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sotto le bandiere

La rivincita della Germania

Michele Basso

Quando, caduto il muro di Berlino, le merci e i capitali tedeschi invasero l’Europa orientale, ci fu chi giustamente osservò che la conquista, non riuscita ai panzer di Hitler, era stata ottenuta con altri mezzi. La Germania sostituì la Russia come partner commerciale in quasi tutta l’area. Quindi la rivincita sulla Russia c’è già stata, bisogna vedere se questo avverrà anche nei confronti delle potenze occidentali. Qui è possibile fare solo ipotesi. Mentre i cambiamenti materiali delle condizioni economiche della produzione possono essere verificati con precisione  scientifica – spiegano Marx ed Engels - le forme politiche con cui si affrontano i conflitti originati da queste condizioni devono essere spiegate indirettamente con le contraddizioni della vita materiale. Sarebbe semplicistico, perciò, attribuire alla Germania un peso politico e militare proporzionato alla sua importanza economica, perché non si possono trascurare fattori storici importantissimi, che pesano sulla politica e sulla psicologia di una popolazione. Il ricordo delle sconfitte militari, quello dell’iperinflazione del 1923,  i vincoli dei trattati e la presenza di basi militari americane sul suo territorio non sono certo condizionamenti poco rilevanti.

Prima del crollo dell’Unione Sovietica, le motivazioni che avvicinavano la Germania agli USA prevalevano sui contrasti. La politica estera aveva forti limitazioni, ma le condizioni di marca di frontiera e la presenza di un forte impegno americano le portavano molti vantaggi, tra cui quello di non spendere eccessivamente per la difesa, e potersi concentrare sullo sviluppo economico.

Con la fine della presunta minaccia russa (in Europa la Russia fu pressoché sempre sulla difensiva), assorbite le difficoltà dovute alla fusione, si affermò come prima esportatrice mondiale, solo recentemente superata dalla Cina. Il gigante economico non accetta più di rimanere un nano politico, ma gli ostacoli non sono pochi. L’apparato militare tedesco è ancora molto legato a quello USA, e non è facile che si ripeta con gli americani quello che accadde con i russi, che dovettero chiedere un finanziamento tedesco per poter portare via i propri soldati dalla Germania orientale. La cautela della politica estera di Berlino dà l’impressione di una linea per certi aspetti pacifista, ma sappiamo che è apparenza. Non esiste un imperialismo pacifico.

Le pressioni di Obama perché Germania e Cina riducano il volume delle esportazioni non data da oggi, e la Merkel aveva risposto picche: «Prima di imbarcarsi per il vertice di Seoul», ha ricordato l’Handelsblatt, «Angela Merkel ha opposto un chiaro rifiuto alla proposta americana». Il disappunto non è dissimulato dietro le consuete perifrasi diplomatiche: «La cancelliera mette in chiaro», ha ripreso il quotidiano, «che la disuguaglianza nelle relazioni commerciali ha anche a che fare con la capacità competitiva dei prodotti sul mercato e che obiettivi quantificati di riduzione del proprio export non saranno neppure presi in considerazione dalla Germania. Così come misure quali corridoi di destinazione o vantaggi per particolari flussi commerciali».(1)

Gli Stati Uniti, sostenitori armi alla mano del “libero mercato”,  praticano sottobanco forme protezionistiche, spesso con pretestuose verifiche sulla qualità dei prodotti. E gli europei non sono da meno. La guerra commerciale tra i diversi paesi assume altre forme. Regolarmente i giocattoli cinesi sono dichiarati dannosi per i bambini per via dei coloranti, le auto giapponesi risultano difettose, i formaggi tedeschi si colorano di blu, e a volte succede molto peggio. Qualcuno ha già parlato di sabotaggio, ma è non è facile trovare prove.

