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La vecchia Terza Guerra Mondiale

di Fosco Giannini

IMMAGINE PRIMO EDITORIALE GianniniTerza guerra mondiale: il suo fetore orrendo si sente già nell’aria. Ma è proprio vero che è dalle “tubature esplose” della crisi ucraina che l’odore acre di questa Terza Guerra ha iniziato a propagarsi? Oppure essa cova da tempo, da decenni e decenni va accumulando la sua forza nefasta, da più di mezzo secolo va preparando l’esplosione finale per l’umanità? È proprio vero, come hanno infelicemente affermato alcuni spezzoni della sinistra pacifista italiana, anche comunista, che sarebbe “l’attuale spinta egemonica della Russia” ad accendere la miccia della Guerra Finale, oppure di tale guerra è gravido da un lungo tempo il ventre imperialista?

La storia ci dimostra che non ci sono dubbi alcuni: è qui, in questo ventre oscuro, in questo “cuore di tenebra” (qualcuno ricorda il signor Kurtz di Joseph Conrad, il colonnello Kurtz in Apocalypse Now?) che la Terza Guerra va da tempo sedimentandosi.

Sono gli USA, ormai da un lungo tempo, il “cuore di tenebra”. È la loro intima struttura economico-finanziaria a condannarli a muoversi come “l’essere oscuro del mondo”. E condannare il mondo a subire questa essenza oscura. È il complesso militare-industriale e politico nordamericano a determinare la natura aggressiva, spoliatrice, guerrafondaia, ferocemente imperialista degli USA. È il flusso immenso di denaro che esonda dalle multinazionali americane delle armi che, allagando con la sua materia sanguinolenta il Pentagono, gli Appaltatori della Difesa, il Partito Democratico, il Partito Repubblicano, la società, le istituzioni, le università, il Congresso, i Rami Esecutivi, fa degli USA il più violento imperialismo della storia dell’umanità.

Non era stato forse lo stesso Presidente Dwight Eisenhower ad avvertire il popolo americano, nel suo discorso di commiato dalla presidenza, il 17 gennaio 1961, che un pericolo immenso contro la democrazia americana e il mondo intero proveniva dal complesso militare-industriale e politico degli USA?

Stanno forse qui ed ora, dunque, in questa odierna crisi ucraina, le basi materiali della Terza Guerra Mondiale? Non facciamo ridere la Storia. Poiché esse stanno da un’altra parte, nel “cuore di tenebra” dell’imperialismo americano.

La struttura economico-finanziaria americana, tutta incardinata attorno al complesso militare-industriale – le prime 5 aziende d’armi al mondo, Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon e General Dynamics, sono tutte americane e registrano da sole il 66% dell’intero ricavo da merci militari del mondo – ha trasformato il suo stesso Paese in un’insaziabile macchina da guerra. Una macchina bellica che è stata in azione, dalle guerre di sterminio contro i nativi e dalla prima guerra del Messico del 1876 sino agli odierni conflitti – spargendo violenza, sangue e terrore nell’intero mondo e producendo immensi profitti – per il 93% dell’intera storia degli USA, che sono stati in pace, dall’anno della loro Dichiarazione d’Indipendenza, 1776, sino ad oggi, per soli 21 anni su 226.

La Terza Guerra Mondiale non nasce ora: nasce nel 1949 con la disgraziatissima costituzione della NATO. Cresce con la guerra americana in Corea del 1950-53; con la guerra contro il Guatemala del 1954; con quella contro il Vietnam del 1955-58; con la guerra contro Haiti dello stesso ’58; con la ripresa dell’attacco militare contro il Vietnam che dal ’60 arriverà sino al 1975, sino alla sconfitta americana; crescerà ancora, la Terza Guerra Mondiale, con la lunga e durissima Guerra Fredda scientemente voluta dagli USA per dividere il mondo tra servitù della casa e nemici, e dissanguare l’Unione Sovietica; con le guerre, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, contro l’Afghanistan, il Nicaragua, il Libano; con l’invasione di Grenada del 1983; con l’invasione di Panama alla fine degli anni ’80; con la guerra nelle Filippine del 1989; con la Prima Guerra del Golfo del 1991, con l’invasione di Haiti del 1994; con i bombardamenti USA-NATO della Bosnia-Erzegovina del 1995; con i bombardamenti contro il Sudan del 1998; con la guerra contro lo Yemen del 2002; contro il Pakistan e la Somalia del 2007; con le guerre di distruzione e genocidi contro la Jugoslavia, l’Iraq, la Libia, la Siria e di nuovo contro l’Afghanistan. Solo nell’ultima fase storica.

