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intrasformazione

Marx, Il Capitale, I (1-4).

Una guida per principianti.

di Antonino Morreale

Kandinsky Jaune Rouge Bleu 1024x659.jpgPremessa

Prendiamo qui in esame il primo libro del Capitale1. Ci occuperemo dei primi quattro capitoli: 1. la merce, 2. il processo di scambio, 3. il denaro, 4. la trasformazione del denaro in capitale.

Quanto basta per entrare appena nell’argomento centrale dell’opera2 . Avremo però modo di esporre alcune questioni essenziali. Marx, infatti, rivendica a questi primi capitoli due dei suoi maggiori contributi alla scienza economica3: la duplice natura del lavoro contenuto nella merce, e la “forma di valore”.

 

1. La circolazione semplice nella “immane raccolta di merci”.

L’ipotesi di questo studio è che i primi quattro capitoli del Capitale possano essere analizzati, senza forzature, come una sola unità. L’unitarietà è data dal livello stratigrafico costruito da Marx, e sul quale ha lavorato, quello della “circolazione semplice delle merci”. Marx dedica molta cura a delimitarlo. Partendo dalla “merce”, ci conduce alla genesi del “denaro”, per giungere fino alla “compravendita della forza-lavoro”, con cui, una netta discontinuità, un” salto”, chiude una storia e ne comincia un’altra.

La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta fenomenicamente come una “immane raccolta di merci”, la merce singola come sua forma elementare. La nostra indagine comincia perciò con l’analisi della merce”4.

Illimitata in estensione, quindi, ma dallo spessore sottile, appena una “superficie”, quella della circolazione delle merci. E ancora nulla da dire, per ora, su ciò che sta “prima”, il passato precapitalistico; né su quel che sta “sotto”, la produzione; ma, solo la circolazione semplice delle merci nella società capitalistica.

Così Marx, all’apertura del capitolo quarto, sintetizza i risultati dei precedenti tre capitoli:

“La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale. Produzione di merci e circolazione di merci sviluppata, commercio, costituiscono i presupposti storici sotto i quali esso si genera. Commercio mondiale e mercato mondiale aprono nel XVI secolo la vita moderna del capitale”5.

La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale; il presupposto storico; ma non è il capitale. Condizioni necessarie per il capitale, ma segnate dalla contingenza storica. Questi presupposti rimangono fuori dal processo storico che si sta mettendo in moto.

La “circolazione semplice” è, nell’ipotesi di Marx, una impossibile moneta ad una sola faccia.

Altro punto decisivo, sul quale dovremo tornare, è che il capitale deve nascere e, al tempo stesso, non nascere dalla circolazione:

“Se vengono scambiati equivalenti non si genera alcun plusvalore e se vengono scambiati non- equivalenti lo stesso. La circolazione, ossia lo scambio di merci, non crea alcun valore.

Si capisce, perciò, perché nella nostra analisi della forma fondamentale del capitale – la forma in cui esso determina l’organizzazione economica della società moderna -, le sue figure più comuni – per così dire antidiluviane, capitale mercantile e capitale usuraio – restino dapprima del tutto al di fuori dell’analisi”6.

Se bisognava per forza (la scelta di Marx è stata di partire dal “fenomeno” piuttosto che dai “rapporti di produzione”) cominciare dalla circolazione semplice delle merci, che è la forma in cui le cose “appaiono”, non era però da lì che si poteva comprendere e spiegare:

“Il capitale non può dunque sorgere dalla circolazione e altrettanto non può non sorgere dalla circolazione. Esso deve, allo stesso tempo, sorgere e non sorgere in essa”7.

E, più chiaramente, introducendo il tema successivo:

“Questo intero processo - la trasformazione del suo denaro in capitale - ha luogo e non ha luogo nella sfera della circolazione. Vi ha luogo grazie alla mediazione della circolazione, perché ne è condizione la compera della forza-lavoro sul mercato delle merci. Non ha luogo nella circolazione perché essa solo introduce il processo di valorizzazione che ha luogo nella sfera della produzione”8.

Marx si costringe, ad apertura del Capitale, ad una “forzatura metodologica”, poiché, nella realtà della società capitalistica, la circolazione delle merci, oltre a far questo, riproduce di continuo la divisione in classi presente “a livello della produzione”, dove, nel rapporto fondamentale, il capitalista e il salariato, non scambiano merci, ma l’uno, capitale, l’altro, forza-lavoro.

Si finge, solo per ragioni di metodo, una inesistente “innocenza” della circolazione.

E, solo dalla fine del primo libro, quando tutti i giochi sono fatti, possiamo guardare, con un colpo d’occhio, la fase iniziale della “circolazione semplice delle merci” e presentare lo scenario vero che appare ora completamente rovesciato:

“Originariamente, il diritto di proprietà ci si era manifestato come fondato sul proprio lavoro, per lo meno abbiamo dovuto prendere per valida questa ipotesi (corsivo mio), perché si trovano l’uno davanti all’altro possessori di merci con pari diritti e il mezzo per appropriarsi di merce altrui è solo l’alienazione della propria merce e questa si può produrre solo mediante lavoro. Adesso, dalla parte del capitalista, la proprietà si manifesta come il diritto di appropriarsi di lavoro altrui non retribuito, ossia del prodotto di esso, e, dalla parte del lavoratore, come impossibilità di appropriarsi del proprio prodotto. La separazione tra proprietà e lavoro diventa conseguenza necessaria di una legge che parvente mente partiva dalla identità”.

Ma tutto questo non poteva ancora essere detto nei primi quattro capitoli del Capitale.

“Dunque il rapporto di scambio fra capitalista e lavoratore diventa soltanto una parvenza che appartiene al processo di circolazione, mera forma, che è estranea al contenuto vero e proprio e che solo lo mistifica. La compravendita costante della forza-lavoro è la forma. Il contenuto è che il capitale torna sempre a permutare contro un quantum sempre maggiore di lavoro vivo altrui già oggettualizzato di cui egli si appropria senza equivalente”9.

Marx può scrivere queste parole solo all’altezza del cap.22, non dei capitoli 1-4, appena una apertura, dopo la quale tutto deve ancora succedere.

Su questo punto, che risulta più complicato di quanto previsto, è opportuna una breve digressione utilizzando alcuni passaggi da Urtext:

“il lavoro appare dunque come il modo originario dell’appropriazione”10.

E però: “nel processo semplice dello scambio non rientra la produzione delle merci”11. Ancora più chiaro:

“Il processo di formazione delle merci, e dunque il processo della loro appropriazione originaria, sta dunque al di qua della circolazione”12.

“Come siano diventati possessori privati, cioè come si siano appropriati di lavoro oggettivato, è una circostanza che non sembra rientrare nella considerazione della circolazione semplice”13.

Tutto ciò “racchiude una quantità di presupposti, che non derivano né dalla volontà dell’individuo né dalla sua immediata natura, ma dalle condizioni e dai r a p p o r t i storici in cui l’individuo si trova già socialmente, in quanto determinato dalla società. Così come questo presupposto racchiude rapporti che si manifestano in r e l a z i o n i di p r o d u z i o n e fra gli individui diverse da quelle semplici in cui essi stanno l’uno di fronte all’altro nella circolazione”14.

“Dunque egli ha prodotto già entro una connessione determinata, sotto condizioni di produzione e rapporti di circolazione che si sono sviluppati attraverso un processo storico, ma che gli appaiono ora come necessità naturali”15.

E, infine: “Tutti gli economisti moderni...hanno definito il proprio lavoro come titolo originario di proprietà e la proprietà sul risultato del proprio lavoro come il presupposto fondamentale della società borghese”16.

Dunque. Commenta Reichelt:

“Quindi non si può procedere per induzione dalla forma della circolazione delle merci al loro processo di formazione e tuttavia la teoria borghese lo fa. Essa costruisce il processo che sta al di là della circolazione in ragione delle rappresentazioni che risultano dall’atto della circolazione, giacché non comprende il particolare rapporto che intercorre tra il processo di circolazione e il processo di produzione di questa determinatezza”17.

E conclude: “Il teorico borghese non si accorge che tutti i membri della società stabiliscono relazioni reciproche come compratori e venditori solo quando è compiuta la divisione di classe e i mezzi di produzione hanno assunto la forma del capitale e che quindi anche la sua costruzione si basa su presupposti di origine storica”18.

Per tornare al punto di partenza, al carattere (ipotetico?) della circolazione semplice, si spiega perché Marx si trovi dentro un reale contraddizione (“il capitale si origina e non si origina nella circolazione”). Marx ha davanti una storia delle teorie economiche che lo costringe ad evitare contemporaneamente troppi paletti.

Il suo percorso, “metodo”, non può essere quello della economia politica classica che costruisce la sequenza lavoro-merce-proprietà-scambio. Col lavoro produco la merce che è quindi mia proprietà, e la scambio per un’altra.

La circolazione rimanda ad una scena originaria:

“Per questo motivo è un’astrazione cominciare ad esporre le categorie con lo sviluppo della circolazione semplice delle merci, perché è il capitale stesso che da sempre si presenta in questa forma; tuttavia una forma diversa di esposizione diversa è impossibile poiché il capitale presuppone il valore logicamente ed anche storicamente”.19

Quindi Marx deve costruire un concetto di “circolazione semplice delle merci” sapendo e dichiarando che non è reale, ma apparente; un “astrazione”, e una diversa è “impossibile”. Ma questa apparenza serve per fare solo un tratto di strada, quello che lo porterà dalla merce al denaro al capitale. Marx non chiude il cerchio. Qui l’ipotesi della circolazione semplice ha dato tutto quel che poteva dare, e da questa non si può “passare” da nessun’altra parte; si può solo “saltare”.

Non possiamo rimanere nel mondo della logica è passare” a nostro comodo, altrove. Nel mondo di Marx questo non è previsto. Si deve saltare e ricominciare da un “altrove”. Perché il denaro diventcapitale devono intervenire altri casi, circostanze etc. La storia si apre all’imprevisto e ignoto, quella “borghese” invece se la racconta, circolarmente, è davvero il presupposto-posto: la merce prodotta dal lavoro si scambia e produce proprietà che produce merci etc.

Marx da qui in avanti abbandona il metodo utilizzato che, se si vuole, si può anche chiamare “hegeliano”.

Quella della “circolazione semplice” è quindi una “astrazione”, ma è “necessaria”.

Marx deve lavorare con questa sua costruzione logica per evitare i troppi paletti che sono piantati sul suo percorso. È il problema di ogni inizio. Non si può dire tutto e subito, né si può entrare in circoli viziosi, ma si può dichiarare il proprio gioco.

Se il plusvalore non può nascere e non può non nascere dalla circolazione, è questo a costringere ad un metodo ambiguo, duplice. Non si può non parlare della circolazione, non ci si può fermare ad essa. Altri problemi incombono.

Bisogna “trovare” il libero lavoratore che non può essere “costretto” a lavorare, perché “libero”.

Lo si potrà controllare ma solo dopo che sarà stato “assunto”, e dopo ancora potrà essere “sussunto”.

Marx elenca una fila di “evidenze” perché ciò possa realizzarsi:

“È evidente che, se l’operaio avesse bisogno di tutta la sua giornata per produrre i suoi propri mezzi di sussistenza(..), non sarebbe possibile alcun plusvalore, quindi nessuna produzione capitalistica e nessun lavoro salariato(..)

È inoltre evidente che se deve essere presupposto un certo sviluppo della produttività del lavoro, e perché possa esistere un pluslavoro, la semplice possibilità di questo pluslavoro(..), non crea ancora la sua realtà. Anzitutto l’operaio deve esservi costretto, a lavorare oltre quella grandezza, e questa costrizione la esercita il capitale”20.

Per passare dal “controllo” alla “costrizione” bisogna riuscire, come vedremo, ad allungare la giornata lavorativa del lavoratore, aprendo un conflitto reale e inesauribile.

E sono, si badi, tutte “evidenze” oggettive, storiche che non possono essere affrontate come se fossero concetti, e per questo Marx li definisce così: “Nella misura in cui si tratti solo di mutamenti formalistici – la trasformazione di queste merci in denaro e la loro ritrasformazione in merci – il processo è già esposto in quel che abbiamo chiamato” circolazione semplice”, la circolazione delle merci come tali. Ma queste merci sono adesso, etc..”21.

Mutamenti formalistici che appartengono alla forma dialettica di rappresentazione e che perciò deve conoscere i propri limiti:

E appare evidente, in questo punto determinato, come la forma dialettica di rappresentazione sia giusta solo se conosce i propri limiti"22.

 

2. Una vecchia questione

Su questo “inizio” ha pesato a lungo una imbarazzante, questione.

Sappiamo di svegliare un mostro che dorme: Engels e la sua “produzione semplice di merci”. Cito dalla Prefazione di Engels:

“Apparirà quindi chiaro perché Marx al principio del primo Libro – là dove parte dalla produzione semplice delle merci come premessa storica del capitale, per giungere poi da questa al capitale – prenda le mosse appunto dalla merce semplice e non da una forma concettualmente e storicamente secondaria, cioè dalla merce già modificata in termini capitalistici”23.

Per Engels il punto di partenza di Marx è la “produzione semplice delle merci”, non la sua “circolazione”.

Siamo al problema della compatibilità tra l’impostazione di Marx e quella di Engels, che si può risolvere solo se cominciamo col restituire a ciascuno il suo. Detto fuori dai denti: Engels ha proposto una interpretazione logico-storica che i testi di Marx non autorizzano.

L’ interpretazione engelsiana propone una “produzione semplice di merci” valida storicamente fino al XV secolo:

“La legge del valore di Marx ha dunque una validità economica generale per un periodo di tempo che va dall’inizio dello scambio che trasforma i prodotti in merce, fino al XV secolo della nostra era. Ma lo scambio delle merci risale ad un’epoca anteriore a qualsiasi storia scritta, che rimonta in Egitto ad almeno 3500 anni, forse 5000 anni, in Babilonia a 4000 forse 6000 anni prima della nostra era: la legge del valore ha dunque regnato per un periodo che va da 5 a 7 mila anni”24.

Il lettore dei primi capitoli del libro primo del Capitale trova molta difficoltà a riconoscere Marx in queste parole.

Engels non vede l’esplicita fictio metodologica di Marx: lavoriamo, per il momento – propone Marx - sulla ipotesi utile di una circolazione semplice delle merci, non-storica, ignorando quindi che esse merci sono produzioni capitalistiche. Engels ignora questa finzione e ne parla come di storia.

Nel merito, poi, tra “circolazione” e “produzione di merci” non è questione di sfumature. Per Engels, Marx, nel terzo capitolo del primo libro, avrebbe presentato la storia del denaro nella “produzione semplice di merce”, che è tesi “insostenibile”.

