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Il grillismo spiegato ai deficienti 1

di Emanuele Maggio

Innanzitutto chiedo scusa alla persona che sta iniziando a leggere questo post. L’ho appena chiamata “deficiente”. Ciò è legato a ragioni di volgare promozione del post stesso: si istiga il lettore a leggere. Questa “rubrica” si dividerà in 3 parti. In ognuna delle 3 parti verranno smontate due bugie dei media dominanti sul M5S e una bugia di Grillo/Casaleggio sul M5S (questa disparità quantitativa è dovuta semplicemente al fatto che i media dominanti, essendo tali, hanno prodotto una quantità di menzogne maggiore). Naturalmente mi propongo soltanto di offrire piccole coordinate “pratiche” per cercare di capire meglio quest’incredibile accozzaglia di analfabeti e Premi Nobel che è il M5S, indubbiamente uno dei fenomeni politici più importanti dei nostri tempi, nel bene come nel male.

In questa prima parte smontiamo i miti del fascismo, del leaderismo e del cambiamento del M5S.  

 

FASCISMO?

Il cittadino X legge su un sito di sinistra qualcosa del tipo: “Entrambi nascono da una crisi economica e politica; capacità di radunare folle e di eccitarle; fenomeno generazionale “giovani contro vecchi”; ibrido di destra e sinistra; votazioni plebiscitarie periodiche per simulare la democrazia…” Oh mio Dio! Il fascismo è alle porte! Sotto al letto, presto! Nel tragitto verso il letto, il cittadino X si imbatte nella sua tv. Non riesce a resistere e l’accende. Siamo su RaiNews24. Titolone: Grillo prepara la Marcia su Roma. Ecco, sta succedendo…poi altro titolone: Forza Nuova aderisce alla Marcia su Roma. No! E’ finita! Viva la Repubblica! Viva la Resistenza! Poi le telecamere della Rai si trovano costrette ad inquadrare la “Marcia su Roma”, una piazza con molte bandiere rosse in cui si passeggia cantando Bella Ciao sotto il sole…mmm, c’è qualcosa che non quadra. Come è possibile?

 

 Mentre il cittadino X cerca di risolvere il suo rebus, per acquietare gli animi più turbati faccio un breve esempio. La prima volta che i fascisti entrarono in Parlamento, un anno prima della presa del potere, ottennero 35 seggi. Un giorno un deputato fascista tirò fuori tranquillamente la sua rivoltella, e con un lento giro del braccio la posò sul suo scranno, in segno di sfida, suscitando le grida di scandalo dei ministri liberali, dei cattolici e dei socialisti, e le risate dei fascisti. Alcuni mesi dopo furono una ventina i fascisti che, sempre “per scherzo” e senza mai premere il grilletto, presero le loro pistole e le posarono educatamente sui loro scranni, con la canna puntata verso la Presidenza (dove adesso siede la Boldrini). Un deputato cattolico, nelle sue memorie, scriverà che a differenza della prima volta nessuno si mise a protestare. Calò un silenzio tombale. Visualizzate questa scena, fissatela nella vostra mente. Ce l’avete? Ora visualizzate subito il faccione di Vito Crimi, con quella sua inconfondibile espressione da orso Yogi dopo un lauto pasto. Bene. Dopo questo esercizio visivo, forse abbiamo recuperato il senso delle proporzioni storiche.
 
Nel frattempo, il cittadino X ha risolto il suo rebus: allora si tratta di un fascismo più sottile, più pervasivo, un fascismo diabolico che si mostra talvolta vestito di rosso e pieno di “virtù civili”! E’ terribile! Ehm…in che senso? Calma. Facciamo un passo indietro. Dal piccolo dramma del cittadino X si evincono due cose: l’equazione grillismo=fascismo è stata propagata sia da una certa cultura di sinistra, sia dai media dominanti. La prima lo ha fatto in ossequio alla sua proverbiale ignoranza antifà quando si parla di fascismo, i secondi perché hanno molta paura del M5S. Questi sedicenti intellettuali “antifascisti” che vogliono, in quanto intellettuali, metterci al corrente del pericolo, utilizzano il termine “fascismo” come un vago contenitore linguistico, svuotando così di significato anche il termine “antifascismo”. Per riempire tale contenitore utilizzano la seguente logica: tutto ciò che gode di appoggio popolare e non è comunista, è fascista. Azz…un criterio rigoroso. Ricorda lo slogan di Berlusconi: tutto ciò che non è berlusconiano, è comunista (quindi Prodi è comunista); oppure: tutto ciò che non è cattolico, è satanista (quindi Harry Potter è satanista). Di conseguenza il M5S è fascista.
 
