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marx xxi

Un libro fondamentale per capire le dinamiche dell’economia mondiale

di Gianni Cadoppi

“Geofinanza e Geopolitica” di Fabio Massimo Parenti e Umberto Rosati. EGEA (29 settembre 2016), € 16

hacking 01 matrixEconomia reale Vs. finanziarizzazione

“Se nel 1970 il valore totale dello scambio valutario era circa equivalente al valore del commercio globale (1:1), nel 2007 il rapporto è diventato di 50:1, in altre parole una finanziarizzazione spinta. La globalizzazione finanziaria ha portato allo squilibrio tra creazione di valore reale, ossia la produzione e lo scambio di beni e servizi, e creazione di valore artificiale, ovvero ancorato alla mera circolazione di denaro, spesso solo virtuale, e di titoli derivati. Una dinamica, quest’ultima, che si è incardinata nel sovradimensionamento del settore bancario, soprattutto nei paesi più avanzati dell’Occidente, e nel progressivo indebitamento di paesi, famiglie e individui in giro per il mondo”. Così Fabio Massimo Parenti ci spiega come la finanziarizzazione dell'economia comporti uno scambio valutario che non corrisponde più all’entità del  commercio mondiale. I beni e servizi sono aumentati in maniera assai inferiore agli investimenti in beni finanziari non più correlati all'economia reale come era concepita tradizionalmente. Ciò ha portato all'esplosione del settore bancario.

La globalizzazione finanziaria è stata diretta dagli USA a loro beneficio e al limite dei loro alleati. La competizione con questo ordine proviene dai BRICS ma soprattutto dalla Cina che è la più coerente nel portare una sfida a tutto campo. L'affermarsi della finanziarizzazione è andata di pari passo con il successo dell'ideologia neoliberale, più radicale del liberalismo classico nel rivendicare la non ingerenza statale (a parole). Spesso però succede che gli investitori “liberali” spremano in realtà lo stato per i loro investimenti. Scrive Parenti che:

“Lo stesso paradigma politico-economico di riferimento in Occidente – il neoliberalismo – continua a godere di buona salute come scelta dominante nei centri di potere malgrado abbia mostrato da tempo tutta la sua fallacia. Diversamente, le potenze emergenti presentano modelli di sviluppo almeno in parte alternativi, anche perché conservano maggiori controlli sui flussi di capitale e promuovono una finanza per lo sviluppo volta a investimenti di lungo termine”.

Con Bretton Woods nel 1944 e il superamento del Gold Standard si pongono le basi del Washington Consensus. La nuova parità tra il dollaro e l'oro impone la valuta americana come moneta di riferimento mondiale. Gli americani finanziano il Piano Marshall, la guerra di Corea, la "colonizzazione" economica del Giappone, imponendo il loro dominio sul “mondo libero”, come lo definiva la retorica della Guerra Fredda. Con la World Bank fanno prestiti a paesi in via di sviluppo, con il Fondo Monetario Internazionale mantengono la stabilità monetaria e il controllo delle bilance dei pagamenti. Che cosa poteva fare la povera Unione Sovietica contro questa Invincibile Armata più potente delle legioni naziste che l'avevano invasa?

Diciamo che la Cina a questo punto ha capito tutto. Socialismo di mercato significa anche inserirsi positivamente nel mercato mondiale acquistando influenza con nuove rotte commerciali come la One Belt, One Road (la Via della Seta), le nuove banche d’investimento (Banca Asiatica d'Investimento per le infrastrutture, Banca Brics) per finanziare l'economia reale e la costruzione d’infrastrutture. A questo punto diventa indispensabile trasformare lo yuan in moneta internazionale di riserva. L'entrata stessa della Cina nel WB, FMI e WTO, non a caso contrastata dagli USA, non solo non ha portato al crollo della Cina (come paventava ai tempi il Manifesto) ma oggi molti americani (a cominciare da Trump) vedono in questi fatti l'inizio del temuto tramonto dell'egemonia yankee. Come ha detto Jack Ma, patron di Alibaba: “Dove sono finiti i soldi degli americani? 4,2 triliardi sono andati a finanziare 13 guerre all'estero. 19,2 triliardi sono stati bruciati da Wall Street nella crisi del 2008, cosa sarebbe successo se voi li aveste investiti in industria, educazione, infrastrutture?” Il Beijing Consensus è alle porte: meno finanziarizzazione (ma bisognerà eccellere anche in questo campo), meno guerre calde, fredde o riscaldate e più economia reale!!!