Backhaus dà il merito di questa correzione a Reichelt: “Nel corso della sua ricostruzione Reichelt riuscì a provare in modo significativo che la teoria della “circolazione semplice” di Marx era stata completamente travisata nella cosiddetta teoria della “produzione mercantile semplice” di Engels. Un travisamento che ha provocato una confusione indicibile nella recezione e nella critica più che secolare della teoria del valore di Marx”25.

E ancora26:

“…le operazioni concettuali dei primi tre capitoli del Capitale come costruzione di un modello della produzione semplice di merci, che viene poi avvicinato alla realtà della produzione capitalistica di merci per via di una successiva concretizzazione. A questo modello sarebbe preposta un’altra astrazione metodica, alla quale corrisponde una mitica condizione originaria, in cui non esistono prezzi.”

Perciò R. L. Meek crede di poter designare la metodologia marxiana come “mitodologica” - un’espressione che a mio parere connota molto esattamente una veduta modellistico-platonica del metodo marxiano.

“(…) l’interpretazione “modellistico-platonica” dei primi tre capitoli del Capitale comporta certamente la difficoltà che con la produzione di merci anche il valore deve venir giudicato come una pura e semplice finzione utile”27.

Una interpretazione, questa engelsiana, che aveva, oltre al resto, l’effetto di staccare al di là del ragionevole, Marx da Hegel. Mentre pare necessario un equilibrio. Se, volendo anticipare cose che verranno analizzate dopo, non sembra il caso di schiacciare il Capitale sulla Logica di Hegel, non si può neppure fare a meno di ravvisarvi la sua “pesante” presenza.

L’analisi comincia dalla “merce”, e la merce, in questo inizio del Capitale, è già “capitalistica”. Su questo i testi di Marx non consentono dubbi. Il problema, invece, è “metodologico”. Marx si è imposta, in questi primi capitoli, una “necessaria contraddizione” tra la realtà e i presupposti metodologici.

Gli attori che Marx mette all’opera sono infatti “possessori di merci”, indipendenti, liberi, che scambiano i “prodotti del proprio lavoro”, come non può essere nella società capitalistica.

Marx aveva di questo piena consapevolezza già in Per la critica, anzi, addirittura nel suo testo originario, l’Urtext (1858).

Qui Marx si diffonde sulla “circolazione semplice”28 :

“I rapporti economici tra gli individui, soggetti dello scambio, vanno visti qui nella loro forma semplice, come appaiono nel processo dello scambio sopra presentato, senza relazione con più alti e sviluppati rapporti di produzione”29.

È la scelta di metodo che impone quel modo di vedere: i rapporti economici vanno visti nella loro forma semplice, come appaiono nel processo di scambio, separatamente dai rapporti di produzione.

È la scelta di una lettura volutamente limitata alla superficie (“forma semplice”). Si scambieranno solo merci che “scaturiscono dal lavoro del suo possessore”.

“Nel processo semplice dello scambio, come esso si esprime nei differenti momenti della circolazione, non rientra la produzione delle merci”30.

Andrà ignorata, per il momento, tutta una “quantità di presupposti”31. Perché “egli ha prodotto già entro una connessione determinata” 32 di cui si sceglie di non tener conto, infatti: “una analisi…mostrerebbe..”. E, per il momento non viene fatta.

E’ chiaro infatti che ”una analisi della forma specifica dalla divisione del lavoro, delle condizioni di produzione su cui essa riposa, dei rapporti economici tra i membri della società, in cui si risolvono questa condizioni, mostrerebbe che deve essere presupposto l’intero sistema della produzione borghese, affinché il valore di scambio appaia alla superficie come semplice punto di partenza, e il processo di scambio, scomposto nella circolazione semplice, appaia come il semplice ricambio organico sociale comprendente tanto l’intera produzione quanto il consumo”33.

Se è vero che:

“La circolazione semplice (…) può esistere storicamente proprio perché essa è solo movimento mediatore tra punti di partenza presupposti, anche senza che il valore di scambio abbia abbracciato la produzione di un paese in tutta la superficie è in tutta la profondità.

(..) è altrettanto evidente storicamente che la circolazione stessa conduce alla produzione borghese, cioè alla produzione di valori di scambio e si crea così una base diversa da quella da cui era partita immediatamente”34.

“Tuttavia qui non abbiamo a che fare con il passaggio storico della circolazione al capitale. La circolazione semplice è piuttosto una sfera astratta del processo totale della produzione borghese, che per mezzo di sue proprie determinazioni si rivela semplice momento, pura forma fenomenica di un processo più profondo che sta dietro di essa, che risulta da essa e di cui essa è prodotto: momento e forma del capitale industriale”35.

Queste le articolazioni, i passaggi della non-semplice impostazione di Marx: tenere ben distinte, da un lato, una “sfera astratta” della produzione borghese, dal “processo più profondo che sta dietro di essa”; dall’altro, il processo col quale storicamente la circolazione stessa conduce fino alla produzione borghese.

Piuttosto che insistere perciò sulla, quanto meno, “inadeguata” lettura di Engels, si può osservare anche che l’approccio del Capitale contraddice le indicazioni della Introduzione del ’57 che metteva al centro, invece, la produzione:

“La produzione assume l’egemonia tanto su sé stessa, nella sua determinazione antitetica, quanto sugli altri momenti”. Da essa il processo ricomincia sempre di nuovo. Che lo scambio e il consumo non possano essere elementi egemonici è cosa che si comprende da sé”36.

“Oggetto della nostra analisi è anzitutto la produzione materiale” 37 . Scriveva Marx nella

Introduzione del ’57, prima pagina, primo rigo.

” La nostra indagine comincia perciò con l’analisi della merce”. Scriverà nel ’59 e nel Capitale.

I criteri di metodo, espressi nel ’57 e messi alla prova in Per la critica, nel ’59, hanno dovuto fare i conti, nel Capitale, con altre necessità dell’indagine, e la “produzione”, benché “egemonica”, dovrà aspettare.

 

3. Il Capitale, libro primo. La merce

“La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta fenomenicamente come una “immane raccolta di merci”, la merce singola come sua forma elementare. La nostra indagine comincia perciò con l’analisi della merce”38.

Anche se sappiamo che “strutturalmente” l’egemonia spetta alla produzione, e che si dovrebbe procedere perciò dall’interno verso l’esterno, Marx sceglie il percorso inverso, dalla superficie verso la struttura.

Marx si colloca in una società determinata, il cui modo di produzione è capitalistico.

Qui la ricchezza si manifesta fenomenicamente, come una immane raccolta di merci. Guarderemo quindi alla sua forma elementare, la “merce singola” come oggetto diretto dell’indagine39.

Marx tira fuori dalla “merce”, prima, il “denaro”, poi, dal denaro, il “capitale”.

Lungi dalle magie, le operazioni di Marx sono tante, e in successione: fermo-immagine ed esclusione del tempo; messa in evidenza dello spessore della circolazione; focalizzazione sulla singola merce come “cellula”. E nulla di meno; e a tutte, Marx aggiunge, come memento e arma “finale”, alcune delle pagine, epistemologica mente più “sconvolgenti” del Capitale:

“Una merce pare a prima vista una cosa scontata, triviale. La sua analisi ci ha mostrato che essa è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di ubbie teologiche”40.

È solo a questo punto che diventa chiaro quello a cui Marx allude all’inizio:

“La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta fenomenicamente come una “immane raccolta di merci”, la merce singola come sua forma elementare. La nostra indagine comincia perciò con l’analisi della merce”.

Con quel titolo il Capitale inizia dalla “merce”. Marx la prende larga. Ci vorrà tutto tranne che un rozzo empirismo per affrontare una “cellula”. La merce singola, la “forma elementare”, a prima vista “cosa scontata e triviale”, non era -invece - affatto tale, nascondeva anzi “sottigliezza metafisica e ubbie teologiche”, un mondo intero. Non era una “cosa”, ma una magica “palla di vetro”.

Il suo mistero era ben nascosto, in superficie, dove nessuno l’avrebbe mai cercato, nella sua stessa “forma”, perché lo cerca al di là della forma, nel “contenuto”.

Infatti è vero che “la merce è in primo luogo un oggetto esterno, una cosa che soddisfa bisogni umani.”; ma c’è da considerare che “I valori d’uso costituiscono il contenuto materiale della ricchezza, quale ne sia la forma sociale”. E prosegue:

“Nella forma sociale che dobbiamo trattare noi, essi costituiscono al contempo i portatori materiali del – valore di scambio41.

(..) “il valore di scambio può essere solo il modo di espressione, la “forma fenomenica” di un contenuto (Gehalt)da esso distinguibile”.

Evidenziamo solo le operazioni.

“Col carattere utile dei prodotti del lavoro scompare il carattere utile dei lavori in essi esposti, scompaiono dunque anche le forme concrete diverse di questi lavori, esse non si distinguono più, sono bensì ridotte tutte insieme a lavoro umano uguale, lavoro astrattamente umano. Consideriamo adesso il residuo dei prodotti del lavoro. Di essi non è rimasto altro che la stessa spettrale oggettualità, una mera gelatina di lavoro umano indistinto, cioè di dispendio di forza-lavoro umana senza riguardo alla forma del suo dispendio”42.

“Questa duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata da me per primo indicata in maniera critica. Poiché questo punto è il punto cruciale attorno al quale ruota la comprensione dell’economia politica, esso deve essere esaminato più da vicino”.

“Solo i prodotti di lavori privati autonomi e indipendenti gli uni dagli altri si trovano gli uni di fronte agli altri come merci” 43.

Duplice natura del lavoro contenuto nella merce perché prodotta da lavori privati autonomi e indipendenti. Sarebbe la strada per risalire alla “divisione del lavoro” e ai soggiacenti “rapporti di produzione”, ma per adesso Marx non la segue.

La merce empirica, l’oggetto, dura poco nelle mani di Marx; diventa subito una spettrale oggettualità

che sembra già alludere al paragrafo finale sul feticismo delle merci.

Ė il risultato del chirurgico “lavoro” di analisi, di “sfilettatura” che Marx mette in opera su un “oggetto”, una “merce”, per riconsegnarcela, due pagine dopo, come “mera gelatina di lavoro umano indistinto44.

Una serie di bivi si sussegue: “il modo di produzione capitalistico presente” / rispetto alla storia passata; la singola merce /rispetto alla “immane raccolta”; il valore di scambio/rispetto al valore d’uso; lavoro umano indistinto/rispetto ai lavori concreti.

Per arrivare al cuore Marx deve accumulare “scarti” ai lati del percorso:

“All’inizio di ciascuna sezione vi sono categorie ritrovate nei manuali dell’economia borghese, che poi sono esse stesse un elemento della realtà sociale. Tali categorie sono però per lo più semplici “nomi”, i cui elementi sono spesso soltanto “ottuse rappresentazioni aconcettuali”. La funzione dell’esposizione dialettica consiste dunque evidentemente nel far parlare le categorie, cioè nel renderle accessibili e nel dispiegare “concettualmente” i contenuti a cui esse si riferiscono. (..)Si potrebbe anche dire che lo “sviluppo concettuale” è per Marx quel modo di esposizione che solo è adeguato all’”oggetto” economico, in quanto la sua oggettività è di un tipo del tutto differente da quella degli oggetti e dei processi che possono venir studiati dalle scienze naturali e dalla psicologia45.

Ci troviamo davanti ad uno dei problemi più complessi. Marx vuole far parlare le categorie elaborate dall’economia politica classica. L’economia politica classica consente, infatti, attraverso il proprio filtro teorico, linguistico etc.., di entrare nel mondo della economia reale. Ma senza dimenticare, viceversa, che l’accesso della economia politica è mediato perché costruito su, e prodotto da, quella stessa economia reale che essa vuole interpretare. Il meccanismo economico capitalistico non produce solo “merci”, ma anche “immagini”, “pensieri di merci”, “linguaggi di merci”, e bisogna essere accorti nel maneggiarli. C’è da spiegare il “capitale” reale; ma attraverso la “critica dell’economia politica”. È una “anatomia”. Bisogna fare due volte, in maniera “circolare”, la “decifrazione”. L’economia politica (“prodotta” nel e dal capitalismo) deve aiutarci a decifrare la realtà mistificata del capitalismo. Ma questa operazione è solo una prima decifrazione. Il suo risultato teorico ci deve consentire, in seconda decifrazione, un accesso, epistemologicamente più “pulito”, sull’economia reale.

Le due operazioni rivelano l’oggetto economico, di una “oggettività di un tipo del tutto differente”. Non siamo più davanti a “cose scontate e triviali”, ma a “ubbie teologiche”, a “cose imbrogliatissime”, a “sottigliezze metafisiche”: la loro” materia” è quella “di cui sono fatti i sogni”, la condensazione, la “gelatina di lavoro umano”.

L’oggetto che Marx ha costruito è così nuovo da sopportare a stento “quel” nome di “oggetto”, così profondamente segnato dalla tradizione filosofica, e così difficile da usare nel suo nuovo quadro teorico46.

“Se si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro allora solo una proprietà, quella di prodotti del lavoro. Tuttavia anche il prodotto del lavoro ci si è già trasformato fra le mani. Se astraiamo dal suo valore d’uso, astraiamo anche dalle sue parti costituenti e forme corporee che lo rendono un valore d’uso. Non è più tavolo o casa o filo o altra cosa utile. Tutti i suoi costituenti sensibili sono scomparsi. Non è più neppure il prodotto del lavoro di falegnameria o del lavoro edilizio o del lavoro di filatura o di un altro lavoro produttivo determinato. Col carattere utile dei prodotti del lavoro scompare il carattere utile dei lavori in essi esposti, scompaiono dunque anche le forme concrete diverse di questi lavori, esse non si distinguono più, sono bensì ridotte tutte insieme a lavoro umano uguale, lavoro astrattamente umano. Consideriamo adesso il residuo dei prodotti del lavoro. Di essi non è rimasto altro che la stessa spettrale oggettualità, una mera gelatina di lavoro umano indistinto, cioè di dispendio di forza-lavoro umana senza riguardo alla forma del suo dispendio”47.

Senza alcun ricorso a esemplificazioni, a “decisioni”, senza chimica o microscopi, con la sola forza dell’astrazione, Marx di-spiega la forma di denaro a partire dalla banale uguaglianza: “20 braccia di tela=un abito”.

La merce è quindi valore d’uso, serve immediatamente a qualcosa; o può essere scambiata con un’altra, è un valore di scambio.

Ma il valore di scambio sembra gettarci dentro una serie infinita di rapporti tra questa merce e tutte le altre, non lasciandoci niente in mano. Ma non è così.

