Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

analisidifesa

Summit Trump-Putin:  la rivincita di Orban e la“variabile cubana”

di Gianandrea Gaiani

6a310248f8a59a31dd31b7d1f2d61a20.jpgDonald Trump sorprende di nuovo quasi tutti e soprattutto coloro che lo immaginavano sul piede di guerra contro Vladimir Putin e la Russia e al fianco degli “alleati” europei. Mentre in Europa e Ucraina tutti si aspettavano l’annuncio della fornitura di missili da crociera Tomahawk a Kiev, l’istrione della Casa Bianca, cambia gioco, spiazza tutti e va in rete annunciando un nuovo summit con il presidente russo.

Dopo un colloquio telefonico di quasi due ore e mezza, ii leader delle due maggiori potenze nucleari si vedranno infatti entro due settimane a Budapest, per discutere la fine della guerra in Ucraina.

Trump ha espresso nuovo ottimismo sulla possibilità di concludere il conflitto attribuendo questo momento favorevole anche al cessate il fuoco tra Israele e Hamas: “Credo che il successo in Medio Oriente ci aiuterà nei negoziati per arrivare alla fine del conflitto con Russia e Ucraina”.

Prima del summit, il segretario di stato americano Marco Rubio guiderà una delegazione statunitense in un primo incontro preparatorio con rappresentanti russi, tra cui il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, già la prossima settimana.

Su X il premier ungherese, Viktor Orban, ha parlato di “una grande notizia per le persone del mondo che amano la pace. Siamo pronti!”.

Dopo gli attacchi e gli ostracismi subiti dall’Ucraina, da gran parte dei partner europei e dalla Commissione UE, Viktor Orban si gode la rivincita e il prestigio offerto dal palcoscenico internazionale che un simile vertice assicura. Trump ha dichiarato sui social che la telefonata con Putin è stata “molto produttiva” e ha portato a “progressi significativi”, aggiungendo che “abbiamo anche dedicato molto tempo a parlare di commercio tra Russia e Stati Uniti una volta terminata la guerra con l’Ucraina”.

 

Tomahawk fantasma?

E i Tomahawk, l’ennesima arma “game changer” che secondo la propaganda avrebbe permesso agli ucraini di mettere finalmente in ginocchio la Russia e che Zelensky spera di portare a casa dall’incontro di oggi con Trump alla Casa Bianca?

Trump, ha ammesso di “avere parlato un po’” anche della possibilità di fornire i missili a lungo raggio Tomahawk all’Ucraina, durante la sua telefonata con Vladimir Putin. “Ne abbiamo tanti, ma servono anche a noi e non possiamo esaurire le nostre scorte: non so cosa potremo fare su questo“, ha detto ai giornalisti alla Casa Bianca.

Esattamente il contrario di quanto aveva affermato il 15 ottobre, quando Trump aveva affermato circa questi missili che “ne abbiamo molti, e lui (Zelensky) li vuole”.

Oggi, incontrando il presidente ucraino Zelensky a Washington ha aggiunto che gli attacchi dell’Ucraina in territorio russo “sarebbero una escalation, ma ne parleremo”. Poi ha ammesso di ”sperare di poter finire la guerra senza dover dare i Tomahawk. Sono armi devastanti che servono anche a noi nel caso di una guerra e a rendere l’esercito degli Stati Uniti il più forte al mondo. Stiamo vendendo molti tipi diversi di armi all’Unione europea” (in realtà gli Stati Uniti  le starebbero vendendo agli alleati della NATO) .

Secondo Mark Cancian, ex funzionario del Pentagono oggi al Center for Strategic and International Studies, gli Stati Uniti dispongono attualmente di 4.150 missili Tomahawk. Tuttavia, il Pentagono ha acquistato solo 200 unità dal 2022 e ne ha già utilizzate oltre 120 durante esercitazioni e altri nelle recenti operazioni contro gli Houthi yemeniti e l’Iran. Per il 2026 il Pentagono ha chiesto fondi per l’acquisto di ulteriori 57 Tomahawk, armi necessarie in caso di nuovi attacchi a Iran e Venezuela.

