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Chi vuole spostare la Capitale a Milano?

di Sergio Cararo

ROMAMILANO1 457x300Le campagne stampa contro Roma Capitale

Qualcuno spinge per spostare la Capitale da Roma a Milano? Possiamo liquidarla come un battuta dell’ex sindaco Pisapia di due anni fa, alla quale replicò con algida indulgenza l’ex sindaco Marino. Spostare la Capitale da Roma a Milano sarebbe invece una questione da non liquidare come l’eterna competizione campanilista tra la capitale storica e quella economica. Per un periodo, fino al 1992, Milano volle fregiarsi anche del titolo di “Capitale morale” del paese fino ad essere travolta dall’inchiesta su Tangentopoli. Per anni dunque non se ne è parlato più. Ma da almeno un paio d’anni, il partito dello spostamento della Capitale a Milano ha ripreso vigore.

Le prime reazioni, come di consueto, sono quelle tese ad ignorare il problema, le seconde quelle tese a deriderlo, le terze sono quelle che mettono in moto il combattimento. A fiuto possiamo dire che siamo in una fase intermedia tra le seconda e la terza. Il motivo? Quello economico innanzitutto, ma c’è anche una narrazione ideologica che ha molto a che fare con i tempi che corrono. Eppure, ad esempio, moltissimi hanno completamente sottovalutato il processo di ristrutturazione istituzionale introdotto con le Città Metropolitane nelle principali città italiane. Gli effetti verranno avvertiti non subito ma neanche troppo in là in termini di poteri decisionali, meccanismi elettivi, gestione delle risorse.

La vicenda della giunta Raggi è diventata, suo malgrado o “a sua insaputa”, paradigmatica dell’offensiva tesa a spostare la Capitale da Roma a Milano. Sta diventando ormai evidente come dietro l’attenzione spasmodica alle vicende della giunta e della sindaca, si stia delineando qualcosa di più e di peggiore. Certo c’è anche la voglia di ricatto e/o ritorsione dei costruttori e dei comitati d’affari che hanno visto sfumare prima le Olimpiadi e oggi vedono uno scontro durissimo sulla speculazione Stadio/Tor di Valle, diventato una sorta di spartiacque sul futuro della città con un valore simbolico a metà tra la Tav in Val di Susa e l’Expo di Milano.

Ma negli attacchi sulla incompetenza o inconsistenza della giunta Raggi c’è anche qualcos’altro, c’è il palese obiettivo di dimostrare l’inadeguatezza di Roma a svolgere la funzione di Capitale europea e di città globale.

Il fuoco di fila è iniziato poco prima dell’avvento al governo cittadino del M5S. L’artiglieria pesante sono stati i giornali della “borghesia del nord” come Corriere della Sera, La Stampa e Milano Finanza. Ma non solo. Ad esempio un recente servizio de L’Espresso ha aperto il fuoco cosi: “Roma è davvero (come diceva Cavour) «necessaria all’Italia»? E se invece ci decidessimo a portare la capitale a Milano? Il tema è antico, e non sempre sono state le menti più scelte a sollevarlo. Ma da qualche tempo è impossibile eluderlo. La catastrofe dell’amministrazione di Virginia Raggi, la voragine del debito e l’indegno abbandono in cui la Capitale versa da anni rendono inevitabile quella domanda”. Subdolo ma prevedibile, anche in questo caso, il ricorso al cosiddetto “vincolo esterno” cioè la dimensione europea. Scrive infatti l’Espresso che “Classifiche o non classifiche, però, sta di fatto che Roma stride in modo cocente non solo con una quantità di capoluoghi italiani, ma con tutte le capitali dell’Europa occidentale, e anche centrale”. (1) Roma dunque non può più reggere il confronto con le altre capitali dell’Unione Europea.

Ad aprile 2016 , uno dei commentatori più angloliberal del Corriere della Sera, Beppe Severginini, aveva usato come cavallo di troia il New York Times per porre l’interrogativo “E’ Milano la vera capitale d’Italia?”. La risposta alla domanda era ovviamente affermativa. “I milanesi pensano che la loro città sia il vero faro dell’Italia, diventata, nel giro degli ultimi anni, una calamita irresistibile per i giovani da tutto il paese che arrivano in massa per lavorare nel design, nei media, nella moda e nel campo del cibo” scriveva Severgnini

A giugno era la stata la Brexit, con la fuoriuscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna, a solleticare l’euforia della Fondazione Pirelli secondo cui la nuova “city”, la piazza finanziaria della Ue, poteva e doveva diventare Milano, anzi che questa doveva puntare i piedi con Roma per farsi riconoscere come “Città Stato”.

