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marx xxi

La UE e la BRI: un rapporto complicato

Troubles down the Road

di Vladimiro Giacché

Relazione al V Forum Europeo sulla via cinese: “L’approccio cinese e lo sviluppo europeo in una nuova era” (Academy of Marxism, Chinese Academy of Social Sciences – Associazione Marx XXI – Fondazione Gramsci Emilia Romagna – Istituto Confucio, Bologna – Edizioni MarxVentuno), Bologna, 14 ottobre 2018

europa cina mappa1. Considerazioni introduttive

Nel corso del III forum Italia-Cina, svoltosi a Roma 2 anni fa, avevo messo in luce alcune contraddizioni nel rapporto UE-Cina. [1] Queste contraddizioni derivavano a mio giudizio da tre fattori principali:

1) la natura in sé complessa delle relazioni economiche (mai soltanto economiche, ma sempre intrecciate a obiettivi politici e geopolitici, e comunque determinate dalla formazione sociale prevalente e dalla gerarchia di interessi conseguente);

2) la natura specifica dell’UE (non un’unione politica, ma tutt’altro che monolitica anche da un punto di vista economico; anzi, afflitta da una contraddizione specifica: il fatto cioè che proprio l’integrazione monetaria ha accentuato - per meccanismi sui quali esiste ormai abbondante letteratura - le differenziazioni interne e anzi la vera e propria divergenza economica tra gli Stati che ne fanno parte);

3) infine, il fatto che gli interessi dei diversi Stati dell’Unione non riescono a trovare una composizione armoniosa all’interno dell’UE.

Ritengo che da allora queste contraddizioni si siano aggravate e si stiano oggi ripercuotendo sugli accordi commerciali, sull’atteggiamento da tenere nei confronti degli investimenti diretti esteri (IDE) cinesi in Europa e anche nei confronti della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI).

 

2. L’UE e la BRI: un atteggiamento poco costruttivo

A quest’ultimo riguardo sta sempre più emergendo un atteggiamento che vede nella BRI un progetto non da condividere, ma da ostacolare. Si è passati da uno “scetticismo passivo” [2] a qualcosa di peggio.

Vi è stato in primo luogo il tentativo di contrapporre il documento “Trade For All” alla BRI. Il 31 maggio dello scorso anno ho preso parte a una conferenza organizzata su questo argomento a Bruxelles dal Gruppo GUE/NGL presso il PE. [3] Ho partecipato al primo Panel, che aveva questo titolo: Global Economic and Trade challenges – two economic and development responses by the PR China (OBOR) and the EU (Trade for All) and their impact on EU-China relations. Nel prendere la parola per il mio intervento, dedicato ai fondamenti teorici della BRI, ho dovuto preliminarmente osservare che già “confrontare il progetto ‘OBOR’ (ora rinominato BRI) con il documento ‘Trade for All’ [4] è un compito piuttosto arduo. Infatti da una parte abbiamo un progetto di investimento, dall’altra un atteggiamento, un approccio metodologico e una lista di priorità. ‘Trade for All’ è un insieme di linee guida, una cornice metodologica per valutare opportunità di investimento (‘questa è la nostra precondizione per firmare quell’accordo commerciale’ ecc.).” [5] Vero è che non si può confrontare un progetto con una metodologia. Quest’ultima può al massimo essere applicata al primo. Ed è facile che lo sia per limitarne la portata, per porre dei vincoli. Questo è in fondo l’esito obbligato di quel “confronto”.

Ora facciamo un passo avanti ed esaminiamo un documento più recente: “Connecting Europe and Asia - Building blocks for an EU Strategy” del 19 settembre 2018, comunicazione congiunta da parte della Commissione Europea e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, indirizzata al PE, al Consiglio, al CESE, al Comitato delle Regioni e alla BEI. Anche qui troviamo molte osservazioni metodologiche, ma ben poco di concreto. Vengono indicati alcuni obiettivi su cui “l’UE si confronterà con i suoi vicini e con i suoi partners in Asia”. [6] Ma non vengono indicati i mezzi per raggiungerli, né il loro nesso con BRI.

E in effetti Oxford Analytica ha così interpretato il senso della comunicazione, in un commento del 3 ottobre 2018 a questo testo: “l’UE sta delineando una politica concepita in parte come un’alternativa ai progetti di trasporto cinesi, in parte come un loro complemento”. [7] Quanto agli impatti della nuova strategia europea, il commento afferma che essa “può incoraggiare alcuni stati dell’Est Europeo ad evitare di fare troppo affidamento sulla Cina”. Il commento ammette che “In Asia Centrale, l’UE può offrire ben poco in grado di travalicare le opportunità offerte dalla Cina in termini di connettività dei trasporti”. Né manca un cenno alla Russia: “sarà importante la risposta della Russia”, che – confidano gli autori del commento – “può trovare le iniziative dell’UE più attraenti rispetto all’espansione dell’influenza economica della Cina”. Sempre secondo Oxford Analytica, “l’obiettivo dichiarato” della comunicazione “non è quello di isolare la Cina, ma piuttosto di fornire alternative e di interloquire selettivamente con Pechino su progetti specifici”.

In realtà, un terreno di dialogo tra UE e Cina su questi temi esiste già da tempo: si tratta della EU-China Connectivity Platform, del 2015, che mirava a garantire che la BRI fosse un "open platform which adheres to market rules and international norms". Non più tardi del luglio di quest’anno, al summit EU-China svoltosi a Bruxelles, leader di entrambe le parti hanno formalmente apprezzato i progressi fatti grazie alla Connectivity Platform. Anche questo induce a pensare che la più recente comunicazione UE definisca una competizione rispetto alla BRI più che una collaborazione con il progetto.

Ma proviamo a capire i motivi profondi di quello che sembra un atteggiamento sempre più antagonistico della UE verso il progetto avviato dalla Cina.

 

3. Quali sono le motivazioni dell’atteggiamento UE?

Diversi motivi contribuiscono a spiegare questo atteggiamento.

(I) Primo: La BRI è un modello economico alternativo a quello prevalente in Occidente dagli anni Ottanta. Come ho avuto modo di rilevare nel Forum Italia-Cina del 2015, il progetto della BRI presuppone un modello di sviluppo multilaterale e di rilancio della crescita attraverso investimenti in asset reali, in particolare investimenti infrastrutturali. Questo modello è oggettivamente alternativo al modello di crescita occidentale basato su quello che Marx chiamava il “capitale produttivo d'interesse” (ossia la finanza e il debito), sul perpetuarsi di un signoraggio antistorico e la difesa di vecchie rendite di posizione. [8] Quest’ultimo modello, in essere dagli anni Ottanta, è entrato in crisi nel 2007 e la storia di questi ultimi anni della triade Usa-Ue-Giappone può essere letta come il disperato tentativo di rimetterlo in piedi. [9]

Questa oggettiva contrapposizione è stata recentemente confermata, partendo da un’altra angolatura, da Branko Milanovic, il quale, dopo aver osservato osservato che “the leading western nations have largely lost the ability, or become disenchanted, with large-scale projects” [10], nota che BRI rompe con la “developmental philosophy” del “Washington Consensus”, tutta imperniata sulla riduzione del ruolo dello Stato nell’economia, sui presunti vantaggi derivanti dal “lasciar fare” al mercato, dalle privatizzazioni, dalla libera circolazione dei capitali.

A questo approccio (divenuto egemonico con la fine dell’Unione Sovietica – ma entrato in crisi con il 2007/8 e la Grande Depressione che ne è seguita), la BRI contrappone una “activist view of development scaled up to the level of three continents”. Di fatto al modello di una crescita basata sull’ampliamento del capitale produttivo d’interesse (e sull’eliminazione di ogni ostacolo alla sua libera circolazione su scala mondiale) è qui contrapposto un modello basato su investimenti reali.

(II) Secondo: La BRI prefigura la costruzione di una realtà geopolitica alternativa alla preminenza dell’asse transatlantico. La BRI rappresenta un ponte tra Asia ed Europa. Questo progetto – come ci ha detto il prof. Zhang Xinping 2 anni fa al III Forum – “accorcia la distanza tra Asia ed Europa”. In termini strategici, in ogni caso, la creazione di grandi rotte di traffico tra Europa e Asia appare in grado di spostare il baricentro dei rapporti di forza a livello mondiale e lo stesso peso delle alleanze. Questo sarebbe conveniente per l’intero continente eurasiatico. Ma i fautori di un asse privilegiato transatlantico, anche in Europa, non la vedono così.

Più in generale, l’idea di un asse privilegiato UE-Usa è dura a morire. E questo nonostante il blocco del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) degli Usa con l’Unione Europea (che era una sorta di mossa preventiva per contrastare l’affermarsi di un maggiore ruolo della Cina in termini commerciali), e nonostante la stessa presidenza Trump. L’“Economist” nel suo numero del 6 ottobre scorso ha espresso molto bene questo punto di vista, affermando che “l’Europa ha in comune con l’America molto più di quanto abbia con la Cina, per quanto l’attuale occupante della Casa Bianca possa piacere poco agli Europei”. [11]

E in effetti, allorché la Cina ha chiesto all’UE di fare fronte comune contro il nascente protezionismo Usa, l’UE si è defilata sperando di minimizzare i propri danni, e poi ha preferito trattare per conto proprio con gli USA. Di qui anche il rifiuto di Macron e della May di firmare un memorandum d’intesa sulla via della seta marittima.

(III) Terzo. È un ostacolo alle mire espansionistiche della Germania verso l’Asia Centrale

È questa la chiave di lettura della singolare dichiarazione del ministro degli esteri tedesco Gabriel (SPD), che ha accusato la BRI di “voler promuovere un sistema alternativo a quello occidentale che, a differenza del nostro modello, non è basato sulla libertà, sulla democrazia e sui diritti umani degli individui”. [12]

In effetti, come avevo accennato già due anni fa al III Forum Italia-Cina, il grande capitale tedesco sta riprendendo la direttrice di sviluppo verso Est che ne ha caratterizzato il percorso tra il 1900 e il 1945. [13]

Su questa strada la Germania incontra la Russia, ma inevitabilmente anche la Cina. E l’alleanza tra le due che sembra profilarsi.

In una ricerca della Stiftung für Wirtschaft und Politik (SWP, un think tank vicino al ministero degli esteri tedesco) si legge che „Non è nell’interesse tedesco ed europeo… che l’avvicinamento tra Pechino e Mosca vada a scapito della libertà di movimento dell’Europa su un piano globale e regionale“. [14] Ovviamente, la “libertà di movimento” di cui qui si parla non è quella genericamente europea, ma quella del paese guida dell’Unione Europea, ossia la Germania.