Il punto che bisogna capire, e che è sfuggito persino all’acuto Bailey, è che “le proprietà di una cosa non sorgono dal suo rapporto con altre cose, anzi in tale rapporto si attuano solamente(..). Di qui l’enigmaticità della forma di equivalente, che non colpisce il rozzo sguardo borghese dell’economista politico prima che questa forma gli compaia di fronte in maniera compiuta nel denaro(..).

“Non gli viene il presentimento che già la più semplice espressione di valore, come 20 braccia di tela=un abito, dia la soluzione dell’enigma della forma di valore”48.

Quello che segue sono deduzioni, analisi, della catena logica che ha questo principio come primo anello.

È “tutto” già dentro questa uguaglianza:

A Forma semplice: 20 braccia di tela=un abito. “Forma semplice, singolare o casuale di valore”.

“L’arcano di ogni forma di valore è racchiusa in questa forma semplice di valore. La sua analisi presenta perciò la difficoltà vera e propria”49.

Basterà seguirne lo sviluppo logico.

B “Forma totale o dispiegata”: 20 braccia di tela=un abito=10 libbre di tè=40 libbre di caffè=1 quarter di grano=2 once d’oro etc etc.

Nella prima forma “può essere un dato di fatto casuale che queste due merci siano scambiabili in un rapporto quantitativo determinato. Nella seconda forma, invece, traspare subito uno sfondo distinto essenzialmente dalla casuale manifestazione fenomenica(..)Diviene palese che non è lo scambio a regolare la grandezza di valore della merce, bensì che è viceversa la grandezza di valore della merce a regolare i suoi rapporti di scambio50.

Qui è il perno su cui tutto tornerà a girare. Per giungere così alla

Forma universale di valore: un abito=

10 libbre di tè=

40 libbre di caffè=

1 quarter di grano=

2 once d’oro etc=

20 braccia di tela

“La forma relativa universale di valore del mondo delle merci imprime alla merce equivalente da essa e sc l’u s a(spaz.mia), la tela, il carattere dell’equivalente universale(..)La sua forma corporea vale come visibile incarnazione, universale crisalide sociale di ogni lavoro umano” (…).

Tesi che è da considerare tra le fondamentali del pensiero marxiano. Per quello da cui nasce e quello che consente ancora di costruire.

“Le innumerevoli uguaglianze di cui consiste la forma universale di valore, secondo le serie, pongono il lavoro reso effettuale nella tela uguale ad ogni lavoro contenuto in altra merce e fanno così della tessitura la forma fenomenica universale del lavoro umano in genere. Così, il lavoro oggettualizzato nel valore delle merci non è esposto solo negativamente come lavoro in cui si astrae da tutte le forme concrete e da tutte le proprietà utili dei rapporti effettuali. Emerge espressamente la sua propria natura positiva. Essa è la riduzione di tutti i lavori effettuali al carattere loro comune di lavoro umano, al dispendio di forza-lavoro umana”.

(..) “La forma universale di valore, che espone i prodotti del lavoro come mere gelatine di lavoro umano indistinto, mostra, proprio grazie alla propria conformazione, di essere l’espressione sociale del mondo delle merci. Così rende palese che, all’interno di questo mondo, il carattere universalmente umano del lavoro costituisce il suo carattere specificamente sociale51.

Ci ritroviamo così, tra le mani, al passaggio più facile, alla fine, la

Forma di denaro

20 braccia di tela=

10 libbre di tè=

40 libbre di caffè=

1 quarter di grano=

2 once d’oro etc=2 once d’oro52

Dal “parlarsi” delle merci, dalla “forma semplice”, 20 braccia di tela =un abito, si è giunti fino a risolvere “l’enigma del denaro”:

“Qui si tratta tuttavia di riuscire in ciò che neppure per una volta è stato tentato dall’economia borghese, cioè di mostrare la genesi di questa forma di denaro, dunque di seguire lo sviluppo dell’espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci dalla sua figura più semplice e meno appariscente fino alla luccicante forma di denaro. Con ciò scompare al contempo l’enigma del denaro”53.

“Forme” che si deducono o, inversamente, riducono: dalla forma “universale” che si riduce a forma “dispiegata”, che si riduce a forma “semplice”, dove tutto è contenuto, come “germe”:

“La difficoltà nel concetto della forma di denaro si limita alla comprensione della forma universale di equivalente, dunque della forma universale di valore in genere, la forma III. La forma III si risolve riflessivamente nella forma II, la forma dispiegata di valore, e il suo elemento costitutivo è la forma I: 20 braccia di tela=un abito, ovvero x merce A=y merce B. La forma semplice è perciò il germe della forma di denaro”54.

Abbiamo a che fare con “forme”, non con “oggetti”, e quel che sono chiamate a compiere sono quindi “metamorfosi”. Debbono essere, alla fine del percorso, tutt’altra cosa che all’inizio.

La merce perciò non è un “modello” platonico, né una ipotesi costruita ad hoc, ma l’analisi “logico- deduttiva” su un corpo reale, su una “cellula storicamente determinata”, capitalistica.

Nulla di strano che tutto questo prepari l’arcano del carattere di feticcio della merce.

“L’arcano dell’espressione di valore, l’eguaglianza e l’eguale validità di tutti i lavori, perché, e nella misura in cui essi sono lavoro umano in genere, non può essere decifrato prima che il concetto di uguaglianza umana possegga già la solidità di un pregiudizio popolare. Ciò è però possibile solo in una società in cui la forma di merce sia la forma universale del prodotto del lavoro, dunque in cui anche il rapporto reciproco degli uomini come possessori di merci sia il rapporto sociale dominante”55.

“Una merce pare a prima vista una cosa scontata, triviale. La sua analisi ci ha mostrato che essa è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di ubbie teologiche. Nella misura in cui è valore d’uso, non c’è niente di misteriosi in essa (…) La forma del legno viene modificata, per esempio, se di esso si fa un tavolo. Ciò nondimeno, il tavolo rimane legno, una cosa ordinaria, sensibile. Ma non appena compare come merce, esso si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Sta ritto reggendosi non solo sui piedi, ma, di fronte a tutte le altre merci, mettendosi sulla testa; e, in quella sua testa di legno, iniziano a saltargli svariati grilli, in modo ancor più strabiliante che se cominciasse a ballare da solo”56.

Che non si tratti di un “divertimento”, ma del tentativo di Marx di adeguare l’espressione della “scienza” economica ad una realtà così “diversa” né è prova il seguito:

” Da dove sorge, dunque, il carattere enigmatico del prodotto del lavoro non appena assume forma di merce? Evidentemente da questa forma stessa”.

La logica formalistica traballa e anche l’espressione si dovrà adeguare. Ogni volta che Marx deve parlare del denaro è nella letteratura che cerca ispirazione.

Sono in gioco le “forme”:

1. ”L’eguaglianza dei lavori umani riceve la forma cosale dell’uguale oggettualità di valore dei prodotti del lavoro”;

2. la misura del dispendio della forza-lavoro umana attraverso la sua durata temporale riceve la forma della grandezza di valore dei prodotti del lavoro;

3, infine i rapporti dei produttori, in cui si attuano tutte le determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma di un rapporto sociale dei prodotti del lavoro”57.

Qualcosa impone “forme” a qualcos’altro.

Forma cosale” riceve l’eguaglianza dei lavori umani;” forma di grandezza di valore” riceve il “dispendio della forza lavoro”; forma di un rapporto sociale dei prodotti del lavoro ricevono i “rapporti dei produttori”. È la “reificazione” del rapporto tra lavoro e prodotto, e dei rapporti di lavoro tra gli uomini.

Una conclusione:

“Il carattere assolutamente arcano della forma di valore consiste dunque semplicemente in ciò; essa riflette agli uomini come in uno specchio i caratteri sociali del loro lavoro come caratteri oggettuali dei prodotti stessi del lavoro, come proprietà sociali di natura di queste cose; dunque riflette anche il rapporto sociale dei produttori con il lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti che esiste al di fuori di loro. Attraverso questo quid pro quo i prodotti del lavoro divengono merci, cose sensibilmente sovrasensibili, vale a dire sociali”.(…)E’ solo il rapporto sociale determinato degli uomini stessi che qui assume per essi la forma fantasmagorica di un rapporto di cose(…) Questo io lo chiamo feticismo che si appiccica ai prodotti del lavoro non appena vengono prodotti come merci e che perciò è inseparabile dalla produzione di merci(…) Oggetti d’uso divengono, in genere, merci solo perché sono prodotti di lavori privati condotti indipendentemente gli uni dagli altri. Il complesso di questi lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo. Poiché i produttori entrano in contatto sociale solo attraverso lo scambio dei prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati si manifestano fenomenicamente solo entro questo scambio” 58.

Ma se rileggiamo l’intera sequenza dei capitoli, troveremo, qua e là i “segnali” che finiranno per confluire e sfociare nel finale” carattere di feticcio della merce”. E da lì si potrà risalire fino alle intuizioni hegelo-feuerbachiane-marxiane dei Manoscritti del ‘44.

Ad Hegel, al Marx giovane, e a questo del Capitale, è dinanzi lo stesso “rapporto sociale di oggetti che esiste al di fuori di loro”; “il rapporto sociale determinato degli uomini stessi che qui assume per essi la forma fantasmagorica di un rapporto di cose”.

E su quello, Hegel farà un lavoro, Marx giovane un altro, e un altro ancora il Marx del Capitale. L’attività teorica di Marx si è andata progressivamente concentrando nel corso degli anni ’50, attorno alla “analisi della società capitalistica”, utilizzando come guida, “sparring partner”, l’economia politica classica. Il Capitale ha infatti come sottotitolo Per la critica dell’economia politica, già utilizzato nel ‘59 e ancora prima.

E la rottura è nelle profondità. Dinanzi alla “semplicità e trasparenza” riconosciuta alle cose stesse e vantata dall’economia politica, Marx oppone fantasmagorie, feticismi etc.

“La determinazione della grandezza di valore attraverso il tempo di lavoro è perciò un arcano nascosto sotto i movimenti fenomenici dei valori relativi delle merci. La sua scoperta toglie la parvenza della determinazione meramente casuale della grandezza di valore dei prodotti del lavoro, ma in alcun modo toglie la loro forma cosale”59.

“Siffatte forme costituiscono proprio le categorie dell’economia borghese. Sono forme di pensiero socialmente valide, dunque oggettive, per i rapporti di produzione di questo modo di produzione sociale storicamente determinato, la produzione di merci. Tutto il misticismo delle merci, tutti i sortilegi e le magie che cingono di nebbie i prodotti del lavoro sul fondamento della produzione di merci, si dissolvono subito non appena ci rifugiamo in altre forme di produzione”60.

Là non troviamo nulla di tutto questo. Rapporti semplici e trasparenti nell’isola di Robinson; nel medio evo dove ”i lavori e i prodotti non hanno bisogno di assumere una forma fantastica diversa dalla loro realtà”; nell’industria rusticamente patriarcale 61, o in una futura “associazione di uomini liberi”.

In tutti questi casi, passati o futuri: “Le relazioni sociali degli uomini coi loro lavori e coi prodotti del loro lavoro restano qui semplici e trasparenti, tanto nella produzione quanto nella distribuzione”62.

“L’economia politica ha certo analizzato, anche se in modo” incompleto”, valore e grandezza di valore e ha scoperto il contenuto celato in queste forme. Neppure una volta essa si è posta la domanda almeno del perché questo contenuto assuma quella forma, del perché dunque, il lavoro si esponga nel valore dei prodotti del lavoro e la misura del lavoro attraverso la sua durata temporale nella grandezza di valore di essi”63.

Di tutto questo, assolutamente essenziale, l’economia politica classica non ha avuto nessun sospetto. “Semplicità e chiarezza” anche quando c’era da descrivere un mondo di “folletti”.

“Una delle insufficienze dell’economia politica è che essa non è mai riuscita a scoprire, dall’analisi della merce e specialmente del valore delle merci, la forma di valore che fa precisamente del valore il valore di scambio(..), Il motivo non è solo che la grandezza di valore assorbe interamente la loro attenzione. Giace più in profondità. La forma di valore del prodotto del lavoro è la forma più astratta ma anche più universale del modo di produzione borghese che, per questa via, viene caratterizzato come un genere particolare di produzione sociale, e con ciò al tempo stesso in modo storico”64.

Ma Marx, ancora una volta e per tante volte ancora, non potrà rispondere perché: “Non bastava…Bisognava prima…”. Avrebbe dovuto fare un salto in avanti fino al concetto di “rapporti di produzione” che nel Capitale è promesso già a p.10 (:”In quest’opera debbo indagare il modo di produzione capitalistico e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono”), ma che arriva solo a p.531 (cap.13 Macchine e grande industria, nota); torna col “rispecchiamento nella mente del capitalista”(p.607); e infine, a p. 633-4 (cap.21): ”Nel quarto capitolo abbiamo visto che per trasformare denaro in capitale non bastava che ci fossero produzione di “valore” e circolazione di merci. Bisognava prima che si trovassero l’uno di fronte all’altro, come compratore e venditore, qua il possessore di valore, o denaro, là il possessore della sostanza che crea il valore; qua il possessore di mezzi di produzione e di mezzi di sussistenza, là il possessore di nient’altro che forza-lavoro. Dunque, il fondamento attualmente dato, il punto di partenza del processo di produzione capitalistico, è stato la separazione fra il prodotto del lavoro e il lavoro stesso, fra le condizioni oggettive del lavoro e la forza-lavoro soggettiva”), e a p. 642: ”Il processo di produzione capitalistico, considerato nella sua connessione complessiva cioè considerato come processo di riproduzione – non produce dunque solo merce, non produce solo plusvalore, ma produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso: da una parte il capitalista, dall’altra il lavoratore salariato”.

Per Marx, questa la ragione, è ormai acquisito, interiorizzato, il “rapporto capitalistico stesso”. E, scrive Rubin: “La formulazione metodologica del problema in Marx suona approssimativamente: perché il lavoro assume la forma di valore, i mezzi di produzione quella di capitale, i mezzi di sussistenza dei lavoratori quella di salario, la crescente produttività del lavoro la forma di un crescente plusvalore”65.

L’economia politica era dovuta nascere quando l’economia, profondamente e rapidamente trasformata, era diventata un problema. Ma nessuno avrebbe potuto prevedere quanto si sarebbe ingarbugliato.