A ottobre invece era stato il quotidiano economico Milano Finanza ad aprire il fuoco usando come copertura le considerazioni di un chef executive officer di un fondo di investimento statunitense: “La Capitale non ha più da anni sistema bancario (tranne BNL che però dipende da una banca francese) e si assiste a un esodo degli imprenditori romani verso Milano. Roma non ha più industria: 20 anni fa la città esibiva un tessuto industriale e finanziario poderoso. Oggi è rimasta qualche sede legale e qualche unità produttiva malconcia. Non dispone di una rete di servizi e trasporti in grado di reggere l’impatto degli abitanti, di decine di milioni di turisti, e dei businessman e uomini politici costretti a venire a Roma. Per fortuna Fiumicino ha fatto giganteschi miglioramenti negli ultimi due anni, ma non basta” (2)

Un elenco di motivazioni molto materiali e molto legate al mondo del business da cui si lascia emergere la necessità di spostare a Milano le funzioni strategiche del comando del paese: “In questi anni si assiste a un trasloco silente di cultura, imprenditorialità, economia, tecnologia verso Milano e oggi anche di famiglie normali che  ragionano dicendo “meglio andare a vivere a Milano”.

Più recentemente è stato il Corriere della Sera, l’esecutore seriale di questa lobby per lo spostamento della Capitale a Milano, a prendere spunto dal trasferimento di Sky da Roma per scrivere in un editoriale: “Diciamo la verità: se oggi doveste decidere fra Roma e Milano per la sede di una grande azienda, scegliereste una città disastrata, insicura e senza trasporti, o una metropoli europea efficiente e ordinata? Per com’è conciata oggi, Roma può attirare al massimo un turismo sempre più accattone: di sicuro non il cervello di una grande multinazionale” (3).

Puntuale come un orologio ( come lo è era stato Pisapia) anche il sindaco milanese Beppe Sala, prendendo a pretesto il trasferimento di Sky,  ha sottolineato la ragionevolezza del trasferimento a Milano anche della Rai: “invito tutti a considerare Milano il territorio più adatto per portare qualità” ha detto ai giornalisti.

E’ evidente come lo spostamento della Capitale da Roma a Milano porterebbe con se anche i finanziamenti statali previsti. Qualcosa del genere è già accaduto di recente con la Legge di Stabilità approntata dal governo Renzi (e approvata da quello Gentiloni) in cui la Regione Lombardia si è vista arrivare cospicui finanziamenti proprio per rafforzare quel modello di integrazione economica ed ideologica di quel pezzo di Italia alla dimensione europea, anche a scapito del resto del paese.

Spostare la Capitale da Roma a Milano sarà innanzitutto una operazione ideologica fondata su presupposti economici. Sarà parte di quella ristrutturazione complessiva delle istituzioni e dell’apparato statale che il processo di gerarchizzazione multilivello dell’Unione Europea va imponendo a tutti gli stati membri, in particolare a quelli che vorranno stare nel nucleo centrale della Ue a due velocità. Nulla di campanilistico o di competizione tra risotto e amatriciana. La posta in gioco potrebbe essere più alta e rognosa di quanto oggi sia visibile. E le cose oggi ancora non visibili o conclamate, non vuole dire che non siano vere. 

 

Città globali, paese asimmetrico

Proviamo a mettere in fila i ragionamenti che ci spingono a segnalare la tossicità di questa ipotesi di spostamento della Capitale da Roma a Milano.

 Abbiamo già detto della battuta di Pisapia dell’aprile 2015. Poi è venuto il modello Expo a indicare nella metropoli milanese un modello sociale e ideologico fondato sulla modernità, la competitività e l’obbedienza alle leggi del decoro, sia umano che urbano. La ripulitura delle scritte contro l’Expo dopo la turbolenta manifestazione del 1 maggio e la predisposizione al lavoro gratuito concretizzata dall’Expo, indicavano nella città un habitat sociale più normalizzato e cooptabile sui parametri fondanti del modello ordoliberista europeo. Un contesto sociale assai diverso da quello rabbioso, resiliente e disincantato della Capitale.

