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blackblog

La politica del debito estremo e l'adattamento ai cambiamenti climatici nel Sud globale

di Tomasz Konicz

Il debito estremo sta cominciando a sfuggire di mano, soprattutto in Africa e nel Sud globale, dove le crisi economiche e climatiche in generale si intrecciano, alimentandosi a vicenda e rendendo evidente che i limiti interni ed esterni del capitale sono stati raggiunti, come sostiene Tomasz Konicz nel suo contributo alla serie di testi sulla "Berliner Gazette" (BG), "After Extractivism"

AfterIl tardo capitalismo non può più permettersi politiche climatiche costose. Soprattutto non può proprio laddove è più urgente: nel Sud globale. All'inizio del mese di giugno, la Banca Mondiale ha annunciato una grave crisi del debito nei Paesi a «basso e medio reddito», come conseguenza dell'elevato debito pubblico globale, salito alle stelle durante la risposta alla pandemia e del tutto simile all'ondata di fallimenti sovrani e crolli economici che negli anni Ottanta hanno devastato molti Paesi in via di sviluppo. Nel rapporto viene detto che, rispetto al 2019, ci saranno altri 75 milioni di persone alla periferia del sistema globale che - a causa del forte indebitamento, dell'inflazione e del rapido aumento dei tassi di interesse che porteranno a una situazione economica «simile a quella degli anni '70» - rischiano di cadere in «estrema povertà». Dei 305mila miliardi di dollari a cui ammonta oggi la montagna di debito globale, le economie emergenti, compresa la Cina, totalizzano circa 100mila miliardi di dollari. Nel 2019, alla vigilia della pandemia, il debito globale totale era pari a circa il 320% della produzione economica mondiale. Oggi si attesta al 350%, dopo aver raggiunto, nel 2020, un picco del 360%. Tuttavia, gran parte della crescita del debito - resa possibile principalmente dalle banche centrali che stampano denaro - è avvenuta proprio nella semiperiferia. Più dell'80% del debito che si è accumulato lo scorso anno, è stato generato di recente nei mercati emergenti.

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jacobin

Le crepe nell’ordine neoliberale

J. C. Pan intervista Gary Gerstle

Siamo in piena transizione: anche se il neoliberismo potrebbe non essere finito, di certo non è più l'ideologia indiscussa del nostro tempo

neoliberismo jacobin italia 1320x481Un movimento politico diventa ordine politico quando le sue premesse cominciano a sembrare ineludibili. Negli anni Cinquanta, i Repubblicani si piegarono alla realtà politica e sostennero i programmi di assistenza sociale del New Deal; negli anni Novanta, i Democratici abbracciarono la deregulation di Ronald Reagan.

Tuttavia, come sostiene lo storico Gary Gerstle nel suo nuovo libro, The Rise and Fall of the Neoliberal Order: America and the World in the Free Market Era, nessun ordine politico è immune dal potere destabilizzante delle crisi economiche.

Per Gerstle, la stagflazione degli anni Settanta minò l’ordine del New Deal proprio come la Grande Depressione aveva contribuito a realizzarlo. E oggi, all’ombra della Grande Recessione del 2008-2009, con l’inflazione che galoppa e la pandemia che si estende ancora in tutto il mondo, l’ordine neoliberista sembra vacillare. Dunque, cosa potrebbe venire dopo?

Jen Pan ha posto a Gerstle questa e altre domande nel corso di un recente episodio di The Jacobin Show. Nella loro conversazione, che è stata editata per chiarezza e lunghezza, Pan e Gerstle discutono di come Donald Trump e Bernie Sanders siano sintomi di destra e di sinistra del crack neoliberista, di come la New Left abbia inconsapevolmente aiutato l’ascesa del neoliberismo e perché pensa che «il capitalismo [non è] al posto di guida» in questo momento tumultuoso.

* * * *

Intendi qualcosa di molto specifico quando parli di un ordine politico. Cosa distingue un ordine politico da, diciamo, un movimento politico o un’ideologia politica? E quali sono stati alcuni importanti ordini politici negli Stati uniti?