 

Socialismo Vs. capitalismo

Secondo il mio parere il fallimento del capitalismo libertarian (sempre che sia mai esistito niente del genere) data dal crollo di Wall Street nel 1929. Il quasi contemporaneo boom dell'economia pianificata di stampo sovietico porta molti economisti ad abbracciare la tesi dell'intervento statale nell'economia. Tre tra i maggiori successi nell'economia del Novecento si devono a paesi socialisti: L'URSS degli anni trenta ma anche della guerra e della ricostruzione post bellica, la Jugoslavia degli anni cinquanta e primi anni sessanta, la Cina dalla fine degli anni settanta sino ad ora. Eppure è convinzione generale che il comunismo abbia lasciato solo un cumulo di macerie. L'unica economia capitalista il cui tasso di crescita (a lungo termine) ha superato quello dell'URSS è stato il Giappone ma in presenza di un importante intervento statale, insomma con un po’ di “socialismo”.  Nel primo dopoguerra in Gran Bretagna c'è una commissione governativa per la pianificazione economica, in molti paesi si parla di programmazione, aziende private d’interesse pubblico vengono nazionalizzate, si ha l'espansione del Welfare State (assolutamente contraria ai principi del liberalismo puro). In USA, negli anni sessanta, dopo una certa quota le tasse arrivano al 99% dei guadagni. Sotto molti punti vista la concorrenza con l'Unione Sovietica porta paradossalmente al trionfo del "socialismo" in Occidente. A seguito dell’istituzione del suffragio universale in Russia, nel 1917, il liberalismo (tradizionalmente antidemocratico e favorevole al suffragio ristretto in base al censo) passa più o meno rapidamente al diritto di voto per tutti, persino per le donne (in Italia nel 1946) e in America per gli afroamericani (1967). Il XX secolo è l’epoca del trionfo del "socialismo", lo dico in maniera paradossale, su scala mondiale invece che del capitalismo come vorrebbe la narrazione basata sull’ideologia neoliberista. In particolare gli anni novanta, come scrive James Kenneth Galbraith,il socialismo trionfa in paesi come Cina, India (anche qui esistono piani quinquennali), Vietnam ecc. mentre il neoliberismo semina solo desolazione e morte dove viene applicato radicalmente (vedi Russia di Eltsin). Il capitalismo puro come abbiamo visto era fallito molto prima del “socialismo reale”.

Per esempio la prima globalizzazione, dicono Parenti e Rosati, avviene tra i paesi dell’area atlantica legati all'America tramite il piano Marshall. Il primo trattato di libero commercio è il GATT. Non sono i privati ma le istituzioni governative (quelle che non dovrebbero intervenire nell’economia secondo l’ideologia liberale) che conducono le danze assieme a istituzioni intergovernative appena create quali il FMI e la Banca Mondiale. Questa prima globalizzaizone avviene in un periodo caratterizzato, come abbiamo visto, da un forte intervento statale e da politiche ridistributive di taglio keynesiano.