Qualcuno più informato obietterà: ma l’aspetto militare è quello più marginale nel fascismo, e poi sappiamo che non ci sono in giro “squadracce grilline”, però la caratteristica da tenere d’occhio è il consenso. Sì, ma il consenso sociale, non elettorale. Se c’è una cosa che Mussolini non avrebbe mai fatto in vita sua, è proprio il chiedere voti. Il grillismo è un fenomeno puramente elettoralistico, non sociale, non esiste un particolare collante che unisce il suo 25% di elettorato, non c’è un sistema di valori condiviso, ma nemmeno un caos informe pronto a prendere una forma. Se tale sistema è rintracciabile, esso è riconducibile al classico rigurgito morale-civile del popolame italico, il naturale prosieguo della mobilitazione anti-mafia, anti-tangentopoli, anti-bungabunga e ora anti-casta. Se tutte le volte che ci troviamo di fronte a un vasto consenso elettorale vogliamo parlare di fascismo, allora tanto vale che cominciamo a chiamare fascista ogni persona pelata che incontriamo.
 
Ma ormai la vulgata ha preso piede. Sentiremo sempre più spesso giornalisti e opinionisti esprimere acute analisi sulle “possibili derive fasciste” del M5S. Poco importa che Sergio Luzzatto ed Emilio Gentile, due dei massimi studiosi italiani del fascismo, interpellati sull’argomento abbiano risposto in maniera seccata che il grillismo non c’entra NULLA con il fascismo, neanche con i prodromi del fascismo. Ma ciò non conta se i media hanno deciso che si tratta di “nuovo fascismo”. Un esempio è quanto successo con il post di Grillo sul 25 aprile (condivisibile da qualsiasi antifascista), con un giornalista che va dal partigiano novantenne e gli dice: “Grillo ha detto che il 25 aprile è morto”; detta così, quello giustamente ha risposto: “Il morto è lui”. Il titolone è fatto (le tecniche dei media verranno approfondite nella parte 2). Questa disinformazione può risultare utile in molti modi: per esempio consente di affidare il Copasir ai fascisti della Lega o di FDI e non agli antifascisti del M5S, senza che la gran massa degli “antifascisti” ne faccia un problema. Facile, no?
 
Che altro dire? Possiamo elencare altre perle dei nostri eroi. Alle volte, citando addirittura Gramsci, giusto per dare l’aria del noi ve l’avevamo detto, si fa notare l’iniziale insofferenza verso i partiti tradizionali del movimento fascista. Si dimentica di dire che tale insofferenza era verso i partiti in quanto espressione di democrazia, in un originale miscuglio di Sorel e Blanqui (contro la democrazia “borghese”) e di Pareto e Nietzsche (contro la democrazia in quanto tale), mentre l’insofferenza del M5S è contro i partiti in quanto espressione di antidemocrazia. In breve, i primi contestavano i partiti e i secondi le partitocrazie (cioè la “forma partito” classica, ma senza una buona alternativa – proverò a smontare il mito della democrazia diretta nella parte 2). Solo un libero pensatore stupido (o un servo di partito intelligente) come Eugenio Scalfari può credere che il motto sansepolcrista “Abbasso il Parlamento” sia paragonabile al motto ”Parlamento Pulito” del M5S.
 
Insomma, bisogna rassegnarsi all’idea che il M5S è soltanto uncaotico amalgama, popolaresco e facilone, di verdi e radicali, destra sociale e sinistra anticapitalista, con il mito di Latouche e della e-democracy, e una confusa rivalsa anti-euro. Si va bene, dice il cittadino X dopo essersi tranquillizzato, sono interessanti tutte queste chiacchiere, ma che mi dici del rapporto diretto capo-massa? Dico che è ora di passare al secondo paragrafo.
 

LEADERISMO?

Che nel grillismo un rapporto capo-massa ci sia è innegabile. Ma bisogna precisare alcune cose. Il rapporto capo-massa non solo non è prerogativa del fascismo, ma non è neppure prerogativa del grillismo. Tale rapporto, che oggi prende il nome di leaderismo, è presente in tutte le democrazie occidentali contemporanee, in cui la figura del capo è stata soppiantata da quella del leader, nel senso che la sua influenza sulle masse si limita ad essere elettorale e demagogica (come dicevo prima), e non anche mitica, simbolica, religiosa, ideologica e “totalizzante” (come per Mussolini, Hitler o Stalin). Il leaderismo ha portato in questi anni, in Italia, alla formazione dei cosiddetti partiti personali e al prevalere, nelle campagne elettorali, della comunicazione emotiva su quella razionale. E’ curioso che un fenomeno come questo, che in Italia si registra da un ventennio, venga ascritto interamente a Beppe Grillo (e fino all’anno scorso interamente a Berlusconi).
 