Il 95% delle operazioni militari lanciate nel mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale sono state quelle degli USA e della NATO. Ed è qui, in questa politica criminale degna di una nuova Norimberga, la lunga Terza Guerra Mondiale messa in campo dal complesso militare-industriale e politico americano che prepara da sempre la bomba finale contro l’intero pianeta.

Ma le guerre planetarie non sono bastate all’Impero: gli interventi militari sotto forma di colpi di stato hanno anch’essi costellato l’intera storia americana.

Nel 1948 ci fu il primo “golpe” USA, già in odore di petrolio, contro il Venezuela di Rómulo Gallegos. Nel 1954 la CIA organizza un colpo di stato in Paraguay per collocare al potere il suo generale di fiducia, Alfredo Stroessner, che dominerà il Paese nel buio fascista sino al 1989; nello stesso ’54 gli USA organizzano e sostengono il “golpe” in Guatemala contro il Presidente progressista Jacobo Árbenz; nel 1963 rovesciano con un intervento militare Juan Bosch, Presidente della Repubblica Dominicana; nel 1964, il presidente americano “buono”, John F. Kennedy, organizza un colpo di stato in Brasile a favore del “regime dei gorillas” capeggiato da Castelo Branco, regime che terrà il Brasile sotto la dittatura militare per 21 anni, sino al 1985; nel 1966 gli USA portano al potere in Argentina, con un “golpe”, il capo delle Forze Armate Juan Carlos Onganía e nel 1976 il fascistissimo generale Videla; nel 1971 è il Presidente USA Richard Nixon a guidare il colpo di stato in Bolivia contro la trasformazione sociale guidata da Juan José Torres, sostituito con il servo americano generale Hugo Banzer Suárez; nel 1973 siamo al “golpe” USA in Uruguay che porta alla presidenza Juan María Bordaberry che guida la dittatura fascista sino al 1976, quando un’altra tirannia militare filo americana subentra e rimane al potere sino al 1985; nel 1973 c’è il colpo di stato in Cile contro il governo Allende, che porta al potere il nazifascista Augusto Pinochet; nel 1979 gli USA sostengono il “golpe” militare in El Salvador contro il Presidente Carlos Humberto Romero; nel 1992 è la volta del Perù: l’Ambasciata americana a Lima dirige le operazioni a sostegno dell’“autogolpe” di destra di Alberto Fujimori; ad Haiti, nel 2004, gli USA costringono Jean-Bertrand Aristide a lasciare la sua carica di Presidente della Repubblica Centrafricana. Dirà più avanti Aristide: “Dei militari agli ordini degli USA vennero nella mia casa a Port-au-Prince e mi costrinsero a firmare un documento attraverso il quale cedevo il potere. Se non avessi firmato, i militari avrebbero sparato sulla popolazione”; nel 2009 tocca all’Honduras: un intervento militare guidato dai falchi americani depone il presidente Manuel Zelaya. E sono di quest’ultima fase i “golpe” guidati dagli USA contro il Brasile di Lula e la Bolivia di Evo Morales. Come guidati esplicitamente dagli USA sono stati i nuovi tentativi di destabilizzazione golpista condotti ancora pochi mesi fa contro Cuba e contro il Venezuela, in questo caso attraverso la messa in campo di Juan Guaidó, un fantoccio americano meno fortunato di quello ucraino: Zelensky.