Ma a chi storce il naso sui molti mali di Roma, occorre rammentare le ridotte dimensioni del Comune di Milano rispetto a quelle del comune capitolino, tra l’altro del tutto deregolamentate. La “gentrificazione” di Milano inoltre è avvenuta già da anni. Uniche eccezione le strade degli immigrati di vecchio e nuovo insediamento. Il prodotto è un serbatoio sociale e politico di consenso all'ideologia e agli interessi delle classi dominanti. Lo stesso riscontrabile nei Municipi I e II di Roma, gli unici su diciotto dove il Pd o il SI al referendum di dicembre hanno vinto, esattamente come avvenuto nel comune di Milano.

Ed anche in termini delle spese che i Comuni destinano ai servizi per i loro abitanti è evidente la divaricazione tra Roma e Milano. Il Comune di Roma negli ultimi 18 anni ha realizzato una spesa corrente media pari a 1.200 euro/abitante contro i 1.400 di Milano (1.600 euro contro 1.900 negli ultimi 5 anni).  

In alcuni settori questo è particolarmente evidente: nel trasporto pubblico locale, la spesa media di Roma negli ultimi 5 anni è stata di 260 euro/residente contro le 580 di Milano, mentre nel settore mense e servizi scolastici il rapporto è stato di 28 euro/residente a Roma contro 49 di Milano (5)

C’è poi la “Milano vicino l’Europa” come cantava Lucio Dalla, e qui ci avviciniamo di più al bersaglio grosso della ipotesi in discussione.

Da tempo è infatti in corso un processo di profonda ristrutturazione delle aree metropolitane e non solo in Italia. Il modello indicato è quello delle “città globali” pronte ad attrarre e smistare investimenti  e flussi finanziari e reti di servizi avanzati. David Harvey e Mike Davis hanno scritto su questo libri di straordinario interesse (6).

Sono ormai numerosi e confermati i dati che dicono come siano le metropoli ad essere diventate il centro propulsore dell’economia capitalistica nella fase della globalizzazione. La preponderante dimensione finanziaria del capitalismo produce una ricerca spasmodica di spazi e occasioni su cui valorizzare l’enorme liquidità cartacea oggi a disposizione. Le città, il loro suolo, i loro flussi, i loro servizi, diventano così un terreno di caccia per banche, fondi di investimenti e multinazionali, le quali spingono per mettere a valore anche il verde pubblico, i rifiuti, gli asili e quant’altro. In pratica si va materializzando una vero assalto e saccheggio ai residui del welfare state anche locale.

L’Unione Europea, ha accentuato enormemente i processi di concentrazione e verticalizzazione dei centri economici e dei luoghi decisòri.  Le città devono dunque funzionalizzarsi a questo spiriti dell’epoca. Se in una Unione Europea a due velocità l’Italia vuole essere magari “ultima tra i primi” piuttosto che “prima tra gli ultimi”, non può che dotarsi di una città globale per stare nella competizione. In tale processo, le disuguaglianze sociali nelle metropoli si vanno drasticamente accentuando, anche a livello europeo (7)

Ma l’Italia ha dimostrato più volte di essere un paese fortemente asimmetrico, con una parte di essa (Lombardia, Emilia, un po’ di Piemonte e di Nordest) più integrate nel processo di concentrazione produttiva, finanziaria, tecnologica europeo, e il resto del paese assai più arretrato. Milano resta saldamente sul podio della classifica delle città più smart d'Italia. A dirlo è il rapporto  ICity Rate 2016, lo studio realizzato sulle città “intelligenti”. La seconda città è Bologna di cui viene apprezzata la qualità della “governance” (sic!).

Scrive il rapporto ICity che “Nella dimensione Economy il capoluogo lombardo si distanzia dalle altre città in maniera decisa: è il luogo con il più alto valore aggiunto pro capite, la maggiore intensità brevettuale, la principale sede di imprese di grandi dimensioni, e ha visto nascere negli ultimi anni il maggior numero di Fablab e maker space. Gli artigiani digitali scelgono Milano, e soprattutto la città sceglie di investire su un modello nuovo di innovazione urbana che sposta l’asse della strategia di sviluppo verso forme nuove di economia collaborativa e social innovation; un modello che si realizza attraverso la concessione di spazi, il sostegno economico a progetti e imprese, la creazione di reti di innovatori e la definizione di nuove ed articolate politiche urbane”. (8)

E il resto del paese? Anche a causa dei continui e profondi tagli alla spesa e agli investimenti pubblici, comincia a pesare una arretratezza oggi accentuata dalla recessione ma anche dai disastri naturali che si sono abbattuti su quell’Italia centrale dei mille e bellissimi borghi ripetutamene devastati dal sisma e destinato allo spopolamento. E poi c’è il Meridione dove tutti gli indicatori produttivi e sociali sono precipitati e ormai si assiste una nuova ondata migratoria verso le città del Nord Italia, ma soprattutto verso il Nord Europa (9)

Ma occorre segnalare come ormai il Meridione si stia allargando come condizione materiale di esistenza e sovrastrutture anche al centro del paese, fino a inglobare Roma, la Capitale. 