Continua col “processo di scambio” la “feticizzazione dei rapporti umani”, meglio, la tessitura feticizzata dei rapporti umani:

Poiché “Tutte le merci sono non-valore d’uso per i loro possessori, valore d’uso per i loro non-possessori”. (…)

“Ogni possessore di merci vuole alienare la propria merce solo contro altra merce il cui valore d’uso soddisfi il suo bisogno. In questa misura, per lui lo scambio è un processo solo individuale. D’altro lato, egli vuole realizzare la propria merce come valore, dunque, in qualsiasi altra merce dello stesso valore a lui gradita, abbia o non abbia la sua merce valore d’uso per il possessore dell’altra merce. In questa misura, per lui lo scambio è un processo universalmente sociale. Ma lo stesso processo non può essere allo stesso tempo, per tutti i possessori di merci, solo individuale e, contemporaneamente, solo universalmente sociale”66.

È una situazione di impasse dove regna l’”indecisione”, e si decide perciò “prima di aver pensato. Le leggi della natura delle merci si attuano nell’istinto naturale dei possessori di merci. Essi possono riferire le loro merci le une alle altre come valori, e quindi come merci, solo in quanto le riferiscono oppositivamente ad una qualsiasi altra merce come equivalente universale67.

Ne è risultata l’esclusione/promozione di una merce a denaro.

L’azione sociale di tutte le altre merci esclude perciò una merce determinata in cui esse espongono onnilateralmente i propri valori. (..) Essere equivalente universale diviene attraverso il processo sociale. una funzione specificamente, sociale della merce esclusa. Così essa diviene -denaro”. (..) Nella stessa misura, perciò, in cui si compie la trasformazione dei prodotti del lavoro in merci, si compie la trasformazione della merce in denaro68.

 

4. Il denaro

“Si è visto che la forma di denaro è solo il riflesso delle relazioni di tutte le altre merci legatosi ad una merce”69.

“Riflesso”, ma come in uno specchio frantumato in infiniti pezzi.

Per questa ragione un passo verso la decifrazione del denaro si fa eliminando ogni teoria che prova a farlo dall’esterno, per “convenzione”.

“Le merci non divengono commensurabili attraverso il denaro. Viceversa, poiché tutte le merci, come valori sono lavoro umano oggettualizzato, poiché esse sono, perciò, commensurabili in e per , esse possono misurare in maniera comune i loro valori nella stessa merce specifica e trasformarla con ciò in una misura di valore comune, ossia in denaro. Il denaro, come misura del valore, è necessaria forma fenomenica della misura di valore immanente delle merci, del tempo di lavoro”70.

E questo è un altro decisivo passaggio, “poiché esse sono, perciò, commensurabili in e per , esse possono misurare in maniera comune i loro valori nella stessa merce specifica e trasformarla con ciò in una misura di valore comune”.

La commensurabilità non interviene dall’esterno, ma è un carattere delle merci come prodotti del lavoro. E quindi che essa si possa realizzare attraverso l’oro, ha la stessa ragione:

“L’oro può servire da misura dei valori solo perché esso stesso è prodotto del lavoro, dunque, in linea di principio, è un valore modificabile”.

(..) “La variazione di valore dell’oro non pregiudica neppure la sua funzione come misura di valore. Essa riguarda tutte le merci contemporaneamente, dunque, caeteris paribus, lascia immutati i loro reciproci valori relativi, benchè tutte si esprimano adesso in prezzi in oro più bassi o più alti di prima”71.

“Ma la divisione del lavoro è un organismo produttivo che si sviluppa naturalmente, i cui fili si tessono, e si continuano a tessere dietro le spalle dei produttori di merci”72.

“I nostri possessori di merci scoprono, perciò, che la stessa divisione del lavoro, che li rende produttori privati indipendenti, rende il processo sociale di produzione, ed i loro rapporti in questo processo, indipendenti da loro stessi, che l’indipendenza reciproca delle persone s’integra in un sistema di onnilaterale dipendenza cosale. La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e con ciò rende necessaria la sua trasformazione in denaro. Essa rende allo stesso tempo casuale che questa transustaziazione riesca”.

“Per adesso non conosciamo altro rapporto economico degli uomini al di fuori di quello di possessori di merci, un rapporto in cui essi si appropriano di un prodotto del lavoro altrui solo in quanto rendono altrui il proprio”73.

“Da un lato si vede qui come lo scambio di merci spezzi i limiti individuali e locali dello scambio immediato di prodotti e sviluppi il ricambio materiale organico del lavoro umano. D’altro lato, si sviluppa un’intera catena di connessioni sociali di natura fuori del controllo delle persone che agiscono”74.

“Dietro le spalle”; “sistema di onnilaterale dipendenza cosale”, “fuori del controllo”. La divisione del lavoro “trasforma il prodotto del lavoro in merce e con ciò rende necessaria la sua trasformazione in denaro”; “si sviluppa un’intera catena di connessioni sociali di natura fuori del controllo delle persone che agiscono”.

Siamo alla “transustanziazione”.

“Con l’estendersi della circolazione di merci cresce il potere del denaro, della forma sempre pronta, assolutamente sociale della ricchezza. “L’oro è una cosa meravigliosa! Chi lo possiede è signore di tutto quello che desidera. Grazie all’oro si possono perfino mandare le anime in Paradiso” (Colombo, in Lettera dalla Giamaica,1503). Poiché dal denaro non si vede che cosa si sia trasformato in esso, tutto, merce o no, si trasforma in denaro. Tutto diviene vendibile e comprabile. La circolazione diviene il grande alambicco sociale in cui tutto si invola per riuscire di nuovo come cristallo di denaro. A questa alchimia non resistono neppure le ossa dei santi e neppure meno rozze res sacrosantae, extra commercium hominum.

Come nel denaro si è dissolta ogni distinzione qualitativa delle merci, esso, da parte sua, leveller radicale, dissolve tutte le distinzioni. Il denaro stresso è però merce, una cosa esterna, che può diventare proprietà privata di chiunque. Il potere sociale diviene così potere privato di persone private. La società antica lo denuncia perciò come moneta disgregatrice del suo ordine economico ed etico. La società moderna, che già dall’infanzia tira Plutone per i capelli fuori dalle viscere della terra, saluta nell’oro il proprio graal, la lucente incarnazione del suo principio di vita più proprio”75.

“Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in tutta la sua ampiezza come la merce la cui forma naturale è al contempo forma di realizzazione effettuale, immediatamente sociale, del lavoro umano in abstracto. Il suo modo d’esserci diviene adeguato al suo concetto”76.

“Se si sa che l’oro è denaro, quindi scambiabile immediatamente con tutte le altre merci, non si sa per questo di quale valore siano le es. le 10 libbre d’oro. Come ogni altra merce il denaro può esprimere la propria grandezza di valore solo relativamente in altre merci. Il suo valore è determinato dal tempo di lavoro richiesto alla sua produzione e si esprime nel quantum di ogni altra merce in cui è coagulato tempo di lavoro d ‘uguale grandezza”77.

La difficoltà non sta nel comprendere che il denaro è merce, bensì nel comprendere come, perché, grazie a cosa la merce è denaro”.

In conclusione:

“Il comportamento meramente atomistico degli uomini nel loro processo di produzione sociale e, perciò, la figura cosale dei loro rapporti di produzione - figura indipendente dal loro controllo e perciò dal loro fare individuale consapevole – si manifestano fenomenicamente in primo luogo nel fatto che i prodotti del loro lavoro assumono universalmente la forma di merce. L’enigma del feticcio denaro è perciò solo l’enigma divenuto visibile – che abbaglia gli occhi – del feticcio merce78.

“L’oro può servire da misura dei valori solo perché esso stesso è prodotto del lavoro, dunque, in linea di principio, è un valore modificabile”79.

E, “Per funzionare come denaro, l’oro deve naturalmente entrare in un qualche punto nel mercato delle merci. Questo punto si trova alla sua fonte di produzione dove si scambia come prodotto immediato del lavoro. Con altri prodotti del lavoro dello stesso valore”80.

Ed ecco la sintesi di questo ultimo sviluppo:

“la determinazione quantitativa del valore del denaro è fissata nel punto di produzione dell’oro, quando l’oro è immesso per la prima volta nel circuito monetario, l‘oro viene scambiato in prima battuta come semplice merce contro tutte le altre merci. Questo scambio non è monetario in senso stretto. Il tempo di lavoro(privato) richiesto per produrre l’oro è reso uguale alla quantità di lavori(privati) che producono le altre merci con cui l’oro è scambiato, così che la stessa quantità di tempo di lavoro è congelata nell’uno e negli altri”81.

 

5. La trasformazione del denaro in capitale

Abbandonando, dopo averla sfruttata, l’ipotesi della “circolazione semplice”, Marx guadagna in profondità quello che perde in estensione. Per quanto esteso, il meccanismo della circolazione non produce plusvalore. Ha dato quel che poteva; ma ora si tratta di trovare da dove è venuto fuori il “miracolo” dei 27 scellini che sono diventati 30. Quel mondo superficiale va abbandonato, ora bisogna guardare dentro.

Nel mondo immenso dell’uguaglianza universale, dell’immane (ma “Ungeheuer” è anche “mostruosa”) raccolta di merci, Marx non ha un punto su cui far leva. Ogni merce lo ha ricondotto ad un’altra equivalente. Il lavoro è il punto di appoggio, su cui far forza per scendere.

Giunto al margine estremo delle deduzioni dalla “merce”, Marx è alle viste di un diverso terreno.

Siamo alla “compravendita di forza-lavoro”. La scena-madre del Capitale.

“La forma universale di valore, che espone i prodotti del lavoro come mere gelatine di lavoro umano indistinto, mostra, proprio grazie alla propria conformazione, di essere l’espressione sociale del mondo delle merci. Così rende palese che, all’interno di questo mondo, il carattere universalmente umano del lavoro costituisce il suo carattere specificamente sociale”82.

Di conseguenza, il metodo finora utilizzato in questi primi quattro capitoli deve lasciare il passo ad un nuovo metodo.

Marx non ha più necessità di rimanere chiuso nelle maglie metodologiche che si è imposto per analizzare la merce; ora può uscirne. Ma questa nuova libertà ha i suoi pericoli.

Nell’Urtext di Per la critica Marx ci mette sull’avviso, esplicitamente, riguardo a questo impossibile passaggio: “La sua esistenza (del capitale) è il risultato di un lungo processo storico nella conformazione economica della società. E appare evidente, in questo punto determinato, come la forma dialettica di rappresentazione sia giusta solo se conosce i propri limiti”.83

C’è una “terra di nessuno” tra il “lungo processo storico” che è dato, e la “forma dialettica” che deve invece “conoscere i propri limiti”. Non c’è modo di mediare.

Bellofiore commenta:

“Il mio punto di vista è che il processo deduttivo, interno alle determinazioni del concetto di merce o di capitale, è costretto ad un certo punto a uscire da stesso e a ricorrere a un qualcosa che sta fuori da esso, ma che tale “apertura” della totalità, tale rimando alla storia e a una dimensione “empirica” (e in ultima natura politica) sono imposte dalla stessa natura dell’oggetto di conoscenza. Ciò avviene senz’altro nei casi del passaggio dall’equivalente universale al denaro. Ma poi anche con riferimento alle due merci speciali (la forza-lavoro, la giornata lavorativa, il capitale portatore di interesse e così via)”84.

Marx entra nel mondo delle merci in un certo modo, con certe precauzioni e accorgimenti, tastando il terreno, scansando trappole; e ne esce con altre precauzioni e scansando altre trappole. Il processo “deduttivo” deve uscire fuori da stesso, in un mondo che non è più quello rarefatto e rassicurante della logica, ma quello empirico di cui nulla sappiamo e da cui tutto abbiamo da aspettarci.

Nel percorso di Marx si incontrano in più punti, a più livelli, delle “faglie”, in cui la continuità logico-deduttiva si interrompe. L’empiria reclama i propri diritti. L’analisi non va avanti se non torna a nutrirsi di ciò che sta fuori, deve “uscire da sé stessa”. Questo è uno degli aspetti che distingue radicalmente l’impianto di Hegel da quello di Marx. Hegel si infila nel proprio elemento all’inizio (per seguire per es. lo Spirito nella sua “fenomenologia”) e ne esce solo alla fine; senza bisogno, di tanto in tanto, come invece Marx, di riemergere.

Comincia da qui “l’anamnesi della genesi” di cui parla Adorno? Finora s’è ragionato sul presupposto di merci “prodotte”; adesso è venuto il momento, invece, di produrle85. E non si ha più a che fare con merci, ma con uomini “liberi e uguali” da cui il capitale ha il compito non facile di cercare di estrarre lavoro “vivo”86.

È questo presupposto non è posto nel circolo logico, ma deve essere trovato fuori di esso. Ci vuole “fortuna” … o forse basta solo il caso di una lunga concatenazione della storia che ha generato un meccanismo che si riproduce:

“È il doppio mulinello del processo stesso che torna sempre a gettare il lavoratore sul mercato delle merci come venditore della sua forza-lavoro e a trasformare il suo prodotto in mezzo di compera del capitalista. In realtà, il lavoratore appartiene al capitale anche prima di essersi venduto al capitalista”87. “…il carattere materialistico dello sviluppo dialettico marxiano risiede nel fatto che non solo il cominciamento del movimento dialettico, ma ognuno dei suoi passaggi fondamentali è caratterizzato da una assimilazione e trasformazione di dati storico-empirici, senza la quale lo sviluppo delle categorie non potrebbe avanzare”.

“…il passaggio dalla sfera della circolazione semplice a quella del capitale non potrebbe avvenire senza introdurre nell’esposizione, dall’esterno, il lavoro salariato, l’acquistabilità della forza-lavoro come merce”88.

“La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale. Produzione di merci e circolazione di merci sviluppata, commercio, costituiscono i presupposti storici sotto i quali essa si genera. Commercio mondiale e mercato mondiale aprono nel XVI secolo la vita moderna del capitale.

Se prescindiamo dal contenuto materiale della circolazione di merci, dallo scambio di valori d’uso diversi, e trattiamo solo le forme economiche che questo processo produce, troviamo il denaro come suo prodotto ultimo. Questo prodotto ultimo della circolazione di merci è la prima forma fenomenica del capitale.

Storicamente, dapprima il capitale compare ovunque di fronte alla proprietà fondiaria in forma di denaro, come disponibilità di denaro, capitale commerciale e capitale usuraio”89.

Indicazione di prima approssimazione che ci mette del terreno sotto i piedi: “un’intera serie di più antiche formazioni della produzione sociale”, secoli di storia.

Si può ricominciare – per misurare i cambiamenti - con “la forma immediata della circolazione di merci”: Merce-Denaro-Merce, ovvero, vendere merce, per comprare altra merce col denaro ottenuto.

Accanto ad essa ce n’è però adesso un’altra, “specificamente distinta”: Denaro-Merce-Denaro.

Comprare per vendere.

