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sebastianoisaia

I tedeschi non scherzano mai!

di Sebastiano Isaia 

merkel vs trump«I tedeschi non scherzano mai»: così recita la lapidaria pubblicità di una nota casa automobilistica tedesca. Migliaia di saggi sul carattere nazionale tedesco sintetizzati in uno slogan: è la forza del marketing. E Trump, che ultimamente si è molto lamentato con i «cattivi tedeschi» per l’invasione del mercato americano per opera delle loro automobili, ne sa qualcosa. Scherzi a parte, come dobbiamo interpretare l’impegnativa dichiarazione rilasciata ieri da Angela Merkel in una grande birreria-tendone di Monaco di Baviera? Leggiamo:

«I tempi in cui potevamo fare pienamente affidamento sugli altri sono passati da un bel pezzo, questo ho capito negli ultimi giorni. Noi europei dobbiamo davvero prendere il nostro destino nelle nostre mani. […] Dobbiamo sapere che dobbiamo lottare noi stessi per il nostro futuro e il nostro destino di europei».

Quando si tratta di scomodare l’impegnativo e “pesante” concetto di destino i tedeschi non scherzano mai. Gian Enrico Rusconi, che di cose tedesche si intende, ha scritto qualche anno fa che «Quando si parla della Germania, i toni drammatici sono d’obbligo». È quindi saggio non attribuire alle parole della Cancelliera di Ferro il significato di un mero esercizio retorico usato a fini elettoralistici, confidando nella scarsa simpatia che il Presidente degli Stati Uniti può “vantare” in Europa in generale e in Germania in particolare – la Russia è un discorso a parte.

Nella divergenza Merkel-Trump Emmanuel Macron ha probabilmente visto la ghiotta opportunità di ritagliarsi il comodo ruolo del mediatore, soprattutto nel contesto della nuova situazione creata dalla Brexit; ma egli deve muoversi con prudenza, deve fare molta attenzione perché potrebbe rimanere stritolato nella morsa di interessi, di contraddizioni e di conflitti di eccezionale portata, tali da poter produrre nuova storia, nuovi equilibri geopolitici. Probabilmente è finito il tempo in cui l’abilità manovriera dei leader politici europei (ad esempio di Francia e Italia) poteva supplire a una debolezza strutturale di fondo, e questo con il tacito consenso degli stessi tedeschi, disposti a chiudere un occhio su velleità che tutto sommato non intaccavano la realtà dei rapporti di forza. Tanto più dal momento che la Germania rifiutava di esporsi più di tanto sul piano squisitamente politico, e lasciava pragmaticamente che a parlare fosse la sua potenza economica: fatti, non parole! Ma oggi la «Potenza riluttante» è strattonata da tutte le parti; da tutte le parti le si chiede di assumersi le sue responsabilità, e c’è il rischio che, prima o poi, essa lo faccia davvero: è sempre pericoloso evocare il genio che dorme dentro la lampada!

Rappresentare i grandi convegni internazionali alla stregua di competizioni sportive alla fine delle quali il pubblico ha la possibilità di applaudire i vincenti e di fischiare i perdenti (alcuni quotidiani italiani hanno persino redatto pagelle di fine vertice, come si fa per le partite di calcio), è cosa che piace molto ai mass media di tutto il mondo, i quali devono pur campare. Ma di certo non è il modo più corretto di approcciare e raccontare i Summit come quello che si è appena concluso nella bellissima location di Taormina. In passato il formato G7 (iniziato ufficialmente come G6 nel 1975, diventato G8 alla fine degli anni Novanta con la presenza della Russia, espulsa dal gruppo dei “Grandi” nel 2014 per le note vicende in Ucraina) per un verso – e nei fatti – si limitava a fotografare lo stato dei rapporti di forza «fra i grandi del mondo libero», e per altro verso cercava di vendere all’opinione pubblica internazionale una narrazione tesa a rassicurarla circa le buone intenzioni dei governi riuniti annualmente per fare il punto della situazione: «È per il vostro bene che stiamo lavorando. Il mondo è in buone mani. Tutto è sotto controllo. Lavorate con zelo e pagate le tasse, dunque». Ed ecco le photo opportunity, ed ecco i chilometrici documenti finali, preparati con millimetrica precisione dai funzionari di fiducia dei Capi di Stato e di Governo (i mitici Sherpa), pieni di buone intenzioni su tutto: sulla futura prosperità dei cittadini, sulla sostenibilità sociale e ambientale dell’economia, sulla pace nel mondo, sulla tolleranza (culturale, religiosa, razziale, sessuale) e su molto altro ancora. L’arrosto dei fatti e il fumo della propaganda, il quale esigeva da parte dei protagonisti un contegno diplomatico inteso a smussare agli occhi dell’opinione pubblica punti di frizione e contraddizioni di vario genere. Alla fine di ogni G7, nella conferenza stampa di chiusura, ciascuno dei protagonisti poteva vantare davanti ai propri cittadini elettori il successo del convegno: «Specialmente il nostro Paese ne esce rafforzato». Come no!