Secondo Stacey Pettyjohn, direttrice del programma di difesa presso il Center for a New American Security, citata dal quotidiano Financial Times. “Washington potrebbe stanziare dai 20 ai 50 missili Tomahawk, il che non cambierebbe le dinamiche della guerra”!

Anche il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, amico di Putin ma in ottimi rapporti anche con Trump, ha valutato il 14 ottobre che la fornitura dei Tomahawk all’Ucraina “non risolverà il conflitto ma potrebbe solo portare la situazione a una guerra nucleare. Nessun Tomahawk risolverà la questione. Questo intensificherà il conflitto fino a una guerra nucleare.

Probabilmente, questo è capito meglio di tutti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che non ha fretta di consegnare queste armi letali e di permettere di colpire in profondità la Russia, come si aspetta il presidente ucraino Volodymyr Zelensky”, ha detto Lukashenko.

Lukashenko probabilmente ha visto giusto: sono state valutazioni legate alla deterrenza a influenzare l’apparente passo indietro di Trump sui Tomahawk.

 

La versione di Mosca

Riferendo alla stampa, il consigliere presidenziale russo, Yury Ushakov, ha precisato che il colloquio tra i due presidenti è stato, “estremamente franco”, e Putin “ha fornito una valutazione dettagliata della situazione attuale, sottolineando l’interesse della Russia a raggiungere una soluzione politica e diplomatica pacifica” in Ucraina.

Quindi, ha aggiunto, i due leader hanno discusso anche della possibile fornitura a Kiev dei missili Tomahawk e Putin ha ribadito che “non cambierebbero la situazione sul campo di battaglia, ma causerebbero danni importanti alle relazioni tra i nostri Paesi e al processo di pace“.

Putin ha avvertito che l’invio dei Tomahawk all’Ucraina rappresenterebbe una “linea rossa”. Inoltre, “è stato sottolineato, in particolare, che nell’operazione militare speciale le Forze armate russe possiedono completamente l’iniziativa strategica lungo tutta la linea di contatto”, ha dichiarato Ushakov.

Ushakov ha riferito che “una delle tesi principali del presidente statunitense è stata che la fine del conflitto in Ucraina aprirebbe enormi prospettive per lo sviluppo della cooperazione economica tra Stati Uniti e Russia”.

 

Qualche considerazione

Il nuovo summit Trump-Putin, proprio mentre in molti parlavano di esaurimento della spinta propulsiva emersa dall’incontro in Alaska, è una sorpresa per molti ma forse non per tutti.

E’ il caso di sottolineare che poche ore prima dell’annuncio di Trump, il premier ungherese Viktor Orban aveva lanciato l’ennesima dura critica al bellicismo dell’Unione europea riprendendo gli stessi temi toccati il giorno prima dal ministro degli Esteri Peter Szijjarto.

“L’Europa è consumata da una psicosi pro-guerra. Invece, i leader devono svegliarsi e assumersi la responsabilità di raggiungere una vera pace. Il momento di negoziare è adesso!” ha scritto ieri su X il premier ungherese. Solo un caso che il tweet abbia anticipato di poco l’esito del colloquio telefonico tra Trump e Putin?

Nel suo post Orban è tornato a puntare il dito contro la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che “viaggia per il mondo parlando di guerra senza alcun mandato, mentre i trattati dell’Ue assegnano chiaramente la politica estera e di sicurezza agli Stati membri“.

Un attacco al presidente della Commissione UE non solo giustificato (persino il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ne aveva criticato i proclami bellicosi fuori dal suo mandato) ma di certo apprezzato da questa amministrazione statunitense che non ha mai perso l’occasione per umiliare i vertici UE.

Infatti nessun leader europeo ha espresso entusiasmo per gli spiragli di pace che sembrano aprirsi, nel Parlamento Europeo i partiti che sostengono la Commissione von der Leyen esprimono scetticismo per gli esiti del summit (che deve ancora tenersi) mentre le forze di opposizione come il gruppo dei Patrioti, hanno reagito con entusiasmo alla notizia. Del resto sia Bruxelles che Kiev faranno molta fatica a mascherare sorpresa e rabbia per il fatto che sarà “l’Ungheria ribelle”, indicata spesso come putiniana e filo-russa, a ospitare il summit tra Trump e Putin.