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contropiano2

L’ultima spiaggia dell’Occidente neoliberista

di Francesco Piccioni

ultima spiaggia occidente neoliberistaUno spettro si aggira per le capitali dell’Occidente: la crisi del potere politico. Ci perdonerete il “furto” dell’incipit più famoso della letteratura rivoluzionaria, ma in effetti ci troviamo in difficoltà nel dover sintetizzare quanto sta avvenendo nelle principali cancellerie dell’Occidente neoliberista.

Sarà bene andare con ordine, ossia per singolo paese, e poi vedere se c’è un trait d’union tra le diverse crisi.

 

Gran Bretagna

E’ il primo “caduto” ai vertici della Nato, e uno dei guerrafondai più estremisti. Boris Johnson, come sapete, è stato alla fine costretto alle dimissioni. Anzi, all’annuncio delle dimissioni.

Sfiduciato dai suoi stessi ministri e sottosegretari (oltre 50) e dal partito che guidava – i conservatori – alla fine si è deciso ad uscire dal portone di Downing Street per recitare la parte che ormai tutto il paese gli chiedeva.

L’ha fatto a suo modo, insultando chi lo ha costretto a (quasi) scendere dal piedistallo: “la forza del gregge a Westminster è potente: quando il gregge si muove, tutti si muovono”. Che un leader politico – anche se clownesco, Johnson lo è stato – consideri poco più che “pecore” la classe politica che ha diretto fino ad un minuto prima è forse l’ammissione più “autorevole” sull’autonomia e la “statura” di un’intera generazione di parlamentari.

Johnson, peraltro, nel rinviare l’uscita effettiva soltanto ad ottobre – ha lasciato la carica di presidente dei conservatori, ma mantiene quella di primo ministro fin quando i conservatori non avranno eletto un nuovo “capo politico” – fa capire di voler condizionare al massimo le future scelte del “gregge”, contando su sempre possibili capriole della maggioranza interna.

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carmilla

La guerra e il lato oscuro dell’Occidente

di Fabio Ciabatti

Qui i capitoli 1. e 2.

war chess3. A proposito di oligarchie

Nella saga di Star Wars, vera e propria fabbrica di moderni archetipi, l’intero universo è permeato e governato da una sorta di misterioso campo di energia, la “forza”. Questa però ha anche il suo lato scuro, che, in ultima istanza, genera il più terrificante dei nemici, l’Impero. C’è un momento di verità in questo modo di concepire il nemico. Ed è per questo che può essere utilmente applicata alla Russia di Putin che, al di là dei punti di scontro, condivide con l’Occidente l’accettazione dei principi del capitalismo neoliberista, a differenza di quanto avveniva con l’URSS che proponeva un sistema socioeconomico diverso da quello capitalistico (quanto poi fosse migliore è un’altra questione). Rimanendo all’allegoria cinematografica, possiamo considerare la forza come i flussi di valore capitalistici che oramai attraversano e plasmano l’intera realtà producendo anche il tenebroso capitalismo russo. Ovviamente il meccanismo narrativo e quello ideologico funzionano finché lo scontro tra il bene e il male è raffigurata come la lotta tra Davide e Golia. Nella realtà i rapporti di forza sono ribaltati, ammesso che la guerra attuale è uno scontro tra Usa e Russia per interposta Ucraina.

Potrebbe sembrare frivolo, di fronte alle tragedie della guerra, chiamare in causa Hollywood, ma la guerra si combatte anche sul piano dell’immaginario. Continuiamo perciò ad approfondire gli elementi che la metafora del nemico come lato oscuro ci consente di cogliere. A questo proposito un’obiezione sorge immediata: cosa c’entra un sistema statalista, oligarchico, autoritario con l’Occidente caratterizzato da mercato, concorrenza e democrazia?