Con l’adozione del modello neoliberista a partire dagli anni ottanta, complici i crescenti processi di finanziarizzazione dell’economia, ledisuguaglianze sono aumentate pesantemente. Ciò non avviene semplicemente per il digital divide che contraddistingue l’attuale era dell’elettronica, come sostenuto dagli economisti mainstream. Secondo Umberto Rosati, che cita ricerche specifiche: “È importante sottolineare come i paesi che hanno articolato le loro politiche in modo tale da contrastare le spinte alla divergenza economica abbiano realizzato performance di sviluppo molto buone, dimostrando, pur in presenza di processi di liberalizzazione, che mantenere o accrescere la competitività è possibile anche conservando un forte controllo politico sulla distribuzione del reddito”. Lo stesso Rosatiapprofondisce poi i temi del capitalismo finanziario, le sue caratteristiche, le dinamiche di potere e i luoghi della finanza, con le loro peculiarità e processi di agglomerazione.

 

Win Win Vs. Kaos

La presidenza americana uscente ha puntato sullo scontro con la Cina (e la Russia), anche a costo di portare il kaos in Africa del Nord e Medio Oriente. Politica classica da potenza imperiale per non parlare di quell’arnese da guerra fredda costituito dall’ormai rottamato Pivot to Asia. La Cina ha puntato piuttosto su iniziative Win-Win in omaggio alla sua ascesa pacifica. Questo ha portato il gigante asiatico ad un indubbio successo con l’AIIB, la banca per le infrastrutture, che ha coinvolto molti paesi tradizionalmente soggetti all’egemonia americana nonostante l’ostilità di Obama. La Cina ha fatto altresì proposte vantaggiose per gli stessi americani come l'acquisto di aerei Boeing e l’offerta alla Cisco System per l’apertura del mercato cinese.

Pechino sta costruendo la propria esperienza finanziaria dal basso. I capitali cinesi che lasciano la madrepatria, magari complice la campagna anticorruzione di Xi Jinping, oppure l’instabilità del mercato azionario (che per altro si sta normalizzando nonostante le ondate speculative orchestrate da grandi operatori stranieri), non ha effetti solo negativi. Questi capitali vanno a costruire ponti che interlacciano l’economia cinese con il resto del mondo. La piazza di Shanghai, la cui borsa si unificherà con quella di Hong Kong (un tempo la terza piazza finanziaria del pianeta) proprio quest’anno, non può raggiungere lo status di quelle di New York e Londra  in breve tempo. La sfida però è stata posta e porterà ad una maggiore integrazione nel mercato mondiale, aumentando inevitabilmente influenza globale dell’Impero di Mezzo.

La Cina agisce a livello internazionale con prestiti di tipo tradizionale, in generale per la costruzione d’infrastrutture che sono alla base dell’industrializzazione, ovvero dell’economia reale. Il finanziamento di questi progetti con il tempo potrebbe rendere meno importanti i centri finanziari tradizionali. Anche aziende come Alibaba del già citato Jack Ma, danno la possibilità di aprire conti ad aziende direttamente sul WEB aiutando le piccole imprese ad internazionalizzarsi. Ancora una volta si sostiene l’economia reale.

Parecchi sono però gli ostacoli che incontra la Cina in campo finanziario come i limiti imposti dalla Federal Reserve in America e il poco spazio rimanente in Europa dato l’eccesso di offerta bancaria.

La Cina negozia con gli USA che sono gli attuali padroni del mondo, piaccia o non piaccia, ma ha anche progetti propri. Un’opposizione frontale all’America nelle attuali condizioni sarebbe funesta per la Cina. Lo yuan fino a pochi anni fa era praticamente assente dagli scambi internazionali per diventare già nel 2014 la settima valuta internazionale e la seconda più usata negli scambi tra Cina e il resto del mondo. Nel 2015 ha addirittura superato lo yen passando al quarto posto. La Cina è dal 2013 la prima potenza commerciale mondiale quindi in ottima posizione per sponsorizzare l’uso della propria moneta. Pechino ha proposto al mondo strutture che possono avvantaggiare l’utilizzo della sua moneta quali l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) e la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) quest’ultima in alternativa al TPP americano (che puntava ad escludere la Cina). Naufragato con l’elezione di Trump il TPP, rimane sul terreno solo la proposta cinese. All’offensiva di Obama impostata con una classica mossa da guerra fredda per contenerla e accerchiarla, la Cina ha risposto brillantemente aprendo la Via della Seta terrestre. Questa è una possibile replica al blocco del Mar Cinese Meridionale, dato che la via terrestre passa per i paesi fortemente influenzati dalla Russia, alleato strategico di Pechino. La necessità d’investimenti infrastrutturali ha portato i cinesi a disinvestire nel debito USA, fonte di possibili svalutazioni, per finanziare le infrastrutture della Via della Seta che a sua volta diventa un’arma per rafforzare la diffusione dello yuan. Inoltre la Cina ha intenzione di creare una piattaforma di gestione dei pagamenti internazionali sulla falsariga della SWIFT (Società per le Telecomunicazioni Finanziarie Interbancarie Mondiali) ma alternativo a questa.

