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rifonda

Marx nostro contemporaneo

di Giorgio Riolo

Quella che segue è la relazione tenuta a Vigevano il 5 maggio 2018 nell’incontro pubblico dedicato a Marx a 200 anni dalla nascita. L’incontro si è tenuto nell’ambito del ciclo di conferenze dal titolo “Scuola di cultura e politica”, a cura del Collettivo Culturale Rosa Luxemburg di Vigevano.

Il pubblico di queste conferenze era formato da attivisti politici e da persone interessate al tema, ma senza preparazione specifica. Pertanto il discorso ha voluto essere intenzionalmente non troppo approfondito, senza però, almeno negli intendimenti, perdere in rigore

marx car WiazProprio il 5 maggio 1818 nasceva a Treviri Karl Marx. Sono passati 200 anni e tuttavia egli continua a essere una presenza ineludibile, fondamentale nel nostro tempo, in questo XXI secolo.

Dalla sua morte nel 1883, e dalla morte dell’amico e compagno di un’intera vita Friedrich Engels nel 1895, molte trasformazioni, molti grandi e profondi cambiamenti, hanno interessato la storia, la società, la cultura, la politica, in breve il sistema complessivo che denominiamo capitalismo. La sfida per noi che rivendichiamo la sua eredità, la sua lezione, risiede nel fatto di non ridurci a fare i meri ripetitori di formule, di frasi, di citazioni.

Marx è nostro contemporaneo proprio perché cerchiamo di pensare il mondo e il nostro tempo, e di agirvi conformemente, con la nostra testa, pur avendo presenti categorie, concetti, nozioni quali risultati del suo pensiero, della sua attività intellettuale, ma confrontandoci con i fenomeni nuovi, inediti rispetto al suo tempo e al suo mondo.

In una delle tante sue lettere, dopo la morte di Marx, quale suggeritore a chi si proclamava “marxista”, loro seguace, e suggeritore ai partiti socialisti o socialdemocratici che alla fine dell’Ottocento rapidamente si affacciavano nel proscenio della storia, diceva Engels “non raccogliete citazioni, non ripetete pedissequamente, ma pensate e analizzate la realtà vostra contemporanea come avrebbero fatto Marx ed Engels qualora si fossero trovati davanti a questa realtà, nuova, inedita”.

 

I.

Procederò in questo modo. Una prima parte nella quale riporterò alcuni apprezzamenti di Marx oggi. Una seconda parte nella quale, a grandi linee, indico alcuni passaggi, alcuni temi, a mio avviso importanti, del pensiero e dell’attività direttamente politica di Marx. Per rifarci alcuni fondamentali. Una terza parte, nella quale cerco di indicare alcuni sviluppi, alcuni “marxismi”, fecondi, importanti, in grado di aiutarci per l’oggi, per le sfide e i problemi nostri contemporanei.

Concludo con alcune considerazioni finali, metodologiche. Va da sé che tralascerò molte cose, altrettanto importanti. Se c’è tempo e sollecitazione le riprenderò nella discussione successiva alla relazione iniziale.

 

II.

Vorrei richiamare la vostra attenzione sui recenti apprezzamenti che riguardano Marx e provenienti soprattutto da settori delle classi dominanti su scala mondiale.

Nel 2006 il quotidiano londinese The Times fece un sondaggio presso i suoi lettori su quale personalità avesse più influito nella storia. Marx è risultato primo, seguito da Gesù Cristo, Maometto ecc. Non a caso, questi ultimi, fondatori di due grandi movimenti religiosi.

Nel 2008 la rete televisiva Usa Nbc fece un’ampia indagine nel mondo e riferiva come, a causa della crisi economica scoppiata proprio quell’anno, le opere di Marx, soprattutto Il capitale, fossero ricomparse nelle librerie di tutto il mondo. Capitalisti e uomini della finanza come Warren Buffett dissero che Marx era fondamentale per capire le crisi capitalistiche e in generale per capire la logica complessiva del sistema capitalistico stesso.

Infine, proprio nel febbraio 2018, l’economista-capo della banca d’investimenti francese Natixis, Patrick Artus, ha detto “Marx aveva ragione. La dinamica del capitalismo è proprio quella prevista da Karl Marx”.