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coku

L’ordo-liberalismo e il «77-pensiero»

di Leo Essen

77I

Per il 1978-79 Foucault aveva deciso di tenere un Corso sulla Biopolitica. Nel résumé del corso, redatto per l’Annuaire del Collège de Francei résumés sono gli unici testi riguardanti i corsi resi pubblici dallo stesso autore – Foucault dice quanto segue: In origine il tema stabilito per il corso era la Biopolitica, termine con il quale intendevo fare riferimento al modo con cui si è cercato, dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti alla pratica governamentale dai fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituiti in popolazione: salute, igiene, natalità, longevità, razze. È noto quale spazio crescente abbiano occupato questi problemi a partire dal XIX secolo e quali poste politiche ed economiche abbiano costituito sino a oggi.

Nel Corso, contrariamente a quanto annunciato dal titolo, Foucault non si occuperà direttamente della biopolitica. E ciò in quanto, dice, mi è sembrato che la biopolitica non potesse essere dissociata dal quadro della razionalità politica entro cui sono apparsi e hanno assunto il loro rilievo, vale a dire il «liberalismo».

Il liberalismo tedesco della scuola di Friburgo, raccolto intorno alla rivista Ordo – da qui ordo-liberalismo o neo-liberalismo – e il neo-classicismo economico austriaco (soprattutto Mises e Hayek) sono al centro dell’analisi.

Foucault si avvicina a questo tema con tutta la cautela che gli è propria. Il liberalismo, dice, non è una teoria, non è un’ideologia, non è un modo di rappresentarsi, non è una rappresentazione, non è una tecnica del governo, governo inteso in quanto istituzione o momento istituzionale. Il neo-liberalismo è una pratica di governo, se si intende per pratica un modo di fare e di comportarsi, un modo di agire che non è un praticismo, che non esclude un intento teorico ma che non si riduce alla mera teoria o a una teorizzazione su una presunta pratica – è una pratica-teorica di governo delle popolazioni.

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acropolis

Un reset monetario in cui i ricchi non possiedono tutto

di Ellen Brown

Abbiamo un serio problema di debito, ma soluzioni come il “Great Reset” del World Economic Forum non sono il futuro che vogliamo. È tempo di pensare fuori dagli schemi per alcune nuove soluzioni

debt e1655410806194Nell’antica Mesopotamia era chiamato Giubileo. Quando i debiti a interesse sono diventati troppo alti per essere rimborsati, la lista è stata cancellata. I debiti furono condonati, le prigioni dei debitori furono aperte e i servi tornarono a lavorare i loro appezzamenti di terra. Ciò poteva essere fatto perché il re era il rappresentante degli dei che si diceva possedessero la terra, e quindi era il creditore a cui erano dovuti i debiti. La stessa politica è stata sostenuta nel Libro del Levitico , anche se non è chiaro fino a che punto sia stato attuato questo Giubileo biblico.

Quel tipo di condono del debito su tutta la linea non può essere fatto oggi perché la maggior parte dei creditori sono istituti di credito privati. Banche, proprietari terrieri e investitori di fondi pensione andrebbero in bancarotta se i loro diritti contrattuali al rimborso venissero semplicemente cancellati. Ma abbiamo un serio problema di debito, ed è in gran parte strutturale. I governi hanno delegato il potere di creare moneta alle banche private, che creano la maggior parte dell’offerta di moneta circolante sotto forma di debito a interesse. Creano il capitale ma non gli interessi, quindi è necessario rimborsare più denaro di quello creato nel prestito originale. Il debito cresce quindi più velocemente dell’offerta di moneta, come si vede nel grafico di WorkableEconomics.com sotto. Il debito cresce fino a non poter essere rimborsato, quando il consiglio di amministrazione viene cancellato da una qualche forma di crollo del mercato come la crisi finanziaria del 2008, che in genere allarga il divario di ricchezza durante la discesa.