Abbiamo descritto minuziosamente questa lunga teoria di orrori e di violenze americane per tentare disperatamente di ristabilire la verità storica, di rintracciare quel lungo “fil noir” statunitense che unisce il napalm sul Vietnam all’assassinio di Allende, i “desaparecidos” di Videla ai 300 mila morti dell’Iraq, l’uranio impoverito sulla Jugoslavia ai nazisti di Piazza Maidan. L’abbiamo descritta, questa infinita teoria di orrori, per sottrarci alla “bomba atomica” mediatica occidentale, tendente ad individuare in Putin l’architetto di una Terza Guerra Mondiale che da mezzo secolo è invece scientemente preparata dalle forze imperialiste, USA e NATO in testa.

Peraltro, le dichiarazioni di Biden a Varsavia del 27 marzo scorso (“Il capo del Cremlino è un macellaio e non deve restare al potere”) dicono ben più di un documento ufficiale la vera linea degli USA: far crollare l’attuale potere russo – quello che ha messo la “R” nell’acronimo dei BRICS e che partecipa, con la Cina e tanti altri Paesi e popoli del mondo alla costruzione di un fronte antimperialista mondiale – e sostituirlo con un nuovo potere subordinato a Washington. Non casualmente, infatti, la risposta cinese alla davvero farneticante affermazione di Biden, risposta affidata ad un editoriale del “Global Times”, il tabloid del Quotidiano del Popolo (organo del Partito Comunista Cinese) è stata insolitamente durissima: “L’intenzione reale e disperata dell’Amministrazione Biden si è smascherata: trasformare la Russia in una palude sofferente e costringere i russi a cedere e scegliere un regime filo americano”.

Tra l’altro, come può Biden, con quale autorità morale, dare del macellaio a Putin, lui che nel 1999 – orgogliosamente – affermò: “Sono stato io a suggerire a Clinton di bombardare Belgrado. Sono stato io a suggerire di inviare piloti statunitensi a far saltare tutti i ponti sul Danubio”. Qalcuno sa che ancora oggi, 2022, a distanza di tanti anni da quella guerra (1999) in molti – specie bambini – nelle aree serbe e non solo serbe colpite dall’ “uranio impoverito”, muoiono, tra inaudite sofferenze, di leucemia? La terribile malattia che si può ereditare da coloro che sono stati colpiti dagli isotopi radioattivi?

Nel 1991, con lo scioglimento del Patto di Varsavia e l’apparentemente “strana”, ma quanto mai quanto significativa, trasformazione della NATO in potenza aggressiva planetaria, la Terza Guerra Mondiale subisce un forte processo di accelerazione.

Dal compagno Manlio Dinucci in poi, molti di noi lo hanno già ricordato: la NATO “promette”, dopo lo scioglimento dell’URSS e del Patto di Varsavia, che mai si sarebbe spinta nell’Europa dell’Est. Detto e fatto: dopo la distruzione della Jugoslavia, 1999, al vertice di Washington, i vertici dell’Alleanza Atlantica affermano di voler “condurre operazioni di risposta alla crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori dell’Alleanza Atlantica”. È l’abbrivio per l’espansione ad Est e per lo spettacolare e spregiudicato ripudio dell’impegno preso con la Russia di non avvicinarsi a Mosca. Nello stesso ’99 la NATO porta dentro sé i primi tre Paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. Nel 2004 ne ingloba altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia. Nel 2009 sarà la volta dell’Albania e della Croazia ad essere irregimentate nel fronte militare imperialista. Nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. In vent’anni la NATO passa da 16 a 30 Paesi membri. E, “per tradizione”, il Comandante Supremo della NATO in Europa è sempre un generale americano eletto direttamente dal Presidente degli Stati Uniti d’America e gli stessi uomini-chiave del Comando NATO sono americani.

Lo stesso esercito europeo, in rapida costruzione, avrà, come già concordato con l’UE, il proprio Centro di Comando a Bruxelles, nella stessa sede del Quartier Generale della NATO, a significare chiaramente che il nuovo esercito “europeo” sarà sotto il comando NATO. Con buona pace di chi ha creduto, e ancora crede (anche tra alcune aree comuniste) che l’UE e il suo esercito possano essere il “contraltare” dell’imperialismo USA.