Naturalmente non è finita la demonizzazione. Come spiegava Engels nell’orazione funebre alla sua morte nel 1883, nel cimitero londinese di Highgate, Marx per le sue idee e per la sua attività era odiato e calunniato dalle classi dominanti e invece amato dalle classi subalterne. Cito solo il nostro quotidiano Il Giornale. Il cui titolo dell’articolo del marzo 2018, per i 200 anni, era “Da Marx a Ceausescu”. Per fare gli originali e non ripetere i soliti titoli “Da Marx a Stalin”, “Da Marx a Pol Pot” ecc. ecc.

 

III.

Il filosofo italiano Cesare Luporini, proprio a fronte dei tanti marxismi e delle tante interpretazioni di Marx, auspicava un salutare “ritorno a Marx”. Importante, sicuramente. Leggere direttamente l’autore e misurarsi con lui. Ma non si può prescindere dai vari marxismi sorti fino a oggi.

Non c’è stato solo un marxismo come sistema, come scolastica, orientato al riduzionismo, all’economicismo, al determinismo ecc. Non ci sono stati solo quei marxismi, come dice Etienne Balibar, che presentano i caratteri di una “pseudoscienza” e di una “quasireligione”. Ricordiamo che spesso, in Oriente e in Occidente, fino al 1989, in questa visione, si usava la locuzione “dottrina marxista”, locuzione che avrebbe fatto orrore allo stesso Marx. Al contrario, si sono avuti marxismi che hanno sviluppato aspetti che Marx non ha potuto affrontare o che ha affrontato di sfuggita e che hanno sviluppato aspetti inediti della dinamica storica e sociale, non presenti nella realtà al tempo di Marx. “L’arte è lunga e la vita è breve”. Non vale solo per noi comuni mortali.

 

IV.

Il contesto storico in cui Marx si trovò a vivere possedeva tre potenti componenti. Lenin in seguito dirà “tre fonti e tre parti integranti del marxismo”.

In primo luogo, il capitalismo nell’epoca della rivoluzione industriale, il capitalismo industriale, delle macchine e della grande fabbrica e del costituirsi e dello svilupparsi della classe operaia, come nuova classe-soggetto, accanto alla borghesia, la classe-soggetto della società moderna. E questa è la “rivoluzione economica”.

In secondo luogo, la rivoluzione politica e la nascita della politica in senso moderno. Era partita dalla Francia. La rivoluzione francese, appunto. Liberali, democratici, socialisti, comunisti ecc. agiscono per tutto l’Ottocento. Marx a Parigi nel 1843 incontrerà i primi operai e artigiani e i primi socialisti e cospiratori. Approfondisce la conoscenza del socialismo utopistico.

Infine, la terza componente. La rivoluzione filosofica. La culla è la Germania, come compensazione nel pensiero (vero e proprio “supplemento d’anima”) della mancata rivoluzione economica e della mancata rivoluzione politica. Come compensazione della “miseria tedesca”. Da Kant a Hegel, la filosofia classica tedesca.

 

V.

Da qui l’habitus mentale di Marx. Lo testimonia Engels. Engels dirà di se stesso che spesso nella teoria è “precipitoso”, vuole andare rapidamente alle conclusioni. Mentre Marx, sempre secondo Engels, è profondo, sistematico, non molla l’oggetto teorico fino a che non l’ha padroneggiato in tutte le dimensioni, in tutti i nessi e le mediazioni.

Lo testimonia il suo lavoro assiduo, faticoso, enorme, attorno al “modo di produzione capitalistico”, al progetto e al percorso che culmina nella stesura del Capitale. A Londra soprattutto, dal 1850 alla morte, più di trent’anni di lavoro, senza contare la fase precedente da almeno i Manoscritti economico-filosofici del 1844.