 

Yuan Vs. Dollaro

Pechino ha già ottenuto lo status di moneta di riserva perché è riuscita a contenere l’inflazione ottenendo una sostanziale stabilità della moneta. Ma questo non è ancora sufficiente affinché lo yuan diventi concorrenziale con il dollaro. La Cina vuole mantenere un’economia sana controllando le speculazioni finanziarie che si svolgono tutte in dollari. Le stesse attività di scambio delle materie prime ad esempio sono prezzate in dollari e ci vuole tempo perché questo cambi. La Cina cerca quindi un accordo con gli USA che sono restii a cedere il vantaggio consistente nell’essere potenza dominante militarmente con oltre mille basi in giro per il mondo. Solo loro possono permettersi cose simili dato che qualsiasi altro paese avrebbe come conseguenza, dallo stampare moneta senza controllo, un’inflazione galoppante. Lo squilibrio nella bilancia dei pagamenti può averlo l’America e nessun altro.Gli Stati Uniti possono continuare ad avere degli squilibri costanti e crescenti della propria bilancia dei pagamenti semplicemente perché hanno il potere di stampare più moneta per comprare ciò di cui hanno bisogno. In questo contesto chi tocca i fili muore. E’ successo a Gheddafi ad esempio e oggi sappiamo, da Wikileaks, che aveva il torto di sfidare Washington proprio in campo finanziario in Africa. Stessa cosa per chi minaccia le fonti di approvvigionamento energetico (Saddam Hussein).

Il potere degli USA viene dalla seconda guerra mondiale quando i rivali uscirono distrutti economicamente, si pensi alla Gran Bretagna il cui PIL durante la guerra fu finanziato dagli USA per più del 50%. L’URSS e il Giappone ne uscirono a pezzi. Gli USA non subirono distruzioni e per di più con un’economia che grazie alla guerra si era risollevata dalla Grande Depressione ed era in sovrapproduzione, erano nella condizione necessaria per avviare il Piano Marshall. L’egemonia materiale  è completata dall’esportazione  dall’egemonia spirituale: il soft power dei media mainstream e di Hollywood ovvero il Sogno Americano.

 

Il modello cinese

«Se c’è un ‘modello cinese’, la sua più rilevante caratteristica è la volontà di sperimentare con differenti modelli» secondo il professor Arif Dirlik. Si è progressivamente passati, infatti, dalla Nuova Democrazia maoista, al “comunismo” della Rivoluzione Culturale, al “socialismo di mercato” di Deng, alle “tre rappresentanze” di Jang, alla “società armonica e allo sviluppo scientifico” di Hu e, ancora al “sogno cinese” di Xi. Il tutto all’interno del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Del resto il marxismo essendo una dottrina che si considera scientifica, deve per forza di cose porre al vaglio della pratica le proprie teorie. La sperimentazione quindi deve essere di casa. La Cina riformatrice è davvero diventata un’economia “capitalista”, nel senso in cui siamo abituati a parlare di capitalismo in Occidente? La risposta di Xi è chiara: «Alcuni definiscono il riformismo come un cambiamento verso i valori e il sistema politico occidentale. […]. La nostra è una riforma che ci fa proseguire sul sentiero del socialismo con caratteristiche cinesi» (Xi Jinping, dicembre 2012).

