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La spinta dei pedoni: Turchia ed Arabia saudita aprono la partita?

Federico Dezzani

turkey2h 1Le avvisaglie di guerra che cogliemmo nel 2015 si concretizzano un passo alla volta: dopo aver individuato già nello scorso autunno il Medio Oriente come probabile innesco del conflitto, i recenti sviluppi avvalorano l’ipotesi che ad incendiare le polveri siano Turchia ed Arabia Saudita, semplici pedine di una partita manovrata da angloamericani ed israeliani. Le probabilità di uno scontro bellico sono direttamente proporzionali al deterioramento del quadro economico-finanziario: il livello di indebitamento insostenibile e la deflazione strisciante indicano che il ciclo avviato nel secondo dopoguerra è ormai esaurito. Alle oligarchie finanziarie non resta che la guerra per evitare le aborrite politiche finanziarie non ortodosse che castrerebbero il loro potere. Per trascinare l’Europa nel conflitto è probabile il ripetersi di un attentato in stile 13/11: in Siria si verificano già con crescente frequenza sinistri attacchi falsa bandiera.

* * *

È sempre questione di moneta…

Se guerra sarà, sarà ancora un volta questione di moneta. Se da qualche parte nel deserto siriano ed iracheno sarà sparato il primo colpo d’artiglieria che innescherà un conflitto prima regionale e poi globale, sarà ancora una volta una questione di banche centrali: che l’evidente correlazione, percepita da molti nel subconscio e trattata da pochi a livello di pubblicistica, non trovi spazio nel dibattito mediatico, è solo l’ennesimo sintomo del controllo ferreo esercito dalle oligarchie massonico-finanziarie sui media e sul mondo accademico.

Il problema già lo sviscerammo lo scorso ottobre nell’articolo “La deflazione che apre le porte di Giano”, che invitiamo caldamente a rileggere: ai fini della nostra analisi, ne riassumiamo l’idea portante in poche righe, integrandolo con le ultime novità intercorse (in linea con le nostre previsione).

Le oligarchie finanziarie anglofone hanno progressivamente smantellato le restrizioni introdotte sull’onda del Grande Crollo del 1929 (Glass-Steagall Act del 1933 e legge bancaria del 1936) e partendo dai due bastioni della finanza massonica (la Banca d’Inghilterra e la Riserva Federale) hanno allungato i loro tentacoli sull’Europa (BCE) e sul Giappone (Bank of Japan): grazie al controllo sull’emissione della moneta, sono riusciti nel volgere di quarant’anni (l’inizio della fine coincide con l’avvento di Paul Volcker alla FED) a riportare il mondo in deflazione. La caduta generale dei prezzi è la massima aspirazione di queste oligarchie, perché avvantaggia il binomio finanzia-creditori a discapito di quello industria-debitori: in regime di deflazione, il valore della moneta aumenta, consentendo di acquistare a prezzo di saldo beni, immobili ed imprese, spesso pignorati, data l’impossibilità di rimborsare i prestiti in un contesto di caduta di redditi e ricavi.

L’ossessione della deflazione che anima le oligarchie massonico-finanziarie conduce ciclicamente al collasso economico: il fardello debitorio si fa opprimente e la deflazione, dettata dalla scarsità di moneta circolante, lo rende insopportabile. La liquidità immessa dalle banche centrali in “soccorso” dell’economia, non dà infatti sollievo all’economia reale, ma inonda i mercati finanziari, generando spaventose bolle speculative sui mercati azionari ed obbligazionari: al primo rialzo dei tassi, le borse si avvitano, gli istituti bancari collassano e l’economia precipita in lunga fase di recessione economica. Così fu negli anni ’30 dopo il Grande Crollo e così rischia di essere nei prossimi mesi in Occidente.

A quel punto la politica ha davanti a sé due strade: l’adozione di politiche finanziarie non ortodosse oppure la guerra.

La prima via è “rivoluzionaria”, in quanto implica di rovesciare le oligarchie finanziare e la sostituzione della moneta-debito emessa dalle banche centrali “indipendenti” con la moneta-credito emessa dallo zecca di Stato o dalle banche centrali alle dipendenze del Tesoro: in questo modo è possibile ricostruire il potere di acquisto delle famiglie, riattivare la produzione e reflazionare l’economia, cosicché i debiti pregressi siano erosi un po’ alla volta in un contesto di crescita.