Non è u caso che molte reazioni politiche oggi negli ambienti che sostengono a Commissione von der Leyen non mostrino alcun apprezzamento, sostegno o speranza per il summit Putin-Trump ma evidenzino l’obbligo formale del governo ungherese di arrestare il presidente russo in base al mandato della CPI.

Del resto Orban ha sempre cercato di risolvere il conflitto con un negoziato mentre l’intera Ue chiedeva di combattere fino all’ultimo ucraino per fermare “i russi alle porte”. Il leader magiaro si fece ambasciatore (ostracizzato dall’Unione europea) del piano di pace di Trump prima ancora delle elezioni presidenziali statunitensi.

Comunque vada il vertice, per Orban sarà un grande successo e un riconoscimento da parte delle due maggiori potenze militari mondiali del rilevante ruolo politico e diplomatico ricoperto dall’Ungheria mentre per la UE e i suoi vertici costituirà l’ennesimo smacco.

Inoltre Putin verrà sul suolo dell’Unione dove dovrebbero arrestarlo in base al mandato di cattura della Corte Penale Internazionale che oggi ha ricordato oggi che dal 2023 c’è un mandato d’arresto nei confronti di Putin in relazione all’invasione russa dell’Ucraina. Un portavoce ha ribadito in dichiarazioni a Europa Press che per l’Ungheria sussiste il dovere di arrestare Putin nonostante la decisione di ritirarsi dallo Statuto di Roma annunciata nei mesi scorsi.

Il ritiro dallo Statuto di Roma è una decisione sovrana, soggetta alle disposizioni dell’articolo 127 dello Statuto – ha rimarcato il portavoce – Un ritiro diventa effettivo un anno dopo la notifica al segretario generale delle Nazioni Unite”, quindi il 2 giugno 2026. Per questo, ha insistito, “un ritiro non pregiudica i procedimenti aperti o qualsiasi altro caso già all’esame del tribunale prima che il ritiro sia effettivo”.

Invece ieri abbiamo appreso che persino le sanzioni europee poste a Putin e Lavrov, riguardano l’immobilizzazione dei loro beni nell’Unione Europea e il divieto di attività economiche o di finanziamenti da parte di soggetti che operano nell’Ue ma non impediscono loro l’ingresso nell’Unione europea.

L’unico aspetto positivo per il grosso delle nazioni aderenti alla UE è rappresentato dal fatto che se Washington rinuncerà a fornire i missili Tomahawk all’Ucraina noi europei risparmieremo un po’ di euro. Perché sia chiaro a tutti, li dovremmo pagare (o li avremmo dovuti pagare) noi.

E in ogni caso se la guerra finisse forse potremmo evitare di pagare 90 miliardi di dollari di armi americane da fornire agli ucraini.

Colto o meno di sorpresa dall’annuncio del summit, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ieri ha dichiarato che “domani è previsto un incontro con il Presidente Trump e ci aspettiamo che lo slancio nel contenere il terrorismo e la guerra, che ha avuto successo in Medioriente, aiuti a porre fine alla guerra della Russia contro l’Ucraina.

Putin non è certamente più coraggioso di Hamas o di qualsiasi altro terrorista. Il linguaggio della forza e della giustizia funzionerà inevitabilmente anche contro la Russia”.

Zelensky, grazie anche al suo background professionale. ha trovato anche una battuta efficace dichiarando che “possiamo già vedere che Mosca si affretta a riprendere il dialogo non appena sente parlare dei Tomahawk. Non deve esserci altra alternativa se non la pace e una sicurezza affidabilmente garantita ed è fondamentale proteggere le persone dagli attacchi e dalle aggressioni russe il prima possibile”.