Dirlik sostiene che il modello cinese consisterebbe nella volontà di sperimentare vari modelli ma siamo sicuri che ci sia stata, storicamente parlando, una sola versione del socialismo? In generale quando si giudica un paese in base al grado di socialismo, si ha sempre presente, sotto sotto, il modello staliniano. Si può dire che nei paesi socialisti ci sia stato un modello per ogni paese che abbia applicato il marxismo alla propria realtà. In molto paesi dell'est le terre, ad esempio non furono collettivizzate. In quasi tutti era permesso il lavoro in proprio. In alcuni paesi era consentita la piccola impresa fino a 15 dipendenti. A Cuba tuttora è concesso di detenere poderi agricoli. Per non parlare della lotta di Edward Kardelj in Jugoslavia contro la "Dittatura dell'offerta" a favore dell'autogestione e dunque del mercato (non c'è autogestione senza mercato). Il socialismo di mercato ha avuto come teorico Oskar Lange in Polonia ma è stato applicato anche e soprattutto in Ungheria. Il modello cinese di socialismo di mercato è stato quello di maggiore di successo dove è stato messo in pratica. Sono oltre settecento milioni le persone strappate alla povertà assoluta in Cina, ma anche in Laos, Vietnam, Cambogia che hanno seguito il modello cinese.

Secondo Arrighi il modello cinese si è concretizzato nello sviluppo di uno schema di economia di mercato non capitalista come preconizzato da Adam Smith o un socialismo di mercato evoluto che ha superato i limiti delle applicazioni classiche in Ungheria, con il cosiddetto “socialismo al gulash”, oppure in Polonia e Jugoslavia.

Nella percezione popolare occidentale la Cina sarebbe un sistema “capitalista autoritario”. Questo tipo di idee è stato instillato da tutta la truppa cammellata del Washington Consensus (università, media ecc.) che ha insistito sul leit-motiv che “non ci sono alternative al capitalismo”. Ciò che c’è di positivo (sviluppo economico) in Cina deriva dalla ricetta liberista ciò che c’è di negativo (autoritarismo) deriva dal comunismo. Le truppe di complemento per questa concezione sono nell’estrema sinistra semplificatrice.

In realtà tutti i tentativi di applicare le ricette liberiste nell’Africa Subsahariana, in America latina (default argentino) e nell’ex URSS (era di Eltsin) si sono rivelati un disastro completo.

Quello dei cinesi è socialismo di (più o meno) libero mercato che significa alto tasso di dirigismo statale (in modo che l'economia sia in mani nazionali e non di Wall Street) e un alto tasso di libero mercato (che significa merci e servizi con costi minimi). L'economia di mercato socialista evita l'instabilità macro-economica del capitalismo, mentre sfrutta l'efficienza micro-economica del mercato. Una formula vincente dove è stata applicata: Cina, Vietnam, Laos, Cambogia che hanno, come si diceva, il maggior numero di gente sottratta alla povertà assoluta nel mondo.

Nonostante l’ampia diffusione (in Occidente) delle teorie del collasso cinese la popolarità del sistema socialista e dei dirigenti cinesi sembra essere tra le maggiori del mondo mentre quella dei leader occidentali “democratici” appare assai bassa almeno secondo le stime dell’americanissima Pew Research. In Cina lo stato è più popolare che in Occidente. Esso non è visto come un nemico o al più uno strumento che favorisca gli interessi privati ma come una garanzia dell’interesse collettivo che prevale sempre sull’interesse del singolo.