“Il denaro, che nel proprio movimento descrive quest’ultima “circolazione”, si trasforma in capitale, diviene capitale, ed è già capitale per determinazione sua propria”90.

“Ciò che tuttavia distingue sin dall’inizio entrambi i cicli M-D-M e D-M-D è la serie invertita delle stesse contrapposte fasi di circolazione. La circolazione semplice di merci comincia con la vendita e finisce con la compera, la circolazione del denaro come capitale comincia con la compera e finisce con la vendita. Là la merce, qui il denaro costituisce punto di partenza e punto conclusivo del movimento. Nella prima forma è il denaro il mediatore del decorso complessivo, nell’altra viceversa la merce”91.

Nella circolazione semplice delle merci, si comincia dalla merce, si finisce con una diversa merce; ora l’inizio è invece una somma di denaro che attraverso una merce si chiude con una somma maggiore di denaro.

Quindi, il valore anticipato originariamente non solo si conserva nella circolazione, ma in essa modifica la propria grandezza di valore, aggiunge un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale92.

“La circolazione semplice di merci- la vendita per la compera – serve da mezzo per uno scopo finale che sta al di fuori della circolazione, l’appropriazione di valori d’uso, la soddisfazione di bisogni. La circolazione del denaro come capitale è invece scopo a stessa perché la valorizzazione del valore esiste solo all’interno di questo movimento che si rinnova costantemente. Il movimento del capitale è perciò senza misura93.

“Come portatore cosciente di questo movimento, il possessore di denaro diviene capitalista. La sua persona, o meglio le sue tasche, sono il punto di partenza e il punto di ritorno del denaro. Il contenuto oggettivo di quella circolazione -la valorizzazione del valore- è suo scopo soggettivo e solo nella misura in cui la crescente appropriazione di ricchezza astratta è motivo propulsore delle sue operazioni, egli funziona come capitalista, ovvero capitale personificato, capitale dotato di volontà e coscienza. Il valore d’uso non è dunque mai da considerare scopo immediato del capitalista; neppure il singolo guadagno, bensì solo il movimento senza sosta del guadagnare”94.

Il capitale è diventato soggetto “dotato di volontà e coscienza”.

“Esso passa costantemente da una forma all’altra senza perdersi in questo movimento e così di trasforma in un s o g g e t t o a ut o m a t i c o. (…) Poiché il movimento, in cui aggiunge plusvalore, è il movimento suo proprio, la sua valorizzazione è dunque autovalorizzazione. Ha ricevuto la qualità occulta di porre valore in quanto è esso valore”.

(..)

“Se nella circolazione semplice, di fronte al loro valore d’uso, il valore delle merci ottiene al massimo grado forma autonoma di denaro, qui esso si espone repentinamente come una sostanza in processo, automoventesi, per la quale merce e denaro sono entrambi mere forme. Ma c’è di più. Invece di esporre rapporti di merci, esso entra, per così dire, in rapporto privato con sé stesso. Esso distingue sé, in quanto valore originario, da sé in quanto plusvalore, come Dio Padre si distingue da sé come Figlio di Dio ed entrambi hanno la stessa età e costituiscono di fatto solo una persona..”95.

Scrivendo queste parole Marx ha forse pensato a Feuerbach e al lungo cammino che ormai sì è concluso.

“Se prescindiamo dal contenuto materiale della circolazione di merci, dallo scambio di valori d’uso diversi, e trattiamo solo di forme economiche che questo processo produce, troviamo il denaro come suo prodotto ultimo. Questo prodotto ultimo della circolazione di merci è la prima forma fenomenica del capitale”96.

Comprare per vendere, o più compiutamente, comprare per vendere più caro, D-M-D’, pare certo la forma peculiare solamente di un genere di capitale, del capitale commerciale. Ma anche il capitale industriale è denaro che si trasforma in merce e. attraverso la vendita della merce. si ritrasforma in più denaro. (..)Nel capitale portatore d’interesse, infine, la circolazione D-M-D’ si espone nel suo risultato in forma abbreviata, senza la mediazione, per così dire lapidariamente: D-D’(..). Di fatto, dunque D – M – D’ è la formula universale del capitale come essa si manifesta fenomenicamente, in modo immediato, nella sfera della circolazione”97.

Merce-denaro-capitale sono i diversi stadi di trasformazione di un’unica “forma”. Più avanti Marx userà la metafora del “bruco”, della “crisalide”, della “farfalla”.

In queste parole Reichelt non solo avverte aria hegeliana, ma, più precisamente, localizza “un’identità strutturale del concetto marxiano di capitale e del concetto hegeliano di spirito” 98 ; “sorprendenti parallelismi con il sistema marxiano e che in parte costituisce immediatamente per Marx un modello metodico”.

Più esplicitamente:” Hegel anticipa sul piano filosofico ciò che Marx decifra come il segreto della società borghese: l’inversione di una realtà derivata in un Primo. Quindi nel pensiero di Marx la dilatazione del concetto ad assoluto è l’espressione adeguata di una realtà in cui questo evento si verifica in maniera analoga”99.

“L’idealismo hegeliano, per il quale gli uomini obbediscono ad un concetto dispotico è sostanzialmente più adeguato a questo mondo invertito di quanto non lo sia una qualsiasi teoria nominalistica che vuole accettare l’universale soltanto come qualcosa di soggettivamente concettuale. Esso è la società borghese come ontologia”100.

Entriamo così su un tema assai dibattuto a partire dallo stesso Marx, che tratteremo in conclusione.

“La forma della circolazione, nella quale il denaro esce dalla crisalide rivelandosi capitale, contraddice tutte le leggi sviluppate in precedenza sulla natura della merce, del valore, del denaro e della circolazione stessa. Ciò che la distingue dalla circolazione semplice di merci è la serie invertita degli stessi due processi contrapposti, vendita e compera. E per quale magia una distinzione puramente formalistica dovrebbe trasformare la natura di questi processi?101.

“Con l’inversione della serie non siamo dunque andati oltre la sfera della circolazione semplice di merci e dobbiamo anzi stare a vedere se essa, per sua natura, consente la valorizzazione dei valori che entrano in essa e, perciò, la costituzione di plusvalore”102”.

Marx avverte che spiegare la “magia” non sarà facile.

“Dietro ai tentativi di esporre la circolazione di merci come fonte di plusvalore fa quasi sempre capolino un quid pro quo, una confusione fra valori d’uso e valori di scambio”103.

“La costituzione di plusvalore, e perciò la trasformazione del denaro in capitale, non può dunque essere spiegata né dal fatto che i venditori vendano le merci al di sopra del loro valore, né dal fatto che i compratori le comprino al di sotto del loro valore”104.

“I sostenitori coerenti dell’illusione che il plusvalore sorga da un aumento nominale del prezzo o dal privilegio del venditore di vendere la merce più cara, presumono perciò che ci sia una classe che solo compri senza vendere, dunque che pure solo consumi senza produrre. Dal punto di vista da noi raggiunto al momento, quello della circolazione semplice, non è ancora possibile spiegare l’esistenza di una tale classe”105.

“Se vengono scambiati equivalenti non si genera alcun plusvalore e se vengono scambiati non- equivalenti lo stesso, La circolazione, ossia lo scambio di merci non crea alcun valore106.

“Il capitale non può dunque sorgere dalla circolazione e altrettanto non può non sorgere dalla circolazione. Esso deve, allo stesso tempo, sorgere e non sorgere in essa”107.

È questo il punto e il momento in cui Marx deve tirare un bilancio finale. La “forzatura metodologica” gli ha assicurato finora di risolvere questioni rimaste chiuse con sette sigilli alla economia politica, adesso però lo blocca: “quid pro quo”, “illusione “, “non può dunque essere spiegata”, “non è ancora possibile spiegare”, “non crea alcun valore”, “non può sorgere”.

È arrivato anche per Marx il momento di uscire dal bozzolo metodologico in cui si è avvolto, quello della “circolazione semplice delle merci”, per diventare farfalla e andare incontro al mondo. Da adesso in poi continuare con le regole della “circolazione semplice” non funziona più. Sono in agguato equivoci confusioni”, “contraddizioni”, ma soprattutto non si spiega nulla di quanto c’è adesso di nuovo, da spiegare, il plusvalore.

Marx ne ha piena coscienza e indica una sola soluzione:

“La trasformazione del denaro in capitale deve essere sviluppata sul fondamento delle leggi immanenti allo scambio di merci di modo che lo scambio di equivalenti valga come punto di partenza. Il nostro possessore di denaro, qui ancora bruco di capitalista, deve comprare la merce al loro valore, eppure, alla fine del processo, deve ricavarne più valore di quanto non ve ne abbia immesso. La sua evoluzione in farfalla deve avvenire e non avvenire nella circolazione. Questi sono i termini del problema. Hic Rhodus, hic salta !.108

Non c’è modo di continuare, siamo sull’orlo della faglia, si può solo saltare.

“La modificazione di valore del denaro che deve trasformarsi in capitale” non può avvenire né nell’acquisto né nella vendita, perché si rimarrebbe sempre nell’ambito dello scambio tra equivalenti, la merce si scambia con denaro, il denaro con merce.”

“La modificazione può dunque sorgere solo dal suo valore d’uso come tale, cioè dal suo consumo. Per ricavare valore dall’uso di una merce, il nostro possessore di merci dovrebbe essere così fortunato da scoprire all’interno della sfera della circolazione, sul mercato, una merce il cui stesso valore d’uso possedesse la peculiare caratteristica di essere fonte del valore, il cui stesso uso effettuale fosse dunque l’oggettualizzazione di lavoro, dunque la creazione di valore. E il possessore di denaro trova pronta sul mercato una siffatta merce specifica - la capacità di lavorare, o forza-lavoro109.

Dal mondo della circolazione delle merci, del valore di scambio, Marx si sposta su quello del consumo, dei valori d’uso, che è anche però un mondo “nuovo”, “fonte di valore”, “creazione di valore”.

Basta leggere le caratteristiche della “forza-lavoro” per intendere subito che sta entrando in scena un protagonista assolutamente diverso da quelli messi finora in azione:

“la quintessenza delle capacità fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, nella personalità vivente di un uomo”.

Prima di proseguire va notato il tipo di ragionamento di Marx. Siamo nell’ambito delle “possibilità teoriche”: “la modificazione può dunque sorgere”; “dovrebbe essere così fortunato”.

Il miracolo, così ben preparato, avviene: “il possessore di denaro trova pronta sul mercato una siffatta merce”.

Ma i miracoli vanno spiegati: “affinché, tuttavia, il possessore di denaro trovi pronta sul mercato la forza-lavoro come merce, d e b b o n o essere realizzate diverse condizioni”.

La prima è che “la forza lavoro p u ò manifestarsi al mercato come merce solo perché, e nella misura in cui, essa viene messa in vendita, e venduta, dal suo possessore, dalla persona di cui essa è forza-lavoro. affinché il suo possessore la venda come merce, egli d e v e poterne disporre, dunque essere libero proprietario della propria capacità di lavorare, della propria persona”110.

Questa merce è diversa è nuova” perché “esiste solo nella sua corporeità vivente”. Chi compra e chi vende la forza-lavoro sono quindi persone giuridicamente libere ed eguali.

“La seconda condizione essenziale affinché il possessore di denaro trovi pronta sul mercato la forza-lavoro come merce è che il possessore di essa, invece di poter vendere merci in cui si sia oggettualizzato il suo lavoro, d e b b a piuttosto mettere in vendita come merce la sua stessa forza-lavoro, che esiste solo nella sua corporeità vivente”111.

“Per trasformare denaro in capitale, dunque, il possessore di denaro d e v e trovare pronto al mercato delle merci il lavoratore libero, libero nel duplice senso che gli disponga, come persona libera, della propria forza- lavoro come merce propria, e che, d’altra parte, egli non abbia altre merci da vendere; nudo di tutto, è libero da tutte le cose necessarie alla realizzazione effettuale della propria forza-lavoro”112.

Marx, sta descrivendo solo ancora le condizioni di possibilità perché si realizzi l’incontro tra due uguali possessori di merci. Uno della merce-denaro, l’altro della merce forza-lavoro.

Perché questo avvenga non interessa Marx che si “tiene saldo dal punto di vista teorico”113.

Marx scarta certe soluzioni impossibili: “Questo non è un rapporto storico-naturale e non è nemmeno un rapporto sociale comune a tutti i periodi storici. E’ evidentemente esso stesso il risultato di uno sviluppo storico precedente, il prodotto di molti sconvolgimenti economici, del tramonto di un’intera serie di più antiche formazioni della produzione sociale114.

E, dopo aver detto ciò che non è, propone condizioni che rendano possibile qualcos’altro:

“da dove emerge il plusvalore, il profitto lordo. È una sorta di argomento “genetico” riguardo l’origine del plusvalore. A mio modo di vedere non si tratta di una derivazione dialettica, né l’argomentazione di Marx è qui completamente coerente con il metodo di Hegel. Abbiamo piuttosto una rottura della totalità “chiusa” capace di porre pacificamente i propri presupposti, che osservavamo all’inizio del cap.4. Nel cap. 5 vi è piuttosto un processo di costituzione che infrange la totalità chiusa, ed è fondato sulla lotta di classe nella produzione.115

Marx è in un imbarazzo metodologico evidente. Deve riconoscere che:

“Anche le categorie economiche che abbiamo considerato prima portano la loro impronta storica. Nell’esserci del prodotto come merce sono avviluppate determinate condizioni storiche. Per diventare merce il prodotto non deve essere prodotto come mezzo di sussistenza immediato per il produttore stesso. Se avessimo indagato ulteriormente sotto quali condizioni tutti i prodotti, o anche solo la maggioranza di essi, assumono la forma di merce, avremmo trovato che questo succede sul fondamento di un modo di produzione del tutto specifico, quello capitalistico. Una tale indagine andava tuttavia oltre l’analisi della merce.

Produzione e circolazione di merci possono aver luogo anche se la stragrande maggioranza dei prodotti è orientata immediatamente all’autoconsumo, non si trasforma in merce, dunque anche se, ancora per molto tempo, il processo di produzione sociale non è dominato nella sua estensione e profondità dal valore di scambio”116.

Ecco dov’era l’ostacolo. Nel passaggio storico della produzione “minima” di merci in cui quel che si produce “non deve essere prodotto come mezzo di sussistenza immediato per il produttore stesso”, a quella “pienamente dispiegata” in cui “tutti i prodotti, o anche solo la maggioranza di essi, assumono la forma di merce, avremmo trovato che questo succede sul fondamento di un modo di produzione del tutto specifico, quello capitalistico”.

Ma non poteva essere compiuto in questa prima fase, perché qui si è ancora solo agli inizi, alla “analisi della merce”.