La seconda ipotesi è quella invece più conservativa: le oligarchie massonico-finanziarie rimangono al loro posto e si genera una fiammata inflattiva con la distruzione di beni (e lavoratori) generata da un conflitto bellico: dai tempi del gold standard ottocentesco questa è la via prediletta della finanza e, dato l’elettroencefalogramma piatto della politica, tutto lascia supporre che sia imboccata anche questa volta.

La situazione economica-finanziaria dell’Occidente è, infatti, più critica che mai.

La FED ha deliberato il 16 dicembre 2015 il primo rialzo del saggio di risconto dal lontano 2006, portandolo dallo 0,25% allo 0,5%, in virtù della ripresa economica in atto (robusta quanto l’incremento dei tassi): parallelamente il governatore Janet Yellen non ha però escluso di adottare in un prossimo (molto prossimo) futuro, sulla falsariga della BCE e della BOJ, un tasso d’interesse negativo, nel disperato tentativo di infondere liquidità ad un sistema finanziario ormai arteriosclerotico.

“Now, we have seen some foreign central banks, Europe—the ECB and others—that have taken their overnight rate into negative territory, and that’s something that—I don’t contemplate that we will need to do this, but it is something that we could study. Of course, we have balance sheet policies, and there might be a range of direct policies that we could use as well. But this is something that we have thought about, our range of options.

Già, perché la ripresa statunitense, sbandierata su tutti i media, è solida quanto la cartapesta: come evidenziamo nelle nostre analisi sin dallo scorso autunno, è sempre più probabile che gli USA si stiano dirigendo verso una nuova recessione1, capace di innescare, proprio come nell’autunno del 1929, il crack di Wall Street, le cui quotazioni sono da anni completamente slegate dai fondamentali dell’economia.

Non va certamente meglio nel Regno Unito, dove l’ipotesi di un rialzo dei tassi non è neppure presa in considerazione2: al contrario, i banchieri centrali della “Vecchia Signora di Threadneedle Street” sudano freddo dinnanzi alla prospettiva di una nuova recessione, ingestibile per un Paese dove la somma del debito accumulato dallo Stato, imprese non-finanziarie e famiglie ha già superato il 250% del PIL3: una seconda, eventuale, ondata di salvataggi della banche è ormai impensabile.

Se il cuore dell’impero angloamericano pulsa sempre più debole, non stanno sicuramente meglio i possedimenti d’oltre mare: là, al contrario, la decomposizione del sistema finanziario precorre i tempi.

Risale alla tarda primavera del 20144 la decisione di Francoforte di adottare tassi negativi sui depositi bancari presso la BCE, stessa mossa adotta “a sorpresa” dalla Bank of Japan a fine gennaio 20165. Nel frattempo il quadro macroeconomico si deteriora: l’inflazione nell’eurozona è vicina allo zero6 (con Paesi come Spagna e Grecia in profonda deflazione), idem in Giappone7, e non è chiaro come sarà affrontato il sempre più imminente stallo economico globale.

HSBC: Central Banks Are Running Low on Ammunition8 si leggeva su Bloomberg già nella primavera del 2015, prima che si addensassero nuovi nuvole nere sull’economia. Non c’è quindi alcuna possibilità di evitare una depressione economica? Ci sarebbe la soluzione, come abbiamo detto, di adottare politiche finanziarie non ortodosse: l’emissione di titoli di Stato o di qualsiasi altro strumento assimilabile alla moneta (certificati di ore lavorate ad esempio), così da riattivare l’economia, ricostruire il potere d’acquisto delle famiglie e reflazionare il sistema.

Latitando la volontà politica di agire in questo senso, le oligarchie massonico-finanziarie si preparano ad affrontare l’imminente collasso finanziario come da consuetudine: se la banche centrali sono “a corto di munizioni”, si forniscono a qualcuno vere munizioni. Per la guerra.