La legittimità del Partito Comunista non è data solo dallo sviluppo economico impetuoso. Ci sono altri elementi che elencheremo. Il Partito ha mantenuto l’unità della nazione dopo lo smembramento cui fu sottoposta dal colonialismo e dall’imperialismo occidentale. La Cina ha però evitato la chiusura su se stessa: gli studenti vanno all’estero e hanno una conoscenza dell’Occidente maggiore di quella approssimativa e sostenuta da parecchi pregiudizi che ha l’Occidente del paese asiatico.

Pechino ha anche intrapreso la marcia verso una società socialista di diritto che ha portato nel 2005 alla libertà di manifestazione come alla capillarizzazione dell’azione del sindacato. Ad esempio lo sciopero è in generale tollerato. La legge del lavoro del 2008 è considerata tra le più avanzate del mondo. La democrazia di villaggio e la proliferazione dei microblog hanno fatto il resto.

Rapidità di decisione con capacità di intervenire su elementi critici e efficienza politico-amministrativa sono la cifra “dell’autoritarismo” cinese. Un sistema di reclutamento e di valutazione delle competenze meritocratiche efficace, che segue la tradizione confuciana evitando il sistema della porta girevole ossia del passaggio dal pubblico al privato.

Notevoli successi sono venuti nell’ambito della lotta alla corruzione con una netta diminuzione dei casi di appropriazione indebita da parte di funzionari pubblici. Questi miglioramenti sono anche stati rilevati da Trasparency International, un’organizzazione finanziata dai governi liberali occidentali che giudica invariabilmente corrotto qualsiasi stato vagamente socialista. La lotta alla corruzione è molto sentita. Altrettanto sentito è l’impegno per contrastare le pratiche di esproprio di terre pubbliche da parte di privati dato che queste sono di proprietà collettiva. La legittimazione dunque non deriva solo dallo sviluppo economico, pur importante, ma dalla situazione complessiva.

Vitale nella valutazione del socialismo cinese la programmazione territoriale. In un primo tempo si sono sviluppate solo alcune zone litoranee che erano vicine a chi investiva ossia la Sinosfera di Hong Kong, Macao, Taiwan, Singapore. Poi si è passati allo sviluppo altre zone come e le regioni sottosviluppate del Centro e dell’Ovest del paese. Inizialmente molti investimenti provenivano da cinesi residenti nelle cosiddette Tigri asiatiche e ciò significativamente avvenne nonostante le deboli garanzie per la proprietà privata in Cina. I cinesi d’oltremare, potevano contare su relazioni familiari, conoscenze culturali (guanxi) e linguistiche comuni per ottenere trattamenti privilegiati da funzionari e politici locali. Poi progressivamente Pechino si è aperta anche ad investimenti occidentali o meglio questi sono intervenuti quando non ne potevano fare a meno. Fino al 1990 gli investimenti “cinesi” erano il 75% del totale, mentre ancora adesso, sono oltre il 50% del totale.

La pianificazione territoriale ha reso più autonome le province della Cina portando all’istituzione delle zone economiche speciali, «città e regioni costiere aperte», «zone franche» e decine di «zone di sviluppo economico e tecnologico». Questa strategia delle Zone Economiche Speciali si calcola sia stata imitata da 140 paesi.

Secondo Arrighi, a guidare i più recenti sviluppi cinesi non sarebbero stati i capitali occidentali, intervenuti solo in un secondo momento, ma piuttosto «la mobilitazione produttiva di una forza lavoro di qualità (in termini di salute, istruzione e capacità di self-management) in un mercato interno in rapida espansione».

Dando mano libera all’imprenditoria piccola e media e alla libera concorrenza, le aziende da 10 milioni sono diventare 70 milioni in pochi anni con un’occupazione di 500 milioni di persone. Aziende dunque mediamente piccole i cui proprietari sono spesso impiegati direttamente nella produzione e naturali alleati dei lavoratori. In un primo tempo si è favorita l’occupazione labor intensive attraverso la decentralizzazione e le TVA, le aziende collettive di villaggio. Passare alla manifattura senza lasciare la campagna evitando lo spettacolo desolante degli slum nelle megalopoli, tipici del terzo mondo.