Riuscì a pubblicare solo il Libro I dell’opera, nel 1867. Com’è noto, il Libro II e il Libro III Engels li ricavò dalle varie stesure provvisorie nei quaderni lasciati da Marx. Lavoro difficile, encomiabile da parte dell’amico e compagno. Il mandato e la spinta esterna provenivano anche dal bisogno delle varie classi operaie e dai vari partiti socialisti di fine Ottocento di avere una “teoria di legittimazione” su cui fondarsi. Era il conforto di un apparato categoriale e culturale, allora si diceva, e ancora oggi taluni dicono, “scientifico”, quali soggetti con piena legittimità storica, con pieno diritto a rivendicare il posto di primo piano nella scena della storia. Non più “classi pericolose”, non più classi subalterne, bensì classi sospinte dalla dinamica storica e sociale oggettiva a diventare classi dirigenti. Era, e per molti è tuttora, la visione del “progresso” e del futuro assicurato dal corso storico.

 

VI.

Per capire Marx è importante e rivelatrice la testimonianza di Michail Bakunin. La quale rivela al contempo la profonda diversità della concezione politica e della visione del mondo dei due. A Bruxelles, nel 1847, Marx teneva lezioni di economia politica agli operai e artigiani, soprattutto nell’ambito della Lega dei comunisti. Bakunin in una lettera ad Annenkov scrive “Egli rovina gli operai facendone dei raziocinatori”.

Marx, e vediamo soprattutto in seguito, si sforzava di far comprendere che per la classe operaia, e per il proletariato in generale, era compito prioritario, accanto alla necessità di organizzarsi, la formazione teorica (oggi diremmo, “culturale”) e di condurre una attività pubblica e palese. Mentre per Bakunin, coerentemente alla corrente cospirativa a cui si ispirava, decisiva era l’attività clandestina. E decisivi erano la passione e l’istinto rivoluzionari, molto presenti, a suo modo di vedere, nei declassati, negli studenti, negli intellettuali emarginati, nel sottoproletariato. La teoria e la cultura inibivano la passione rivoluzionaria, il volontarismo vitalistico, quasi fichtiano.

 

VII.

Nel 1843, nel saggio Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, dove dice cose importanti a proposito di religione, non solo come “oppio dei popoli”, come volgarmente si è interpretato, ma come profonda aspirazione nell’oppresso all’emancipazione, afferma, a mo’ di imperativo categorico della sua vita, “Rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, asservito, abbandonato e spregevole”.

Allora, e così possiamo compendiare Marx, il compito che egli si pone, reso sempre più chiaro e netto nel corso degli anni, è “un programma e una finalità di emancipazione sociale e umana in generale” fondate su una “teoria critica della società e della storia”. Egli parla costantemente di “rapporti” e intende così le “condizioni”, che occorre conoscere per potervi agire efficacemente.

I socialisti, i comunisti, i rivoluzionari di allora perseguivano una società di liberi ed eguali, di fine dell’ingiustizia e del dominio dell’uomo sull’uomo. Come nobile aspirazione, come imperativo morale, come atto di volontà. Era proprio il programma e il modo di operare del cosiddetto “socialismo utopistico”.

A questo imperativo morale, Marx aggiunge la necessità di ancorarsi alla storia, al corso storico oggettivo. Alle tendenze e alle dinamiche della realtà concreta. E la storia e la società si fondano sulla “produzione e riproduzione della vita immediata”, come disse Engels in una celebre lettera. È la cosiddetta “concezione materialistica della storia” o “materialismo storico”, secondo le varie definizioni, spesso semplificatorie, e alcune fuorvianti, in seguito assegnate a questo ricco e multilaterale pensiero. È una rivoluzione teorica e pertanto è soggetta a essere fraintesa, semplificata, ridotta. Rapporto univoco, deterministico, di base e sovrastruttura, la visione lineare e ineluttabile dei cinque stadi successivi dei modi di produzione e delle formazioni sociali ecc. Solo per citare alcuni di questi fraintendimenti, di queste interpretazioni fuorvianti.

Per trasmetterla, per spiegarla, spesso Marx ed Engels contribuiscono essi stessi a semplificare. Come nella famosa Prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859 di Marx. Tra l’altro, malgrado la semplificazione, un capolavoro letterario di sintesi di un intero percorso umano, politico, teorico.

 

VIII.

Marx pensa che il passaggio attraverso il capitalismo sia “termine medio, male necessario”, secondo un celebre passaggio nel Libro I del Capitale, a proposito della produzione nell’accumulazione capitalistica.