 

Arabia Saudita e Turchia, i due pedoni delle oligarchie atlantiche

La sempre più incandescente situazione in Medio Oriente passa, nella cornice di quest’analisi, in subordine rispetto alla situazione dei mercati finanziari: è sempre più evidente che il crescendo di tensione in Siria ed Iraq è collegato al rapido deterioramento dell’economia globale. Nel corso del 2015, correlammo le sempre più precarie condizioni dell’eurozona alla crisi in Ucraina, ma, progressivamente, il malessere finanziario si è fatto globale e l’epicentro della crisi si è spostato a sud, nel cuore del Levante.

Arrivati a metà febbraio 2016 è ormai palese che la vicenda siriana, facilmente disinnescabile con un ritorno allo status quo ante bellum, consentendo cioè a Damasco di ristabilire il controllo su tutte le proprie frontiere ed a Mosca di preservare la propria influenza sul Paese, è deliberatamente impiegata dagli angloamericani per obbiettivi che trascendono i confini siriani. Va ricondotta, piuttosto, alla situazione critica in cui versa il sistema economico “occidentale”, ad un passo dal collasso, col petrolio a 30$ al barile, i tassi delle banche centrali in territorio negativo ed una recessione globale sempre più probabile.

Il Medio Oriente, per usare una metafora che ci è cara, svolge lo stesso ruolo che ebbero i Balcani nel 1914: la partita supera il livello regionale e riguarda, piuttosto, gli equilibri mondiali. Come Londra era poco interessata alla Serbia, ma molto alla difesa dell’impero britannico minato dalle difficoltà economiche (la depressione del 1907), militari (la seconda guerra boera del 1899-1902) e dal dinamismo di Berlino, così gli angloamericani oggi non hanno tanto a cuore la Siria, ma la difesa dell’egemonia globale, minata da una situazione economica sempre più critica (la Grande Recessione del 2008 e la prossima ventura), due sconfitte militari strategiche (Iraq ed Afghanistan) e dal dinamismo di Mosca e Teheran.

È in quest’ottica che deve essere inquadrato l’attivismo dell’Arabia Saudita e della Turchia, da ricondurre alla volontà angloamericana di innescare scientemente un conflitto, per ovviare all’imminente tracollo economico e finanziario: leggere in chiave diversa gli avvenimenti, significa attribuire a due pesi medi dello scacchiere internazionale una libertà di manovra di cui non godrebbero assolutamente, senza il placet di Washington, Londra e Tel Aviv.

Partiamo dall’Arabia Saudita: impantanata nella guerra in Yemen contro i miliziani Houthi e l’esercito regolare rimasto fedele al deposto presidente Saleh (è continuo lo stillicidio di notizie di perdite umane e scacchi militari subite da Riad), alle prese con la caduta verticale del greggio che ha svuotato le casse della monarchia, la famiglia Saud avrebbe tutto l’interesse a mantenere un profilo bassissimo, considerate anche le faide innescate dalla morte di re Abdullah nel gennaio 2015. Al contrario, Riad giustizia ad inizio gennaio lo sceicco sciita Nimr al-Nimr, scatenando l’indignazione dell’Iran9 (che Washington non abbia bloccato l’esecuzione o è un clamoroso fallimento della diplomazia e dei servizi d’informazione, oppure è il segnale di una politica concordata) poi, a distanza di poco più di un mese, rilancia dicendosi pronta ad un intervento terrestre in Siria contro “l’ISIS”, una formazione terroristica che, man man che si liquefa, mostra al mondo come fosse il braccio armato della NATO e delle stesse autocrazie sunnite. È superfluo dire che una simile mossa, scatenerebbe l’immediata risposta dell’Iran e degli sciiti libanesi, schierati a fianco di Assad, producendo una reazione a catena.

L’intervento saudita in Siria sarebbe peraltro coordinato con la Turchia10, un altro attore la cui politica estera, sempre più aggressiva e imprevedibile, ha l’evidente nulla osta angloamericano: i tentativi di Ankara di annettersi la regione petrolifera irachena attorno a Mosul sono coordinati con il clan curdo dei Barzani11, vecchie conoscenze della CIA, mentre il crescente attivismo turco a ridosso della frontiera siriana (lo si è visto coll’abbattimento del Su-24 russo) non solo non è stigmatizzato, ma addirittura incentivato dalla NATO. Capita così che Ankara possa ammassare uomini e mezzi in prossimità del confine con la Siria (in vista di un’invasione secondo la Difesa russa12) e bombardare i curdi del YPG oltre la frontiera13 (impegnati a combattere l’ISIS sostenuto da Ankara), senza che Washington prenda qualsiasi provvedimento che superi il rimprovero estemporaneo: già, perché, come è chiaramente emerso dal vertice dell’ 11 febbraio alla sede NATO di Bruxelles, dove si è riunita la coalizione “anti-ISIS”, sono gli stessi Stati Uniti ad spronare l’intervento delle autocrazie sunnite in Siria14.