“Altrimenti col capitale. Le sue condizioni storiche di esistenza non sono affatto date con la circolazione di merce e di denaro. Esso si genera solo dove il possesso di mezzi di produzione e di sussistenza trovano disponibile sul mercato il lavoratore libero come venditore della sua forza-lavoro, e questa sola condizione storica abbraccia una storia universale”117.

È il momento di prendere di petto questa “merce peculiare”.

“Il valore della forza-lavoro, come quello di ogni altra merce, è determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione, dunque anche alla riproduzione, di questo articolo specifico

(…)

Per la propria conservazione l’individuo vivente ha bisogno di una certa somma di mezzi di sussistenza. Il tempo di lavoro necessario alla produzione della forza-lavoro si risolve dunque nel tempo di lavoro necessario alla produzione di questi mezzi di sussistenza, ovvero il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari alla conservazione del suo possessore”118.

Siamo ancora nel mondo della “circolazione semplice delle merci”.

“La sfera della circolazione e dello scambio di merci, nei cui limiti si muove la compravendita della forza- lavoro, era in verità un vero Eden dei diritti umani innati119.

L’Eden dell’ideologia di Libertà, Uguaglianza, Bentham! È il mondo su cui Marx scarica tutta la sua amara ironia:

“E proprio perché ciascuno è rivolto a sé e nessuno è rivolto all’altro, tutti compiono, in conseguenza di un ‘armonia prestabilita delle cose, o sotto gli auspici di una provvidenza davvero intelligente, solo l’opera del loro reciproco vantaggio, dell’utile comune, dell’interesse complessivo”120.

Ma è anche l’inevitabile conseguenza dell’essere partiti dalla merce e quindi dalla sua circolazione.

Adesso, Marx deve abbandonare il terreno “astratto” nel quale si è collocato e che gli ha consentito tante deduzioni logiche, per atterrare.

Lo dice chiaro alla fine del capitolo:

“Nel separarci da questa sfera della circolazione semplice, o dello scambio di merci, da cui il libero scambista vulgaris prende a prestito visioni, concetti e scale di misura per giudicare la società del capitale e del lavoro salariato, già un po’ si trasforma – così pare – la fisionomia delle nostre dramatis personae. Quello che era il possessore di denaro marcia in testa come capitalista, il possessore della forza-lavoro lo segue come suo lavoratore, il primo è sorridente e significativamente compiaciuto, bramoso d’affari, l’altro è timido, riluttante, come qualcuno che ha portato al mercato la propria pelle e ora non ha da aspettarsi altro che la – concia”121.

È una “sfera”, che si è aperta e si è richiusa in sé stessa. Per la sua durata storica, la circolazione di merci, che è inserita di volta in volta in “rapporti di produzione” d’ogni tipo, schiavistici, servili etc. propone tutta una galleria di “maschere”, di personaggi del dramma. Nel momento in cui Marx si appresta a separarsi da essa, per entrare in un’altra, specificamente capitalistica, registra già trasformazioni nelle rispettive fisionomie. Hanno già sentore del destino che li attende.

L’efficacia letteraria dell’immagine, con cui Marx “risolve” l’impaccio teorico, non riesce a nascondere l’ambiguità, la difficile delimitazione teorica e storica della scena.

Siamo stati finora nella “sfera della circolazione semplice, o dello scambio di merci” (non della loro produzione); ora stiamo per entrare in un’altra “sfera”, con sentimenti premonitori: il possessore di denaro si sente già capitalista, il possessore di forza-lavoro si sente già “pelle da concia”.

Quali sono i confini concettuali della “sfera della circolazione semplice”?

Storicamente non definibile con precisione, ma certamente “capitalistica”, definibile invece solo in base alla scelta del “livello”, dello “strato” da analizzare, lo strato della “circolazione “che solo con uno strappo dalla realtà concreta, può essere separato dall’intero.

Ma è una operazione metodologicamente obbligata, che Marx sceglie di percorrere. E che le cose non vadano lisce, e stiano anzi proprio in questi termini, ci mette sull’avviso Bellofiore che indica almeno tre diverse linee interpretative: quella “logico-storica”, quella della “Neue Lektüre”, quella infine sraffiana. Tre critiche estremamente agguerrite sul piano teorico e su quello filologico:

“La difficoltà sotterranea, che riemerge in tutte queste difficoltà e che è la più profonda, è a mio avviso un’altra, e rimanda all’inizio del Capitale, ai primi tre capitoli dove quella di Marx si configura come una teoria monetaria del valore-lavoro (…) al di fuori della riconduzione del denaro all’oro, il ragionamento di Marx diviene aporetico. Se si recide il percorso dal valore al denaro-merce e se l’unica dimensione dei lavori nella produzione resta quella “privata” “concreta”, è il denaro che mette in relazione sociale i lavori, che li rende commensurabili – contro la tesi di Marx. Se il denaro è senza “valore” perché non è prodotto di lavoro, la teoria del valore-lavoro si dissolve. È appunto la conclusione degli autori dell’approccio della forma-valore. Se invece, come fanno gli autori dell’approccio del sovrappiù, seguaci di Sraffa, si parte da una configurazione produttiva data in termini fisici, la dimensione monetaria viene aggiunta dall’esterno in un secondo momento a un nucleo economico già definito e analizzato in termini puramente reali(..) Se si esaurisce in questo il nucleo del discorso economico nelle sue determinazioni quantitative si cancella la rilevanza stessa del valore in senso proprio. L’analisi inizia quando il processo di produzione è appena terminato, e prima dello scambio effettivo. Si produce una scissione tra primato del valore si scambio (l’analisi monetaria) e primato del valore d’uso (analisi reale), e si definisce un oggetto d’analisi in cui la problematica del Capitale è sostanzialmente espunta”122.

Ma una strada viene indicata: “Se si vuole recuperare una rilevanza di Marx è altrove che bisogna rivolgersi, recuperando l’integrazione essenziale tra denaro e lavoro”.

Ed è quella infatti che Marx percorrerà già a partire dal capitolo quinto “Processo lavorativo e processo di valorizzazione”. Dovrà essere ripercorsa quando avremo altre carte in mano.

Prima però bisognerà giungere alla “produzione” del plusvalore assoluto e poi ancora alla “produzione” del plusvalore relativo, e poi alla “produzione” di entrambi; e solo dopo si potrà raccontare la storia “ragionata” del processo di accumulazione del capitale, stavolta la storia “vera”, di lacrime e sangue, e non quella” idilliaca”, mai esistita, della “circolazione semplice delle merci”:

“La forma della circolazione, nella quale il denaro esce dalla crisalide rivelandosi capitale, contraddice tutte le leggi sviluppate in precedenza sulla natura della merce, del valore, del denaro e della circolazione stessa. Ciò che la distingue dalla circolazione semplice di merci è la serie invertita degli stessi due processi contrapposti, vendita e compera. E per quale magia una distinzione puramente formalistica dovrebbe trasformare la natura di questi processi?

(…) “Con l’inversione della serie non siamo dunque andati oltre la sfera della circolazione semplice di merci e dobbiamo anzi stare a vedere se essa, per sua natura, consente la valorizzazione dei valori che entrano in essa e, perciò, la costituzione di plusvalore123.

Ma noi sappiamo quale sarà l’esito. Già nell’Urtext Marx scriveva:

“Nella circolazione, e nello scambio tra capitale e lavoro, preso come puro rapporto di circolazione, non c’è scambio tra denaro e lavoro, ma scambio tra denaro e forza-lavoro vivente. In quanto valore d’uso la forza-lavoro viene realizzata solo nell’attività del lavoro stesso, ma esattamente nella stessa maniera in cui, comprata una bottiglia di vino, si realizza il suo valore d’uso bevendo il vino. Il lavoro stesso cade così poco nel processo della circolazione semplice, come quella bevuta. (..)Così la compera di forza-lavoro è disponibilità di lavoro. Poiché la forza-lavoro esiste nella vitalità del soggetto stesso, e si manifesta soltanto come sua propria manifestazione vitale, così l’acquisto di forza-lavoro, l’appropriazione del titolo sull’uso di essa, durante l’atto dell’uso, pone naturalmente compratore e venditore in un rapporto diverso da quello del lavoro oggettivato, che esiste come oggetto al di fuori dei produttori”124.

L’ambito coperto dallo spazio, immenso ma sottile e superficiale, della “circolazione semplice delle merci”, rivela tutta la sua inadeguatezza quando non è più in gioco lo scambio, all’infinito ma “in orizzontale”, tra eguali, bensì la differenza profonda tra forza-lavoro e lavoro oggettivato.

Siamo a Rodi ormai, e Marx dovrà saltare.

 * * * *

A: Nota provvisoria su Hegel e Marx

Lettera del 9 dicembre 1861 di Marx a Engels, a proposito dei Manoscritti del ’61-’63. Scrive Marx:

“Il mio scritto procede, ma adagio. Infatti non era possibile risolvere rapidamente tali questioni teoriche in mezzo a simili circostanze. E pertanto verrà molto più popolare e il metodo molto più dissimulato che nella prima parte”(cioè Per la critica del ’59)125.

L’operazione di Marx sarebbe, nel passaggio tra i Grundrisse e il Capitale, di “dissimulare” la presenza di Hegel, in particolare della Logica. Già a partire dal 1861, e sarebbe continuata fino alla pubblicazione del Capitale (1867).

La presenza di Hegel nei Grundrisse (‘58-9) è forte e chiara. E Marx lo riconosce ancora in Per la critica (’59) per prenderne le distanze nei Manoscritti del ‘61-’63. È solo questione di espressione “popolare” rispetto a una specialistica, e di “metodo molto più dissimulato”?

Fino ad una certa data, un luogo e un anno, Londra ’50, Marx non si schioda dalle critiche degli anni giovanili ‘43-’49, quelli della elaborazione della “concezione materialistica della storia”. E, nella Prefazione del ’59, addirittura, ci ricasca.

Dopo quegli anni, nell’incontro con Hegel, non c’è nulla di casuale (Bakunin-Freiligrath etc..). Non è Hegel che torna a bussare alla porta di Marx; al contrario, è Marx, ormai su nuove convinzioni intorno al meccanismo capitalistico, acquisite con lo studio “di nuovo, dal principio” della economia politica, a cercare Hegel.

Hegel aveva letto la storia di quegli anni, mai così veloce, fino alla vertigine, col linguaggio della tradizione filosofica idealistica, con quei concetti, e con quelli assimilati dalle letture della economia politica classica, fatte già ai tempi di Jena.

La metafora buona non è perciò quella del guscio mistico e del nocciolo razionale; ma quella del pensiero e del linguaggio idealistico, elaborato nel fuoco della rivoluzione filosofico-politica, che prova ad interpretare la realtà capitalistica, ma coi piedi su una realtà “arretrata.

Hegel si è trovato, prima che Marx nascesse, nella necessità di comprendere la nuova, ribollente, società, attraverso la lente deformante (deformante sì, ma lente) dell’economia politica, allora “nata come in suo proprio terreno”.

Ne assimila le buone analisi, ne ripete gli errori e le omissioni. Quello che troveremo, distillato e sterilizzato nei concetti della Scienza della logica (1812-16) e poi della Enciclopedia (1830), è anche il materiale elaborato attraverso le letture degli economisti fatte a Jena. Analogie, omologie, ci sono tutte nel suo lavoro di ricomposizione, rilettura, ricombinazione dei maggiori economisti letti allora, Smith, Ricardo, Say (quelli citati nella Filosofia del diritto).

I concetti che trapassano sono tanti; ricordiamo solo la naturalizzazione di rapporti sociali storici; ma Hegel vede e traduce nella lingua dell’idealismo anche la “mano invisibile”; la divisione del lavoro; “l’insocievole socievolezza”, “i vizi privati e le pubbliche virtù”, la separazione tra società civile e Stato… Solo traduzioni? No, perché Hegel, rispetto agli economisti classici, ha un enorme vantaggio, non è un “empirista”, la realtà per lui è storica e viva e si trasforma continuamente, è, insomma, “capitalistica” nel profondo. Questo si radica in Hegel: nulla c’è di “semplice e trasparente”, perché tutto è complicato ad opera dell’uomo, e dei rapporti tra gli uomini. Questa è la “Sostanza” che nasce dagli uomini e li soverchia, divinizzandosi. E’ “l’ontologia del capitale in quanto omologo allo Spirito assoluto”126, il Geist come “Soggetto automatico”.

La sinistra hegeliana non era riuscita a mettersi alla giusta distanza, rispetto a questa visione. E Marx dovrà operare, tra il ‘43 e il ’49, una serie di strappi per uscirne, e, da fuori, iniziare un altro percorso. E da lì non potrà che incontrare ancora, a metà degli anni ’50, Hegel, che adesso può essere visto e sfruttato a fondo, mentre nel ‘43-‘49 era stato solo criticato. Marx era giovane e s’è perso l’essenziale; adesso, capito il capitalismo, cosa che non avviene prima dei Grundrisse, può rileggere (galeotto Bakunin) e recuperare Hegel, e tutto quel che aveva visto nel capitalismo, anche se non lo chiamava così.

Quando questa operazione di recupero sarà assimilata, Marx non vorrà che gli restino appiccicate addosso movenze, espressioni, di una esperienza consumata nel migliore dei modi, con grandi risultati.

Valorizzata al meglio l’esperienza hegeliana, si capisce la “popolarizzazione”, la “dissimulazione” etc.., e persino l’ira nei confronti di chi si permetteva di trattare un pensatore così grande come un “cane morto”.

Postone avanza l’ipotesi che, per Marx, è l’idealismo di Hegel che importa, che ci serve127. La critica giovanile di Marx si rovescia, dieci anni dopo, nel riconoscimento che Hegel ha “capito”. E, ora che anche Marx ha capito come funziona la realtà del capitalismo, la filosofia di Hegel va riletta da una diversa convinzione, perché restituisce una realtà invertita. Ma Hegel ci ha dato solo il “negativo”: dobbiamo “rovesciarlo”, non sotto-sopra, ma dentro-fuori, come un “guanto”, per decifrarla.

Hegel descrive il capitalismo pensando di descrivere lo Spirito. Marx, con Hegel in una tasca e Ricardo nell’altra, e la testa contro entrambi, lo “decifra” (scrive Reichelt) come “spirito del capitalismo”. Marx, interpretati negli anni ’50 i meccanismi economici del capitale, inversione, feticismo, li riconosce in Hegel, si illuminano reciprocamente, e il cerchio si chiude.

Il Marx giovane li aveva letti in Hegel, ma non li aveva ancora riconosciuti nella realtà economica del capitale, il cerchio non si poteva chiudere.