Espandere le proprie esportazioni quando le altre potenze imperialistiche ne sono danneggiate è possibile solo se un paese ha un alto grado di indipendenza. Il Giappone ha dovuto più volte rivalutare la propria moneta per ridurre il proprio surplus con gli USA o contingentare le proprie esportazioni, ma ora la Germania si trova di fronte a un governo americano che corre il rischio del fallimento economico. Questo accresce il potere negoziale della Germania, ma rende ancora più pericolosa la reazione USA, nel caso di scontri economici e politici.

La Merkel non può tener duro su tutto, e deve cedere in parte sulla questione della Grecia. La proposta di un rinnovo volontario dei bond arrivati alla scadenza da parte dei creditori, però, è una  scappatoia. Se per il presidente della BCE non è un default, per Fitch e Standard & Poor e Moody’s  lo è, perché il rinnovo volontario non è credibile in questa situazione.

La Germania sta usando la UE come uno strumento di pressione sulle economie più deboli, che non hanno più la salvaguardia della svalutazione, cioè l’unico strumento, accanto alla riduzione dei salari, che permetterebbe loro di resistere alla concorrenza tedesca. Questo rende sempre più instabile l’economia europea, e quella dell’Eurozona in particolare.

I mutati rapporti di forza economici rendono obsoleto l’apparato politico, che per un certo periodo ha permesso di regolare i rapporti tra i vari paesi europei, con infinite mediazioni, attenuando la conflittualità, e permettendo un notevole sviluppo economico. La vecchia UE, a direzione franco-tedesca, con l’Inghilterra che, pur contando molto nell’Unione, giocava il ruolo di euroscettica e filoamericana, e l’Italia che aveva un suo ruolo, non esiste più. Il giudizio dell’economia è drastico: egemonia tedesca. In quale forme politiche si tradurrà questa tendenza dipende non dalla sola Europa, ma dai rapporti di forza economici, politici e militari mondiali.

Quale sarà allora la politica estera di Berlino? Non c’è bisogno di pensare a svolte immediate, ad un’uscita dal Patto Atlantico. Come la storia italiana insegna, si può essere in un’alleanza e operare in senso opposto (ad es. l’Italia nella Triplice Alleanza con Austria e Germania, o Grecia e Turchia nella Nato, pronte a scannarsi su Cipro). E, data la finzione diplomatica, i dissidi reali vengono alla luce piuttosto tardi.

Il marxismo demistifica queste ipocrite coperture diplomatiche, e dimostra che esiste una lotta continua, tra stati, tra imprese, tra classi. La politica ufficiale presenta le lotte come scontri di princìpi e di religioni, democrazia contro totalitarismo, cristianesimo contro islamismo. Almeno gli antichi avevano fantasia, e le loro creazioni erano vive. Diomede, cui Atena ha conferito forza sovrumana, ferisce in battaglia Afrodite, accorsa in aiuto di Enea, costringendola a tornare in Olimpo. Nella trita cronaca e nelle articolesse dei nostri gazzettieri, Gheddafi calpesta gli spettrali Diritti Umani, ferisce l’eterea Madonna Libertà, che, fuggendo, non incontra Ares, Dione, Zeus, ma Sarkozy, La Russa e Frattini.

Tutte le fonti ufficiali, i partiti, i sindacati, la cosiddetta società civile, parlano, e si comportano come se questi fantasmi, Libertà, Giustizia, Democrazia, Diritti Umani, esistessero realmente, e avessero un seggio nel Palazzo dell’ONU. Queste divinità moderne sono così astratte e incorporee, da poter servire in qualsiasi salsa, contro Ahmadinejad, Saddam, Assad, o gli ex difensori dell’occidente Mubarak e Ben Alì, diventati reprobi in un attimo. Le diplomazie si guardano bene dal far trapelare i contrasti reali, economici e politici, che si celano dietro questo palcoscenico, su cui operano queste figure impalpabili. Non c’è dubbio che simili argomenti sarebbero usati anche contro la Germania, se si ponesse realmente contro Washington.