È in questo quadro di profondo deterioramento internazionale che si è svolta a Monaco di Baviera la 51esima conferenza sulla sicurezza internazionale, dove le velleità diplomatiche di raggiungere un cessate il fuoco sono state presto travolte dagli sviluppi sul campo. A dettare i tempi dell’agenda è chiaramente l’avanzata dell’esercito regolare siriano che, supportato dal risolutivo intervento russo, ha ripreso l’iniziativa su tutti i fronti , spingendosi verso le frontiere turche e giordane e preparando la riconquista di due città strategiche come Aleppo e Raqqa: l’imminente liberazione della più popolosa ed un tempo ricca città siriana, unita all’avanzata verso i campi petroliferi nell’Est del Paese, è il vero motivo dell’improvviso attivismo di turchi e sauditi.

L’obbiettivo della NATO è evitare che il conflitto siriano (costato già la vita a 300-400.000 civili15) termini con la vittoria russo-iraniana ed il ristabilimento dello status quo ante bellum in Siria: questi sono gli ultimi mesi per evitare che il piano di balcanizzazione del Paese sia vanificato da Mosca e, allo stesso, l’ultima finestra di tempo per innescare un conflitto regionale, contando sulla frustrazione di Ankara e Riad che avevano puntato tutto sulla caduta di Bashar Assad e sulla spartizione del Paese. Non c’è infatti alcun dubbio che un intervento della NATO e dei sauditi in questa fase del conflitto, senza più neanche la valida copertura della “guerra all’ISIS”, scatenerebbe l’immediata reazione di Teheran e Mosca, essendo letto non come un’operazione antiterroristica, ma come un’offensiva militare ostile tout court.

È in questo clima sempre più teso che si collocano gli ennesimi attentati falsi bandiera, propedeutici allo scoppio delle ostilità.

 

La funzione degli attentati falsa bandiera

Il ricorso agli attentati falsa bandiera, utili a fornire il casus belli, è una tattica che risale al mondo antico: parecchi segnali lasciano supporre che sia impiegata anche per scatenare il prossimo conflitto.

Come già evidenziammo nell’articolo “Gli attentati del 13/11 e la predisposizione della scacchiera” è sempre più evidente che gli attacchi dell’ISIS di Parigi, oltre che ad assolvere ai classici obbiettivi della strategia della tensione per contenere l’avanzata del Front National, mirasse a far convergere in Siria ed Iraq il maggior numero possibile di truppe NATO, in un momento in cui era già evidente che i raid russi avrebbero debellato nel giro di poche settimane lo Stato Islamico e vanificato gli sforzi di balcanizzazione della regione: da allora Regno Unito, Francia e Germania hanno incrementato la loro presenza navale nel Mediterraneo orientale16, il dispiegamento di soldati e la frequenza dei raid aerei in Iraq17. Anche gli USA stanno aumentando ulteriormente la presenza militare in Iraq: sono di nuovo 4.000 i militari statunitensi nel Paese18, concentranti essenzialmente nel Kurdistan iracheno, che svolge ormai il ruolo di avamposto della NATO nella regione.

È sotto questa lente che deve essere letta la sinistra affermazione (una minaccia neppure troppo velata) del ministro francese Manuel Valls , secondo cui19:

Ci saranno altri attacchi e grandi attentati, questo è certo. La minaccia non diventerà minore, anche se noi lo vorremmo. Siamo in una guerra perché il terrorismo ci combatte.”

La realizzazione di nuovi, “grandi”, attentati targati “ISIS”, consentirebbe l’ulteriore incremento della presenza militare NATO in Medio Oriente in un momento in cui, al contrario, i terroristi del Califfato sono in rotta grazie dell‘intervento russo, che è riuscito in poche settimane là dove gli angloamericani hanno (scientemente) fallito in un anno.