 

La “meridionalizzazione” di Roma

La “meridionalizzazione” di Roma, è un processo che è avvenuto sotto i nostri occhi, accentuato dalla inettitudine e complicità delle giunte comunali degli ultimi anni e portata alla luce (molto parzialmente) dall’inchiesta su Mafia Capitale. Nell’ordinanza di rinvio a giudizio dell’inchiesta, colpisce un passaggio, quando spiega che il modello mafioso a Roma non ha avuto bisogno della dimensione violenta e coercitiva di quello nel Meridione, perché nella macchina amministrativa e in quella politica non incontrava alcuna resistenza ai propri interessi, ma incontrava solo disponibilità …. e tariffari sulle tangenti da ottemperare.

Anche a Milano corruzione e infiltrazioni mafiose sono ormai assai consolidate  ma lì funzionano, appunto, secondo un modello più aziendalista. Questo è frutto in parte della trattativa del 1993 tra Stato e Mafia, che ha consentito alle organizzazioni mafiose di integrarsi legalmente nei gangli alti del sistema economico in cambio della cessazione della guerra, dall’altro a Milano è forte la cultura aziendale anche nella gestione dei fenomeni corruttivi, basta pensare alla sanità lombarda o allo stesso Expo. Anche in questo Milano appare città più idonea ad armonizzare il carattere criminale del capitalismo con le sue sovrastrutture ideologiche. A Milano inoltre la cosiddetta urbanistica contrattata è forma acquisita di governance dello sviluppo urbano della città. Sono i privati a fare la tabella di marcia di dove, come e cosa costruire e le istituzioni si adeguano. Il modello Expo è stato questo. Adesso però però si trovano con un patrimonio immobiliare invenduto sia nelle aree ex Expo sia nel cuore della città. I grattacieli acquisiti da i fondi di investimento del Qatar dovranno essere utilizzati, venduti, rivenduti per ottenerne plusvalenze. Quale occasione migliore per soddisfare l’offerta di uffici e terziario riempendola con ministeri, direzioni, enti oggi radicati a Roma?

Ma è il declino, la “meridionalizzazione” di Roma a risultare una ferita dolorosa per chi vi abita. Roma è una “Città Disfatta” argomentano nel loro recente libro Vezio De Lucia e Francesco Erbani. (10)

Una città che la complicità e/o il lassismo della pianificazione da parte del Comune ha lasciato crescere in modo completamente deregolamentato, espandendosi ben oltre le esigenze abitative dei suoi abitanti. A nulla è servito, ed anzi ha accentuato il processo, l’ultimo Piano Regolatore, quello del 2007 voluto dalla giunta Veltroni per occultare che dietro i nastrini del “modello Roma” veniva realizzata la totale capitolazione di fronte agli interessi dei palazzinari vecchi e nuovi tramite gli accordi in compensazione, una riedizione tout court dell'urbanistica contrattata. La vicenda dello Stadio per la Roma, con annessi grattacieli e business park, sta tutta dentro questa deriva.

A Roma l’abusivismo edilizio ha agito in alto e in basso, premiando i costruttori ma anche i “palazzinari di se stessi” e consentendo una espansione disordinata in cui è difficilissimo e costosissimo far arrivare servizi che integrino la “Roma anulare” (quella esterna al Grande Raccordo) con la città vera e propria. Dentro questo meccanismo hanno agito fattori economici ed ideologici che hanno incentivato e provocato nello stesso momento la totale deresponsabilizzazione delle istituzioni locali e nazionali sulla Capitale. “Nell’abusivismo ci sono in nuce tutti i caratteri negativi della società e delle politica romana” scrivono De Lucia ed Erbani: “il plebeismo, la furbizia, l’anarchismo, il familismo, la corruzione, l’ipocrisia, il sostanziale disprezzo delle regole”:

Se l’edilizia pubblica si estende per soli 3.500 ettari dove vivono 350mila persone (i quartieri di case popolari e comunali), quella abusiva privata si estende per 15mila ettari di ex agro romano e ce ne vivono 640mila.