Come evitare che questo avvenga? Uno dei modi individuati dalla SWP è quello di offrire una sponda politica e diplomatica agli Stati che in Asia Centrale si sentono presi nella morsa dell’alleanza russo-cinese, e dando loro alternative operative. Le alternative a dire il vero sin qui non si sono viste, l’attivismo diplomatico tedesco in Asia Centrale da almeno 4 anni in qua sì, come confermano visite ad altissimo livello praticamente presso tutti quei paesi.

(IV) Quarto. La Cina vista come un concorrente

Più in generale, la potenza guida della UE, la Germania, coopera economicamente con profitto con la Cina sul terreno economico, ma – soprattutto in un’ottica di lungo periodo – vede la Cina più come concorrente che come partner.

In quest’ottica, la BRI è percepita come un modo (anche) per estendere la potenza cinese a livello globale e quindi essa deve essere ostacolata. Questo nonostante da parte cinese si sia più volte ribadito che la BRI non ha nulla a che fare con il Piano Marshall in quanto non ha “security and military implications”, puntando invece a una cooperazione mirata a migliorare la “infrastructure connectivity”. [15]

Sul punto restano valide le osservazioni sull’Europa a guida tedesca contenute in un articolo del marzo 2015 di Zhao Ke, dell’istituto per gli studi strategici internazionali della scuola centrale del PCC, pubblicato anche in lingua inglese in “Chinese Social Sciences Today”: 

“Ovviamente, la leadership della Germania in Europa diminuirà in misura considerevole i nostri costi di transazione con l’Europa. Ma non possiamo perdere di vista il fatto che gran parte dell’élite politica tedesca vede la Cina come uno sfidante piuttosto che come un vero partner”. Infatti, “si può notare che la politica del governo tedesco attuale nei confronti dell’Asia è in gran parte ispirata alla strategia del ‘larger West’, [16] e questo costituirà il maggiore problema nel futuro sviluppo delle relazioni sino-tedesche. Se il punto di vista tedesco sulla Cina resterà immutato, l’Europa a guida tedesca renderà senza alcun dubbio molto più difficile per la Cina gestire il suo rapporto con l’Europa nel lungo termine”. [17]

(V) Quinto. Si nutre la speranza che la BRI risulti un progetto economicamente fallimentare

Tra i motivi dello scarso impegno dimostrato nel sostenere il progetto della BRI può giocare anche la speranza che esso rappresenti un investimento fallimentare, in grado addirittura di causare il declino della Cina quale potenza mondiale. Non a caso sono comparsi di recente contributi imperniati sul paragone tra questo progetto di investimento e quelli sovietici in Siberia degli anni Settanta, che effettivamente giocarono un ruolo importante nel contribuire all’indebolimento economico dell’URSS. [18] Il presupposto, ovviamente, è considerare tutto dal punto di vista del confronto tra le potenze e trascurare gli aspetti cooperativi e di mutuo beneficio del progetto.

(VI) Sesto. I rapporti bilaterali sono considerati una minaccia alla diarchia franco-tedesca nella UE

La strategia bilaterale praticata con successo dalla Cina in relazione a BRI (e più in generale agli IDE cinesi in Europa) preoccupa da tempo sia la Germania che la Francia.

Già due anni fa la SWP ha proposto di stabilire meccanismi di informazione reciproca interni alla UE sui rapporti di ciascun paese con la Cina in relazione a BRI, usando a questo fine anche la piattaforma di connettività allora appena messa in piedi. [19]

Più di recente si è lavorato a un meccanismo di selezione degli IDE cinesi in Europa, con l’obiettivo di dare alla UE il potere di veto su determinati generi di investimenti. Lo scorso 13 giugno il Consiglio Europeo ha stabilito di iniziare negoziati col PE per arrivare a una decisione di questo tipo. Sulla stampa si è parlato soprattutto degli investimenti nel settore dell’alta tecnologia (in relazione ai quali peraltro gli stessi produttori tedeschi di macchinari di precisione hanno di recente affermato di preferire quali acquirenti le società cinesi agli hedge funds statunitensi). [20] In realtà il tema riguarda direttamente la BRI, e in particolare i porti sulla rotta. Non a caso un documento del Bruegel Institute dello scorso giugno al riguardo ha affermato: “Given their strategic relevance, we consider that the Council and the European Parliament cannot avoid taking maritime activities into consideration during their discussions on the EU framework for screening foreign direct investments”; [21] nella stessa direzione va il saggio di Duchâtel e Sheldon Duplaix già più volte citato. [22]

È evidente che stabilire un tale vincolo aumenterebbe ulteriormente i poteri della UE (limitando per contro la sovranità degli Stati membri su un tema strategico quale l’accesso alle coste), in una fase in cui emerge una crescente insoddisfazione tra i popoli europei per quelli che essa già possiede e per l’uso che ne fa.

Stabilire un tale vincolo sarebbe pericoloso. Ma sarebbe anche assurdo nell’attuale quadro istituzionale: è infatti assolutamente insensato pensare a un coordinamento europeo (o peggio ancora a veti) nel caso di investimenti oggettivamente concorrenti in paesi che si trovano in competizione tra loro su determinati settori. Quale senso avrebbe, per esempio, demandare alla UE una scelta tra Italia e Olanda quali porti di destinazione della BRI?

 

4. L’Italia e la BRI

Recentemente ha fatto discutere l’atteggiamento del governo italiano, che ha cambiato rotta rispetto al precedente governo nei confronti della linea franco-tedesca di limitare la libertà di movimento dei singoli Stati quanto a investimenti diretti esteri cinesi. [23]

In verità al riguardo il sottosegretario Geraci ha detto cose assolutamente sensate: “abbiamo 28 differenti economie con 28 interessi economici differenti”; e ha aggiunto “stiamo cercando di capire come l’Italia può essere il principale paese europeo partner nella BRI”, non a partire da finalità astratte, ma da una realtà geopolitica molto concreta: “la posizione italiana nel Mediterraneo”.

Hegel diceva che nessuno può uscire dal proprio tempo più di quanto possa uscire dalla propria pelle. Allo stesso modo, nessuno Stato può prescindere dalla propria posizione geografica. L’Italia è un ponte sul Mediterraneo.

Da questo punto di vista, essa è un punto di snodo obbligato delle merci sulla via della Seta marittima tanto per la rotta che porta alla Mitteleuropa (via Trieste), tanto per la rotta che porta all’Africa. Voglio essere più esplicito: la vocazione geografica dell’Italia non può esaurirsi nel diventare un punto di transito dei traffici da e per la Mitteleuropa, attraverso i porti di Trieste, Genova e Vado Ligure.

A questo proposito va senz’altro raccolto lo stimolo dell’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu, che ha individuato nella cooperazione trilaterale Cina-Italia-Africa un importante terreno di cooperazione. [24] Questo significa, in concreto, fare della portualità meridionale (penso in particolare al porto di Gioia Tauro, ma non solo) un perno del rilancio della centralità dell’Italia nei traffici nel mediterraneo, soprattutto in direzione Nord Africa e Medio Oriente. A mio giudizio si tratta di un’occasione che l’Italia non può perdere per recuperare il proprio ruolo e per rilanciare l’infrastrutturazione e l’economia del Mezzogiorno.

Nell’articolo già citato di Follain e Mathieson si legge che “con il suo cambiamento di rotta verso la Cina, la coalizione populista italiana rischia di alienarsi l’Unione Europea esattamente come ha fatto in relazione all’immigrazione, alla politica fiscale e con il suo atteggiamento di irrisione nei confronti della stessa UE”. Se le cose stessero davvero in questi termini, non avremmo che una riprova del fatto che gli “interessi dell’UE” sono gli interessi dei Paesi più forti al suo interno, e al tempo stesso della necessità e urgenza di un riequilibrio di forza politica ed economica tra i Paesi dell’Unione.

Oggi ogni passo avanti in direzione di questo riequilibrio è un contributo alla stabilità dell’UE, al riequilibrio delle forze al suo interno e quindi a relazioni più equilibrate tra la UE e il resto del mondo. Anche in questo senso possiamo dire che lo sviluppo e il rafforzamento dei rapporti bilaterali Italia-Cina in relazione alla BRI è un contributo a qualcosa di molto più grande e molto più importante.