L’eventuale avvio delle operazioni turco-saudite contro la Siria, utile all’allargamento del conflitto, prima a scala regionale e poi internazionale, sarà preceduto con alta probabilità da un attentato falsa bandiera nel teatro bellico stesso. Purtroppo, anche in questo senso, non mancano i segnali premonitori, come dimostra la cronoca recente: lo stesso triste episodio, il bombardamento di strutture ospedaliere, che si ripete a distanza di pochi giorni, ricevendo un’immediata eco su tutti i media occidentali, seguendo il copione già sperimentato a Sarajevo con la strage al mercato dell’agosto 1995, ouverture della campagna NATO “Operation Deliberate Force”.

Si comincia il 10 febbraio col bombardamento di due o più strutture ospedaliere di Medici Senza Frontiere attorno ad Aleppo20: Washington accusa immediatamente Mosca di aver colpito i due nosocomi durante i raid aerei, ma sul canale Russia Today appare l’immediata e puntuale replica. Quel giorno nessun aereo russo si sarebbe alzato in volo sopra Aleppo, mentre i radar hanno notato due aerei A-10 Thunderbolt statunitensi entrare in Siria dal confine turco e dirigersi verso la città per l’effettuazione di bombardamenti21 (si noti come la presenza dell’ISIS ad Aleppo sia ormai residuale).

Il 15 febbraio si ripete la stessa dinamica: ad essere presi di mira sono nuovamente gli ospedali di Medici Senza Frontiere ad Aleppo e, questa volta, anche ad Idlib. Muoiono almeno 50 civili, tra cui anche bambini, immediatamente sfruttati dalla stampa occidentale per alimentare l’indignazione ed il turbamento dell’opinione pubblica. Si ripone il quesito: chi è l’autore del disumano gesto? “Sembra essere un attacco deliberato contro la struttura sanitaria e lo condanniamo con la maggior forza possibile” dice Massimiliano Rebaudengo, responsabile della missione Medici Senza Frontiere22.

Immediato parte lo scambio di accuse: “Francia e Turchia contro la Russia: i raid sono crimini di guerra” titola La Stampa23. Sia il ministro degli esteri francesi Jean-Marc Ayrault che il premier turco Ahmet Davutoglu lanciano infatti durissime accuse contro Damasco e Mosca, responsabili secondo Davutoglu, “la mente grigia” di Recep Erdgan, di agire come una vera “organizzazione terroristica24: a dar loro man forte è, ovviamente, l’immancabile Osservatorio siriano per i diritti umani, basato in Inghilterra e gestito da tale Rami Abdulrahman, un emigrato siriano che da 15 anni non mette piede in Siria. Diametralmente opposta è la versione degli accusati: secondo l’ambasciatore siriano a Mosca i responsabili dei bombardamenti sono aerei americani25 e l’indice è puntato direttamente contro Washington che, a sua volta, accusa della strage il “regime di Bashar Assad”.

Come nel caso dell’attacco col gas sarin alla periferia di Damasco nell’estate del ’13, rivelatosi poi un clamoroso attentato falsa bandiera, occorre porsi il quesito: cui prodest? È nell’interesse di Mosca e Damasco, ad un passo dalla vittoria sul campo, attirarsi gli strali della comunità internazionale per un superfluo bombardamento su due nosocomi, oppure la strage fa il gioco di chi vuole screditare Damasco ed aprire le porte ad un intervento militare della NATO?

Che in questi giorni si stiano verificando simili provocazioni, e con un tale frequenza, è un pessimo segnale: è sintomo che gli angloamericani fremono per entrare a gamba tesa nel conflitto.

Il pericolo di un’escalation militare è chiaramente percepito da Mosca: 20-30,000 soldati sono già dispiegati in Crimea, esercitazioni militari si svolgono a ridosso della frontiera con l’Ucraina26, la strategica base russa in Armenia è in ampliamento27 e, dulcis in fundo, sono stati schierati in Siria i modernissimi caccia Su-35, sprecati per la lotta al Califfato, ma utili se finalizzati a garantire la supremazia russa ne cieli siriani, a fianco dei sistemi missilistici S-300 e S-400. Anche l’Iran dovrebbe ricevere nelle prossime settimane i propri S-30028 e c’è da chiedersi se questo fatto non imprima un’ulteriore accelerazione agli avvenimenti, prima che anche Teheran ed il lato sud della Federazione russa siano al riparo da eventuali incursioni aeree.