Lo sviluppo prodigioso delle forze produttive è condizione fondamentale per il socialismo. Bakunin, assieme ad altri, pensava invece alla concezione della rivoluzione come “tabula rasa”, la “pagina bianca” da cui ricominciare a riscrivere la storia. Marx è fermo sostenitore, e Lukács giustamente insiste su ciò, della necessaria “eredità” della storia, dell’eredità di elementi materiali e culturali che serviranno a costruire la forma superiore del socialismo.

Il capitalismo non è un modo di produzione come un altro. E un salto, una cesura profonda nello sviluppo storico. È una vertiginosa accelerazione nella storia e nell’esperienza umana. Marx concepisce una vera e propria filosofia del capitalismo. Non solo nei Grundrisse e nel Capitale (e Lukács dirà che Il capitale è la filosofia di Marx). Già nel 1848, in quel capolavoro letterario e politico rappresentato dal Manifesto del partito comunista, diede, per rapidi tratti, squarci di grande efficacia espositiva a proposito del capitalismo. Il processo, la tendenza sua intrinseca alla globalizzazione – mondializzazione, la tendenza dal concreto all’astratto, la tendenza a rendere evanescenti aspetti concreti, solidi, sacri, del vecchio mondo. Oggi diremmo la prorompente tendenza dal concreto al “virtuale”.

Marx capì subito che la borghesia non era semplicemente classe sfruttatrice, parassitaria. La borghesia, come il capitalismo, era rivoluzionaria e per affermarsi come classe-soggetto aveva dovuto dispiegare una potente egemonia culturale. Questa valutazione porterà Marx a considerare quella che in seguito verrà denominata “missione civilizzatrice” del capitalismo su scala globale, a fronte di popoli, civiltà, culture, considerate “arretrate”.

 

IX.

Questa visione è espressa soprattutto in alcuni articoli sulla New York Daily Tribune dei primi anni cinquanta dell’Ottocento quando tratta della dominazione britannica in India, della Cina ecc. Alcuni “marxisti della periferia”, come mi piace denominarli, primo fra tutti Samir Amin, diranno che Marx condivide il pregiudizio dell’eurocentrismo.

Le cose cambiano tra il 1869 e il 1870, quando Marx si confronta con la Russia e con esponenti russi e quando legge alcune opere di etnologi e antropologi. Gli appunti di lettura e i suoi commenti formano i cosiddetti Quaderni etnologici, inediti fino al 1972, quando Lawrence Krader li pubblicherà nella lingua originale. Alla luce di queste letture la sua visione delle società precapitalistiche e delle varie culture umane del pianeta cambia. Queste società e queste culture presentano possibilità di sviluppo che l’arrivo del capitalismo europeo, e poi Usa, hanno violentemente troncato.

Sulla Russia e sulle prospettive rivoluzionarie di quel paese Marx ebbe uno scambio importante con i russi. Celebre è lo scambio epistolare con la rivoluzionaria, allora ancora esponente del populismo russo, Vera Zasuli?. Nel 1877 Marx sentì il bisogno di correggere i suoi entusiasti estimatori della rivista russa Otecesvennye Zapiski. “Voi mi fate troppo onore e troppo torto”, considerando la sua teoria come valida universalmente. La teoria sul modo di produzione capitalistico, afferma Marx, è valida per l’Europa occidentale. “Ambienti storici diversi danno risultati diversi”. “Non si arriverà mai con il grimaldello di una filosofia della storia la cui virtù suprema è di essere soprastorica”.

 

X.

Nell’orazione funebre, Engels, dopo aver elencato le “scoperte”, le acquisizioni teoriche di Marx, dice che quella attività teorica non era che la metà di Marx, perché “Marx era innanzitutto un rivoluzionario”.

L’attività direttamente politica di entrambi è fondamentale, al pari dell’opera teorica. Dapprima nella Lega dei comunisti dal 1847 al 1852 e poi nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, detta Prima Internazionale, dal 1864 al 1872. Sempre con il fermo proposito di allargare il movimento operaio, di attrarre sempre più larghe masse di lavoratori e di strati sociali subalterni, di consentire loro di elevare la propria capacità, la propria coscienza, la propria cultura.