Che fotografia ci consegna il G7 di Taormina? La novità, rispetto ai Summit precedenti, quantomeno a quelli degli ultimi venti anni, è che questa volta l’arrosto dei fatti ha fatto premio, come si dice, sul fumo della propaganda, e ciò non dovrebbe sorprendere nessuno, visto il carattere poco incline agli insulsi canoni del politically correct del Presidente che oggi rappresenta gli interessi della prima potenza capitalistica del pianeta. Ma al di là dei dati personali, è sulla situazione strutturale del cosiddetto mondo libero che si debbono individuare le cause del «fallimento», come sostengono gli analisti più esperti di G7, del vertice di Taormina; «fallimento» che acquista un significato politico e geopolitico ancor più marcato se messo a confronto con l’indubbio successo che Trump ha avuto nella sua missione in Medio Oriente. Chi in Europa si aspettava un Presidente più accomodante, quantomeno per ragioni di garbo diplomatico, ha dovuto ricredersi. Il contenzioso economico e politico fra Stati Uniti e Unione Europea è diventato troppo grande, per essere facilmente nascosto agli occhi dell’opinione pubblica internazionale con qualche espediente diplomatico e per non avere conseguenze politiche di ampio respiro che per adesso personalmente non so prevedere né immaginare – se non sulla scorta di suggestioni che mi vengono da vecchie e poco rassicuranti immagini in bianco e nero. Di certo sono intellettualmente aperto a ogni tipo di conseguenza che sia radicata in una tendenza oggettiva, e oggi la tendenza oggettiva ci parla appunto di un conflitto sistemico tutto interno al cosiddetto «mondo libero».

L’esibita postura muscolare di Donald Trump nasconde in realtà la reale – ma relativa – debolezza economica (industriale, commerciale, finanziaria) degli Stati Uniti, cosa che peraltro non fa registrare un’assoluta novità, anzi. Come ho scritto altre volte, negli anni Ottanta gli USA adottarono una linea politica, commerciale e monetaria molto dura e aggressiva nei confronti della Germania e del Giappone, ossia dei due Paesi che nel secondo dopoguerra si erano assai rafforzati sul piano commerciale e finanziario a spese dell’alleato americano, alle prese con il più grande debito estero del mondo, con un debito pubblico sempre più grande e con una bilancia dei pagamenti costantemente negativa. Sulla The New York Review del maggio 1988 Felix Rohatyn, finanziere e autorevole analista economico e politico di orientamento democratico, scrisse che «Oltre 200 anni dopo la Dichiarazione di Indipendenza gli Stati Uniti hanno perduto la loro posizione di potenza indipendente», e si apprestavano a diventare una «potenza economica di secondo rango». Anche allora la Casa Bianca minacciò di adottare contro l’asse liberista Tokyo-Bonn una politica ampiamente protezionista, confermando la tesi secondo la quale la politica delle porte aperte (possibilmente spalancate) è più congeniale ai forti, mentre la politica opposta segnala una situazione di sofferenza in chi la adotta o minaccia di adottarla. Oggi la politica “liberoscambista” corre soprattutto lungo l’asse Berlino-Pechino, e difatti la Germania di Merkel e la Cina di Xi Jinping sono costantemente nel mirino di Trump: «Prima dell’arrivo dei cinesi, l’acciaio americano andava bene». E qui è facile immaginare una standing ovation di chi alle ultime Presidenziali ha votato Trump e una risata da parte di chi fa l’apologia della nuova rivoluzione tecnologica basata sull’Intelligenza Artificiale.

«Donald Trump si è abbattuto come un ciclone sul G7 dopo aver vestito i panni della diplomazia in Medio Oriente. [… ] La differenza di approccio riflette la genesi del movimento elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca: per le famiglie del ceto medio bianco del Mid-West e degli Appalachi, flagellati dalle diseguaglianze, la priorità è solo e soprattutto un sistema economico “più giusto” ovvero radicalmente diverso dall’architettura degli accordi globali creata dalla fine della Guerra Fredda dai presidenti Clinton, Bush e Obama» (M. Molinari, La Stampa).  