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carmilla

La guerra e il lato oscuro dell’Occidente

di Fabio Ciabatti

lato oscuroI. Il nemico esterno

E ci risiamo. Mondo libero contro autocrazia, bene contro male. L’orso sovietico si è estinto ma è stato sostituito da una specie di predatore se possibile ancora più pericoloso, la Russia di Putin. Ma stiamo davvero assistendo al remake della guerra fredda? In realtà la ripetizione porta con sé una significativa variazione. Il nemico attuale ha un carattere diverso da quello passato. Se l’Unione Sovietica rappresentava un’alterità reale rispetto al mondo occidentale, la Russia di Putin può essere caratterizzata come il versante osceno del nostro mondo. O, per dirla in altro modo, la cosiddetta democratura putiniana può essere considerata come il lato oscuro della postdemocrazia occidentale (quest’ultima intesa, sulla scia di Colin Crouch,1 come un sistema che è svuotato progressivamente da ogni reale possibilità di partecipazione collettiva alle decisioni politiche, lasciando in vita le sole procedure formali della democrazia). Per questo il rapporto con il nemico oggi dà luogo ad una dinamica differente per quanto riguarda la costituzione della soggettività occidentale. Se in passato il confronto con nemico venuto dall’Est aveva avuto degli esiti per certi versi positivi nei paesi a capitalismo avanzato, oggi assistiamo ad una dinamica sostanzialmente regressiva. Partendo da questo punto di vista, la riflessione che segue non ha come obiettivo quello di stabilire chi ha torto e chi ha ragione nell’attuale guerra o come andrà a finire il conflitto. Vuole essere soprattutto un ragionamento sugli effetti della guerra sull’immaginario occidentale.

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acropolis

Il Capitale sorvegliante. Il neo-panoptismo globale

di Emiliano Bazzanella

iStock 1140691167 scaled e1654762497584Introduzione

Questo breve scritto racconta una storia. Quella di un capitale che non costituisce nella una essenza uno stock, un insieme di prodotti collettivi; e quella di un capitalismo il quale invece controlla, accumula e gestisce i capitali, cambiando sempre forma e metamorfizzandosi in figure sempre inattese e sorprendenti. L’ultimo capitolo di questa storia, almeno per il momento, riguarda il cosiddetto “capitalismo della sorveglianza”, surveillance capitalism. Come afferma Shoshana Zuboff che ha divulgato questa terminologia, si tratta di qualcosa di unprecedented, qualcosa di inaudito: non si capitalizzano più cose, oggetti, prodotti, monete, banconote, bensì informazioni personali che riguardano i nostri sentimenti, i nostri desideri, le nostre emozioni, i nostri comportamenti (behavioural data). Si tratta invero di un’informazione subdola poiché ciò che viene captato e capitalizzato sono informazioni per così dire collaterali del nostro vissuto, una sorta di “rumore informativo” di cui siamo per lo più inconsapevoli e che viene analizzato, profilato e ridisegnato nostro malgrado. E così avviene che quando navighiamo in rete, abbiamo l’impressione di conoscere cose già note o quantomeno famigliari, mentre se desideriamo comperare qualcosa pare di trovarci innanzi al commesso virtuale perfetto, che conosce già i nostri gusti e le nostre preferenze.

Ci sono vari ingredienti in questo processo: un discorso sulla proprietà in senso ristretto ed allargato (che cos’è la proprietà e di chi sono i dati che vengono sorvegliati e sottratti?), un discorso sul carattere narcisistico, psicotico e “panoptico” della nostra società (cioè basato sul volere “vedere-sapere” tutto e, simmetricamente, sull’essere-visto e l’essere-saputo dall’Altro), un discorso che riguarda il grande inganno di questo nuovo capitalismo che, sotto il mantra di una nuova libertà e uguaglianza conquistate grazie ad internet, nasconde nuovi focolai di potere e nuove sperequazioni.