È esplicito Marx nell’Indirizzo inaugurale e negli Statuti dell’Internazionale. La classe operaia deve sì condurre la lotta economica, Lenin dirà “tradunionistica”, ma deve elevarsi a “classe generale”, deve essere in grado di governare, di non delegare a esponenti borghesi, a democratici, la propria rappresentanza politica e parlamentare. Deve occuparsi di politica estera.

La storia dell’Internazionale è una storia ricca, esemplare. Marx è l’esponente più influente del Consiglio Generale a Londra. La svolta sarà rappresentata dalla Comune di Parigi del 1871. È giustamente celebre la circolare del Consiglio Generale sulla Comune passata alla storia come La guerra civile in Francia, redatta da Marx.

Dopo la gloriosa e tragica esperienza della Comune, in una conferenza dell’Internazionale tenutasi a Londra, Marx afferma “L’emancipazione della classe operaia deve essere opera della classe operaia stessa” ed “essa deve costituirsi in partito politico”.

 

XI.

Il grande sviluppo del movimento operaio e dei partiti socialisti di fine Ottocento ha interagito con la coeva trasformazione del capitalismo della seconda rivoluzione industriale e della seconda fase del suo sviluppo, della ripresa allargata del colonialismo e dell’imperialismo, del capitale finanziario e del capitale monopolistico ecc. e del sorgere della cosiddetta “aristocrazia operaia” e della cosiddetta “economicizzazione o monetizzazione del conflitto di classe”, secondo la definizione del primo Zygmunt Bauman nel suo notevole libro Memorie di classe. Questioni che qui menzioniamo di sfuggita e che occorrerebbe affrontare e approfondire in altra occasione.

 

XII.

Molti marxismi sono sorti dopo Marx. Oltre ai marxismi dogmatici, scolastici, dalla Seconda Internazionale (Kautsky, Plechanov e altri) a quello della Terza Internazionale, alcuni marxismi hanno cercato di proseguire la sua opera. Anche e soprattutto per rendere conto dello sviluppo storico successivo a Marx ed Engels. Marxismi utili ancora oggi per comprendere la realtà contemporanea e per orientarci nell’azione.

Ne elenco solo alcuni e inoltre faccio astrazione dagli apporti fecondi a opera di Rosa Luxemburg, di Lenin, di Bucharin, di Trockij e di tanti altri dirigenti politici.

1. Ho accennato prima ai “marxisti della periferia”. Samir Amin ha parlato esplicitamente di “vocazione terzomondista del marxismo”. È la considerazione del capitalismo come sistema mondiale e dell’accumulazione su scala mondiale, dello sviluppo ineguale, consustanziale al sistema dalle sue origini, della dialettica-divaricazione tra centri sviluppati e periferie condannate al sottosviluppo ecc. È anche la scuola del sistema-mondo (esponente principale Immanuel Wallerstein) che ha fatto riferimento a Marx e allo storico francese Fernand Braudel.

Avevano iniziato questo filone di pensiero e pratica politica, con la loro rivista Monthly Review, nel secondo dopoguerra, Paul Sweezy e Paul Baran. Nel loro saggio del 1966 Il capitale monopolistico, tra l’altro uno dei “libri del Sessantotto”, scrivevano che “l’iniziativa rivoluzionaria che prima era appannaggio del proletariato europeo era ormai passata alle masse diseredate delle periferie del mondo”. La storia globale e la fine dell’eurocentrismo è l’orizzonte. Il “pensiero planetario”, direbbe il compianto padre Ernesto Balducci.

Si faceva anche tesoro della lezione della storia. Tutte le rivoluzioni, a parte la Comune di Parigi, sono scoppiate nelle periferie del mondo (la Russia essendo allora una semiperiferia). “Anelli deboli della catena imperialistica”, riprendendo Lenin, nelle quali il soggetto sociale contadino era preponderante. I contadini come classe-soggetto che frettolosamente un certo marxismo schematico, tra Ottocento e Novecento, aveva detto essere classe in via di sparizione dalla scena della storia con il progressivo affermarsi e svilupparsi del capitalismo su scala mondiale.

Da qui lo sguardo rivolto a Mao, Ho Chi Minh, Vo Nguyen Giap, Frantz Fanon, Fidel Castro, Ernesto Che Guevara, José Carlos Mariategui e altre figure espresse da queste periferie.