L’effetto della programmazione territoriale lo si potrà vedere nella Bohai Economic Rim, regione a Nord Est, che comprende oltre a Pechino  e Tianjin (che si avviano a costruire una sola area metropolitana)anche parti delle regioni di Hebei, Liaoning e Shandong e che competeranno con le aree del Delta del Fiume delle Perle e dello Yangtze. Un altro miracolo della programmazione territoriale cinese è stata Chongqing. Il fattore più importante che ha contribuito alla crescita della città è stata l’iniziativa «Go West» per portare lo sviluppo economico anche nelle zone più arretrate dell’Impero di Mezzo e ridurre le disuguaglianze territoriali che sono parte importante di quelle complessive.

 

Beijing Consensus Vs. Washington Consensus

C’è un capitolo molto interessante del volume curato da Parenti e Rosati e scritto da una saggista di origine cinese: Ann Lee che ci spiega il rapporto di Pachino con la finanza mondiale.

La Cina ha dapprima dovuto agganciarsi al dollaro. Le monete subiscono variazioni continue, devono appoggiarsi su grandi istituti finanziari cosa che non tutte le aziende, soprattutto quelle piccole, possono fare. Le spese di protezione dalle variazioni sulle quotazioni sono, infatti, ingenti e per questa ragione, la Cina si è agganciata al dollaro. La stessa cosa fecero la Germania e il Giappone del dopoguerra le cui monete erano legate al dollaro che a sua volta era agganciato all’oro.

Le ragioni per uno yuan globale si devono alle preoccupazioni cinesi dopo la crisi del 2008, in quanto investitore globale soprattutto in euro e dollari. Il rischio di dissoluzione dell’euro e dell’Europa e la crisi del 2008 con il pericolo d’insolvenza degli USA hanno messo a dura prova la tenuta dei tre mila miliardi di dollari di riserve cinesi. L’utilizzo dello yuan nelle transazioni internazionali dovrebbe proteggere il capitale accumulato dai cinesi. Non disponendo di una moneta di riserva la Cina doveva sottoporsi a un vero taglieggiamento essendo costretta a pagare commissioni non solo quando commerciava con gli USA ma anche con paesi terzi. Ad esempio quando Pechino comprava petrolio dalla Russia, deve pagare commissioni. Per evitare questo la Cina doveva cercare di pagare in yuan il che però presupponeva la possibilità di far fluttuare liberamente la propria valuta esponendosi alle speculazioni contro la propria moneta. Era obbligatorio quindi farsi accettare come valuta di riserva. Pechino è costantemente accusata di manipolare la moneta, ma ad esempio i salari sono costantemente aumentati facendo apprezzare la moneta stessa (il cui valore dipende anche da tasse regolamenti, produttività ecc.). Pechino manipola davvero la propria valuta? Se la Cina lasciasse fluttuare liberamente la propria moneta questa calerebbe e non crescerebbe come pensano i demagoghi scarsamente informati. La Cina ha svalutato in maniera soft prima che il mercato lo facesse in maniera hard. Lo yuan dovrebbe essere quotato tra i 7.5/8.5 yuan per dollaro, non 6.8 come ora. La Cina ha un cambio sopravvalutato, tanto che nel 2015 hanno dovuto bruciare 6-700 miliardi di dollari per sostenerlo. Se liberalizzassero il cambio, lo yuan si svaluterebbe rapidamente portandosi sopra i 7.5. Ora Pechino sta svalutando gradualmente per evitare fughe di capitali e ciò ha favorito l’ammissione dello Yuan come valuta di riserva del Fondo Monetario Internazionale.