NOTE
1 Il testo del mio intervento si può leggere in: https://www.academia.edu/29676443/Aspetti_delle_relazioni_economiche_Cina-UE_Relazione_al_Forum_La_via_cinese_e_il_contesto_internazionale_Academy_of_Marxism_CASS_Associazione_Marx_XXI_Roma_15_ottobre_2016
2 La definizione è di M. Duchâtel, A. Sheldon Duplaix: “La Cina blu: la rotta verso l’Europa”, in “Aspenia”, n. 82, 2018, p. 134. 
3 Understanding the One Belt One Road Strategy, and the Future of EU-China Trade and Cooperation Relations – Conference organized by the European Parliamentary Group of the European United Left / Nordic Green Left (GUE/NGL).
4 Trade for all – Towards a more responsible trade and investment policy, European Union, 2015.
5 Il testo del mio intervento si può leggere al seguente link: https://www.academia.edu/33926730/The_B_and_R_Initiative_and_its_theoretical_background_in_Understanding_the_OBOR_Strategy_Conference_Organized_by_the_EPG_of_the_European_United_Left_GUE-NGL_Brussels_European_Parliament_31_May_2017_Panel_I_.
6 In primo luogo, si legge nel testo, “contributing to efficient connections and networks between Europe and Asia through priority transport corridors, digital links and energy cooperation at the service of people and respective economies”. In secondo luogo, “establishing partnerships for connectivity based on commonly agreed rules and standards enabling a better governance of flows of goods, people, capital and services”. In terzo luogo, “contributing to address the sizeable investment gaps through improved mobilisation of resources, reinforced leveraging of EU’s financial resources and strengthened international partnerships”
7 “EU offers fair dealing in its ‘Belt and Road’ response”, Oxford Analytica, 3 ottobre 2018.
8 Al riguardo si veda il mio “Dopo la grande recessione: investimenti multilaterali per lo sviluppo e la creazione di un nuovo ordine monetario globale. 30 tesi”, ora raccolto nel volume curato da A. Catone, La “Via Cinese”. Realizzazioni, cause, problemi, soluzioni, marxventuno editore, Bari, 2016, pp. 225-232.
9 Su questo rinvio a V. Giacché, Titanic Europa, Roma, Aliberti, 2012; cfr. anche “Leggere la crisi: stagnazione secolare o caduta tendenziale del saggio di profitto?”, in Società natura storia. Studi in onore di Lorenzo Calabi, a cura di A. Civello, Pisa, Edizioni ETS, 2015, pp. 269-284 (scaricabile da: https://www.academia.edu/25028210/Leggere_la_crisi_stagnazione_secolare_o_caduta_tendenziale_del_saggio_di_profitto_in_Societ%C3%A0_natura_storia._Studi_in_onore_di_Lorenzo_Calabi_a_cura_di_Andrea_Civello_Pisa_Edizioni_ETS_2015_pp._269-284 ) .
10 B. Milanovic, “The west is mired in ‘soft’ development. China is trying the ‘hard’ stuff”, in “the Guardian”, 17 maggio 2017.
11 “China’s designs on Europe”, “the Economist”, 6 ottobre 2018.
12 Cit. in M. Duchâtel, A. Sheldon Duplaix, “La Cina blu: la rotta verso l’Europa”, in “Aspenia”, n. 82, 2018, p. 132.
13 Al riguardo si veda la ricchissima documentazione raccolta in Europastrategien des deutschen Kapitals: 1900-1945, a cura di R. Opitz, Köln, Pahl-Rugenstein Verlag, 1977.
14 M. Klein, K. Westphal, “Russlands Wende nach China”, SWP-Aktuell, Stiftung Wissenschaft und Politik, Berlin, settembre 2015; http://www.swp-berlin.org/fileadmin/contents/products/aktuell/2015A78_kle_wep.pdf , p. 8.
15 Cfr. ad es. Gu Bin, “The Belt and Road Initiative is not a China’s Marshall Plan”, “Financial Times”, 7 agosto 2018. La separazione tra “economic interest” e “politics” è un punto di forza del progetto anche ad avviso di B. Milanovic (art. cit.).
16 L’autore definisce in tal modo una politica che tende a favorire e ad approfondire prioritariamente le relazioni euroatlantiche, e che in particolare appoggia il tentativo Usa di “ribilanciamento delle forze” in Asia a scapito della Cina.
17 Il titolo dell’articolo è eloquente: “Does ascendant Germany pose a challenge for China?http://www.csstoday.com/Item/3174.aspx . L’articolo uscì, forse non casualmente, alla vigilia della visita del presidente tedesco Gauck in Cina.
18 D. Fickling, “Soviet Collapse Echoes in China’s Belt and Road”, Bloomberg, 12 agosto 2018.
19http://www.swp-berlin.org/fileadmin/contents/products/research_papers/2016RP02_gdh.pdf , p.6, 23.
20 U. Marx, “Lieber Chinesen als amerikanische Hedgefonds”, in “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, 4 agosto 2018.
21 S. Pandya, S. Tagliapietra, “China’s strategic investments in Europe: The case of maritime ports”, Bruegel.org, 27 giugno 2018; http://bruegel.org/2018/06/chinas-strategic-investments-in-europe-the-case-of-maritime-ports/ .
22 M. Duchâtel, A. Sheldon Duplaix, cit., qui p. 157.
23 J. Follain, R. Mathieson, “Italy Pivots to China in Blow to EU Efforts to Keep Its Distance”, Bloomberg, 4 ottobre 2018.
24 Li Ruiyu, “Cina-Africa, alleanza strategica che può dare un ruolo all’Italia”, “Il Sole 24 Ore”, 5 settembre 2018.

Comments

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Eros Barone
Monday, 03 December 2018 22:49
Le questioni economiche e geopolitiche connesse alla “via della seta”, oggetto di questo interessante scambio di informazioni e valutazioni, costituiscono una delle direttrici che hanno caratterizzato nel 2001 la costituzione, e caratterizzano oggi l'azione, della Ocs [organizzazione per la cooperazione di Shangai], la quale non a caso ha la sua sede in Cina. A questa organizzazione intergovernativa fondata dalla Cina e dalla Russia, con Kazhakistan, Kyrgyzistan, Tagikistan, si è poi aggregato l’Uzbekistan e si sono aggiunti, dapprima come osservatori e poi come membri effettivi, India, Pakistan, Mongolia e Iran. Di particolare rilevanza è il contributo dell’India, con i suoi 1,2 miliardi di abitanti, la quale, come è noto, ha siglato un accordo con la Cina per consentire la riapertura del valico tibetano attraverso cui passa, per l’appunto, la “via della seta”, scavalcando il controllo ravvicinato e l’occhiuta presenza degli USA, la cui richiesta di essere ammessi come "osservatori" è stata respinta nel 2006 per via della mancanza di una frontiera comune. In effetti, come risulta chiaro, obiettivo centrale degli Stati membri (attuali e futuri) dell’Ocs è proprio contrastare la penetrazione degli USA in Asia centrale. E’ questo il senso della risposta della Cina all’invadenza materiale e ideologica degli USA, così come la politica della Russia diretta a staccare gli Stati centro-asiatici ex Csi dalla linea statunitense tendente a sottomettere tali paesi. In sostanza, come hanno dimostrato le vicende politico-militari dell’Asia centrale, l’Ocs ha puntato a vanificare il tentativo ‘yankee’ di seminare zizzania al suo interno, innanzitutto tra Russia e Cina. Da questo punto di vista, il carattere dell’Ocs si è via via definito nel corso di questo quindicennio, assumendo aspetti sempre più generali – prevalentemente economici per la Cina, prevalentemente militari per la Russia appoggiata dall’India -. La Russia, dal canto suo, ha operato al fine di creare una sorta di “borsa” energetica, mentre tutti gli Stati hanno indirizzato i loro sforzi verso l’obiettivo di costituire alternative alla Nato e all’Opec. Perciò l’imperialismo occidentale, con la parziale ma significativa eccezione della Germania, ha identificato nell’Ocs e nella “via della seta”, che ne è oggi un’importante emanazione, altrettanti potenziali pericoli. La Russia e gli altri Stati in cui c’è abbondanza di risorse naturali, materie prime e manodopera, stanno così respingendo sempre più lontano da loro l’ingerenza del grande imperialismo basato negli USA e nella UE. Del resto, mentre aumentano le tensioni sociali in tutti i paesi coinvolti dalle iniziative economiche e militari messe in campo dalla Osc e segnatamente dalla Cina, che ne è la potenza egemone, al centro del processo in corso vi è la grande ricchezza economica legata alle notevoli riserve di petrolio e gas, che hanno permesso e stimolato, dopo il dissolvimento dell’Urss, una grande ripresa di tutta l’economia russa in netta chiave imperialistica. E’ così accaduto che la Russia, prendendo in contropiede la politica espansionistica USA, è riuscita a rivolgere questa medesima arma economica proprio contro coloro che avevano provato a usarla per primi. La vasta disponibilità energetica si è quindi trasformata in denaro contante, capace di far espandere l’egemonia economica e politica in tutta l’area. Con una perfetta divisione internazionale del lavoro, che racchiude però necessariamente future grandi contraddizioni, i maggiori paesi dell’area (Russia, Cina e India: praticamente mezzo pianeta) hanno stabilito i rispettivi compiti produttivi, finanziari e demografici per alcuni anni a venire. L’invasione mondiale delle merci cinesi, a far da battistrada ai loro capitali (non solo nell’Eurasia, ma anche in America latina e in Africa), si manifesta nel sub-continente asiatico e, con la “via della seta”, giunge nel cuore mediterraneo del continente europeo. Attraverso la mutua complementarità leniniana tra il fattore economico e quello geopolitico, si dispiega in tal modo l’ascesa congiunta dell’imperialismo russo e di quello cinese. In conclusione, ritengo che i processi economici, una volta che siano stati indagati e documentati, per così dire, a livello microfisico, necéssitino un inquadramento geopolitico più ampio sia per evitare di assumere o di incentivare un atteggiamento allarmistico, tendenzialmente sinòfobo, verso il rinnovarsi del cosiddetto “pericolo giallo” (come accadde con l’ascesa e le vittorie industriali e militari dell’imperialismo nipponico tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX e come potrebbe accadere oggi con l’ascesa dell’imperialismo cinese), sia per dare una base concreta all’internazionalismo marxista, spingendo sguardo, analisi ed iniziativa oltre i ristretti confini italiani ed europei (che è poi quello che sta facendo, dal suo punto di vista e in funzione dei suoi interessi, la borghesia italiana). Mi sia permessa ancora una postilla, per così dire, etico-politica: sarebbe l’ora che il bonzo revisionista neotogliattiano, che è l’autore di questo articolo in cui vengono celebrate la “via della seta” e le "magnifiche sorti e progressive" del "socialismo di mercato" cinese, si degnasse di smettere i panni del convitato di pietra e scendesse ‘in pulverem et in agmen’ per confrontarsi con le osservazioni, le valutazioni e i dati che sono stati esposti. Se non lo farà, avrà dimostrato ancora una volta di essere un degno rappresentante...dell’Istituto Confucio di Bologna.
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Paolo Selmi
Wednesday, 21 November 2018 18:08
Caro Domenico,
la dinamica è chiara, perché anche se l'articolo è di quasi 5 anni fa (tralasciamo tutti i dati) tra 5 anni sarà lo stesso (se non peggio).

Per la cronaca i dati aggiornati sono, per il 2017:
DE-NL import: Eur 141,801,411,789
DE-NL export: Eur 84,642,577,207
(http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/submitViewTableAction.do)

Verò TUTTAVIA E' anche che il commercio INTRASTAT in esportazione dalla GERMANIA è stato di 750 MILIARDI DI EURO (https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Intra-EU_trade_in_goods_-_recent_trends#Intra-EU_trade_in_goods_by_Member_State).
Tutta merce PRODOTTA in GERMANIA? NO.
Tabella dopo: l'Olanda è il PRIMO partner commerciale intrastat IN IMPORT della Germania (insieme a Francia e Belgio) . Tutta merce di origine tedesca? anche qui, no. Ma qui la penna tedesca stranamente finisce l'inchiostro, smette di scrivere...

Nessuno mette in dubbio il carattere di economia di transito degli olandesi (in tutti e due i sensi), ma il carattere "creativo" delle statistiche a senso unico tedesche. Che per un attimo fatale dimenticano anche loro di essere anche loro, per una buona fetta e in ultima istanza, economie di transito per le importazioni "cinesi" di altri stati.