2. Contro l’economicismo e per una visione multidimensionale, più ricca, più aderente alla realtà, molti filosofi e molti marxisti hanno dato il loro contributo prezioso. Anche qui cito solo alcuni.

Antonio Gramsci è colui il quale ha insistito molto sulla funzione decisiva della cultura, delle forme di coscienza, della cultura di massa. Gramsci è molto studiato nel mondo, in particolare nell’America latina. La stessa Teologia della Liberazione lo ha molto valorizzato per la funzione che la religione e la coscienza religiosa, come cultura di massa, svolgono nella coscienza e nella cultura dell’oppresso.

3. Sempre come fecondo sviluppo, il filosofo marxista ungherese Lukács ha sviluppato fortemente i temi della cultura in generale, della nozione di “vita quotidiana”, della funzione dell’arte e della letteratura. L’Estetica e l’Ontologia dell’essere sociale, tra le sue numerose opere, rimangono monumenti del pensiero, non solo del marxismo.

Così è per il filosofo tedesco Ernst Bloch, a proposito della funzione dell’utopia, del “principio speranza”, del diritto umano alla dignità, a “camminare eretti”, in ogni sistema oppressivo, anche nel socialismo reale.

4. L’apporto della Scuola di Francoforte dei vari Horkheimer, Adorno, Marcuse ecc. Ma anche l’apporto della figura complessa di Walter Benjamin. Importante per molte cose. Ma importante per la critica radicale alla visione ingenua del “progresso”, dell’ottimismo storico, della freccia della storia che sospinge sempre in avanti, molto presenti nel movimento operaio e socialista del suo tempo. Movimento operaio e partiti socialisti e comunisti quasi fossero sospinti in avanti con il favore della corrente, del corso storico. Con il correlato del socialismo come fine assicurato.

Il corso della storia mostra ben altri sviluppi, ben altre direzioni. Ma qui si apre tutto un dibattito che occorre affrontare in altra sede e in altra occasione.

5. Marx fece un solo accenno nel Libro I del Capitale a proposito del fatto che nel capitalismo la ricchezza scaturisse “minando al contempo le due fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio”.

Marx è uomo dell’Ottocento e non poteva avere, per forza di cose, cognizione piena e dispiegata della distruzione ambientale. In seguito pochi hanno affrontato adeguatamente la dialettica uomo-natura e produzione-ambiente. Oggi, finalmente, si sta sviluppando un marxismo e un socialismo che tiene conto di questo. È il “socialismo ecologico” o “ecosocialimo”. Ricordiamo fra i tanti impegnati in questa corrente di pensiero e di impegno politico il compianto Elmar Altvater, recentemente scomparso, e John Bellamy Foster, erede di Sweezy nella direzione della Monthly Review.

6. Marx ed Engels pensavano che lo Stato fosse sorto storicamente con il costituirsi delle classi e con il conseguente conflitto di classe. Lo stesso Stato, pertanto, si sarebbe estinto con la fine delle classi e del conflitto di classe. Pensavano al socialismo come “autorganizzazione sociale”, come “libera associazione dei produttori diretti”.

La questione dello Stato è uno dei più grandi problemi lasciato in eredità da Marx ed Engels. Molti marxisti si sono cimentati sulla questione dello Stato, a partire da Lenin. Le verifiche storiche dei vari socialismi hanno enormemente complicato le cose. Quello dello Stato, e in generale delle istituzioni, rimane un compito ancora da affrontare oggi e nel futuro, nella teoria, nella cultura politica, nell’azione pratica del movimento operaio e dei partiti socialisti e comunisti. Non solo. Anche da parte dei movimenti sociali in generale.

9. Infine, la questione cruciale del “potere” e della “alienazione”. Da Lukács a István Mészáros, molti marxisti hanno lavorato su questi temi importanti. Il rapporto capitale-lavoro salariato non è solo rapporto economico, monetario, quantitativo, è soprattutto rapporto qualitativo. È rapporto di potere, è rapporto gerarchico. È rapporto tra chi dirige e chi esegue, tra chi sa e chi non sa, tra chi possiede la cognizione del tutto della produzione e chi vede solo un frammento del processo ecc. È una delle tante manifestazioni della alienazione.