La totale egemonia americana sulla NATO europea fa sì che i Paesi dell’ex “campo socialista” conquistati dall’imperialismo USA si genuflettano non tanto alla NATO, quanto, direttamente, alla Casa Bianca. Cosicché le basi militari – particolarmente importanti sullo scacchiere geopolitico – di Costanza (Romania) e Burgas (Bulgaria) sul Mar Nero diventano basi direttamente americane.

Tra il 1999 e il 2004, sui dieci Paesi dell’Europa centro-orientale che entrano nella NATO, sette entrano anche nell’UE. Poiché questi sette Paesi sono divenuti Paesi vassalli degli USA e delle loro basi militari, la loro entrata nell’UE porta ad un rafforzamento del potere di Washington sulla stessa UE. Un rafforzamento del potere americano su Bruxelles che si esplica chiaramente nel fatto che, oggi, 21 dei 27 Paesi dell’UE sono membri della NATO.

A partire da ciò, da questi fatti reali, quando suona la grancassa volta a fare entrare l’Ucraina nell’Ue e cioè, secondo la narrazione occidentale, nel regno della libertà e della democrazia, si sappia che ci si sta impegnando per trascinare l’Ucraina nella NATO, per subordinare anche Kiev al complesso militare-industriale americano. Per fare un altro passo verso la Terza Guerra Mondiale.

L’aver inglobato sinora trenta Paesi al suo interno, non basta però alla NATO. Altri tre Paesi, dal 2020 in poi, iniziano ad avvicinarsi all’Alleanza Atlantica: sono la Bosnia-Erzegovina, la Georgia e l’Ucraina. Ha recentemente affermato il segretario generale della NATO, Stoltenberg, con profondo spirito per la pace e in relazione alla candidatura all’entrata nella NATO dei nuovi tre Paesi: “Teniamo la porta aperta e se l’obiettivo del Cremlino è quello di avere meno NATO ai confini della Russia, otterrà solo più Nato”.

E a preparare la Terza Guerra Mondiale molto ha contribuito l’ostinato e reiterato NO degli USA ai patti per l’arresto della proliferazione delle armi nucleari.

Nella fase acuta dello scontro tra l’Amministrazione Trump e Kim Jong-un (2017), quando la Casa Bianca minacciava di “distruggere totalmente” la Corea del Nord, si aprì alle Nazioni Unite, il 20 settembre del 2017, una discussione che portò ad una proposta di Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Una proposta votata da una maggioranza di 122 Stati che si impegnarono a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente, con l’obiettivo della loro totale eliminazione.

Nel primo giorno di discussione il Trattato fu firmato da 50 Stati, tra i quali il Venezuela, Cuba, Brasile, Messico, Indonesia, Thailandia, Bangladesh, Filippine, Stato di Palestina, Sudafrica, Nigeria, Congo, Algeria, Austria, Irlanda e Vaticano.

Ma fu poi drasticamente bocciato dal Consiglio Nord-Atlantico della NATO che affermò che “un Trattato che non impegna nessuno degli Stati in possesso di armi nucleari non sarà effettivo, non accrescerà la sicurezza né la pace internazionali, ma rischia di fare l’opposto creando divisioni e divergenze”. Chiarendo, dunque, che la NATO non avrebbe accettato “nessun argomento contenuto nel Trattato”, aggiungendo: “Chiameremo i nostri partner e tutti i Paesi intenzionati ad appoggiare il Trattato a riflettere seriamente sulle sue implicazioni”. Confermando: “Il Consiglio Nord-Atlantico ribadisce che lo scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato è preservare la pace e scoraggiare l’aggressione e che finché esisteranno armi nucleari, la Nato resterà una alleanza nucleare”.

Detto e fatto: la spesa USA per le armi nucleari sarebbe cresciuta nel 2018 del 15% rispetto al 2017 e il Senato USA avrebbe stanziato, per il budget 2018 del Pentagono, circa 700 miliardi di dollari, 57 miliardi in più di quanto richiesto dall’Amministrazione Trump. Di questi 700 miliardi stanziati, 640 sarebbero serviti per l’acquisto di nuove armi, soprattutto quelle strategiche per l’attacco nucleare.