Difficile dire se si tratti dei soliti slogan a cui l’istrionico presidente ucraino ci ha ormai abituato o se Trump abbia già imposto a Zelensky le condizioni di pace, cioè le indispensabili cessioni territoriali e condizioni di sicurezza per la Russia che Putin non ha mai smesso di porre come punto fermo per chiudere il conflitto.

Condizioni che Zelensky dovrebbe però far digerire agli ultranazionalisti in Ucraina e ai “bellicosi” in Europa.

 

Zelensky a Washington 

Durante l’incontro tra Trump e Zelensky oggi a Washington di contenuti veri ne sono emersi davvero pochi.  Trump sembra averci ripensato circa la  disponibilità a fornire i missili da crociera Tomahawk all’Ucraina ma sui possibili accordi di pace non ci sono novità.

Trump sostiene che Zelensky e Putin stanno “negoziando bene ma devono eliminare un po’ di odio reciproco. Ora cerchiamo di capire cose può succedere, credo che le cose ora si possono allineare bene. Riusciremo a fare finire questa guerra”.

Anche il presidente ucraino si è detto fiducioso. “Penso che Putin non sia pronto” per la fine della guerra “ma sono fiducioso che con il tuo aiuto possiamo fermarla” ha detto Zelensky, rivolgendosi al presidente americano e complimentandosi “per il successo con il cessate il fuoco in Medioriente”.

Trump ha aperto all’ipotesi di un incontro a tre. “L’incontro sarà in Ungheria perché c’è un premier che ci piace, sta facendo un ottimo lavoro e quindi abbiamo deciso di incontrarci lì. Credo che sarà un doppio incontro, avremo il presidente Zelensky in contatto, è una situazione difficile perché non si piacciono e quindi potrebbe essere un incontro a tre o forse separati. Ieri ho parlato per oltre due ore con Putin, anche lui viole che la guerra finisca“.

Più tardi la Casa Bianca ha fatto sapere che a Budapest vi saranno incontri separati e non a tre. Il presidente russo “vuole finire la guerra o non parlerebbe così“, ha aggiunto Trump.

Sui temi militari Zelensky ha proposto a Trump di scambiare i droni ucraini con i missili da crociera americani Tomahawk ma ha anche  assicurato che i russi “non stanno avendo progressi sul campo di battaglia e hanno molte perdite in termini di economia e per le persone“.

In realtà i russi continuano ad avanzare, le ultime roccaforti in Donbass sono assediate e le perdite spaventose le soffrono gli ucraini, ma la narrazione di Zelensky ha l’evidente lo scopo di aggirare il vero ostacolo su cui potrebbero infrangersi ancora una volta i negoziati, e cioè le condizioni postbelliche dell’Ucraina e la cessione di territori a Mosca.

Nello scambio di battute con i giornalisti (un po’ puerile il tenore delle risposte dei due presidenti), Trump è stato come spesso accade evasivo e non ha mai fatto riferimento a una base negoziale su cui aprire i colloqui mentre Zelensky ha fatto un confuso riferimento alla necessità di fermare la guerra sulle posizioni attuali, lasciando quindi intendere di volere un cessate il fuoco prima di negoziare. Opzione già da mesi rigettata da Mosca.

Del resto non è dato sapere se Trump ha ripetuto al presidente ucraino che non è nella posizione di dettare condizioni. ma all’aeroporto anche Trump ha parlati con i giornalisti di “fermare la guerra sull’attuale linea del fronte e che tutti tornino a casa dalle loro famiglie”.

Visione un po’ semplicistica. Non a caso dopo aver incontrato Trump, il presidente ucraino ha telefonato ad alcuni leader europei per confrontarsi con loro sul da farsi.

 

La variabile cubana

I missili Tomahawk che gli USA sembrava potessero eventualmente cedere a Kiev non avevano molto impressionato i russi sul piano militare (“rafforzeremo le difese aeree” aveva detto Putin) ma rischiavano di far tornare Russia e USA al un braccio di ferro tale da rievocare la crisi di Cuba e quella degli Euromissili.