Il materialismo degli anni ‘40 non ne aveva ancora trovato la chiave. Idealismo contra materialismo: con questo schema l’Hegel migliore scivolava via tra le maglie.

“Ma, dopo il materialismo storico, e soprattutto dopo la “critica dell’economia politica” (Il Capitale), si riapriva nuovamente uno spazio di riflessione sulla dialettica e quindi di confronto con Hegel”128.

Osservava Luporini, e i conti ci pare che tornino anche meglio se si anticipa di qualche anno. A metà dei ‘50 Marx, che ora capisce il capitalismo, rovescia anche la propria immagine di Hegel; ci vede la descrizione idealistica del capitalismo, e capisce dal verso giusto Hegel. La coincidenza cronologica (metà dei ’50) tra la corretta lettura di Hegel e del capitalismo non è una coincidenza: sono la stessa cosa. Lo schema materialismo (anche quello storico) contra idealismo si lascia passare tra le gambe l’Hegel più “utile”, quello che descrive i termini rovesciati della realtà, il Soggetto automatico, il Geist etc.

”Marx parla di un Soggetto nello stesso senso in cui il Geist hegeliano è Soggetto”(..”abbiamo a che fare con un soggetto onnicomprensivo e dominante”129).

Con il suo linguaggio, le sue categorie, descrive la nuova realtà del capitalismo.

A capire il quale, non va dimenticato, contribuì quella stessa economia politica di cui si è nutrito Marx (“Hegel sta al punto di vista dell’economia politica” lo attacca Marx; perché Marx sta invece, molto per tempo, al punto di vista della “critica dell’economia politica”).

Negli anni ‘50 il materialismo storico cede il passo ad una nuova prospettiva. Marx non aveva bisogno di rileggere Hegel, che comunque non si rilegge “per caso”. Marx sta, “di nuovo, dal principio”, studiando economia. Un nuovo cortocircuito dopo quello del ‘44 si stava preparando: Hegel e l’economia politica. Hegel è sempre radicato nella mente di Marx, l’anti hegelismo degli anni ‘40 non lo ha cancellato, le analisi critiche dell’economia politica, avevano lasciato nella mente di Marx, un p r u r i t o: Hegel non si può buttare, Hegel non si può salvare. Bisogna solo lasciarlo stare. azzerare ogni dipendenza, e cambiare piuttosto il nostro punto di osservazione.

Hegel ha descritto ideologicamente il capitalismo, come il capitalismo vuole essere descritto, con Egalité, Liberté, e Bentham.

Non è un Hegel critico del capitalismo (come quello su cui punta, non trovandolo, la Sinistra hegeliana: quando Hegel critica il capitalismo non lo fa da posizioni avanzate), quello che ci serve allora; ma un Hegel “idealista” perché, questo sì, si può utilizzare “tutto”130.

La mossa che restava a Marx era solo un’autocritica. Bisognava rovesciare la propria critica a Hegel perché il puzzle andasse a posto. L’Hegel utile è quello idealista, e più è idealista più si è avvicinato alla comprensione della società capitalistica. Il materialismo storico degli anni ’40 non c’era riuscito, perché non aveva rotto fino in fondo il filo che lo legava alla sinistra hegeliana.

Era l’Hegel “peggiore”, quello che ci serviva di più. Quello che ci aveva dato l’immagine riconoscibile solo nella sua inversione, dove il bianco era nero, il nero era bianco, il realismo del negativo fotografico, la dialettica.

Questione da cui ogni studioso è attratto, e su cui non manca di esprimersi. Solo che, al momento di “stringere”, si propongono solo analogie, omologie etc., un pugno di mosche. D’altra parte, una faccenda che era cominciata con le critiche, dure e apparentemente mortali del ’43, per lasciarci in mano un po’ di “civetteria”, non prometteva bene.

Credo che però Reichelt veda qualcosa che ad altri era sfuggito:

“Hegel anticipa sul piano filosofico ciò che Marx decifra come il segreto della società borghese”.

Questa tesi ci avvicina alla soluzione più di altre. E, anche se la tesi che Hegel “anticipa”, non si può accogliere facilmente (Hegel non si riteneva quel tipo di pensatore, ma di quelli che concludono), allora forse sarà meglio dire così: la maniera idealistica, en philosophe, di Hegel è stata l’unica a consentire di “leggere” il capitalismo; la maniera di Marx ha consentito invece di interpretarlo, decifrarlo. Ed è quando Marx comprende che il presente capitalistico è invertito, come è “idealistico” e invertito lo sguardo di Hegel, che il sillogismo di Marx si chiude.

“Esiste un’identità strutturale del concetto marxiano di capitale e del concetto hegeliano di spirito”. Ancora Reichelt131.

L’idealismo è il modo ideologico, invertito, di leggere la realtà invertita del capitalismo. Solo in questi termini, dello Hegel “ideologico”, “apologetico”, non si butta nulla.

Mentre, a metà dei’50, si sta ancora avvicinando ad una comprensione “globale” del capitalismo nei Grundrisse, il linguaggio di Marx risente pesantemente della influenza concettuale-linguistica di Hegel. Ma lì è il punto massimo. Da allora comincia forse un percorso inverso. L’ ipotesi da considerare è che più Marx “incorpora” i contenuti di Hegel, perché sta svelando l’essenza invertita del capitalismo, più facile gli risulterà liberarsi del linguaggio hegeliano.

Per questo non trovo convincenti i tentativi di riscrivere “Marx in una maniera hegeliana, spesso ricalcando la Scienza della logica132; e di spingersi fino a vedere una “correspondence of each part of the Grundrisse to the Logic133.

Ė il caso di Postone.:

“His task in the Grundrisse therefore consists in demonstrating that the genesis of value and its development into capital are described in the Logic, albeit in a seemingly closed system which reproduces itself, and overall his work is directed towards transcending capitalism in practice”134.

(..)In other words, in his Logic expresses a specific form of society as natural or universal. (…) In Hegel’s idealism sees the abstract reflection of modern civil society or capitalism where the ideal subject, i.e. increasing value, is dominant”.135

(..) “Hegel’s Logic is the self-creation of the “idea”, but Marx exposes this as capitalist production described from the viewpoint of the capitalist, even though it is described by Hegel as natural”.136

(..)In short, Marx reveals the determinations of capital within what the economists treat as a purely material system of production. As Hegel is “a vulgar idealist” , so Smith and Ricardo are “vulgar materialists137.

(..)In his Introduction to the Grundrisse Marx intends to make use of Hegel’s idealism, which argues the dominance of an ideal subject. This occurs in the Doctrines of Being and of Essence, but as a perverse expression of capitalist production. Marx reveals this logic of modern value-consciousness, and so criticizes Hegel’s work as ideology”138.

(..) “For Marx, Hegel’s idealism is not merely philosophical speculation. It is rather a real expression of the relation of modern private propriety”.139

Cosa che non è solo gratuitamente acrobatica, quando sull’essenziale non ci sono mai stati dubbi, ma anche apertura verso pericolose soluzioni. Ricondurre Marx ad Hegel può essere giusto contrappasso per i tanti anni in cui Hegel è stato ricondotto a Marx; ma è molto più pericoloso.

Scrive W.Bonefeld140:

“His acceptance, then, of capital as a subject is only logical. He argues that this subject has a directional dynamic, is self-grounding and self-moving, and that its movement is “without limit”. In short, he sees the ‘capital form of social relations as an alienated, abstract, self-moving other, characterized by a constant directional movement with no external goal” (p.107).

La risposta:

“Adorno rightly saw his ‘reductio ad hominem’ as the essential core of Marx’s critique of political economy” (…)

The critique of political economy is thus subversive, its task is to make visible the hidden human content of economics categories so that humans gain consciousness of themselves as the producers for their owen forsaken world” (p.111).

Ridurre Marx ad Hegel, dopo la fatica fatta da Marx per trovare la giusta distanza, rischia di annientare Marx proprio nel momento in cui la consapevolezza del ruolo di Hegel non è solo riconosciuta e misurata ma precisamente interpretata, da una ormai lunga fila di studiosi tra cui, tra i primi, adesso si riconosce Colletti141.

A tal proposito, piuttosto che rivendicare primogeniture – peraltro facili da verificare - rispetto a tanta fondamentale ricerca su Marx142, è meglio riportare estesamente il brano conclusivo dell’ultimo saggio raccolto in Il marxismo ed Hegel:

“Il lettore capisce, anche dai brevi cenni fatti, che la “teoria del valore”, o, più semplicemente, l’analisi stessa delle merci – quell’analisi che si trova nelle primissime pagine del Capitale non è che si possa dire che abbia avuto un gran fortuna presso i marxisti, non è che si possa dire che sia stata proprio veramente capita. Prova ne sia il silenzio da cui la teoria del feticismo o alienazione è stata sempre avvolta, da Engels in poi. Quale la ragione? La merce, e più ancora – s’intende – lo Stato e il capitale, sono processi di ipostatizzazione reali. Ora la nostra tesi è che, essendo quelle realtà così fatte, sia impossibile intenderle appieno fino a che non si sia intesa la struttura dei processi di ipostatizzazione della Logica di Hegel. In altre parole, la critica di Marx alla dialettica di Hegel e l’analisi del capitale si tengono. Mancando di capire la prima è impossibile capire anche la seconda”143.

E, sempre in riferimento alle primissime pagine del Capitale (”):

“Questo totale rovesciamento, per cui il concreto-sensibile conta solo come forma fenomenica dell’universale astratto, e non il contrario, l’universale astratto come qualità del concreto, caratterizza l’espressione di valore. È questo che rende difficile la sua comprensione”144.

“Ė un fatto incontrovertibile (..) che riproduce alla lettera gli argomenti con cui Marx ha criticato per la prima volta la dialettica di Hegel nella giovanile Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico...questo rovesciamento, questo quid pro quo, questa Umkehrung che, secondo Marx presiede alla logica di Hegel, presiede anche e ben prima di essa, ai meccanismi oggettivi di questa stessa società a cominciare già dal rapporto di equivalenza e dallo scambio delle merci”.145

Questo passo mostra l’indiscutibile continuità del discorso marxiano dal ‘43 al ‘67, ma mostra, cosa ancora più rilevante, che Marx nel ’67, vede il rovesciamento hegeliano come registrazione pura e semplice di un fatto reale, mentre nel ‘43 lo leggeva come errore logico e metodologico di Hegel a causa del suo “idealismo”.

Nel ’43 Marx è convinto che “non è da biasimare Hegel perché egli descrive l’essere dello Stato moderno tale quale è”; ma piuttosto, “perché spaccia ciò che è come l’essenza dello Stato moderno146. Qui Marx sorvola come peccato veniale sul “realismo” di Hegel che descrive lo Stato moderno qual è; e sottolinea, come peccato mortale, l’ipostatizzazione del contingente: Hegel ha “spacciato l’esistente Stato come l‘essenza dello Stato”. Veniale o mortale il peccato è tutto di Hegel.

Nel ’67, al contrario, è la realtà stessa ad essere invertita e ipostatizzata, Hegel l’ha solo descritta. O meglio Hegel è il solo terminale teorico che ci consente di leggere il meccanismo di ipostatizzazione che ha origine nella realtà. L’idealismo costruito da Hegel le calza come un guanto.

Non è Hegel che spaccia l’esistente per l’essenza, ma la stessa realtà che si presenta invertita in ogni suo aspetto particolare e nel suo complesso. Quindi il massimo errore di Hegel -spacciare l’esistente per l’essenza - è in realtà il suo massimo merito.

È il disvelamento del meccanismo capitalistico ad aprire i sigilli anche del sistema hegeliano fino ad allora avversato come idealistico, mentre era solo realistico, perché descriveva l’inversione della realtà operata dal capitale. Questo andava sottolineato, dandone merito a Colletti che ce lo ha spiegato mezzo secolo addietro.

Marx esce dal percorso obbligato della pura logica che lo avrebbe incatenato ad Hegel.

E qui può tornare buono un avvertimento di Rubin: “ Il primo incontro col sistema teorico di Marx può portare ad ammettere con Böhm-Bawerk che si tratta di una deduzione logica di concetti astratti, del loro sviluppo logico, immanente, secondo il metodo di Hegel. Mediante passaggi magici, puramente logici, il valore si trasforma in denaro, il denaro in capitale, e questo in pluscapitale (capitale+plusvalore), il plusvalore in profitto, interesse, rendita ecc. (…). Ma in realtà, l’efficacia del pensiero di Marx non consiste tanto nella sua coerenza logica interna, quanto nel fatto di assumere dalla realtà un ricco e complesso contenuto socio-economico, illuminandolo con la forza del pensiero astratto”147.

Che è vero; ma come non è stato facile per Marx farlo, non lo è per noi spiegarlo. Perché “assumere dalla realtà un ricco e complesso contenuto socio-economico, illuminandolo con la forza del pensiero astratto” è, appunto porre il problema, non la soluzione.

Credo pertanto che l’uso migliore di Hegel Marx lo abbia fatto non quando lo criticava frontalmente, come paladino del materialismo contro l’idealismo, ma quando lo ha vampirizzato, “rubandogli” l’idea che il Geist è un Soggetto automatico e chiamandolo capitalismo.

E dal Geist non si esce, mentre dal capitalismo, secondo Marx, si può.

Credo, per finire, che il punto su cui far leva, per evitare che la balena-Hegel ingoi il Pinocchio- Marx, sia di porre ad Hegel la domanda più “cattiva”: “cosa se ne fa Hegel di tutto quel sapere?” Se lo guarda crescere, come l’usuraio i denari. È un rimprovero di Marx, di non saper far altro che “conoscere”: “Il modo in cui l’autocoscienza è, e qualcosa è per essa, è il sapere. Il sapere è il suo unico atto.

Qualcosa è, quindi, per la medesima, in quanto essa sa questo qualcosa. Sapere è il suo unico comportamento oggettivo”148.

Das Wissen ist sein einziger Akt”. Marx invece è convinto di avere forgiato uno strumento micidiale contro la borghesia. Tale divergenza di scopi spiega perché Hegel non abbia ragione di uscire dall’elemento in cui si è imbozzolito; Marx invece non solo ne esce alla fine, ma fa spesso delle “sortite”, a prelevare materia, carburante empirico per essere pronto: Rodi coi suoi “salti” può essere dietro ad ogni curva della storia…

“È inevitabile concludere che là dove Marx si congiunge con Hegel, lì la sua distanza da Hegel è al suo punto massimo. Quando l’ontologia hegeliana sembra riuscire completamente a farsi materiale nella realtà del capitale, si chiarisce che essa dipende in maniera cruciale da una condizione sociale, dal successo del capitale nello sfruttare e nel comandare la classe lavoratrice. Anche se il “lavoro” è incorporato nel capitale, il capitale non può che continuare a dipendere da lavoratori e lavoratrici in carne e ossa. La “circolarità” del Capitale – il circolo ontologico del presupposto-posto – possiede come suo segreto inconscio il processo “lineare” da cui origina, il vampiresco succhiare lavoro vivo in eccesso rispetto al lavoro necessario per riprodurre i lavoratori”149.