Da questo punto di vista, il socialismo reale non è stato vero superamento del capitalismo. È rimasto questo rapporto di potere, è rimasta questa alienazione. È un veloce accenno. Ma le implicazioni di questo complesso di questioni sono tremendamente gravide di conseguenze.

 

XIII.

Concludo.

Diceva Marx ai russi “mi fate troppo onore e troppo torto”. Così è per noi. Non la ripetizione pedissequa, il ricorrere alle citazioni, all’uso delle opere di Marx ed Engels alla stregua di testi sacri. Ma proprio l’avvertenza di Engels ai socialdemocratici tedeschi. Studiate e analizzate i fenomeni nuovi, inediti, come avrebbero fatto Marx ed Engels qualora si fossero confrontati con questi nuovi fenomeni storici.

Così noi oggi con il capitalismo realmente esistente, della nuova globalizzazione-mondializzazione, in presenza della ferrea presa del neoliberismo, come filosofia complessiva e onnipervasiva, con i potenti apparati di manipolazione culturale e antropologica. In presenza di una fortemente mutata morfologia sociale. Con la potente tendenza alla virtualizzazione della vita, di frantumazione delle forme di coscienza, soprattutto delle classi subalterne, di dominio del frammento, del postmoderno.

In presenza di questo capitalismo, che “mina al contempo la terra e l’operaio”, che distrugge e umilia il lavoro, che flessibilizza ogni aspetto della produzione e delle figure sociali. Con il corrispettivo delle tante nuove alienazioni dei social network, della potente e pervasiva distruzione del legame sociale e comunitario, in presenza dell’onnipervasiva cultura del narcisismo, della cultura del corpo ecc.

In questo contesto, di forte disgregazione sociale e culturale, inedito rispetto all’organicismo ottocentesco, al tempo di Marx, di masse operaie fornite di legami strutturali oggettivi, noi dobbiamo operare.

Marx, Engels, le loro opere ci servono come indicazioni metodologiche. Non possiamo usare le citazioni come grimaldello per tentare di risolvere i problemi e le sfide del nostro tempo e del nostro mondo. In questo senso, per tornare al titolo dell’incontro e della ricorrenza, Marx è nostro contemporaneo.