Un caro saluto.
Paolo
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Paolo Selmi
Wednesday, 21 November 2018 16:48
Caro Domenico,

E' proprio questo il punto. "NON si considera il riesportato". Lo dici tu stesso. E invece andrebbe considerato, se si considera il riesportato proveniente dall'Olanda. Non si può considerarlo in import e ignorarlo in export. Concordi con me che non si può misurare in scarpe in import e ciabatte in export?

"Riesportazione non è transito": Certo, e ti dirò di più. Per la dogana è tutto molto semplice. Fino a che la merce non è nazionalizzata, ovvero non è stata fatta operazione di import, fondamentalmente alla dogana non importa cosa fai della merce, se la lasci in un posto ore, giorni, mesi, o anni prima di sdoganarla, o gli fai fare il giro d'europa. Poi però qualcuno entro i tre anni ci deve pagare sopra iva e dazio, altrimenti dopo quattro anni va in distruzione. E lì entra in quelle statistiche che sono valide per tutti, per noi come per gli olandesi come per i tedeschi. Questo conta la dogana. Quanti IMA o IM7 nei magazzini doganali di tutta Italia. E qui però la tracciabilità si perde, inevitabilmente, nei grandi numeri. Se la merce nazionalizzata è rivenduta, si va in Intrastat. che è un altro regime. giustamente, tranne che per i tedeschi che decidono di usare quello per gonfiare i propri import, ma non detraggono gli intrastat che escono. non toccano una virgola. altrimenti ci sarebbe stato quello scostamento fra dati tedeschi e dati europei che non c'è stato. Mi ripeto fino alla nausea, avessero avuto un minimo di coerenza metodologica, avrebbero dovuto detrarre le loro importazioni da quanto poi riesportato. Ma non l'hanno fatto.

Altra cosa, come ben sottolinei, è il transito. Ma questo è già previsto nelle statistiche! Quindi: "L'eventuale importatore italiano che prende in consegna il container a Rotterdam e poi lo trasporta per la Germania e la Svizzera, deternina una importazione italiana, mica una importazione e una rieportazione tedesca e svizzera. " Certo! Ma, a parte il fatto che nessuno farà mai una cosa del genere, visto che il nolo costa meno fermando una nave al porto di genova oltre a guadagnare una decina di giorni minimo di transit time, resta da capire come mai, appunto perché la merce in t1 o t2 E' GIA', PER LE STATISTICHE EUROPEE, MERCE IN TRANSITO NON SDOGANATA COME SE FOSSE ALLO STATO ESTERO, e quindi entra nella statistica SOLTANTO UNA VOLTA SDOGANATA CON IMA, ovvero quando sono versati i diritti doganali e l'iva, ovvero quando il tedesco paga, E NON POSSONO DIRE CHE NON COMPARE NELLE STATISTICHE, PERCHE' NON E' VERO. Se io faccio un t1 di merce cinese dall'Olanda, poi una volta qui la merce paga come da ORIGINE CINA IL DAZIO ALL'ALIQUOTA STABILITA PER I PAESI TERZI, PIU' EVENTUALI ANTIDUMPING COME NEL CASO DI PANNELLI SOLARI, PER ESEMPIO, SULLA SPECIFICA DITTA CINESE. E non mi interessa, doganalmente parlando, se la merce ha fatto il giro d'europa in 80 t1. all'ottantesimo t1, LA SORVEGLIANZA MI CHIEDERA' SEMPRE LA FATTURA DI PRIMA VENDITA DEL PAESE DI ORIGINE.

Quindi non è il t1 da Rotterdam, mi spiace, il discrimine su quei trenta miliardi. Nessuna statistica ne tiene conto, se non quelle che devono considerare quanto lavora un'agenzia delle dogane rispetto alle altre. Resta quindi come discrimine quel riesportato INTRASTAT che entra fittiziamente ma non viene considerato nello scalare quando esce: una scarpa e una ciabatta; la GDO di Lidl e Aldi, tutto l'abbigliamento, il calzaturiero, la microelettronica, che riescono con già l'etichetta e il libretto di istruzioni nella lingua del mercato di destino (italiano, francese, spagnolo, polacco, ungherese, ecc.), non sono - seguendo la stessa logica - importazioni tedesche.

Se considerassimo tutto il venduto intrastat di provenienza tedesca e di origine cinese nelle statistiche delle importazioni dalla cina, avremmo una germania sempre in attivo (perché scaricherebbe sugli altri il peso delle sue importazioni temporanee e riesportazioni definitive) e il resto d'europa ancora più in passivo, perché oltre al proprio si caricherebbe anche del passivo che già verso la germania, e che andrebbe parzialmente ritrasferito verso la Cina.

Grazie mille per queste analisi, almeno faccio questo per qualcosa.

Ciao!
paolo
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Domenico Moro
Wednesday, 21 November 2018 16:00
Ti invio questo link che aiuta a capire meglio alcuni frintendimenti sulla Germania e a ridefinire meglio le statistiche.

https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-04-18/senza-ue-surplus-si-sgonfia-063854.shtml?uuid=ABRes8BB
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Domenico Moro
Wednesday, 21 November 2018 15:20
Quoting Paolo Selmi:
Caro Domenico,
però vale a maggior ragione quanto scritto nel penultimo commento: "il dato resta comunque falsato perché, seguendo questo criterio, dovrebbero essere detratte dalle importazioni tedesche tutte le riesportazioni di merce di origine cinese. E il conto tornerebbe ancora in attivo, per i motivi che ci siamo detti di intensa attività intrastat di merce venduta e distribuita a livello europeo di provenienza germanica e origine cinese." In altre parole, la Germania bara sapendo di barare, perché considera l'origine solo in un senso, perché nell'altro andrebbe a detrarre, comportandosi anche lei, di fatto, in quel settore, come economia di transito. L'importazione olandese a carico del tedesco, l'importazione tedesca a carico dell'italiano che trova le scarpe adidas cinesi nel cestone del supermercato a eur 29.90 in offerta. E ci sarebbe, allora da detrarre. E noi saremmo ancora più affogati, altro che 15 miliardi di euro di disavanzo commericiale, alla faccia del win-win. Ma, qui stranamente, ci si dimentica che ANCHE LA GERMANIA ha una parte di ECONOMIA DI TRANSITO. Un errore di metodo, che diventa in questo caso, quando si danno poi i numeri, di merito.

Il dato Eurostat, quindi, acquista maggior valore perché misura egualmente TUTTI i Paese UE nelle loro transazioni commerciali neanche senza barare, a questo punto, ma proprio senza invenzioni. Anche perché allora ciascuno sarebbe legittimato a considerare "valida" la propria valutazione del rapporto deficit/pil, le proprie previsioni di crescita, e finanche il proprio bilancio creativo. E già i tedeschi hanno fatto i furbetti considerando statisticamente l'origine CN nelle importazioni e invece la provenienza DE nelle esportazioni della merce in transito (come si evince anche dal fatto che i dati non si scostano quando parliamo di esportazioni... un caso?), figurarsi noi cosa ci riusciremmo a inventare, in questi e altri ambiti.

Grazie ancora di tutto e
un caro saluto.

Paolo

Caro Paolo, se la Germania distingue tra Paese di transito e di origine, ciò vale anche nell'export, dove non si considera il riesportato. Inoltre, è l'Olanda che è una economia massiciamente riesportatrice (soprattutto verso la germania che è il suo retroterra industriale) con 6,2 milioni di abitanti mentre la Germania ne ha 82. L'import da Rotterdam è soprattutto per consumo interno: consumo finale e per la produzione. Infine, riespostazione non è transito. Infatti, se la merce passa per la Germania e poi per la Svizzera, non è che abbiamo due esportazioni delle stessa merce. L'eventuale importatore italiano che prende in consegna il container a Rotterdam e poi lo trasporta per la Germania e la Svizzera, deternina una importazione italiana, mica una importazione e una rieportazione tedesca e svizzera. Grazie ancora per la tua infinita pazienza e un caro saluto. Domenico
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Paolo Selmi
Wednesday, 21 November 2018 13:17
Caro Domenico,
però vale a maggior ragione quanto scritto nel penultimo commento: "il dato resta comunque falsato perché, seguendo questo criterio, dovrebbero essere detratte dalle importazioni tedesche tutte le riesportazioni di merce di origine cinese. E il conto tornerebbe ancora in attivo, per i motivi che ci siamo detti di intensa attività intrastat di merce venduta e distribuita a livello europeo di provenienza germanica e origine cinese." In altre parole, la Germania bara sapendo di barare, perché considera l'origine solo in un senso, perché nell'altro andrebbe a detrarre, comportandosi anche lei, di fatto, in quel settore, come economia di transito. L'importazione olandese a carico del tedesco, l'importazione tedesca a carico dell'italiano che trova le scarpe adidas cinesi nel cestone del supermercato a eur 29.90 in offerta. E ci sarebbe, allora da detrarre. E noi saremmo ancora più affogati, altro che 15 miliardi di euro di disavanzo commericiale, alla faccia del win-win. Ma, qui stranamente, ci si dimentica che ANCHE LA GERMANIA ha una parte di ECONOMIA DI TRANSITO. Un errore di metodo, che diventa in questo caso, quando si danno poi i numeri, di merito.

Il dato Eurostat, quindi, acquista maggior valore perché misura egualmente TUTTI i Paese UE nelle loro transazioni commerciali neanche senza barare, a questo punto, ma proprio senza invenzioni. Anche perché allora ciascuno sarebbe legittimato a considerare "valida" la propria valutazione del rapporto deficit/pil, le proprie previsioni di crescita, e finanche il proprio bilancio creativo. E già i tedeschi hanno fatto i furbetti considerando statisticamente l'origine CN nelle importazioni e invece la provenienza DE nelle esportazioni della merce in transito (come si evince anche dal fatto che i dati non si scostano quando parliamo di esportazioni... un caso?), figurarsi noi cosa ci riusciremmo a inventare, in questi e altri ambiti.

Grazie ancora di tutto e
un caro saluto.