La “città pubblica” a Roma è stata sconfitta dalla preponderanza degli interessi privati da troppo tempo e dalla deresponsabilizzazione delle istituzioni locali come del il governo nazionale, i quali si sono limitati a far arrivare fondi (sempre meno fondi) per finanziare servizi più funzionali agli interessi privati che alle esigenze popolari. Dalla viabilità al proliferare di centri commerciali adibiti a “centralità”, dall’aver piazzato i quartieri di edilizia popolare lontanissimi per poter così far aumentare di valore i terreni (privati) posti tra la città e i nuovi quartieri, fino ad aver tollerato e agevolato illegalità e speculazioni di costruttori e cooperative edilizie nei Piani di Zona previsti sulle aree 167. Giunte di centro-sinistra e centro-destra non hanno mai derogato da questa gerarchia dei rapporti di forza nelle scelte sulla città.

Infine l’esternalizzazione dei servizi (dai rifiuti alle linee di trasporto nelle periferie) affidati ai privati, hanno sancito la deresponsabilizzazione rispetto non solo agli impegni istituzionali quanto all’obbligo di tenere insieme socialmente almeno la città pubblica. Che dentro questa zona grigia abbia potuto prosperare affarismo e Mafia Capitale, può sorprendere solo gli allocchi.

Inevitabile che dentro questo sistema, anche le risorse naturali della città – come il devastante turismo di massa – non solo non portino alcun beneficio alla città pubblica ma ne aumentino il carico di disagio. In una precedente inchiesta abbiamo cercato di documentare come “l’oro di Roma” finisca in infima proporzione agli abitanti della città, soprattutto a quelli delle periferie, mentre si registra un livello di appropriazione privata di questa risorsa che redistribuisce poco o nulla (11).

Infine su Roma pesa la maledizione di dover ospitare non solo la culla della Chiesa cattolica ma uno Stato, lo Stato del Vaticano. Dunque un peso specifico assai diverso, sia per gli effetti politici ed economici sia per quelli ideologici. La repressione della Repubblica Romana nel 1849 segnò la fine del sogno di una rivoluzione borghese capace di strappare Roma dall’egemonia pontificia. Né questo sogno fu realizzato dal dominio sabaudo intervenuto dopo il 1870. La rottura con i quartieri dedicati agli eretici nei pressi del Vaticano o con la statua edificato a Giordano Bruno, furono ben presto ricomposti dai Patti Lateranensi siglati del fascismo e dal loro rinnovo realizzato dal governo “socialista” di Craxi nel 1984. Roma ha dovuto così continuare a convivere con lo Stato del Vaticano, con il suo patrimonio immobiliare, i suoi privilegi e la sua influenza ideologica nella propria vita sociale.

In questo contesto, ogni ambizione alla modernizzazione di Roma e al rafforzamento della città pubblica sono stati seppelliti dalla materialità degli interessi prevalenti. I quali tutto hanno in mente e nel cuore tranne che fare di Roma una città vivibile, organizzata, sostenibile. Roma ha troppi nemici interni per essere non solo Capitale ma anche una città pubblica adeguata e strutturata per esserlo e per reggere il paragone con le le altre capitali europee.

Per queste ragioni, la premessa della piattaforma in sette punti della Carovana delle Periferie ha ritenuto di dover partire da una visione della città che individuasse gli interessi antagonisti tra loro. Le forze che spingono per lo spostamento della Capitale da Roma a Milano non sono diverse da quelle che rappresentano la “malattia” di Roma, sono solo un pizzico più moderne. Ma i parametri su cui fondano il loro concetto di modernità partono sempre dalla indiscutibilità del profitto privato rispetto alla città pubblica.

Le polemiche sulla giunta Raggi sono solo un epifenomeno che occulta questa patologia. Per questo su Roma si gioca una partita che ha un carattere generale, uno scontro frontale tra uguaglianza e disuguaglianze, tra diritto alla città e interessi privati, uno scontro di classe a tutto campo nella moderna dimensione del conflitto sociale: quello metropolitano. 


Note
1 Espresso 11 gennaio 2017.
2 Milano Finanza 19 ottobre 2016
3 Corriere della sera 15 gennaio 2017
4 New York Times 26 aprile 2016
5 Dati del gruppo Audit sul debito comunale di Roma, Decide Roma
6 David Harvey: Il capitalismo contro il diritto alla città; Mike Davis: Le città morte
7 Coesione sociale e competitività in sei città europee, Politecnico Milano 2010
8 Rapporto ICity Lab 2016
9 Rapporto Migrantes 2016
10 Roma disfatta, edizioni Castelvecchi, 2016
11 Vedi le tre puntate delInchiesta di Contropiano sull'inganno del turismo come risorsa

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