Come è facile intuire Mosca non potrebbe lasciare senza risposta la provocazione di schierare a ridosso del confine russo e in una nazione esterna alla NATO missili da crociera potenzialmente in grado di trasportare testate nucleari e gestiti necessariamente da personale militare statunitense.

Per questo dovremmo chiederci quanto abbia influito, non solo nella apparente decisione di Trump di frenare sulla fornitura dei Tomahawk a Kiev ma sul contesto complessivo che ha portato i due presidenti a decidere di vedersi in un campo amichevole per entrambi (Budapest) un elemento del tutto esterno alla guerra in Ucraina e che potremmo definire la “variabile cubana”.

Anche se, come spesso accade per le notizie davvero rilevanti, i nostri media e TV non ne hanno quasi per nulla riferito, l’8 ottobre il Consiglio della Federazione Russa ha ratificato in sessione plenaria l’accordo intergovernativo di cooperazione militare con Cuba che fornisce piena base giuridica per definire gli obiettivi, le modalità e gli ambiti della cooperazione militare tra i due Paesi, rafforzando ulteriormente i legami bilaterali nel settore della difesa.

L’accordo era stato firmato il 13 marzo all’Avana e il 19 marzo a Mosca. In passato, esperti e funzionari russi avevano ipotizzato un possibile dispiegamento di sistemi militari russi nell’area caraibica, tra cui Cuba e il Venezuela. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha ribadito che eventuali decisioni in tal senso rientrano nelle competenze del ministero della Difesa ma secondo i servizi segreti militari ucraini almeno un migliaio di volontari cubani combatterebbero attualmente al fianco dei russi in Ucraina.

In base al nuovo accordo potrebbero forse venire trasferiti in Russia reparti organici dell’Esercito Cubano, come è accaduto con l’esercito della Corea del Nord.

L’accordo russo-cubano viene ratificato mentre le forze statunitensi operano al largo delle coste del Venezuela e un attacco alla nazione alleata di Mosca non viene escluso dallo stesso Trump, che ha confermato di aver autorizzato operazioni clandestine della CIA in Venezuela, come anticipato dal New York Times.

Non a caso Alexander Stepanov, dell’Istituto di Diritto e Sicurezza Nazionale dell’Accademia Presidenziale Russa di Economia Nazionale e Pubblica Amministrazione, ha dichiarato alla TASS che la ratifica dell’accordo di cooperazione militare russo-cubano, rappresenta “una risposta simmetrica alla potenziale fornitura di Tomahawk”.

“L’accordo ratificato amplia al massimo la nostra cooperazione militare e consente, nell’ambito dell’interazione bilaterale e in coordinamento con il governo della Repubblica di Cuba, di schierare praticamente qualsiasi sistema offensivo sul territorio dell’isola”.

Per intenderci, è probabile che Putin abbia spiegato a Trump che in risposta ai Tomahawk in Ucraina, la Russia potrebbe schierare i missili ipersonici Kinzhal od Oreschnik a Cuba.

In attesa di avere tra poche ore chiarimenti ulteriori dall’incontro tra Trump e Zelensky, a indurre Trump a rivalutare la cessione dei Tomahawk potrebbe aver contribuito la valutazione che mentre i missili americani subsonici verrebbero almeno in parte intercettati dalle difese aeree russe, contro i missili ipersonici russi non ci sono al momento difese efficaci negli Stati Uniti e in Europa.

Quindi il contesto che potrebbe aver dato vita al nuovo summit russo-americano potrebbe risultare molto diverso da quello raccontato da Zelensky, cioè la paura russa dei Tomahawk.

Di conseguenza le possibilità di giungere alla pace in Ucraina dipenderanno soprattutto dalla disponibilità di Zelensky e degli europei ad accettare le ben note condizioni poste da Mosca (che sta vincendo la guerra sui campi di battaglia), tese a ridefinire una cornice di sicurezza ai confini occidentali della Russia e a quelli orientali dell’Europa con l’obiettivo di concludere definitivamente il conflitto, non solo di sospenderlo a tempo determinato.

Pin It

Add comment

Submit