Paolo
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Domenico Moro
Wednesday, 21 November 2018 12:04
Quoting Paolo Selmi:
Anche perché, e poi prometto mi taccio per davvero, il dato resta comunque falsato perché, seguendo questo criterio, dovrebbero essere detratte dalle importazioni tutte le riesportazioni di merce di origine cinese. E il conto tornerebbe ancora in attivo, per i motivi che ci siamo detti di intensa attività intrastat di merce venduta e distribuita a livello europeo di provenienza germanica e origine cinese.
Il criterio deve essere valido per tutte le attività, altrimenti si va unicamente a gonfiare arbitrariamente il dato di import senza però applicare lo stesso criterio sulle attività di export.
Di nuovo grazie
Paolo

Casualmente stamattina ho incontrato una delle persone che sono maggiormente esperte di statistiche in commercio estero in Italia. E' confermato quanto pensavo. Le asimmetrie derivano dal cosiddetto "effetto Rotterdam". Il fatto è che Eurostat adotta il criterio di Paese di provenienza, Destatis quello di origine. Ne consegue che il dato di Destatis è quello più vicino alla realtà effettiva degli equilibri commerciali tra Germania e Cina, che è quello che a noi debba interessare e interessi. Non ha senso considerare esportazioni da un paese ciò che è solo di transito. Un caro saluto. Domenico
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Paolo Selmi
Monday, 19 November 2018 19:45
Anche perché, e poi prometto mi taccio per davvero, il dato resta comunque falsato perché, seguendo questo criterio, dovrebbero essere detratte dalle importazioni tutte le riesportazioni di merce di origine cinese. E il conto tornerebbe ancora in attivo, per i motivi che ci siamo detti di intensa attività intrastat di merce venduta e distribuita a livello europeo di provenienza germanica e origine cinese.
Il criterio deve essere valido per tutte le attività, altrimenti si va unicamente a gonfiare arbitrariamente il dato di import senza però applicare lo stesso criterio sulle attività di export.
Di nuovo grazie
Paolo
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Paolo Selmi
Monday, 19 November 2018 19:01
Grazie a te Domenico.

Un'ultima notazione: così restiamo a livello di "ragionamento", non tutti gli import tedeschi che vengono dall'Olanda sono di origine cinese, così come non tutti gli export in triangolazione transitano dalla Germania in Cina via Olanda. Come risalire a tutto questo, visto che siamo sulla buona strada verso pratiche simpatiche come il riciclaggio, la sottofatturazione, evasione ed elusione fiscale, ecc.? Come valutare i valori dichiarati altrove in dogane non nazionali con regimi fiscali diversi e inserirli in una statistica nazionale, a questo punto del tutto arbitrariamente? Siamo alla "stima"... su trenta miliardi di euro che fanno ballare (arbitrariamente!), scostandosi dai dati ufficiali, per motivi loro evidentemente.

Se qualche altro stato facesse lo stesso coi suoi conti pubblici...

Grazie ancora comunque di tutto.
Paolo
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Domenico Moro
Monday, 19 November 2018 17:57
Quoting Paolo Selmi:
Grazie mille Domenico per quanto trovato.
Se così fosse, comunque è sbagliato non dichiararlo. Le statistiche non devono mostrare numeri, devono spiegare processi. L'Eurostat è trasparente, al punto che si capisce chiaramente il carattere olandese di "economia di transito" estrapolando i dati di cosa entra e cosa esce. Lo è molto meno l'istituto di statistica tedesco.
Tuttavia anche il valore delle esportazioni tedesche andrebbe rimodulato, a questo punto.
Anche la Germania riesporta.
Tutte le catene della GDO, per esempio, con i prodotti a loro marchio importati e rivenduti sull'intera piazza europea.
Poi c'è l'abbigliamento: ZALANDO, ADIDAS, PUMA, giusto per fare tre nomi.
BASF e GRUNDIG, tutto quello che fanno fare fuori e rivendono.
Per chiudere c'è il mercato delle spezie (http://www.indiaenvironmentportal.org.in/files/5.spices_report_web.pdf)... persino del caviale
(https://www.traffic.org/site/assets/files/9805/global_caviar_market-1.pdf) e della frutta tropicale essicata (https://www.cbi.eu/market-information/processed-fruit-vegetables-edible-nuts/dried-tropical-fruit/)!

E loro però lì non rimodulano. Anche perché a questo punto dovrei AGGIUNGERE le esportazioni che faccio verso l'olanda MA in triangolazione con destinazione finale EXTRA UE. E anche lì non rimodulano. Perché vedremmo, probabilmente, ancora i tedeschi in una posizione di forza.

Ma poi andrebbe tutto rivisto a questo punto. Anche le economie italiane, spagnola, greca, per dirne tre, vivono in gran parte di rivendite comunitarie, sono parzialmente economie di transito. Me ne accorgo quando importatori dichiarati presentano la dichiarazione d'intento in dogana.per l'esenzione iva. Come fanno ad avere un plafond di milioni di euro di credito nei confronti dello Stato se importano e basta? Perché riesportano. E infatti sono marchi famosi, che "vanno" in Europa. A questo punto detraiamo anche questo e il gap italiano, spagnolo, francese, aumenta ancora di xx miliardi di euro. E il conto cambia ancora, non tanto in termini di addizioni sottrazioni, ma in termini di definizione della composizione della struttura manifatturiera nazionale.

Per questo motivo, la Cina è la Cina, l'Olanda è l'Olanda e se io compro da un olandese che ha comprato a sua volta da un cinese, alla fine ne devo tenere conto in analisi più approfondite che comprendano TUTTI i flussi da e per i vari paesi UE, ma in termini di bilancio statistico non posso fare una scarpa (in import) e una ciabatta (in export) e senza esplicitarlo, peraltro.

Grazie comunque del prezioso contributo.

Un caro saluto.
Paolo

Grazie a te dello scambio di opinioni. Solo una ulteriore precisazione, la bilancia commerciale tedesca con l'Italia è identica in Destatis e Euroestat (+9,7 mld e +10 mld), poca la differenza con la Francia (+33 e +41), ma enorme quella con i paesi Bassi (-61 e -5,9, oltre 10 volte maggiore). Tutti riesportano, ma l'Olanda è un Paese che fa della riesportazione la sua forza dal '600. Entrepot mondiale diceva Arrigi. Soprattutto verso la Germania oggi. E, comunque, dato il suo deficit enorme con la Cina non riesporta dalla Germania verso la Cina in quantità tali da riequilibrare il deficit di bilancia della Germania stessa. Ne consegue, se il ragionamento fila (e io credo di si), che neanche la Germania ha un surplus con la Cina. Un caro saluto.
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Paolo Selmi
Monday, 19 November 2018 16:44
Grazie mille Domenico per quanto trovato.
Se così fosse, comunque è sbagliato non dichiararlo. Le statistiche non devono mostrare numeri, devono spiegare processi. L'Eurostat è trasparente, al punto che si capisce chiaramente il carattere olandese di "economia di transito" estrapolando i dati di cosa entra e cosa esce. Lo è molto meno l'istituto di statistica tedesco.
Tuttavia anche il valore delle esportazioni tedesche andrebbe rimodulato, a questo punto.
Anche la Germania riesporta.
Tutte le catene della GDO, per esempio, con i prodotti a loro marchio importati e rivenduti sull'intera piazza europea.
Poi c'è l'abbigliamento: ZALANDO, ADIDAS, PUMA, giusto per fare tre nomi.
BASF e GRUNDIG, tutto quello che fanno fare fuori e rivendono.
Per chiudere c'è il mercato delle spezie (http://www.indiaenvironmentportal.org.in/files/5.spices_report_web.pdf)... persino del caviale
(https://www.traffic.org/site/assets/files/9805/global_caviar_market-1.pdf) e della frutta tropicale essicata (https://www.cbi.eu/market-information/processed-fruit-vegetables-edible-nuts/dried-tropical-fruit/)!

E loro però lì non rimodulano. Anche perché a questo punto dovrei AGGIUNGERE le esportazioni che faccio verso l'olanda MA in triangolazione con destinazione finale EXTRA UE. E anche lì non rimodulano. Perché vedremmo, probabilmente, ancora i tedeschi in una posizione di forza.

Ma poi andrebbe tutto rivisto a questo punto. Anche le economie italiane, spagnola, greca, per dirne tre, vivono in gran parte di rivendite comunitarie, sono parzialmente economie di transito. Me ne accorgo quando importatori dichiarati presentano la dichiarazione d'intento in dogana.per l'esenzione iva. Come fanno ad avere un plafond di milioni di euro di credito nei confronti dello Stato se importano e basta? Perché riesportano. E infatti sono marchi famosi, che "vanno" in Europa. A questo punto detraiamo anche questo e il gap italiano, spagnolo, francese, aumenta ancora di xx miliardi di euro. E il conto cambia ancora, non tanto in termini di addizioni sottrazioni, ma in termini di definizione della composizione della struttura manifatturiera nazionale.

Per questo motivo, la Cina è la Cina, l'Olanda è l'Olanda e se io compro da un olandese che ha comprato a sua volta da un cinese, alla fine ne devo tenere conto in analisi più approfondite che comprendano TUTTI i flussi da e per i vari paesi UE, ma in termini di bilancio statistico non posso fare una scarpa (in import) e una ciabatta (in export) e senza esplicitarlo, peraltro.

Grazie comunque del prezioso contributo.