Tarda ancora ad abbattersi sulla Società-Mondo del XXI secolo il ciclone della lotta di classe orientata a distruggere l’attuale sistema economico, più o meno “giusto” (vedi le santissime parole del Compagno Papa Francesco) che sia. Ma di queste utopistiche cose scriverò un’altra volta. Forse.

«Durante la presidenza Obama si è cercato, senza successo, di stipulare Accordi Transatlantici e Accordi Transpacifici, quasi come se gli Stati Uniti volessero di nuovo protendersi a un dominio del mondo che rafforzasse il loro ruolo di esportatori della sicurezza. Quel tentativo è fallito, come è noto, e il nuovo presidente Trump ha più volte dichiarato che vuol sostituirlo con accordi bilaterali che, in effetti, sono la norma da molti anni su scala globale: una norma che è soprattutto frutto del pesante crollo ventennale del commercio mondiale, per il restringimento della domanda interna, per l’inizio della deflazione secolare, per l’instabilità delle relazioni internazionali e dei rapporti di potenza tra Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina. Alcuni di questi Stati, similmente all’India, sono tanto esportatori di merci industriali, quanto di merci agricole, quanto di servizi al commercio virtuale attraverso le piattaforme di Google, Amazon ecc. Insomma, negli scambi mondiali, c’è un grande disordine sotto il cielo e la navicella liberista veleggia a fatica, come se fosse tra un mare di ghiaccio» (G. Sapelli, Il Messaggero).

Insomma, Trump è più un sintomo che una causa.

Scriveva Guido Salerno Aletta alla vigilia del vertice di Taormina:

«Il debito federale è in crescita continua, e si prevede che cresca ancora: nel 2016 è stato pari al 107,3% del pil, quest’anno al 108,3%, fino a raggiungere il 117% del 2022. La posizione internazionale netta americana peggiora in continuazione dai -1.279 miliardi di dollari del 2007 è arrivata ai – 8.109 miliardi del 2016. In dieci anni, il debito americano verso l’estero è cresciuto di 6.830 miliardi di dollari: con questo disavanzo commerciale e con questo debito pubblico non si va avanti» (Formiche).

Scrive oggi Andrea Montanino su La Stampa:

«Il 5 giugno 1947 è una data storica, perché veniva scritto il Piano Marshall e iniziavano le relazioni speciali tra Stati Uniti e Europa occidentale. A 70 anni esatti di distanza, le relazioni transatlantiche sono precipitate e sembra aprirsi una nuova era dopo le dichiarazioni di Angela Merkel e le decisioni del presidente Trump in merito al rispetto degli accordi di Parigi sul clima.  […] Trump è in particolare infastidito dai 68 miliardi di dollari di deficit commerciale con la Germania. Ma è un fatto che la Germania sia molto più competitiva degli Stati Uniti: secondo il Trade Performance Index sviluppato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio insieme alle Nazioni Unite, su 14 prodotti nei quali viene suddiviso il commercio mondiale, la Germania è al primo posto in otto per competitività, mentre gli Stati Uniti sono mediamente intorno alla trentesima posizione. I rapporti commerciali tra Germania e Stati Uniti sono poi alquanto articolati: ad esempio, il primo esportatore di automobili dagli Stati Uniti non è la Ford o la General Motors, ma la Bmw con le sue fabbriche della Carolina del Nord.  Attaccare la Germania può essere poi controproducente sul fronte degli investimenti: le aziende tedesche hanno investito negli Stati Uniti circa 255 miliardi di dollari, dando da lavorare a 670 mila persone (dati Bureau of Economic Analysis). Piuttosto che attrarre nuovi investimenti e creare occupazione, la politica di Trump verso la Germania potrebbe far mancare un partner prezioso per fare “l’America nuovamente grande”. Senza contare che il 44 per cento di tutti gli investimenti stranieri in America vengono dai 27 membri dell’Unione Europea». 

Diciamo pure, anche per irritare i sovranisti economici e politici di “destra” e di “sinistra”, che nel Capitalismo globalizzato del XXI secolo una politica coerentemente protezionista è di problematica attuazione, diciamo così; sempre al netto della velenosissima propaganda sovranista rivolta ai «perdenti della globalizzazione». In ogni caso, la tendenza alla creazione di un polo imperialista europeo a guida tedesca (non vedo oggi altra leadership “sistemica” possibile) si è molto rafforzata. Almeno così mi sembra.