Ad esempio: prima si diceva “io voto PCI” (o PSI, DC, MSI ecc). Oggi si dice: “io voto Ingroia” (o Renzi, Grillo, Berlusconi, Vendola ecc). Quindi osserverei due cose: il M5S è un partito leaderistico (come tutti); il M5S è un partito meno leaderistico degli altri. Sembra che io stia dicendo un’assurdità. Vediamo di chiarire. Il leader si identifica con il suo partito in due modi: con l’oratoria demagogica e con il rapporto di fiducia. Prendendo come esempio le ultime elezioni, tutti i partiti hanno affidato al loro leader l’oratoria demagogica (qui Fare si è alquanto distinta, bisogna dirlo, pochi slogan e molti contenuti): Vendola è stato un grillo romantico, Berlusconi un grillo sorridente, Bersani un grillo per bene ecc. Hanno tutti cercato di far credere che Grillo fosse l’unico demagogo, in realtà lo erano tutti, solo che Grillo è stato il più bravo. Sul campo della demagogia Grillo è imbattibile. Gli slanci poetici di Vendola, le barzellette di Berlusconi, gli spiritosi proverbi di Bersani non possono nulla di fronte al sudore e alle urla del comico genovese (per una attenta disamina delle tecniche di demagogia di Grillo vedi questo link).
 
Allora perché dico che Grillo è meno leader degli altri? Per il rapporto di fiducia. Ovvero. La logica dell’elettore emotivo è questa: guarda Bersani come è buono e pacioccone, io di lui mi fido e lo voto; guarda Berlusconi come è sicuro e sorridente, io di lui mi fido e lo voto; guarda Renzi come è nuovo e senza cravatta, io di lui mi fido e lo voto; guarda Grillo come è sudato e incazzato, io di lui mi fido e… non lo posso votare. Grillo non è candidato. Non si presenta come colui che risolve i problemi. Di lui resta soltanto la capacità di convincere le folle a votare il M5S, ma il rapporto fiduciario la folla è costretta ad instaurarlo con i candidati che Grillo presenta e fa parlare alla fine dei comizi. Ne consegue una cosa importante: mentre esistono berlusconiani, renziani, vendoliani ecc, i grillini non esistono. See vabbè…spiego il motivo.
 
In quel 25% di voti ci sono persone che non hanno mai sentito parlare Grillo, e che hanno votato il M5S solo per non votare i soliti partiti. Non possiamo quindi chiamarli “grillini”. Poi ci sono gli elettori che hanno sentito parlare Grillo e sono stati convinti dalla sua demagogia, ma alle prossime elezioni saranno convinti dalla demagogia di un altro. Neanche loro sono “grillini”. Gli unici che potrebbero avere questo nome sono i militanti del M5S (parlamentari inclusi). So che i media raccontano che costoro sono dei lobotomizzati, ma come osserva giustamente il sociologo Ricolfi, essi sono spinti a militare nel M5S dalla promessa di partecipare, dalla prospettiva della democrazia diretta. Per loro Grillo è un tipo simpatico, magari “un grande uomo”, ma se comincia a comandare fanno presto a organizzare un vaffa-day tutto per lui. Infatti la piattaforma online è richiesta a gran voce, addirittura si sta cercando di crearne una alternativa a quella di Casaleggio. Se l’iscritto M5S non avrà la sensazione di influenzare veramente la “linea” del movimento con il suo attivismo online, il M5S perderà la sua base.
 
Invece bisogna notare un fenomeno opposto e speculare: esistono gli antigrillini. Proprio perché l’elettore emotivo è più attratto dalle campagne personalistiche, i media hanno cominciato a diffondere l’immagine di un Beppe Grillo fascista, razzista, omofobo, pericoloso, miliardario, pluriomicida, stragista ecc. Naturalmente il povero Grillo non è nessuna di tutte queste brutte cose (di lui sappiamo che è un ex comico molto ricco amico di De Andrè, autodefinitosi “antifascista socialista”, responsabile di un incidente stradale mortale per alcune persone), ma per l’elettore emotivo così come il fatto che Bersani è una “persona per bene” (“il PD è il partito delle persone per bene” disse Bersani) è motivo sufficiente per votare PD, allo stesso modo il fatto che Grillo è brutto, sporco e cattivo è motivo sufficiente per non votare M5S. Naturalmente qui parlo di elettori emotivi. Ci sono poi elettori critici che hanno deciso di non votare il M5S per motivazioni politiche e ragionate. Cominciamo quindi a vedere cosa DAVVERO non va nel M5S.
 