Chissà se “i pacifisti”, anche comunisti, che hanno incolpato Putin e la Russia di nutrire “spinte egemoniche” sono al corrente dell’espansione NATO e delle affermazioni del suo Segretario Generale. E se sono al corrente del fatto che è già ampiamente avviata, negli USA, la produzione delle nuove bombe nucleari B61-12, che saranno collocate in Italia e in altri Paesi europei, non lontani dalla Russia. E che gli USA hanno in Europa, oltre le decine decine di basi terrestri, anche quattro navi da guerra con sistema missilistico Aegis, capaci di lanciare anche missili Cruise a testata nucleare.

Tre nuovi Paesi, dunque, sono stati “chiamati”, nell’ultimo decennio, ad entrare nella NATO: oltre la Bosnia-Erzegovina e la Georgia, l’Ucraina. Ed è proprio sull’Ucraina, al confine della Russia, che da anni si è concentrata la pressione USA-NATO-UE.

Dopo la fase “neoprotezionista” di Trump (va ricordato che la fase protezionista tra il 1930 e il 1932 è stata una delle rarissime fasi, negli USA, senza guerre) la vittoria di Biden ha rilanciato tutte le pulsioni belliche del complesso industriale-militare americano.

Ad un’Ucraina che aveva già ottenuto dagli USA, tra il 1991 ed il 2014, un’assistenza militare per circa 7,5 miliardi di dollari (6,5 miliardi tra i fondi elargiti direttamente dal Congresso americano, e 1 elargito dal Fondo Fiduciario Nato), si sono mano a mano aggiunti (a dimostrazione dell’importanza strategica assegnata dagli USA e dalla NATO ad un’Ucraina eletta a primo soggetto antirusso) i circa due miliardi di sterline donati dalla Gran Bretagna a Kiev e i dieci miliardi di dollari versati per il riarmo ucraino antirusso da Erik Prince, fondatore della compagnia militare privata statunitense Blackwater.

Ma i fondi occidentali spostati verso l’Ucraina sembrano essere un fiume senza fine: è di questi giorni di fine marzo 2022, segnati dall’intervento russo in Ucraina, lo stanziamento, da parte dell’Ue, di 550 milioni di euro per il riarmo dell’Ucraina di Zelensky.

Anche lo spostamento di armi e soldati, da parte degli USA e della NATO, nei mesi che hanno preceduto l’intervento russo, è stato pari a quello in denaro. E questo spostamento ha portato a termine, contro la Russia, uno dei più spettacolari e vasti accerchiamenti della storia, dalla Svezia armata in senso antirusso pur non essendo Paese NATO, sino a tutta l’Europa centro-orientale passando per i Paesi Baltici.

Un accerchiamento e un rafforzamento militare di un Paese accerchiante, come l’Ucraina, che sembra non avere fine, vista la nuova fornitura di armi per due miliardi di dollari da parte degli USA decisa lo scorso 22 marzo da Biden.

Anche l’Italia, peraltro, partecipa al riarmo dell’Ucraina nata dall’ennesimo “golpe” fascista – quello di Piazza Maidan – organizzato dagli USA. Lo scorso 27 febbraio il Ministro degli Esteri Di Maio ha affermato che il governo italiano aveva stanziato i primi 110 milioni di euro per la difesa di Kiev e in questi giorni di fine marzo il Parlamento deciderà l’invio in Ucraina di un altro fiume di euro e carichi di armi.

Di grande interesse, in relazione a ciò, sono state le affermazioni del direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio: “Non è mai successo che si derogasse alla legge che vieta l’esportazione di armi a Paesi non alleati. Addirittura i nostri amici somali ci hanno chiesto armi per combattere l’Isis e non le abbiamo mandate… Abbiamo scoperto che per far entrare le armi in Ucraina dobbiamo usare milizie di contractor, cioè di mercenari, che a loro volta ne trattengono una parte. In passato abbiamo visto nostre armi utilizzate da milizie che poi hanno cominciato a sparare contro di noi. L’ultimo caso clamoroso è quello degli afghani, che quando resistevano contro i russi erano dei benemeriti mujaheddin. Poi, quando hanno cominciato a resistere alla nostra invasione, sono diventati dei tagliagole talebani”.

