale.

In un’epoca apparentemente lontana da quella in cui i saggi che costituiscono il volume furono pensati e scritti, le categorie di dialettica e di irrazionalismo che sono sin dal titolo gli assi portanti del metodo di analisi lukacsiano, si rivelano decisive per un’indagine filosofica che non si arresti ai caratteri esteriori o addirittura biografici delle concezioni prese in esame, ma avanzi fino a un’analisi “genetica” del sorgere e fiorire dei movimenti di pensiero in grado di fornire spiegazione delle loro ragioni storiche. La battaglia di Lukács contro l’irrazionalismo (termine ormai pressoché scomparso dalla battaglia culturale, non a caso dopo decenni in cui filosofie riconducibili al suo orizzonte hanno conosciuto riscoperte, anche nel pensiero progressista, in virtù di un loro reale o presunto portato critico) è allo stesso tempo una “battaglia per”: per la rivendicazione delle spinte emancipatrici del movimento secolare che ha preso avvio con l’illuminismo; nella consapevolezza, naturalmente, dei suoi limiti storici, ma anche nella sua vocazione a superarli, verso il futuro, al di là di ogni atteggiamento remissivo e nichilista.

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