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Eros Barone
Tuesday, 14 August 2018 18:19
Che il pensiero eclettico tragga origine da un'intrinseca tendenza liberaleggiante connessa sia alla divisione sociale fra lavoro manuale e lavoro intellettuale sia alla crescente integrazione di quest’ultimo negli apparati ideologici di Stato (scuola, università, televisione, giornali, case editrici, Rete) - la funzione dei quali è, innanzitutto, quella di riprodurre tale divisione e, quindi, la tendenza ed il pensiero che le sono connessi - è dimostrato da alcune figure politicamente e ideologicamente perniciose. Queste maschere carnevalesche, dotate, come tutte le maschere (e come tutti gli eclettici), di molteplici identità, partono, come l'autore di questo articolo, facendo leva su una 'boutade' attribuita a Marx che aveva tutt'altro significato, dal presupposto, elevato a dogma, secondo cui "Marx non era marxista" (fanno come Alice nel paese delle meraviglie quando afferma l'esistenza del sorriso senza il gatto) e recano in tal modo il loro contributo gastronomico a quelli che sono stati efficacemente definiti come «usi culinari del marxismo» (in realtà si tratta, se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, di post-marxismo). Va da sé che tali personaggi tacciano quegli ingenui, i quali affermano che Marx era marxista (almeno tanto quanto Galileo era galileiano e Einstein einsteiniano), di essere succubi di una metafisica sostanzialistica del soggetto. E' il festival dell'eclettismo, cioè della pluralità dei "marxismi", esplicitamente evocata e celebrata in questo articolo.
Se ho accennato a simili personaggi - che in fin dei conti rientrano nella fenomenologia, piccolo-borghese e lorianesca, del trasformismo ideologico-culturale - l'ho fatto non solo perché ritengo che le loro posizioni eclettiche, il loro soggettivismo ed il loro opportunismo abbiano rappresentato un fattore di confusione e disorientamento che, in una fase delicata della ricostruzione del partito comunista, ha portato acqua al mulino delle forze reazionarie nascondendo l’identità del nemico di classe, ma anche perché le loro posizioni eclettiche hanno fornito un esempio significativo di «decostruzione» della teoria marxista-leninista. Tale «decostruzione» procede con due metodi variamente combinati: quello delle sottrazioni (del tipo «Marx - Engels», «Marx - Hegel», «Marx - Ricardo» ecc.) e quello delle addizioni (del tipo «Marx + Benjamin», «Marx + Bloch», «Marx + Freud», «Marx + Nietzsche», «Marx + Menger» ecc.). È evidente, allora, che una simile metodologia si fonda su due premesse che rappresentano i cardini del revisionismo antimarxista (il cui tratto distintivo, teorizzato apertamente da Bernstein, è proprio l’eclettismo): a) la negazione del carattere unitario e ‘totalitario’ del metodo-concezione che è proprio del materialismo dialettico e storico; b) la negazione del nesso organico tra marxismo e comunismo. Fra i beati nel «paradiso dell’eclettismo», il cui accesso è regolato, per la verità con criteri sempre più selettivi, dagli Stati democratico-borghesi del nostro tempo, incontriamo Rifondazione Comunista, ossia l’ala social-liberale del moderno revisionismo italiano. Anche un sommario esame dei disparati orientamenti politico-ideologici, di cui questo partito è stato ed è il contenitore, basta a farci comprendere come l’eclettismo che lo caratterizza sia il marchio inconfondibile della sua natura revisionista e della sua vocazione opportunista (che raggiunse l’acme con il verboso massimalismo bertinottiano). Natura e vocazione che ne fanno in radice il deuterantagonista del PD, cioè una forza complementare ad esso, storicamente sua alleata-concorrente sul terreno dell'anticomunismo 'di sinistra'. In effetti, anche se alcune parole d’ordine radicali e perfino estremistiche, lanciate, nel corso del tempo, dalla succitata formazione nei vari campi della politica economica e sociale, hanno potuto far pensare ad un indirizzo quasi rivoluzionario, va detto che si è sempre trattato di parole d'ordine che svolgevano una funzione oppiacea nei confronti dei settori popolari cui erano rivolte, poiché eludevano sistematicamente la «conditio sine qua non» di ogni reale trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici: ossia la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura proletaria. La vera centralità non è infatti quella del conflitto capitale-lavoro, tesi che può essere appannaggio anche di partiti socialdemocratici come il PRC, ma è la centralità e l’attualità (sia pure in senso storico, non ancora politico) del principio secondo cui «gli strumenti di produzione devono appartenere al proletariato». Ancor oggi questa proposizione prescrittiva fa bella mostra di sé sul monumento in memoria di Roberto Franceschi - un maglio alto sette metri e pesante cinquanta tonnellate - eretto nel 1977 di fronte all’università “Bocconi” di Milano per iniziativa del “Movimento Studentesco” (poi “Movimento lavoratori per il socialismo”). In realtà, il PRC è, sia dal punto di vista teorico (in quanto si ispira ad un marxismo debitamente disossato ed integrato dai contenuti propri di talune correnti dell'ideologia borghese contemporanea) sia dal punto di vista organizzativo (in quanto si oppone al centralismo democratico), un 'patchwork' intessuto di pezze multicolori, che perpetua, in una diversa situazione storico-politica, le equivoche ideologie e le fallimentari esperienze di formazioni eclettiche ed opportuniste come il PSIUP degli anni ’60, il PDUP degli anni ’70 e la DP degli anni ’80, formazioni che il PRC ha inglobato e con le quali manifesta un’affinità profonda. Fra le molteplici identità di questo partito prevale quella che reca l’impronta indelebile del revisionisrno togliattiano e berlingueriano, cioè quella di un partito socialdemocratico ‘di sinistra’ la cui prospettiva politica, di là dagli orpelli pseudo-rivoluzionari, movimentistici e terzomondistici di cui si ammanta la sua propaganda, è interamente subordinata alla tattica elettorale e parlamentare. Che poi l’esclusione dal parlamento confini buona parte della sinistra cosiddetta “radicale” in un àmbito forzatamente extraparlamentare non è se non il giusto contrappasso che l’ironia della storia ha inflitto a questa frazione delle forze opportuniste.
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