Alcuni giornali tedeschi Die Welt, Die Zeit, e americani, tra cui il Wall Street Journal,  discutono dei contrasti Usa–Germania, della preoccupazione Usa per il programma tedesco di uscita dal nucleare e il rifiuto di sostenere l’economia americana con acquisti massicci di merci statunitensi.

L’argomento di Washington: c’è la sfida cinese, l’Occidente perde quote del mercato mondiale, quindi Europa, Usa e Giappone devono cooperare e trovare nuovi alleati, come l’India o i paesi ASEAN. La Germania dovrebbe abbandonare i tentativi di creare assieme alla Russia un contrappeso contro gli Usa. “...gli Usa, ancora la potenza internazionale dominante, sono sempre più alla ricerca di alleati per conseguire i loro obiettivi internazionali nonostante le serie difficoltà interne: la loro base economica vacilla, le infrastrutture si sgretolano, le finanze statali preoccupano seriamente” (GFP).  Die Zeit scrive che le lodi di Obama alla Merkel hanno un prezzo: le relazioni tedesco-americane sono turbate perché la Germania si è posta dalla parte di Russia e Cina nella guerra in Libia. Obama chiede che la Germania agisca in modo corrispondente al proprio peso internazionale, assuma responsabilità nella penisola araba e in Libia:  “Obama ha ricoperto di lodi la Merkel e la Germania, potenza globale, centro dell’Europa, chiave per tutto ciò che gli Usa vogliono ottenere a livello mondiale.”

E continua: “La Merkel numero 1 in Europa, e chi se no? Non Sarkozy, troppo iperattivo, egocentrico; non Berlusconi che non può più essere preso sul serio; non Cameron che deve concentrarsi sui problemi interni, e deve fare passi indietro anche nelle missioni militari, in cui la GB ha un vantaggio nelle relazioni con gli Usa, e non fa neppure parte dell’euro.

La Germania ha tenuto sotto controllo le conseguenze della crisi finanziaria meglio degli altri paesi occidentali, la Merkel ne esce rafforzata e raccoglie i frutti delle riforme del suo predecessore.”
(2)

Il 16 giugno gli Stati Uniti hanno raggiunto il tetto del debito pari a 14,3 trilioni di dollari, fissato dal  Congresso nel 2010 : “il 17 giugno l’agenzia di rating Moody’s ha avvertito che, se la decisione dell’aumento del tetto del debito non verrà presa entro la metà di luglio, ciò porterebbe a un abbassamento del rating USA e se il tetto non venisse alzato per il 15 agosto questo significherebbe un ulteriore abbassamento del rating USA fino a R.D., che significa default limitato...”.

Secondo Gavrilechko,  Greenspan, dando eccezionale risalto alla situazione greca, sta preparando l’opinione pubblica a un default limitato per gli Stati Uniti, di cui verrà data la colpa al “disastro greco”:  “sarebbe una  conseguenza sproporzionata ai problemi della Grecia, che non dovrebbero influenzare gli USA: gli asset lordi delle banche  americane e dei broker emessi dalla Grecia ammontano a soli  32,7 miliardi di dollari e gli asset netti sono ancora inferiori.”

Una bancarotta “parziale”, scaricando la colpa sulla Grecia. L’abbiamo detto più volte, i creditori superarmati non pagano i debiti.

La scoperta in Germania di lingotti d'oro falsi ha riportato sulla scena una notizia circolata nell'autunno del 2009 e poi scomparsa dai media, la vendita alla Cina di lingotti al tungsteno placcati d’oro: “Il lotto conteneva barre di tungsteno coperte con una fine patina d’oro. Questi lingotti “d’oro” erano stati prodotti negli Stati Uniti e sono stati conservati a Fort Knox per molti anni.”(3)  E dire che giornalisti come Travaglio continuano a presentare gli Stati Uniti come un modello per l’Italia. Di fronte a questa “affidabilità” del governo americano, la Merkel deve fare i suoi calcoli.