Comments

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Mario Galati
Tuesday, 06 June 2017 13:59
Dimenticavo. Guarda che il "noi" abbiamo ragione, riferito a te ed Isaia, è una pura invenzione, dato che Isaia fa un'analisi degli interessi conflittuali in gioco, ma non suggerisce affatto di accodarsi agli interessi capitalistici tedeschi ed europei, né nell'attuale forma U.E., né in altra forma. Come fai tu. Forse Isaia pensa di più agli interessi dei lavoratori. Isaia lascialo da parte.
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Mario Galati
Tuesday, 06 June 2017 13:46
Non ho l'abitudine di entrare sul piano personale con gente che non conosco, se non da un nome sul web. Al contrario, vedo che per te non è un problema e passi disinvoltamente dagli argomenti a considerazioni personali arbitrarie. Non ho intenzione di seguirti su questo piano. Anche per me il discorso è chiuso.
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Claudio
Tuesday, 06 June 2017 11:55
Caro Mario,
uno dei grandi difetti che dilaga nella sinistra in generale, è la mancanza di una sana modestia. Molti individui, che se preferisci posso anche chiamare compagni, che magari hanno partecipato ad una sola manifestazione o corteo, si considerano dei grandi lottatori politici o giù di li; antri che hanno letto qualche libro dei grandi maestri, magari senza averli nemmeno capiti, si sentono dei piccoli Lenin e non ci si ragiona più. Anche per questo, invece di fare qualche piccolo passetto in avanti, invece di affinarci e progredire, continuiamo ad andare sempre più indietro. Cos’altro ti posso dire, essendo uno che, secondo un grande teorico come ritieni d’essere, non ha argomenti, posso solo invitarti a riflettere su questa breve e poco importante corrispondenza. Se alla fine ti venisse soltanto un barlume di dubbio che sull’argomento all’origine di questo sterile confronto, noi, cioè il sottoscritto ed Isaia, potremmo anche avere ragione e Tu invece torto, avresti fatto un apprezzabile progresso.
E a proposito del fatto che mi hai dato del fascista, ti posso dire che in quel brutto periodo ci sono nato e negli anni settanta degli sgherri mi hanno spedito al pronto soccorso. Se per te è retorica..?
Con questo ti saluto e definitivamente chiudo il rapporto.
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Mario Galati
Tuesday, 06 June 2017 09:26
Visto che in questo sito non stiamo costruendo un ponteggio o erigendo un muro, nè organizzando una attività, ma discutendo, ossia facendo entrambi "chiacchere", dovresti attenerti agli argomenti della discussione e non scadere nella solita polemicuccia del "pratico" contro il "teorico", del "concreto" contro il "parolaio", ecc. Che è il solito argomento di chi non ha argomenti; e che potrebbe avere un suo valore solo quando si dimostra teoricamente e praticamente che gli argomenti avversi sono solo argomenti retorici e chiacchere. Lenin lo faceva e smascherava i rivoluzionaristi parolai, della frase. Solo che Lenin lo faceva con solide argomentazioni teoriche.
La teoria è prassi rivoluzionaria (Marx).
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Claudio
Monday, 05 June 2017 22:03
Hai proprio ragione, non ci capiamo, viaggiamo su binari paralleli che non s'incontrano. Sarà che io le lotte per cercare di superare l'attuale sistema le ho fatte per davvero e nel limite del possibile continuo a farle, essendo anch'io di estrazione proletaria e comunista, tant'è che ho cominciato a lavorare che avevo sei anni, ed ho organizzato la prima grande lotta contro azienda e sindacati di regime, quando ancora le lotte operaie le organizzavano soltanto quei tre sindacati. Molto probabilmente Tu, invece, hai sempre fatto e continui a fare soltanto chiacchere, più o meno altosonanti, che forse inconsapevolmente vanno a favore della conservazione dell'attuale sistema, come sono le smargiassate dei cosiddetti antagonisti e ora dei sovranisti..
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Mario Galati
Monday, 05 June 2017 15:49