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la citta futura

A quale costo il sistema capitalistico può oggi riprodursi?

di Alessandra Ciattini

Il sistema capitalistico potrebbe sopravvivere all’attuale crisi sistemica, accentuata dalla pandemia e dalla guerra, ma pesante sarà per noi il costo della sua riproduzione

96cb32f9f6c7163e46f2ae26544d2200 XLSecondo l’eminente studioso britannico David Harvey, non si può escludere del tutto che il capitale [1] possa sopravvivere alle diciassette contraddizioni che egli ha dettagliatamente esaminato nel suo libro intitolato appunto Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, pubblicato nel 2014. In questa sede ovviamente non illustreremo tutte le contraddizioni indagate da Harvey, per cui rimandiamo il lettore al suo interessante libro; ci interessa sottolineare, invece, come il capitale sia stato finora in grado di superare gli ostacoli che il suo stesso sviluppo con l’obiettivo dell’accumulazione senza fine ha generato, e come potrebbe esser possibile che superi anche la crisi scatenata dalla pandemia e dall’attuale scontro tra gli Stati Uniti, con il loro strumento armato rappresentato dalla Nato, e la Russia. Crisi che si palesa, inoltre, nel contesto delle enormi difficoltà che il sistema capitalistico incontra per riprodursi, sia pure con inevitabili trasformazioni.

Ricordo, tuttavia, che per Harvey, le contraddizioni pericolose – non fatali – per il capitale sono costituite dall’accumulazione esponenziale senza fine (o la mera ricerca del profitto), la relazione del capitale con la natura, la generalizzata alienazione dell’uomo nella società capitalistica. Scrive sempre lo studioso britannico che il capitale potrebbe riuscire ancora una volta a farla franca con l’aiuto di una élite oligarchica che si preoccupasse di sterminare gran parte della popolazione superflua e per questo eliminabile, schiavizzando il resto dell’umanità e rinserrandosi in luoghi protetti e sorvegliati, per difendersi dalla rivolta della natura e degli esseri umani ridotti a uno stato subumano (Harvey, v. Contraddizione diciassettesima).

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sinistra 

La lotta di classe nell’epoca della finanza moderna

di Antonio Pagliarone1

Introduzione al volume La lotta di classe nell'epoca della finanza moderna, Asterios editore, Trieste 2022

ISBN LA LOTTA DI CLASSELa pubblicazione di questi articoli, come COVID-19 e la catastrofe del debito delle corporation in arrivo di Joseph Baines e Sandy Brian Hager, La lotta di classe nell’epoca della finanza moderna di Julius Krein un commentatore che pubblica regolarmente su America Affair, è utile per introdurre nel dibattito una immagine del capitalismo moderno degli Stati Uniti che non viene assolu­tamente presa in considerazione dalla stragrande maggioranza degli osservatori del vecchio continente anche da quelli ritenuti più affidabili. Sin dai primi anni del nuovo millennio sono stati fatti dei tentativi per stimolare una riflessione su quella che a suo tempo alcuni di noi, pochissimi in effetti, definivano la “finanza speculativa”. Uno dei primi studiosi che hanno analizzato la di­namica dello Speculative Capital fu Nasser Saber, che pubblicò nel 1993 con questo titolo il primo di una serie di volumi per le edizioni Financial Times Management. Naturalmente non esiste alcuna traduzione dall’inglese dei suoi lavori ma essi si rivelarono utilissimi per poter approfondire in maniera empirica la trasfor­mazione del capitalismo verificatasi in maniera intensiva dopo il 20011 2, anno che rappresenta lo spartiacque tra due ere: quella del capitalismo classico e quella del capitale speculativo che ha pro­dotto i suoi guai peggiori con la Great Recession del 2007-2008 dalla quale a quanto pare non riusciamo assolutamente ad uscirne. Krein presenta un quadro della cosiddetta “finanziariz­zazione” che risulta interessante nelle sue caratteristiche generali, ma i presupposti avanzati per spiegare la dinamica della finanza speculativa non sono così precisi anche se il risultato d’insieme è efficace.

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“Il capitale mondo”: sguardo su globalizzazione, complottismi e dintorni

di Joe Galaxy

europelogos2È uscito, per le edizioni Meltemi, un importante libro di Robert Kurz, Il capitale mondo. Per una sintetica presentazione del testo e della sua storia, rimandiamo all’introduzione, dove vengono tratteggiati velocemente anche temi e motivi di fondo.