Dalla trappola della “circolarità” della logica hegeliana, come dal “presupposto-posto”, si esce solo imboccando la strada lineare (ma non certo diritta), e reale.

“Il capitale, quale valore autovalorizzantesi, è omologo all’Idea Assoluta di Hegel, che si compie riproducendo interamente le proprie condizioni di esistenza. Però ora è chiaro che la prospettiva di Marx è diversa, e in qualche modo opposta: il capitale è infatti soggetto al limite “materiale” determinato dal fatto che i lavoratori possono resistere alla incorporazione che vuole ridurli a meri momenti meccanici del meccanismo interno del capitale”150.

Solo così può diventare realtà la visione, giovanile ma già “critica”: “L’alienazione religiosa come tale si produce soltanto nel dominio della coscienza, dell’interno dell’uomo, ma l’alienazione economica è l’alienazione della vita reale: la sua soppressione abbraccia quindi ambo i lati”151.

 * * * *

B. Nota sulle “forme”:

È come se Marx avesse bisogno, ad ogni svolta del suo ragionamento, di una “sponda” astratta, costruita, su cui appoggiarsi per rimarcare le differenze che l’analisi reale evidenzia.

-Processo lavorativo/ processo di valorizzazione

-circolazione semplice/capitalismo

-lavoro utile/lavoro astratto

-valore d’uso /valore di scambio

-Oggetti/rapporti

Alla base, lo schema degli schemi, c’è la coppia materia/forma. Non conta il “fare” ma il “come”.

Il “come” è la storia, la “cosa” è la natura o l’astrazione di essa che ne facciamo di volta in volta.

“Nella produzione della loro esistenza gli uomini entrano in rapporti determinati…”

L’esistenza è la materia, la forma è la storia, i rapporti determinati...

Marx è sempre interessato al lato della “forma” perché è quello storicamente significativo.

La forma è il lavoro, la storia, la discesa sulla terra del Geist, o, forse, meglio, l’ascesa dalla terra ma per rimanervi però attaccato, non per diventare “Soggetto automatico e dominante”, del lavoro come Spirito. È questo l’idealismo a cui Marx è legato. Ma è un idealismo che non si allontana dall’uomo e non si sostituisce ad esso.

Per questo è accusa capitale all’economia politica che:

“Neppure una volta essa si è posta la domanda almeno del perché quel contenuto assuma quella forma…” dice a proposito dell’economia politica e della sua mancata soluzione del problema del valore.

E la risposta è facile: perché essa non conosce la distinzione tra materia e forma, non vede due concetti.

Oppure ”Fino a che punto una parte degli economisti venga ingannata dal feticismo attaccato al mondo delle merci o dalla parvenza oggettuale delle determinazioni sociali del lavoro…”152.

Sembrano oggetti, ma sono prodotti sociali.

Ma se la “forma” è il concetto centrale, la metamorfosi, la trasformazione, sono la vita di questa forma. Per questo il paragrafo 4 del capitolo 1 sul feticismo delle merci colpisce tanto. Perché gira le carte e mostra il gioco. Ma non è un gioco letterario per impressionare, è un ammonimento: ricorda che è così dalla prima all’ultima pagina del Capitale.

Dove c’è feticismo c’è distinzione tra materia e forma, anche se non sempre vale il contrario. E il feticismo è la patologia della distinzione tra materia e forma.

“In tutti i successivi economisti borghesi, come nello Smith, la mancanza di senso teorico per la comprensione delle differenze di f o r m a dei rapporti economici permane di regola nella loro tendenza ad afferrare grossolanamente il materiale empirico che si trovano dinanzi e nel loro grossolano interesse per questo. Da qui deriva anche la loro incapacità a formarsi una concezione esatta del denaro, nel qual caso si tratta soltanto di vari cambiamenti nella f o r m a del valore di scambio, mentre la grandezza di valore rimane invariata”. 153

La “determinazione storica” è ciò che porta fuori dalla natura e dalla materia nel mondo delle forme.


Bibliografia

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Schmidt A., Storia e struttura, Bari 1972.

Note 
Utilizziamo la traduzione di R. Fineschi (Città del sole, Napoli 2011). Steso tra la fine ‘65 e la prima metà del ’67 e pubblicato nel settembre del ’67. Fu più volte rimaneggiato da Marx, perciò neppure di questo primo libro, unico pubblicato in vita da Marx, esiste un’edizione di “ultima mano”.
2 Rubin I.I., Saggi sulla teoria del valore di Marx, Milano 1976, scrive (p.28):” …può essere considerato una introduzione al sistema di Marx”.
3 “Questa duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata da me per primo indicata in maniera critica. Poiché questo punto è il punto cruciale attorno al quale ruota la comprensione dell’economia politica, esso deve essere esaminato più da vicino”.
E sulla forma di valore: “La forma di valore, della quale la forma di denaro è la figura perfetta, è molto povera di contenuto e semplice. Tuttavia, invano, da più di 2000 anni lo spirito umano ha cercato di scandagliarla a fondo.” (Capitale cit., I, pp.9- 10).
4 Marx K., Il Capitale I, cit., p.45
5 C.s., p.163
6 C.s., p.180
7 C.s., p.182
8 C.s., p.214
9 C.s., pp. 647-8.
10 Urtext, p.73
11 C.s, p.73
12 C.s., p.74
13 C.s., pp.74-75
14 C.s., pp.77-8
15 C.s., p.78
16 C.s., p.75
17 Reichelt cit., p.284
18 C.s., p.285
19 C.s., p.308
20 Marx K., Teorie cit., vol. II, p. 444
21 Marx K., Capitale I, cit., p.924(Capitolo VI inedito)
22 Urtext cit., p.128
23 Marx K., Il Capitale, libro III, Roma 1968, pp.20-1.
24 Engels F., Considerazioni supplementari al Capitale, libro III cit., p. 39.
25 Backhaus H.G., Ricerche sulla critica marxiana dell’economia, Milano-Udine 2019.cit., p. 71
26 E Redolfi -Riva in Teoria del valore e ricostruzione dialettica. H.G. Backhaus e la critica dell’economia politica. Backhaus H.G.,
Dialettica della forma di valore, Roma 2009 cit., p.31.
27 Backhaus H.G., Dialettica cit., p.219. E, per concludere su questo punto, con la sintesi di Redolfi Riva:
“…dobbiamo quindi giungere alla conclusione che l’interpretazione engelsiana della prima sezione del primo libro come teoria della produzione semplice di merci risulta inadeguata, così come tutte le interpretazioni marxiste che separano la teoria del valore dalla teoria del denaro. Si dovrà inoltre riconoscere che, se una lettura logico-storica non si dimostra adeguata alla comprensione del contenuto critico della teoria marxiana del valore, non è neppure possibile considerare la merce con la quale Marx dà inizio alla propria sistematica espositiva quale merce precapitalista come “il primo e più semplice rapporto che ci si presenta storicamente, di fatto, cioè, (…) il primo rapporto economico che troviamo davanti a noi”(Engels), bensì essa dovrà essere intesa come merce capitalisticamente determinata”
28 Marx K., Scritti inediti di economia politica, Roma ‘63(a cura di M. Tronti) pp.73-98. 29 C.s., p.73
30 C.s., p.73
31 C.s., p.77
32 C.s., p.78
33 C.s., pp.79-80
34 C.s., p. 97
35 C.s., pp. 98-9
36 C.s., p.25
37 Marx K., Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (Firenze 1968), p.3.
38 Marx K., Il Capitale I, cit., p.45
39 Schmidt in Storia e struttura riassume così la situazione (p. 48):” La massima opera di Marx non comincia infatti (come ci si potrebbe aspettare) con la storia della genesi dei rapporti capitalistici, ma con il dato di fatto immediato, quotidiano, che la ricchezza delle società capitalistiche appare come una “immensa raccolta di merci”. (..)La genesi del modo di produzione capitalistico viene descritta da Marx nel suo aspetto generale solo nel famoso capitolo XXIV del Capitale…”
40 Marx K., Il Capitale I, cit., p.82
41 C.s., p.46
42 C.s., p.48
43 C.s., pp.51-2
44 C.s., p.48
45 Backhaus H.G., Dialettica cit., p.169.
46 “lo strano e folle oggetto indagato da Marx”, scrive Bellofiore in “C’è vita su Marx?”, p.21.
47 Marx K., Il Capitale I, cit., p.48
48 C.s., p.68
49 C.s., p.59
50 C.s., p.74
51 C.s., p.78
52 C.s., p.81
53 C.s., p.58
54 C.s., p.82
55 C.s., p.70
56 C.s., p.82
57 C.s., p.83
58 C.s., pp. 83-4
59 C.s., p.86
60 C.s., p.87
61 C.s., p.89
62 C.s., p.90
63 C.s., pp.91-2
64 C.s., p.92 nota 32
65 Rubin cit., p. 36
66 Capitale I c.s., p.98
67 C.s., p.99
68 C.s., pp.99-100
69 C.s., p.102
70 C.s., p.107
71 C.s., p.111
72 C.s., p.119
73 C.s., pp.120-1
74 C.s., p.125
75 C.s., pp.145-6
76 C.s., p.155
77 C.s., p.104
78 C.s., pp.104-5
79 C.s., p. 111
80 C.s., p.122
81 Bellofiore R., Smith, Ricardo, Marx, Sraffa, Torino 2020, p.188
82 Marx K., Il Capitale I, cit., p.78
83 Urtext, p.128
84 Bellofiore R., Smith etc. cit., p.200
85 Bellofiore R., C’è vita su Marx? in Marx inattuale a c. di R. Bellofiore e C.M. Fabiani, Roma 2019, p.26 “Nei primi tre capitoli, e in realtà fino al capitolo quinto(..)Marx tratta di merci che sono già state prodotte. A partire dal cap. quinto, invece egli affronta il processo (capitalistico) di produzione delle merci.”. E M. Heinrich (Rileggendo Marx in Marx inattuale cit. p.82 “solo nel secondo capitolo del primo libro del capitale si parla di persone, prima ad agire sono solo merci”.
86 Bellofiore cit., p.32-3:” Il capitale deve estrarre lavoro vivo da lavoratori potenzialmente riottosi”, in C’è vita cit., p.26.
87 Marx K., Capitale I, cit., p. 641
88 Breda S., La dialettica .in Marx inattuale cit., p.139
89 Marx K., Il Capitale I, cit., p. 163
90 C.s., p.164
91 C.s., p.165
92 C.s., p.167
93 C.s., p.169
94 C.s., pp.169-70
95 C.s., p.171
96 C.s., p.163
97 Marx K., Il Capitale I cit., p.172
98 Reich lt H., La struttura logica del concetto di capitale in Marx, Bari 1973., p.92
99 C.s., p.94
100 C.s., p.97
101 Marx K., Il Capitale I, p.172
102 C.s., p.173
103 C.s., p.175
104 C.s., p.178
105 C.s., p.179
106 C.s., p.180
107 C.s., p.182
108 C.s., p.183
109 C.s., p.184
110 C.s., p.184
111 C.s., p.185
112 C.s., p.186
113 C.s., p.186
114 C.s., p.186
115 Bellafiore R., C’è vita su Marx? cit., p. 29.
116 Marx K., Il Capitale I, cit., p.186
117 C.s., p.187
118 C.s., pp.187-88
119 C.s., p.193
120 C.s., p.193
121 C.s., pp. 193-4
122 Bellafiore R., Smith etc. cit., pp.220-21
123 Marx K., Il Capitale I, cit., pp.172-3
124 Urtext cit., p.129
125 Marx-Engels, Carteggio, Roma 1951, vol. IV, p.67.
126 Bellofiore R., C’è vita su Marx cit., p.17
127Postone M., Time, Labor, and Social Domination, Cambridge University Press 1993, p. 75:”...Marx describes his concept capital in terms that clearly relate it to Hegel’s concept of Geist”.(…)Marx, then explicitily charaterizes capital as the self-moving substance which is Subject”.(…)”Marx implicitly attempts to show that the “rational core” of Hegels dialectic is precisely its idealistic character”(p.81).
128 Luporini C., La logica specifica dell’oggetto specifico in Problemi teorici del marxismo Quaderno speciale di “Critica marxista”, Roma 1976.
129 Bellofiore R., C’è vita cit., p.28
130 Nel far questo, Marx non prende neppure la propria via, quella della “concezione materialistica della storia “, quell’approccio, elaborato negli anni ’40, formalizzato e ribadito nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica, nel 1859. Ma questo rimanda ad un ulteriore problema già affrontato in altra occasione.
131 Reichelt cit., p.92.
132 Bellofiore R., C’è vita su Marx? cit.p.19).
133 Postone M., Time labor etc...cit. 134 Postone M., cit., pp.6-7
135 C.s., p.12
136 C.s., p.20
137 C.s., p.23
138 C.s., p.28
139 C.s., p.138
140 Nel suo “On Postone’s Courageous but Unsuccessful Attempt to Banish the Class Antagonism” (in Historical Materialism” (12(3) pp.103-124) così commenta e critica.
141 Per chi ha letto Colletti all’università e lo ha incontrato a Roma nel ’70 (per parlare di Althusser(!), ricevendo in dono…i Principi del leninismo di Stalin), queste non sono sconvolgenti novità, ma conferme sostanziate dall’ eccezionale lavoro sui testi.
142 Nonostante l’avversione mostrata nei confronti dei “francofortesi”, Adorno in primis, la centralità di Hegel li mette d’accordo.
143 Colletti L., Il marxismo ed Hegel Bari 1969, p.432.
144 Marx K., Il Capitale (trad. Fineschi), t.II, p. 1087); ma qui lo dò nella traduzione di Tronti, utilizzata da Colletti e da lui “lievemente modificata”. Questa pagina venne aggiunta al Capitale mentre era in stampa (1867).
145 Colletti L., Il marxismo cit. p. 433.
146 Marx K., Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili (trad.di Galvano della Volpe, Roma 1963), p.77.
147 Rubini I.I., Saggi cit., p.74 
148 Marx K., Manoscritti economico-filosofici del 1844, Roma 1963 (trad. G. Della Volpe), p. 269. 149 Bellofiore R., Smith cit., p. 197.
150 C.s., p.228.
151 Marx K., Manoscritti cit., p. 226
152 Capitale I cit., p.93
153 Teorie I, Roma 1971, p.191

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