Un caro saluto.
Paolo
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Domenico Moro
Monday, 19 November 2018 16:12
Non è inusuale che le statiche nazionali e quelle eurostat siano diverse. Sui lavoratori indipendenti, ad esempio, c'è una differenza in più per l'Italia dovuta al fatto che noi contiamo 400mila codiuvanti.
Su riesportazioni Olandesi https://www.cbs.nl/en-gb/news/2017/18/trade-surplus-excluding-re-exports-20-billion-lower
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Domenico Moro
Monday, 19 November 2018 15:36
Caro Paolo,
ho fatto dei calcoli su export e import dei vari paesi europei versus Cina e versus Germania (se vuoi te li invio), e credo proprio che la differenza sia, come pensavo, nel fatto che i tedeschi calcolano nell'import le riesportazioni olandesi dalla Cina verso la Germania (o almeno parte di esse). A favore di questa interpretazione c'è il fatto che l'Olanda ha un surplus commerciale enorme verso la Germania (61 mld) e un deficit altrettanto enorme verso la Cina (-71 mld). I dati olandesi sono del tutto anomali (rispetto a tutti gli altri Paesi europei sia versus Germania sia versus Cina) e condizionati dal ruolo del porto di Rotterdam, il primo in Europa, che serve soprattutto la Germania. C'è chi ha calcolato che il surplus olandese dovrebbe essere abbassato di almeno 20 mld, per l'effetto Rotterdam. Le statistiche non sono una disciplina oggettiva, ma dipendono da scelte soggettive, che comportano classificazioni. In questo caso, però io non parlerei di manipolazioni tedesche, perché, a mio modestissimo avviso, è molto più corretto il loro conteggio da un punto di vista dei rapporti economici effettivi. Le statistiche devono servire a farci capire la realtà e secondo me la statistica eurostat non fa capire bene le relazioni reali, anzi le "maschera". Ma non è che lo fa apposta, adotta un criterio più formale, come spesso fanno gli isituti di statistica. Il problema è che per una analisi economica può essere fuorviante. Meglio il dato tedesco. Per queste ragioni bisogna fare attenzione a come le statistiche sono fatte, perchè in taluni casi possono sviarci. Purtroppo, in certi casi è facile fare valutazione sbagliate, ed è necessario conoscere molto bene i rapporti economici specifici (non solo i meccanismi tecnici), come in questo caso il ruolo dell'Olanda e di Rotterdam nei confronti della Germania in particolare. Aggiungo che errori del genere sono frequenti in campo statistico. Per questo si parla di avere "sensibilità" per il dato, cioé avere quella dimestichezza che consente di capire se un dato è anomalo o no. Ciao
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Paolo Selmi
Monday, 19 November 2018 08:04
Mi è venuto in mente anche questo contributo:
1. Se fosse davvero che arbitrariamente Berlino prende parte delle importazioni dall'Olanda e le fa diventare importazioni dalla Cina, sarebbe grave. Molte delle nostre esportazioni, per esempio, negli accordi bilaterali EUR-1 con i paesi extra-UE (Maghreb, Israele, molta America Latina), non godono di certificato eur-1 proprio perché la merce NON E' di origine non italiana, ma neppure comunitaria. Eppure figurano a bilancio delle nostre esportazioni. Allora come facciamo? E' assurdo, perché tutto andrebbe fuori controllo, ma se così fosse, e dovessimo seguire i tedeschi, dovremmo riscrivere TUTTE le statistiche europee, probabilmente anche le loro, che diverrebbero un po' meno esportatori (e però non applicano le loro rivendite in detrazione! Perché in export i dati collimano, quindi sarebbe doppia contraddizione). Vengo al secondo punto.

2. In teoria, a livello comunitario, dovremmo tutti tenere la stessa linea per determinare le statistiche. Altrimenti perdiamo il criterio comune e poi, oltre a interpretare i dati, dobbiamo anche interpretare i metodi e non ne veniamo più a capo. Peraltro, la mossa tedesca sarebbe doppiamente grave perché non avrebbe informato neppure di questo l'Eurostat, che infatti continua imperterrita a registrare attivi sulla Cina senza "accorgersi" che il suo Paese membro più grande dice al mondo l'esatto opposto: mi pare assurdo che mi debba accorgere io che sono nessuno di uno scostamento di trenta miliardi perché tu, che sei qualcuno, ma sempre un soldato semplice rispetto ai numeroni di Bruxelles, mi fai notare le statistiche ufficiali tedesche, che in teoria dovrebbero concordare con l'Eurostat ma che - di fatto - interpretano creativamente i dati a disposizione.

Che sia un'interpretazione "creativa" e senza spiegazione o segnalazione o critica dello scostamento da Bruxelles, mi sembra fuori discussione. I tedeschi non "sbagliano" di trenta miliardi di euro, anche questo è fuori di discussione.

Che si tratti di un "equivoco", di un "qui pro quo", su trenta miliardi e andando a manipolare una pappa già pronta a disposizione di tutti, mi sembra altrettanto fuori di discussione.

Che sia un caso isolato e che i tedeschi usino la statistica "creativa" in altri campi senza dire nulla a nessuono, mi sembra ormai un'ipotesi da sottoporre a verifica concreta.

Davvero più passa il tempo e più mi convinco che abbiamo individuato una pista molto interessante.

Buona settimana!
Paolo
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Paolo Selmi
Sunday, 18 November 2018 22:18
Un'ultima cosa, Domenico, scusami ancora ma mi è venuta in mente ora. Pezzi di lavoro che si sommano su passione politica e creano un minestrone mica da ridere... ma tant'è.

Se dai Paesi Bassi la merce entra dalla PRC e prosegue in Germania allo stato estero, ovvero in regime doganale di transito T1, l'importatore tedesco prenderà in carico il T1 sulla dogana tedesca di destino ed emetterà una bolla doganale di importazione con mittente cinese e importatore tedesco, proprio come se fosse arrivata ad Amburgo o all'aeroporto di Monaco. Queste operazioni, allo stesso modo dei T1 dal porto di Genova, vanno quindi statisticamente a rientrare nelle importazioni dalla Cina. Diverso è il caso di un olandese che compra dal cinese e rivende al tedesco. Si tratta di una triangolazione, che può essere effettuata allo stato estero o dopo aver "nazionalizzato" la merce, come si dice impropriamente nel gergo doganale. In questo caso, è l'olandese a figurare cme importatore e a pagare iva e dazio. Nel caso di una vendita allo stato estero, nella dogana tedesca va la fattura di seconda vendita, ovvero quella di valore aumentato dell'olandese, e il funzionario doganale può richiedere anche la prima per verificare che non ci siano casi di sottofatturazione. Anche in questo caso, tuttavia, nel campo 15 e nel campo 16 della bolla (Paese di spedizione e Paese di origine, rispettivamente) ci va CN e CN, mentre solo l'olandese va in campo 2. speditore). Statisticamente, quindi, anche in caso di triangolazione avremo un campo 15 CN che va ad associarsi a un valore in fattura su cui poi andare a estrarre i calcoli di cui sopra.

Grazie ancora

Paolo
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Paolo Selmi
Sunday, 18 November 2018 22:03
Grazie mille Domenico, e scusa ancora per questo impegno extra. Forse è solo una mia impressione, ma penso che uscirà qualcosa di molto interessante da questa ricerca.

Anzi, è da ieri che mi chiedevo come diavolo ho fatto a recuperare quei dati perché sul sito di Eurostat ci si perde. E infatti ieri non ci sono riuscito e mi sono ridotto a citare quel lavoro, da cui poi peraltro era partito tutto.

Ebbene, non ci crederai, ma smanettando davvero come se non ci fosse un domani... sono riuscito a risalire alla tabella da cui ero partito! Eccola:

http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?query=BOOKMARK_DS-018995_QID_23F053B6_UID_-3F171EB0&layout=PERIOD,L,X,0;REPORTER,L,Y,0;PARTNER,L,Z,0;PRODUCT,L,Z,1;FLOW,L,Z,2;INDICATORS,L,Z,3;&rankName1=REPORTER_1_2_0_1&rStp=&cStp=&rDCh=&cDCh=&rDM=true&cD

Sono dati aggiornati al 15 novembre, quindi a qualche giorno fa. Ho schiacciato il "+" su PERIOD e ho recuperato gli ultimi mesi e il totale dell'anno scorso.

Ebbene, Eurostat ha corretto i dati, ribassando un po' gli export e alzando un po' gli import, ma non di tantissimo. Sulla PRC abbiamo, in euro:
Totale EXPORT 2017: 87,202,529,359
Totale IMPORT 2017: 72,429,939,409

Questo è l'andamento mensile 2018 fino all'ultimo mese disponibile:
gennaio
EXPORT: 7,404,613,689
IMPORT: 7,376,909,077
febbraio
EXPORT: 7,005,646,842
IMPORT: 5,489,699,263
marzo
EXPORT: 7,956,014,981
IMPORT: 5,813,745,031
aprile
EXPORT: 7,509,723,215
IMPORT: 5,337,293,355
maggio
EXPORT: 7,618,479,452
IMPORT: 5,614,324,035
giugno
EXPORT: 8,325,813,431
IMPORT: 6,112,414,868
luglio
EXPORT: 8,017,631,286
IMPORT: 6,834,990,031
agosto
EXPORT: 7,913,205,108
IMPORT: 6,979,249,049
settembre
EXPORT: 7,991,241,847
IMPORT: 6,244,039,358

Così, a occhio, a parte gennaio mi sembra anche che gli stia andando meglio dell'anno scorso, guadagnando anche più di due miliardi di euro per mese da marzo a giugno.

Appurato quindi che non è un problema di aggiornamento e che Eurostat conferma una tendenza all'attivo commerciale sulla Cina abbastanza costante e numericamente importante, resta da capire allora perché i tedeschi nelle loro statistiche mostrino l'esatto opposto.

E qui mi affido a te ma, ripeto, ho la sensazione che sarà una ricerca che porterà a risultati interessanti, forse anche inattesi. Grazie davvero di tutto!