Sale quindi incessantemente la tensione in Medio Oriente. Tornando all’incipit, la situazione sempre più incandescente esula dai confini regionali, concernendo piuttosto le condizioni critiche dell’economia occidentale: otto inconcludenti anni di tassi a zero, un indebitamento insostenibile, una deflazione strisciante e le borse che scricchiolano sinistramente sotto il peso di un’altra recessione, sono risolvibili, secondo le oligarchie finanziarie anglofone, in un solo modo. Un nuovo 1914.

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Note

1 http://www.cbsnews.com/news/why-the-u-s-is-vulnerable-to-a-recession/

2 http://uk.reuters.com/article/us-britain-boe-idUKKCN0VD1GK

3 http://www.mckinsey.com/global-themes/employment-and-growth/debt-and-not-much-deleveraging

4 https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2014/html/pr140605_3.it.html

5 http://www.reuters.com/article/us-japan-economy-boj-decision-idUSKCN0V70A7

6 http://www.milanofinanza.it/news/eurozona-confermato-a-0-2-tasso-inflazione-annuale-a-dicembre-201601191121468989

7 http://www.ft.com/fastft/2016/01/28/japan-inflation-rate-cools-in-dec/

8 http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-05-13/hsbc-central-banks-are-running-low-on-ammunition

9 http://www.repubblica.it/esteri/2016/01/02/news/arabia_saudita_giustiziati_47-130499096/

10 http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-13/siria-turchia-e-arabia-saudita-pronte-un-intervento-truppe-terra-114844.shtml?uuid=ACe83mTC

11 http://www.reuters.com/article/us-mideast-crisis-iraq-turkey-idUSKBN0TQ0SS20151207

12 http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/04/news/russia_seri_sospetti_che_turchia_prepari_incursioni_in_siria_-132717294/

13 http://www.theguardian.com/world/2016/feb/13/turkey-shells-kurdish-forces-in-syria-in-retaliation-for-attack-on-border-posts

14 http://www.defensenews.com/story/war-in-syria/2016/02/11/carter-anti-isis-coalition-allies-meeting-nato/80225730/

15 http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-d40a222d-548e-4444-9233-842cbb0f7161.html

16 http://navaltoday.com/2016/02/02/protection-for-fs-charles-de-gaulle/

17 https://www.gov.uk/government/news/update-air-strikes-against-daesh

18 http://www.military.com/daily-news/2016/02/03/number-us-troops-iraq-more-than-4000-exceeds-previous-claims.html

19 http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/02/13/isis-valls-ci-saranno-grandi-attentati_b9daeeb4-f805-460f-b9e9-4c3583cdb9cb.html

20 http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2016/02/10/news/siria-133143905/?ref=search

21 https://www.rt.com/news/332109-russian-jets-isis-warlords/

22 http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/15/news/siria_bombardato_ospedale_di_medici_senza_frontiere_9_morti-133461336/

23 https://www.lastampa.it/2016/02/16/esteri/francia-e-turchia-condannano-i-raid-sugli-ospedali-in-siria-crimini-di-guerra-49bQ6DgxhpKnOzIYAgAJKP/pagina.html

24 http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/15/news/siria_bombardato_ospedale_di_medici_senza_frontiere_9_morti-133461336/

25 http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2016/02/15/siria-raid-russo-colpisce-ospedale-medici-senza-frontiere-almeno-morti_Jit5Nplhm5K2Z2CX4dsvfO.html?refresh_ce

26 http://www.upi.com/Top_News/World-News/2016/02/12/8500-Russian-troops-perform-military-drills-near-Ukrainian-border/3111455304983/

27 http://www.tert.am/en/news/2016/01/19/korotchenko/1899634

28 http://www.askanews.it/nuova-europa/russia-consegnera-missili-s-300-a-iran-in-immediato-futuro_711735215.htm

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