CAMBIAMENTO?

Spero che man mano sarà più chiaro che questa “rubrica” non ha lo scopo di appoggiare il M5S. Sarei un idiota se facessi una cosa del genere, o se sostenessi che il M5S sia un’alternativa credibile. Il fatto è che in questi mesi abbiamo assistito da una parte a forme di isterismo collettivo nei confronti del M5S, normale quando succede qualcosa di nuovo, dall’altra a presunte analisi intellettuali stile Wu Ming sul fatto che il M5S non è rivoluzionario, non è il cambiamento ed è solo il classico ricostituente dello status quo. Ma ragazzi, tutto ciò è semplicemente scontato. Lo sappiamo dal 2007. E’ ovvio che le fesserie sugli stipendi, sui vitalizi e sulla “moralizzazione” della politica toccano solo increspature di superficie. Le analisi intellettuali dovrebbero andare in un’altra direzione. Cosa c’è di positivo in questo caos a cinque stelle? E cosa c’è di realmente negativo, di realmente pericoloso?
 
Di positivo, secondo me, c’è questo (e lo vado dicendo da mesi): il PD sarà sempre più “scavalcato a sinistra” dal M5S, sarà talmente strattonato, sia da sinistra che da destra, che si strapperà, dando vita ad un vero centrosinistra, e ponendo fine, nella visione più ottimistica, alla ventennale propaganda ingannevole che lo tiene in piedi (prendere voti di sinistra per fare politiche di destra). Il caso Rodotà è solo il primo di una lunga serie. Un secondo aspetto positivo è che la sinistra, non solo quella moderata ma soprattutto quella radicale, sarà chiamata a “scavalcare a sinistra” il M5S sul piano della democrazia interna, che è poi in fondo ciò che cerca di fare dal ’68. Finché ciò non avverrà, per molto elettorato di sinistra il M5S continuerà ad apparire come qualcosa di diverso e quindi preferibile, perché nonostante i dubbi sul “sistema Casaleggio” l’iscritto avrà sempre la sensazione di contare qualcosa, in prima persona e senza intermediari, sulle decisioni del M5S. Anche Fabrizio Barca ha capito che il suo nuovo soggetto politico dovrà dotarsi di una “nuova forma partito”.
 
Passiamo ora agli aspetti più negativi. Praticamente ci troviamo con 163 seggi ambientalisti, persone che non hanno la più pallida idea di come affrontare la questione economia e la questione lavoro. Il M5S non è costruito per governare, ma solo per “urlare” all’opposizione, almeno per ora. Avrebbe anche potuto governare con il PD, ma solo a patto che lasciasse perdere i Ministeri più importanti. Tutto ciò che sta a sinistra del PD è contrario ai diktat liberisti dell’Europa. Ma se ci si oppone bisogna offrire un programma alternativo valido, non mandare “tutti a casa” e poi vediamo che succede, magari chiamando all’ultimo qualche tecnico keynesiano. Infatti non sono in gioco soltanto l’euro o l’austerità, ma anche delicatissime variabili geopolitiche che richiedono lentezza, contrattazione, compromesso. Proprio per questo la Costituzione non prevede referendum per i trattati internazionali.
 
Questo comportamento di rottura del M5S e di scontro aperto, non farà che giustificare i governi tecnici liberisti dei prossimi 10 anni, che non saranno affatto “inciuci”, ma la necessaria conseguenza di un atteggiamento irresponsabile e fondamentalmente prepolitico (secondo me così andrebbe definito il grillismo, prepolitico e non “antipolitico”, termine giornalistico che non vuol dir assolutamente nulla). Inoltre questo atteggiamento faciliterà i media a creare una sorta di strategia della tensione, un mediatico e fasullo “pericolo Grillo” per giustificare misure antidemocratiche di “emergenza”. E questo è l’unico, vero pericolo del grillismo, cioè il pericolo che si presenta in Italia ogni volta che sorge una qualche opposizione democratica, soprattutto se non provvista dei necessari accorgimenti tattici.

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