Buona settimana.
Paolo
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Domenico Moro
Sunday, 18 November 2018 20:30
Lascia veramente perplessi questa differenza tra il dato tedesco ufficiale e quello eurostat, anche perché il secondo prende i dati dal primo. Tuttavia, non sarebbe la prima volta che si assiste a una correzione di dati anche se in questo caso la differenza non è da poco. Noto che i dati di Destatis sono di ottobre 2018 e quelli della tua fonte di marzo-aprile 2018. Non vorrei che ci sia stata una correzione successiva. Ma è solo una ipotesi. Altra ipotesi è che le riesportazioni dai Paesi Bassi verso la Germania possano essere incluse in Destatis e non in Eurostat. Considera che alcuni hanno giustamente, secondo me, fatto notare che il surplus dell'Olanda andrebbe ridotto proprio a ragione delle riesportazioni. Cerco di venirne a capo. Ciao
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Paolo Selmi
Sunday, 18 November 2018 15:09
PPPS Domenico scusami, ho visto ora da una tua biografia sulla rete che sei ricercatore presso l'ISTAT dopo una passata carriera lavorativa in una multinazionale. Ti sarei a questo punto più che grato per un tuo parere tecnico-professionale e spiegazione su questa (apparente?) contraddizione fra dati tedeschi ed eurostat, se il discorso delle rese merce considerate per il calcolo che mi è venuto in mente, tiene oppure no, quale a tuo parere potrebbe essere il motivo di tale scostamento fra due agenzie statistiche ufficiali, se c'è dietro qualche interesse.
Con rinnovata stima, scusa per il disturbo che ti arreco con questa mia... ma a questo punto sfrutto l'opportunità per imparare, sia da un punto di vista metodologico, che contenutistico, sull'argomento.
Grazie ancora di tutto.
Paolo
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Paolo Selmi
Sunday, 18 November 2018 10:21
PPS Errata corrige e chiedo perdono perché l'ora era tada, ma meglio così un appunto, anche sbagliato, se poi può essere uno spunto per non perdere il concetto di fondo, almeno a mio modo di vedere (più che altro, di ragionare... una volta andavo in giro con le tasche piene di foglietti di cose che mi venivano in mente per strada, mentre andavo al lavoro in bici, praticamente ovunque...
errata corrige, peraltro madornale errore: resa FOB, nolo INTERAMENTE a carico del destinatario, in teoria. E epr centro di calcolo, ovviamente, si intende quello dell'istituto statistico, in quanto dal momento in cui il destinatario stacca il bonifico il cinese non prende più un marco.
Questo errore mi permette però di sviluppare ulteriormente l'argomento, seppur per sommi capi.
Nolo a carico del destinatario in caso di resa FOB. NON SEMPRE vero. Vale per noi che valiamo come il due di picche, vale ancor di più per i tedeschi che contano come x volte l'Italia in quanto potere d'acquisto sul cinese. Quand'è che accade questa eccezione? Quando c'è un ritardo di produzione e scattano le penali. H&M, LIDL, chiunque qui gestisca la compravendita di oggettistica dalla "rossa" Cina, ha delle scadenze: la cazzatina a 0.98 con un babbo natale di tessuto non posso venderla a gennaio. Per tenere sotto il capitalista cinese, il capitalista italiano gli mette le penali: ti ordino 10.000 pezzi e ti faccio felice, visto che puoi sfruttare appieno i tuoi connazionali con margini di ricarico da pomodoro in italia, ma se sgarri la data di consegna non ti pago x pezzi. il capitalista cinese pensa: spremo, giorno e notte, quasi come un lavoro in subappalto alla 'ndrangheta per un centro commerciale che deve inaugurare prima di natale, ma porca miseria non ne vengo a capo. cosa mi conviene di più? mandarla via aerea a mie spese o pagare la penale? mandarla via aerea a mie spese... ed ecco servita una resa FOB con nolo a carico del mittente.
Più è il potere d'acquisto e di cravattamento del destinatario sul mittente, e nei paesi del nord europa questo potere è maggiore che presso i capitalisti nostrani, più di bocca buona, spesso "obtorto collo", più questo espediente incide sulle rese FOB complessive. In tal caso, la statistica sballa perché in bolla, in assenza di nolo effettivamente, venduto, viene dichiarato un nolo preso dalla master AWB (nolo IATA) che è quello della compagnia aerea e di cui il destinatario non ha pagato neanche un euro (o un marco).
Tiramenti di collo a parte, anche le rese FOB normali, pur vedendo un destinatario che si accolla il costo del trasporto, proprio per questo motivo non legittimano in alcun modo il valore della merce in importazione preso al valico (CFR). Io capitalista tedesco pago la merce al capitalista cinese sulla ribalta del suo stabilimento e me la vengo a prendere come dico io col servizio che dico io. A fatturare al capitalista tedesco è quindi il capitalista tedesco connazionale che si occupa dei trasporti. E il capitalista tedesco trasportatore ricarica sul prezzo d'acquisto del nolo (altrimenti lavorerebbe gratis o in perdita, ovvero non esisterebbe), quindi nolo in bolla è un elemento del valore completamente originato su suolo teutonico. Primo punto. Solo il profitto però, potrebbe obbiettare qualcuno, perché il capitalista tedesco trasportatore il nolo lo compra da qualcuno, magari da un cinese, e allora saremmo - parzialmente - tornati al punto di partenza. Per i capitalisti che fanno la parte del leone, anzi, di squalo nel mondo dei trasporti internazionali, non è assolutamente vero. DHL (tedesca) ha filiali in tutto il mondo, aerei di proprietà, e ammazza il mercato con un controllo totale e tedesco della filiera. In questo caso, quindi, la resa FOB ancora una volta coincide con NON un centesimo in più in tasca ai capitalisti cinesi.

Occupiamoci ora di casistiche a questo punto minoritarie, in termini di componenti del valore complessivo del costo di trasporto internazionale. Subito dopo i capitalisti "giganti", ci sono i "titani": sono abbastanza capitalista "uomo" da non avere la mia flotta aerea, ma sono abbastanza capitalista "gigante" da avere una sede in Cina o a HK (Franco Vago, Panalpina, giusto per dirne due): negozio le rate direttamente con le compagnie aeree e marittime da là, gestisco in loco le prese FOB per tutta la parte del via terra, prenoto senza dare una lira ai capitalisti cinesi che di là si occupano di logistica, al limite se prenoto con Air China foraggio i capitalisti cinesi, se prenoto invece con Cathay foraggio il sig. Swire (https://en.wikipedia.org/wiki/Swire), se invece prenoto con Etihad foraggio i capitalisti arabi. E ci siamo pappati un altra fetta consistente di mercato.

Scendiamo quindi di livello a guardare le fettine. Il capitalista trasportatore non ha sedi e si deve appoggiare a un "corrispondente" locale che ci ricarica sopra. Scremiamo anche qui la quota di capitalisti spedizionieri cinesi con sede a Hong Kong, la quota resta ancora minore. Ed è limitata, per i motivi che ci siam sopra detti, all'acquisto di un servizio il cui costo effettivo, assolutamente, non è quello indicato in bolla doganale.

Infine, giusto per complicare la vita ulteriormente, il nolo aereo in bolla (questa pippa mentale nel nolo mare non esiste) si scorpora fra nolo extra UE e nolo UE. A richiedere questa procedura, comunque, non è lo Stato ma il capitalista comunitario che ci guadagna. In cosa consiste? In sostanza, il volo atterra a Malpensa. Ma Malpensa non è Daugavpils, o Zahony. L'aereo proveniente dal "paradiso del proletariato" passa il confine esteuropeo all'altezza dell'ultimo paese UE e da li ha ancora un pezzo da fare prima di atterrare. Da lì in avanti, però, il capitalista UE contestò che il nolo non era più extracomunitario, ma comunitario. Qual è allora la procedura che adottarono? Che si divide il nolo in proporzioni (di solito 80/20), sull'80 si paga dazio e iva, sul 20 si calcola solo l'iva.

Ecco perché statisticamente, se si considera sempre la base imponibile CFR per il computo del valore importato, e ripeto, è passata la nottata ma non mi viene in mente null'altro perché reputo entrambi gli istituti seri e attendibili e non possono sballare le cifre di 30 miliardi, si tratta di un errore grossolano.

Ancora una

Buona domenica.
Paolo
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Paolo Selmi
Sunday, 18 November 2018 00:06
PS Anche perché, Domenico, mi sbaglierò ma la composizione dei dati Eurostat che permettono di scorporare addirittura per voce doganale (tariff code), mi fa venire in mente la fonte dei loro dati, una fonte peraltro che ho sott'occhio tutti i giorni e che stupidamente non mi è venuta prima: le bollette doganali. Tutte le bollette doganali, infatti, a parte alcune procedure particolari che richiedono l'autorizzazione speciale del capo dogana, sono passate in telematico. Significa che ogni giorno l'Agenzia delle entrate di ciascun Paese è in grado di tenere sotto controllo cosa entra e cosa esce, distinto per voce doganale, disaggregata fino alla decima cifra del TARIC o aggregata per capitoli alle prime due cifre. Ma non solo: è in grado di vedere, tramite il campo delle basi imponibili, quanto entra e quanto esce in totale e, anche qui, disaggregato per voce o per capitolo, in euro ovviamente. Quanto entra è indicato in valore CFR o CIF porto/aeroporto comunitario (sia se indicato in fattura, sia se FOB + nolo + assicurazione eventuale e/o aggiustamenti), quanto esce in valore CIF o FOB (non essendoci dazi in esportazione, in questo caso il valore è inserito solo a fini statistici). Ed eccoci al dunque. Eurostat, con i dati disaggregati per voce o tipologia che vanno poi a coincidere sul totale di cui sopra, ha una coerenza che ho poi trovato nel comporre e scomporre i dati per fare le mie tabelline o minielaborazioni. A questo punto, tuttavia, il mistero si infittisce ancor più. Anche perché la fonte degli export è la stessa e, infatti, i totali si discostano di poco. L'unica ipotesi che mi viene in mente è che i tedeschi considerino SEMPRE il valore CFR porto/aeroporto comunitario. Ma sarebbe un errore grossolano, perché DOGANALMENTE si, il valore merce si compone ANCHE del nolo in caso di resa FOB, ma COMMERCIALMENTE una fattura FOB resta una fattura FOB, e io importando emetto un bonifico per merce franco fabbrica o porto di partenza, con nolo a carico INTERAMENTE del mittente, che non va a scalfire minimamente il mio centro di costo. Allo stesso modo, in export se vendo franco fabbrica nessuna statistica andrà a calcolare ANCHE le spese di trasporto da franco fabbrica a franco porto/aeroporto di destino, perché non fanno parte del mio venduto e sono totalmente a carico del destinatario. Altro non mi spiego, dopo averci pensato un po'.
Un caro saluto
Paolo
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Paolo Selmi
Saturday, 17 November 2018 21:48
Caro Domenico,
ti ringrazio molto per la tua precisazione che mi ha fatto tornare sulla fonte iniziale da cui poi avevo tratto il mio lavoro.
Si tratta di questo lavoro dell'Eurostat
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/China-EU_-_international_trade_in_goods_statistics#Germany_trading_most_with_China
Rispetto all'export, i numeri sono più o meno gli stessi:
Eurostat (87259) Destatis (86141). Dove non si trovano è l'import: Eurostat (72364) Destatis (101836). Sballano quasi 30 miliardi di euro.