Nel complesso, tra gli immensi aiuti economici per il riarmo che l’Ucraina ha ricevuto sin dalla sua dichiarazione di indipendenza dall’Unione Sovietica (1991) ad oggi, non è inverosimile pensare che siano giunti a Kiev attorno ai 300 miliardi di dollari. Ai quali si vanno continuamente aggiungendo altri fiumi di dollari, euro, sterline a riprova del grande investimento strategico antirusso che gli USA, la NATO e l’UE spostano su Kiev.

Peraltro, nel vertice di Bruxelles di questo fine marzo 2022, la NATO ha deciso sia un proprio, ulteriore e potente rafforzamento militare nell’EST Europa, attraverso la costituzione e la messa in campo di quattro nuovi battaglioni (sino a tremila soldati l’uno) in Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria, che ulteriori invii di sistemi anticarro, antimissili e droni di ultimissima generazione, capaci di puntare e distruggere anche poderosi mezzi di guerra.

Da quest’ultimo vertice NATO di Bruxelles risulta come l’epicentro degli equilibri geo-politici si sposti dall’area tedesca al fianco Est dell’Europa. Con un chiaro segnale di accentuato accerchiamento della Russia. Se ciò porta ad un maggior ruolo militare della Polonia, della Romania, della Bulgaria e dei Paesi Baltici, porta anche al fatto che Germania, Italia e Spagna dovranno spostare molte più loro risorse economiche affinché la NATO raggiunga l’obiettivo fissato nel vertice di Galles del 2014, cioè un aumento della spesa militare del 2%.

In Italia, e altrove, ancor più tagli alla spesa sociale e altre politiche antioperaie per la NATO. E questo per la Terza Guerra Mondiale voluta dagli USA e dalla NATO.

Se la Terza Guerra Mondiale mette le sue prime radici nel 1949, con l’impropria costituzione della NATO e trova il suo sempiterno terreno di coltura nel complesso militare-industriale americano, è nella fase della messa in campo, attorno alla nuova potenza della Repubblica Popolare Cinese, del nuovo e vasto fronte antimperialista mondiale che essa, la Terza Guerra Mondiale, inizia ad essere più precisamente delineata e sospinta in avanti dagli USA e dalla NATO.

Ed è dunque evidente che è in questo quadro generale segnato dalla strategia di guerra imperialista e di delineazione di una Terza Guerra Mondiale, alla quale strategia è funzionale quell’imponente, venticinquennale, spostamento di risorse belliche ed economiche da parte degli USA, della NATO e dall’Ue verso Kiev, che va inquadrata l’azione militare russa in Ucraina.

Dopo più di un mese di guerra Kiev deve essere ancora conquistata dai russi e l’Occidente già parla di errori, di debolezza e di ritirata dell’esercito russo. E parla di un’Ucraina eroica che combatte come Davide contro Golia, dimenticando, appunto, l’immenso arsenale militare – potente, tecnicamente differenziato, tecnologicamente avanzato – che il fronte imperialista “ha donato” e ancora “dona” a Kiev. E mai come in questo caso il verbo donare va messo tra virgolette, poiché in verità “si dona” a Kiev affinché la Terza Guerra Mondiale in atto sia vinta dal fronte imperialista.

Dimenticando che l’esercito ucraino, attraverso il massiccio aiuto imperialista, passa dai 6 mila effettivi del 2014 agli attuali 250 mila effettivi, ai quali vanno aggiunti i battaglioni nazifascisti e i 10 mila uomini della “difesa civile” addestrati dalla NATO, e che ancor prima della valanga di mezzi militari e armi sofisticate inviati dagli USA, dall’UE e dalla Gran Bretagna tra il 2021 ed il 2022, negli arsenali ucraini erano già presenti gli Mbt (Main Battle Tank), gli Afv (Armoured Fighting Vehicles), i carri armati pesanti e sistemi di artiglieria in numero e in potenza tali da rappresentare sia una massa d’urto significativa per un conflitto d’attacco che una notevole forza di resistenza per una guerra difensiva, specie se urbana.