L’argomento è poi evanescente se si pensa che l'Abenomics ha portato alla svalutazione della moneta giapponese del 60% nei confronti dei competitor senza per altro aumentare l’export giapponese. Lo sganciamento dal dollaro senza che lo yuan divenisse prima valuta di riserva poteva portare all'incertezza anche nei confronti dei partner commerciali (in primis gli USA) ma con il nuovo status questo diventa più difficile. La Cina potrà mettere sotto controllo la moneta come fa normalmente la Federal Reserve negli USA. Bisogna stare accorti. La finanziarizzazione dell'economia mondiale comporta rischi crescenti: tra il 1874 e il 1930 ci sono state dieci crisi bancarie mentre dagli anni settanta sono diventate 100.

Gli autori scrivono:

“Con la crisi del 2008 è venuto allo scoperto che il governo americano ha incoraggiato le speculazioni finanziarie che hanno arricchito pochi contro i molti. I politici cinesi credono che il mondo stia guardando a loro per offrire un regime monetario alternativo o comunque più stabile di quello avuto fino a oggi.

Con l’eccezione di Lehman Brothers, la Federal Reserve e il governo degli Stati Uniti hanno chiaramente favorito Wall Street rispetto all’interesse generale. Hanno salvato tutte le maggiori istituzioni finanziarie quando erano in bancarotta, permettendogli peraltro di divenire ancor più pericolose da un punto di vista sistemico. Sotto la supervisione della Federal Reserve e le nuove regole del Dodd-Frank Act, l’attività speculativa è, infatti, cresciuta di sei volte dalla crisi del 2008. Secondo la BIS, i commerci di strumenti derivati, che superavano i 100 trilioni di dollari nel 2005, hanno superato i 661 trilioni di dollari nel 2014”

L’interesse del mondo per le mosse di Pechino lo si è visto proprio quest’anno a Davos con il grande successo personale di Xi Jiping. “L’unica persona adulta nella stanza” l’ha definito il Financial Time.

L’effetto del denaro dato a poco prezzo (ufficialmente per risollevare l’economia) ha portato ad una corsa all’investimento finanziario mentre sono diminuiti radicalmente i prestiti alle piccole e medie imprese per lo sviluppo dell’economia reale. C’è stata un'unione tra hedge funds (fondi fortemente speculativi) e grandi banche per danneggiare con speculazioni l’euro e farlo fallire. La qual cosa è costata tantissimo all’Europa (austerity, salvataggi multipli, quantitative easing).

I media mainstream sostenevano che il calo del prezzo del petrolio era dovuto al shale gas e al rallentamento della Cina. In realtà come rivelato da Aaron Brown del fondo speculativo AQR, la Security and Exchange Commission, l'ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa, ricattava i fondi d’investimento affinché mettessero sotto pressione la Russia dopo la crisi ucraina e abbassassero il prezzo del petrolio. Naturalmente le misure sul petrolio hanno poi messo in difficoltà tutti i produttori principalmente il Venezuela che vi dipendeva per il suo stato sociale e il Brasile che ha un petrolio molto costoso per via delle piattaforme off-shore. La finanza viene volta per scopi geopolitici contro tutti i possibili competitor degli USA. Non parliamo poi del nazionalismo economico di Trump che ha dichiarato guerra all’universo terracqueo.

Scrivono ancora gli autori:

“È in virtù di questo contesto e di queste dinamiche destabilizzanti che la Cina ha potuto ottenere sia l’appoggio europeo all’inclusione dello yuan tra le monete di riserva internazionale, sia un ulteriore supporto dalle Nazioni Unite per cominciare ad abbandonare il dollaro statunitense come la sola moneta di riserva. Sembra, infatti, che molti paesi pongano una crescente fiducia nella capacità della Repubblica popolare di controbilanciare l’egemonia del dollaro statunitense”.

Work in progress dunque per una finanza più vicina all’economia reale che è nell’interesse di chi lavora.

In sintesi il libro di Parenti e Rosati è utilissimo per capire le tendenze economiche che si aprono in un futuro ormai prossimo. Questo volume non dovrebbe mancare nelle librerie dei militanti per approfondire questi aspetti dell’economia e della geopolitica mondiale che sovente risultano ostici ma che gli autori spiegano egregiamente.

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