Posso anche non aver capito bene. Poi però leggo che l'Eurostat continua e affonda il dito nella piaga: "Table 8c shows that only three Member States had a trade in goods surplus with China in 2017, these were Germany (EUR 15 billion), Finland and Ireland (both EUR 1.4 billion). The remaining 25 Member States had a trade in goods deficit, which for the Netherlands (71 billion) and the United Kingdom (33 billion) exceeded EUR 30 billion. Spain and Italy (both EUR 15 billion) and Poland (EUR 14 billion) were the other Member States with trade deficits higher than EUR 10 billion. "

THREE MEMBER STATES HAD A TRADE SURPLUS WITH CHINA... CON UN ATTIVO COMMERCIALE CHE E' ESATTAMENTE DELLO STESSO IMPORTO DEL PASSIVO CHE LA DESTATIS DENUNCIA CON LO STESSO PAESE. In questo momento mi sta venendo da piangere... perché non ci possono essere questi scostamenti. Sicuramente sono considerati fattori diversi, ma diamine, stiamo parlando di trenta miliardi di euro. Posso chiederti una cortesia? Qui trovi il mio indirizzo email, di quando ero giovane di belle speranze e pensavo che dopo un dottorato di ricerca passato con eccellente avessi qualche minima possibilità di collaborare con qualche università, anche a tempo perso, prima di tentare dopo altri canonici 10 anni qualche concorso per entrare come bidello. Poi mi sono rassegnato a morire camionaro (e speriamo non sotto un camion), ma il CV con i contatti l'ho lasciato:
https://iuo.academia.edu/PaoloSelmi/CurriculumVitae
Riusciresti a venire a capo di quei trenta miliardi? Mi potresti spiegare? Anche perché a questo punto devo correggere. E denunciare evidenti manipolazioni, a questo punto cercando di capire anche il PERCHE' di queste manipolazioni. Anche perché sono andato a rivedermi le tabelle originali e le tabelle hanno quei numeri, non altri.

Non cambierebbe, sostanzialmente, l'impianto. Il capitale tedesco si muove in Cina con un ritmo di esportazioni quasi sette volte maggiore per le esportazioni rispetto al nostro, per esempio. C'è anche da sottolineare che molte catene della GDO sono tedesche (la maggiore in UE LIDL e la quarta ALDI, per esempio, più le altre - http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/35222/lapprofondimento/grande-distribuzione-ecco-chi-domina-in-europa).
Pertanto, molte importazioni, di fatto, altro non sono che rivendite nel resto dell'UE. Me lo diceva un mio ex collega (tedesco) facendomi un esempio proprio sulla GDO: il container arriva ad Amburgo col suo carico di cianfrusaglie che troviamo "in offerta" a qualche prezzo ottico (19.99 29.99 ecc. già prezzati sul prodotto cinese), quindi passa il cesto delle offerte nei Lidl o Aldi tedeschi, quindi austriaci, quindi altri Paesi, per chiudere infine l'invenduto fra i PIGS. Non gli rimane sul gobbo ed è tutto margine di profitto commerciale. Commerciale però, non industriale. Per la GDO, e per tutti i settori industriali esternalizzati. Un capitale quindi dove il profitto nasce da una doppia composizione: industriale da un lato (verso la Cina) e commerciale dall'altro (dalla Cina verso il resto della UE e dei Paesi dell'Est). Per questo sarebbe giusto fare chiarezza su questo punto.

Un grosso grazie ancora di tutto, scusami se ti chiedo questo supplemento di indagine e una
buona domenica!
Paolo
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Domenico Moro
Saturday, 17 November 2018 18:33
Non entro nel merito su tutto il discorso. Solo una precisazione su un errore, che, per la verità, è molto diffuso. La Germania non è in attivo commerciale con la Cina. Bensì, come gli altri Paesi europei, in deficit. Si veda il sito dell'Istat tedesco. 86 mld di euro di esportazioni contro quasi 102 di importazioni, ossia 15,7 miliardi di deficit. https://www.destatis.de/EN/FactsFigures/NationalEconomyEnvironment/ForeignTrade/Tables/OrderRankGermanyTradingPartners.pdf?__blob=publicationFile
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Paolo Selmi
Wednesday, 14 November 2018 23:47
Qualche considerazione:

"A quest’ultimo riguardo sta sempre più emergendo un atteggiamento che vede nella BRI un progetto non da condividere, ma da ostacolare. Si è passati da uno “scetticismo passivo” [2] a qualcosa di peggio."

Che dire, quando "la PRC in UE ha potuto investire nel 2017 per 29,7 miliardi di EUR, l’UE in PRC per 6,9 82 (il rapporto è meno di un quarto, altro che reciprocità!). Ma c’è dell’altro: di questi quasi sette miliardi di investimenti UE in terra di Cina, TRE QUARTI provengono da soli 4 (quattro!) Paesi “prendi tutto” (su 28! dati purtroppo in miliardi di USD) Olanda (2,17), Germania (1,54) , GB (1,5) e Danimarca (820 milioni). Le restanti briciole al resto dei “capitani coraggiosi”." (https://www.academia.edu/37305627/Riportando_tutto_a_casa._Appunti_per_un_nuovo_assalto_al_cielo , p. 82, ma l'intero capitolo, pp. 77-88 lo ritengo molto interessante)

Sottolineo quello HA POTUTO perché, nel capitolo precedente (pp. 65-76) dimostravo cosa volesse dire quella mancanza di reciprocità poi esplicitata con ulteriori dati.

Altre note a margine. "Primo: La BRI è un modello economico alternativo a quello prevalente in Occidente dagli anni Ottanta." La BRI non è un modello economico, è l'infrastruttura necessaria all'esportazione di capitale (FDI) e agli sbocchi commerciali per merci generate da un'ipertrofia turbocapitalistica in cerca di mercati ovunque ormai sul globo. Un modello economico, senza ambire a essere un modo di produzione è, per esempio, il commercio equo e solidale. Il commercio sulle rotte cinesi segue le regole riconosciute dal capitalismo globale e globalizzato. Tutte: quelle scritte e quelle non scritte. Mi diverto, ogni tanto, quando ci tirano il collo mettendoci l'uno contro l'altro e dando il lavoro a quello che per un trasporto non ci paghi neppure la benzina, a rispondergli "this is your win-win vision... 不好意思! (bu hao yisi, "vergogna!") Ma loro non si vergognano ormai di nulla, hanno superato il maestro occidentale.

II. "La BRI rappresenta un ponte tra Asia ed Europa.", "conveniente per l’intero continente eurasiatico."
Alla luce di quanto scritto, non capisco quale possa essere la "convenienza", se non la loro. Non è un ponte, è un "corvus", ovvero quell'asse con cui i nostri antichi antenati (autori peraltro di vie simili lungo il loro impero che hanno resistito ai millenni...) vincevano le loro prime battaglie navali arpionando le navi nemiche e combattendo come sulla terraferma. Persino l'89%di questi corridoi commerciali è costruito da ditte cinesi (https://www.merics.org/en/blog/dispute-settlement-chinas-terms-beijings-new-belt-and-road-courts), alla faccia almeno della parvenza di win-win...

III-IV Germania-Cina. Siccome in Cina non entra nulla se Cina non vuole, a differenza dell'Europa, e siccome la Germania è IN ATTIVO COMMERCIALE con la Cina, a differenza, dell'Italia, e siccome la Cina vuole Trieste perché a poche centinaia di km da Monaco, non perché le piace la Bora, in quanto le farebbe risparmiare altri dieci giorni di transit time come minimo sul via mare, tutto questo astio è quantomeno discutibile.

V. Si nutre la speranza che la BRI risulti un progetto economicamente fallimentare. Il via mare no, visto che la Cosco, dopo aver comprato il porto del Pireo (qualcuno si ricorda della Rubattino? E' la COSCO oggi... in scala 1/1000) ora si porta a casa due porti italiani e prosegue nella sua opera di consolidamento di posizioni di forza commerciali. Il via terra è invece un'operazione in perdita, per dare lavoro a ditte cinesi in cambio di mazzette e prebende a danno di qualche tonnellata di cemento armato sparsa su 12-13 fusi orari: "Chongqing-Duisburg, Yiwu-London, Yiwu-Madrid, Zhengzhou-Hamburg, Suzhou-Warsaw, and Xi’an-Budapest are among the more than 40 routes that now connect China with Europe. Yet out of all these, only Chongqing-Duisburg, connecting China with Germany, was created out of a genuine market need. The other routes are political creations by Beijing to nourish its relations with European states like Poland, Hungary, and Britain." (http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article46459#nb5). Del resto, parliamo di transit time e di costi. un nolo mare di un venti piedi o di un quaranta costa x, un nolo via ferrovia costa 3x, per un transit time di una settimana inferiore (3 vs 4 con servizio diretto Shanghai-Genova). Chi oggi accetterebbe di pagare il triplo per ricevere la stessa merce una settimana prima? E infatti, che queste cattedrali nel deserto siano perlopiù finanziate (si stima 6-8000 dollari a FEU, l'equivalente di un quaranta piedi) da Pechino, non è un segreto (https://www.joc.com/rail-intermodal/international-rail/china/asia-europe-rail-subsidies-come-hidden-costs-network_20181004.html).

VI. I vincoli europei alla Cina sono "assurdi". Basterebbe introdurre un criterio di reciprocità nello scambio. Compri una ditta europea tu quando ci lasci comprare una ditta cinese a noi. Capitalista non mangia capitalista. Lupo non mangia lupo. Troverebbero subito un accordo, come adesso stanno facendo con Trump dove hanno fatto il loro bel conticino costi benefici e hanno deciso di non replicare con le sanzioni. La cosa più assurda, purtroppo non segnalata, è che entrambi stanno mungendo donne, uomini, ambiente, risorse come mai è stato fatto nella storia di questo martoriato pianeta. E ci stanno portando tutti, da est a ovest, a un disastro ambientale senza precedenti.

" la vocazione geografica dell’Italia non può esaurirsi nel diventare un punto di transito dei traffici da e per la Mitteleuropa, attraverso i porti di Trieste, Genova e Vado Ligure." No, facciamolo anche diventare un punto di transito da e per l'Africa, meglio, "un perno del rilancio della centralità dell’Italia nei traffici nel mediterraneo, soprattutto in direzione Nord Africa e Medio Oriente": transito verso l'alto e transito verso il basso, tutti sui muletti, a sdoganare merci e a fare bolle di accompagnamento. Del resto, con 14,26 miliardi di euro di saldo commerciale passivo, cosa possiamo pretendere? Quando le navi attraccano a Genova stipate e ripartono semivuote, il che DOVREBBE FAR RIFLETTERE sull'opportunità di deturpare un altro pezzo di Liguria col mostro di Vado Ligure, visto che non serve a noi, ma a loro, mi ripeto, cosa possiamo pretendere? Che qualcuno pensi anche a come invertire la rotta? Se non altro perché fare a turno sul muletto in 60 milioni è un po' problematico?

E mentre le stelle stanno a guardare, la borghesia compradora nostrana applaude e fa (ancora per poco, fino a quando sarà anch'essa comprata) affari d'oro con i "compagni" (meglio, compari) d'oltremuraglia.

Paolo Selmi
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