Di sicuro non ci troviamo più di fronte alla Germania europeista e filoatlantica, pronta a condividere con la Francia la direzione della UE. Non è più, come al tempo della guerra fredda, la Marca orientale dell’Impero americano. Mentre dà l’impressione di volersi tener fuori dalle grandi scelte della politica estera, mantenendo un profilo basso, in realtà sta preparando le condizioni per la propria politica mondiale.

Gli scenari possono essere diversi, ma ridursi fondamentalmente a due:

1) La Merkel accetta le proposte di Obama, e allora le viene concessa “in leasing” la guida dell’Europa. Come contropartita, dovrebbe esserci un forte impegno finanziario e di polizia internazionale, e un allentamento dei legami economici russo-tedeschi. Alla Francia e all’Inghilterra, con una sorta di soluzione neo–bismarckiana, verrebbe lasciato un certo sfogo in Africa. E l’Italia? Zitta e mosca!

2) Se invece sceglie la via della collaborazione con la Russia, si trova di fronte a un paese perfettamente complementare, che ha bisogno di capitali e prodotti industriali e ha in grande abbondanza gas, petrolio, ma anche prodotti alimentari. Dal punto di vista economico, sarebbe una soluzione ottimale, ma gli Stati Uniti non accetterebbero tanto facilmente questa scelta, e porrebbero infiniti ostacoli. A meno che la crisi finanziaria non li metta in ginocchio, e il tal caso perderebbero attrattiva come una calamita smagnetizzata. Per questo, il governo tedesco cerca di guadagnare tempo, che lavora a suo favore, essendo il debito americano sempre più incontrollabile.

Se la seconda ipotesi si realizzasse, l’imperialismo italiano potrebbe rientrare nel gioco, sfruttare i contrasti internazionali, trattare con gli USA invece di genuflettersi,  ma questo sarebbe impossibile senza una sostituzione totale di questa classe dirigente, assolutamente incapace di una politica almeno in parte autonoma. Sia chiaro che, serva o autonoma, la borghesia italiana resta sempre e comunque il  nemico immediato dei lavoratori della penisola.

L’Eurozona, in entrambi i casi non può avere sviluppi, e lo scetticismo si diffonde ovunque.

50 anni fa, in molte scuole, ai bambini si faceva cantare: “Europa, Europa, Europa/ tu sei la nostra patria..., ora si è tornati a “Fratelli d’Italia”. Il superamento delle nazioni, finché sarà al potere la borghesia, resterà una favola. Il capitale si trova stretto nell’ambito nazionale, ma la sua soluzione non è l’internazionalismo, è la subordinazione dei paesi più deboli a quelli più forti. L’ultima parola del capitale resta l’imperialismo, mai la borghesia, classe da molto tempo reazionaria, potrà andare oltre.

L’Europa può essere al massimo il campo della battaglia economica della Germania, e se il suo vantaggio economico crescerà ancora, Francia e Inghilterra si rifugeranno sotto l’ala degli Stati Uniti. E’ improbabile, però, che, nel prossimo futuro, l’antagonismo economico si trasformi in militare, non tanto perché la Germania non ha abbastanza armi – potrebbe costruire l’atomica in breve tempo – ma perché una guerra interoccidentale vorrebbe dire consegnare egemonia mondiale, “chiavi in mano”, alla Cina.

I lavoratori non hanno niente di buono da aspettarsi da questa nuova situazione, e possono riprendere peso soltanto stringendo legami con i salariati degli altri paesi e con gli immigrati, perché la loro forza consiste nel numero e nell’unità nelle lotte.

 

Note

1) Il ring del G20, La Merkel rimbalza Obama”, “Stampa tedesca: lo scontro Usa - Germania su politica monetaria. Lettera43, 11 Novembre 2010.
2) La traduzione di questi articoli si trova nel sito de “L’Internazionalista, sinistra comunista” del 15 giugno 2011.
3) Yuri Gavrilechko Default per Grecia e Stati Uniti  Strategic Culture http://www.strategic-culture.org/news/2011/06/24/default-by-greece-and-the-us.html , Traduzione www.comedonchisciotte.

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