Dimenticando il lungo addestramento militare che la NATO ha svolto per l’esercito ucraino e la presenza nel conflitto di molti mercenari e di corpose “presenze” USA e NATO a fianco di Zelensky. Come, peraltro, ha scritto anche il grande magistrato Domenico Gallo in un suo articolo dello scorso 16 marzo: “L’attacco contro la base militare di Yavoriv, situata a 25 km dal confine polacco, ha spinto il conflitto ai confini della NATO ed ha evidenziato la presenza di personale militare straniero che collabora attivamente con le forze armate ucraine. La fornitura di armi da parte di paesi dell’Alleanza atlantica e la presenza di “addestratori”, fa crescere il rischio di escalation del conflitto. La richiesta incessante del presidente Zelensky di istituire una no fly zone esprime un chiaro disegno di coinvolgere nel conflitto armato i Paesi europei e gli USA”.

Rispetto a tutto ciò la Russia sapeva a priori che il suo intervento non sarebbe stato una passeggiata di salute. E solo da questa angolatura (conoscenza delle profonde difficoltà che l’esercito russo avrebbe trovato in Ucraina) si può misurare il livello di pericolo che Mosca ha sentito attorno a sé, livello tanto alto da deciderla ad un attacco già codificato come difficile da ogni punto di vista (feroce critica successiva dell’Occidente, sanzioni e difficoltà sul campo).

Difficile ma, ormai, agli occhi di Mosca, inevitabile sia per Il reiterato tentativo, da parte di Kiev, di conquistare il Donbass anche e soprattutto in prospettiva antirussa e attraverso il sangue e il terrore disseminati dal Battaglione Azov contro le popolazioni di Donetsk e Lugansk, sia per l’accerchiamento dell’intera Russia ad opera della NATO, che per il progetto sempre più dichiarato di trasformare l’Ucraina in una nuova e sterminata base USA e NATO dotata di missili nucleari puntati contro Mosca.

Oltretutto, tra le difficoltà che incontra l’esercito russo, vi è il fatto che Mosca ha scelto di non agire come gli americani e come la NATO, che in ognuna delle loro guerre hanno sempre deciso, prima, di bombardare dal cielo sino a giungere alla distruzione totale del Paese attaccato e al genocidio e solo poi “si mettono gli stivali sul terreno”, come affermava strategicamente il generale Norman Schwarzkopf jr., protagonista dell’operazione Desert Storm nella Guerra del Golfo.

L’esercito russo ha scelto, invece, una guerra “tradizionale”: presenza immediata sul terreno e conquista delle città attraverso lo scontro sul campo, rinunciando alla distruzione aerea preventiva, e ciò al fine di evitare quel macello delle popolazioni che gli USA e la NATO hanno allegramente perpetrato nelle guerre contro il Vietnam, la Jugoslavia, l’Iraq, la Libia e la Siria.

“Il Corriere della Sera” dello scorso 26 marzo ha parlato di “ritirata” e grandi difficoltà sul campo dell’esercito russo, riportando le stime di Zelensky che parla di 15/20 mila soldati russi morti.

Forse potremmo prendere in considerazione, oltre le affermazioni del più pericoloso guerrafondaio che ora gira per la Terra, Zelensky, anche quelle del generale russo Rudskoy, che parla invece di 1.351 perdite russe e di 3.825 feriti. Oltre al fatto che 276 località ucraine sarebbero state conquistate e 14mila nemici, tra i quali molti del movimento nazifascista ucraino, sarebbero stati uccisi e che praticamente distrutti sarebbero l’aeronautica ucraina e i sistemi di difesa antiaerea che gli USA e la NATO avevano “donato” a Kiev.

Anche se, forse, di ancor maggiore interesse è stato il quadro fornito dal generale Rudskoy in relazione alle armi fornite a Kiev dall’Occidente: un numero enorme di cannoni, carri armati tradizionali, tank blindati, armi anticarro, missili, bombe, droni di ultimissima generazione in grado di devastare i carri armati russi sul terreno e mettere in difficoltà la guerra tradizionale scelta dalla Russia per evitare la macellazione di massa che Mosca poteva benissimo – volendo – portare dal cielo.