La corruzione, i politicanti, ecc. sono armi di distrazione di massa del potere capitalistico, per sviare le masse dalla vera natura della crisi e per imporre la loro rivoluzione passiva. I politici sono cagnolini al loro servizio, che devono prendersi, oltre ai loro soldi e privilegi, anche le loro bastonate dai loro giornali (v. Corriere della sera), nel ruolo di capri espiatori. Per il resto, io e te viaggiamo su binari paralleli, senza punti di contatto. Il mio obiettivo non è la permanenza del capitalismo italiano, con tutto il suo codazzo di ceti medi piccolo borghesi, nella cerchia dell'area imperialistica coloniale (i cosiddetti "popoli civili" di colonial razziale memoria) che è terrorizzata dalla prospettiva di diventare "sponda nord dell'Africa". Per dirla in breve, non sono disposto a servire i capitalisti imperialisti in cambio di una vita e di un benessere piccolo borghese (e, in futuro, di una nuova guerra mondiale). Io sono di estrazione proletaria e comunista. E non lo dimentico.
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Claudio
Monday, 05 June 2017 15:22
Il mio obiettivo non è affatto quello e mi pare chiaro. Si trattava semplicemente di seguire il discorso molto chiaro dell'autore dell'articolo, al quale ho voluto aggiungere una velenosissima battuta anti sovranisti, rovesciando di 180 gradi il loro obiettivo, che è assurdo, date le condizioni in cui vive il nostro paese, per via della politica dei privilegi e della corruzione dilagante di cui i politici, gli amministratori e la dirigenza in generale primeggia a livello mondiale. Se con la Ue e con l'euro, ma soprattutto con la dirigenza politica che ci ritroviamo, siamo diventati il Sud dell'Europa, che volere o volare spesso ci costringe ad adeguarci alla legislazione dei paesi più sviluppati e civili de nostro, ne consegue che se ne uscissimo diventeremmo in brevissimo tempo la sponda Nord dell'Africa. Se ti va bene questo "miglioramento" di prospettiva, sostieni i sovranisti di destra o di "sinistra" e nel breve volgere di qualche anno verrai pienamente soddisfatto. Auguri.
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Mario Galati
Monday, 05 June 2017 11:01
Beh, se il tuo obiettivo è di costruire un polo imperialista europeo, efficiente e privo di corruzione, magari con la severa e austera sorveglianza di un corpo di SS, nella quale i lavoratori, finalmente, saranno felici di ubbidire a padroni efficienti e a politici tutti di un pezzo non corrotti, accomodati pure.
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Claudio
Sunday, 04 June 2017 17:05
Carissimo Mario, ma tu la politica dei privilegi, così cara ai nostri politicanti di ieri e di oggi, e non solo a loro (vatti a leggere il commento sopra citato), la corruzione che ci sovrasta e ci uccide, come pensi di poterla estirpare, con le chiacchere, dando il voto all'ultimo pagliaccio arrivato sul palcoscenico, o ridando qualche briciola di potere in più, da anni migrato a Bruxelles, ai nostri lestofanti di quasi tutti i settori???
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Mario Galati
Sunday, 04 June 2017 11:24
Incruento
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Mario Galati
Sunday, 04 June 2017 11:23
Dimenticavo: un quarto Reich costituito in modo incruenta, naturalmente, con il solo consenso dei capitalisti contoterzisti ed esportatori italiani.
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Mario Galati
Sunday, 04 June 2017 11:13
Sotto forma di protettorato su mandato ONU o sotto forma di quarto Reich esplicito?
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Claudio
Saturday, 03 June 2017 20:48
Ottimo articolo. Vista la serie di importanti dati che vengono riportati, penso anch'io che l'eventuale creazione di un polo imperialista autonomo europeo, non possa che essere a giuda tedesca, e non solo per ragioni economico/finanziarie. In quanto ai sovranisti italioti di pretesa sinistra, penso che prima di prendersela con l'euro e la Germania, che pure hanno le loro colpe, farebbero cosa assai istruttiva, per loro, se si sforzassero di vedere le molteplici cose interne. che da anni prima dell'introduzione della moneta comune impediscono lo sviluppo dell'economia italiana. E dato che certe specifiche cose non cambiano, nonostante l'alternarsi dei governi di destra e di cosiddetto centrosinistra, forse sarebbe il caso non già di rivendicare la sovranità nazionale, ma bensì di pretendere un'intera dirigenza politico/amministrativa tedesca. Una minima parte di cose interne che impediscono all'Italia di essere un paese normale, ho cercato d'elencarle nel commento allo scritto di Pierluigi Fagan del 19 febbraio u.s.
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