In questo articolo vorrei invece sottolineare come, in un periodo travagliato quale quello che stiamo attraversando, il libro di Kurz rappresenti un raro tentativo, a mio avviso riuscito, di spiegare la crisi mondiale in modo lucido e ben argomentato, evitando derive cospirazioniste o destrorse, oggi così di moda.

Kurz, sulla scorta della teoria critica del valore, corrente di pensiero di cui ha rappresentato e rappresenta ancora la mente più brillante, riesce infatti a dare un quadro coerente di una serie di fenomeni che nei nostri tempi affranti sconcertano i più, fenomeni che scombinano le coordinate e provocano spesso grande confusione, anche teorica (solo per fare un esempio, la difficoltà di riconoscere oggi cosa sia sinistra e cosa destra, addirittura se questa distinzione abbia ancora senso).

Questo caos non creativo confluisce spesso in interpretazioni del reale che hanno un che di surreale, letture che immaginano grandi complotti e grandi manovratori i quali, da qualche luogo non ben definito ma immancabilmente sinistro e cupo, decidono delle sorti del mondo e dei suoi abitanti.

Sia chiaro: non mancano luoghi e organizzazioni, spesso statuali, dove effettivamente si decide su questioni o aspetti rilevanti per la sorte di ognuno di noi.

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linterferenza

Big-tech e guerra

di Pier Paolo Caserta

big tech breakup CONTENT 20191Bisogna a questo punto mettere in luce un nesso fondamentale: che la concentrazione di ricchezza senza precedenti nella storia fatta registrare dal capitalismo digitale (Big-tech), unitamente al suo modello imprenditoriale completamente parassitario (capitalismo della sorveglianza) sfocia in modo deterministico: 1) in un sistema informativo apparentemente pluralistico ma in realtà orwelliano e 2) nell’ipertrofia espansionistica anche sul piano militare.

Una delle premesse del ragionamento che vado ad articolare è la vicinanza del capitalismo digitale statunitense al Partito democratico, diversamente dalle connessioni di Trump, legato al “vecchio” capitalismo solido. Ovviamente un aspetto rilevante della questione è lo scontro in corso tra il capitalismo “fordista” e quello digitale. La nota rivalità Bezos / Trump vale ad esemplificare sinteticamente l’assunto.

La caratteristica principale dell’odierno “capitalismo della sorveglianza”, o se si preferisce delle piattaforme, è di realizzare, grazie alle inserzioni pubblicitarie, utili stratosferici a partire dalla semplice presenza online degli utenti, catturando continuamente la loro attenzione attraverso la costante profilazione della loro identità digitale e la conseguente proposta di contenuti sempre più adatti all’utente, avvalendosi di algoritmi sofisticati.  L’intero processo è sempre più sottratto alla componente umana e delegato a intelligenze artificiali complesse e capaci di apprendere (capitalismo magico), mentre gli essere umani si comportano sempre più come macchine (transumanesimo). Secondo la sintesi offerta da S. Zuboff, autrice del saggio “Capitalismo della sorveglianza” (2019):

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eticaeconomia

I Gigacapitalisti

di Riccardo Staglianò

4 5 22 muskA distanza di tempo il ricordo più vivido che ho della passeggiata sulla versione nautica di Versailles è la schiena di una donna. All’apparenza magrebina, china per terra ad appiccicare pezzetti di nastro adesivo azzurro su scalfitture nel parquet di rovere. Guasti che io, pur sforzandomi, non riuscivo a vedere. Lei sì. Il suo mestiere era di individuare i graffi impercettibili nel pavimento patrizio di quella nave da 160 milioni di euro. E poi quelli sui lavandini in travertino, sulle boiserie alle pareti e così via. A bordo anche la più piccola imperfezione era bandita. Lei doveva denunciarla, appiccicandoci sopra un nastro adesivo blu, e qualche specialista sarebbe intervenuto per sanarla. Mentre camminavo con soprascarpe di gomma per non peggiorare la situazione mi sono chiesto quanto guadagnasse per quel lavoro parossistico e ho provato a immaginarmi che casa avesse lei e quanta acribia potesse permettersi nella sua manutenzione. Milleduecento euro, il suo stipendio mensile, era quanto quella sontuosa abitazione marina consumava di cherosene in mezza giornata per tenere accese le luci. Lo sapeva? Ci pensava mai? E che effetto le faceva questa pantagruelica sproporzione? Centosessanta milioni di euro. Fermatevi un attimo a pensare. In equivalenze al tempo del Covid significano mascherine per tutta l’Africa o prime dosi Astrazeneca per quasi 90 milioni di esseri umani. (…)