Rudskoy ha anche messo a fuoco la strategia russa: concentrarsi per la liberazione del Donbass annientando il famigerato e odiatissimo, dalle popolazioni, Battaglione nazifascista Azov, far congiungere le truppe russe provenienti da Kharkiv con quelle che risalgono dalla Crimea per circondare tutte le forze ucraine che massacrano le popolazioni di Donetsk e Lugansk, al fine di annientare il 40% delle truppe speciali di Kiev.

Certo, fa davvero “specie” sentire il vice presidente della Sinistra Europea e primissimo dirigente del PRC, Paolo Ferrero, attaccare, nei programmi televisivi, violentemente Putin, rinunciando così all’analisi, alla comprensione e alla divulgazione delle vere basi materiali della Terza Guerra Mondiale. E fa davvero “specie” vedere come Ferrero ripeta lo stesso errore commesso durante la guerra USA-NATO contro la Libia, quando andò, con le bandiere di Rifondazione unite a quelle del re Idris, a manifestare davanti all’Ambasciata della Libia. Non sotto quella degli USA e della NATO.

Al di là, comunque, delle questioni di strategia militare, al di là di ciò che davvero si va costituendo sul campo di guerra ucraino, ciò che conta è che gli stessi, penultimi e ultimi fatti (l’enorme aumento dell’aiuto bellico USA-NATO-UE all’Ucraina in un quadro già segnato negli ultimi decenni da potentissimi investimenti economici, politici e militari dello stesso arco di forze a Kiev in funzione antirussa e l’odierna e plateale minaccia nucleare di Biden) dicono chiaramente che se c’è un fronte che ha creato le condizioni per una Terza Guerra Mondiale e probabilmente la auspica, questo è il fronte imperialista.

Contro il quale deve schierarsi, in modo non equidistante, il movimento contro la guerra. Innanzitutto i comunisti, oggi, di fronte alla guerra, hanno il compito primario di “mettere il mondo sui piedi”, di divulgare la verità storica, di costruire un senso comune di massa che sappia cos’è l’imperialismo. Cos’è la NATO.

Come hanno il compito, i comunisti, proprio perché la Terza Guerra Mondiale da tempo è in incubazione nei “laboratori” strategici imperialisti ed ora si presenta alla storia nel suo passaggio da “potenza” in “atto”, di lavorare per considerare ogni loro passata divisione, ogni loro screzio, ogni loro differenziazione, delle questioni infantili. E occorre invece che lavorino per allargare il fronte della lotta e mettere in campo un movimento di popolo contro la guerra. Obiettivi che possono essere colti attorno a parole d’ordine che possono oggi verosimilmente ottenere unità d’azione:

– No all’entrata in guerra dell’Italia;

– No all’entrata in guerra dell’UE;

– No all’invio di armi all’Ucraina (parola d’ordine fortemente popolare, che vede d’accordo il 55% degli italiani e potrà forse favorire la caduta o la crisi del governo Draghi);

– No all’aumento delle spese militari che scardineranno ancor più il già ampiamente destrutturato sistema sanitario pubblico e l’intero stato sociale italiano, colpendo ancor più la già dura vita quotidiana dei lavoratori e del vastissimo popolo degli emarginati;

– Fuori l’Italia dalla NATO;

– Giungere ad un Tavolo mondiale per la pace con USA, UE, Russia e Cina.

“Cumpanis” è presente e lavora per l’unità del movimento contro la guerra.

Comments

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Gian Nicola De Martini
Friday, 15 April 2022 08:04
Se non vi dovesse bastare il lungo, preciso e agghiacciante elenco di Fosco Giannini, aggiungo pignolescamente quello che Vincent Bevins ( giornalista americano del Washington Post!) ha chiamato "Il metodo Giacarta": e cioè il golpe militare dei soliti militari felloni, direttamente provocato, finanziato e appoggiato dagli USA in Indonesia nel 1965. Il golpe provocò lo sterminio di tutti i membri del Partito Comunista Indonesiano ( il più grande dell'epoca dopo quello Sovietico e Cinese), con un numero di civili assassinati che superò abbondantemente il milione
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