 

Una ricchezza pericolosa (per la democrazia)

 La parabola nautica, con i suoi record di business pandemico, serviva solo come location (dove piazzare i nostri eroi) e metafora (dell’andamento strepitosamente anticiclico dei loro portafogli).

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sfero

Il sogno liberale

di Andrea Zhok

20220413T074244 cover 1649835766169Come mi è capitato di sottolineare altrove, la nozione di “liberale” è strutturalmente ambigua per ragioni storiche. Purtroppo tale ambiguità continua a creare confusione e a smussare le armi dell’analisi, dove di volta in volta, di fronte agli stessi eventi, si finisce per invocare l’aggettivo “liberale”  a volte come causa di oppressione, a volte come fattore di emancipazione (così ha fatto recentemente, ad esempio, il prof. Orsini). Di fronte all’irreggimentazione, al controllo sociale, alla crescita di impulsi persecutori che ha tratteggiato questi ultimi due anni c’è ancora chi lo caratterizza utilizzando l’aggettivo “illiberale”, come se tutto ciò fosse estraneo e contrario all’essenza del liberalismo.

È perciò opportuno tentare un breve chiarimento concettuale e terminologico. Non provo qui a fornire un’analisi dello sviluppo storico e delle sue ragioni – svolta in altra sede – ma mi limito ad esplicitare l’ambiguità del termine liberalismo e a ribadire perché l’uso emancipativo del termine è latore di confusione.

 

I. Il liberalismo perfezionista

Esiste davvero una forma emancipativa del liberalismo? 

Sì, esiste, si tratta di un’idea che concepisce il liberalismo come staccato dalla sua componente economica e che lo pone come una visione teorica che promuove il libero sviluppo umano. Questa concezione può essere chiamata “liberalismo perfezionista”, laddove il termine “perfezionista” è utilizzato nella filosofia morale contemporanea per definire una teoria che pone il senso dell’azione umana nell’esercizio e nel libero sviluppo delle proprie facoltà.

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Coordinamenta2

Allarme rosso!

di Elisabetta Teghil

immaginaLa "democratica e civile" Bologna ha lanciato, in via sperimentale e su base volontaria, la patente del buon cittadino sulla falsariga di quella cinese. Viene chiamata smart citizen wallet e veniamo a sapere che qualcosa di simile sarebbe in procinto di essere lanciato anche a Roma.

D’altra parte non dobbiamo meravigliarci, Bologna ha una lunga tradizione consolidata rispetto a provvedimenti di controllo sociale elevato a cominciare dai sindaci-sceriffo come Cofferati e Roma ha un precedente illustre con Veltroni sindaco quando furono affissi per la città dei manifesti comunali con tanto di numero di telefono da chiamare che invitavano i cittadini alla delazione e alla denuncia di chi imbrattava la città.

Per ora il meccanismo della patente del buon cittadino è impostato su base premiale. Vale a dire che la persona accumulerà punti e otterrà delle regalie in sconti di vario tipo se avrà dei comportamenti in linea con le richieste dell’amministrazione. Sono considerati comportamenti “etici” fare la raccolta differenziata dei rifiuti, usare i mezzi pubblici, gestire in maniera oculata il consumo di energia, non prendere multe, essere attivo con la Card Cultura, una carta varata per le attività culturali nell’area metropolitana di Bologna. Piccola osservazione a margine: la cultura che conta è solo quella ufficiale e istituzionale? Insomma essere dei cittadini rispettosi del “vivere civile” e della “civile convivenza”. Ma il passaggio a bastone e carota sarà breve. La sinistra antagonista dovrebbe entrare in allarme rosso.