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lacausadellecose

Sulla sortita dell’Onu di inviare propri ispettori in Italia contro il razzismo

di Michele Castaldo

vagoneIn tempi caotici – come quelli che stiamo attraversando in questi anni - succede di tutto, addirittura che l’Onu che ha garantito il bombardamento contro mezzo mondo da parte dell’Occidente, vuole inviare ispettori in Italia per verificare il livello di razzismo e di discriminazione nei confronti degli immigrati. Una vera e propria perla di difesa dei diritti umani. Com'è possibile, si sta capovolgendo il mondo? Ma come, un vero e proprio covo di briganti (come Lenin chiamava La società delle Nazioni che precedette l’Onu) che diventa all'improvviso un club di misericordiosi votati alla provvidenza umana? Bah, vacci a capire qualcosa.

In realtà la ragione di una simile iniziativa ha motivi ben più reconditi dell’accertamento di razzismo da parte delle istituzioni e del popolo italiani, perché le iniziative del governo giallo verde, attraverso il suo ministro degli interni, il ruspante Matteo Salvini, rischiano di fare più danni delle intenzioni da cui muovono.

La questione degli immigrati si pone in questo modo: per le potenze economiche occidentali è indispensabile che: a) affluiscano milioni di proletari per metterli in concorrenza con quelli indigeni, ridurre così drasticamente il costo della manodopera e tenere il passo con la concorrenza che avanza in modo spregiudicato particolarmente dall’Asia; b) fornire ai milioni di proletari impoveriti d’Africa una valvola di sfogo – il deflusso, appunto, verso l’Europa – per ridurre le tensioni nei propri paesi ed evitare in questo modo la possibilità di rivolte generalizzate che sconvolgerebbero i già precari equilibri dell’intero sistema su cui si regge il modo di produzione capitalistico. L’Onu è chiamato in causa per garantire che ciò avvenga in modo equilibrato.

Un personaggio come Salvini rischia di produrre danni molto seri, perché nella sua esasperata posizione nazionalista possiamo cogliere due preoccupazioni: a) l’alto costo economico del transito degli immigrati attraverso le associazioni e gli istituti di accoglienza a spese dello Stato; b) l’alto costo per la sicurezza sociale delle nostre città. E’ evidente che un personaggio ultranazionalista – al pari di un qualsiasi padroncino d’azienda – non può avere una visione a trecentosessanta gradi, non può preoccuparsi del problema degli immigrati come fattore destabilizzante a livello più generale. Ecco spiegata la contraddizione: Salvini interpreta l’egoismo nazionale, dunque di un nazionalismo che oscilla tra il gretto provincialismo e le ambizioni di grande potenza, mentre l’Onu deve tener conto – a trecentosessanta gradi, appunto - di tutto l’andamento del modo di produzione capitalistico che in una fase di crisi come quella attuale potrebbe implodere rumorosamente.

Esaminando – come esempio - la posizione dell’Onu dal 2 agosto 1990 al 28 febbraio del 1991, cioè dall'occupazione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, ai bombardamenti di gennaio-febbraio dell’anno successivo, quell'organismo appoggiò senza esitazione l’aggressione dell’Occidente capeggiato dagli Usa con la motivazione che l’Iraq aveva violato il diritto internazionale. Quali erano le preoccupazioni che muovevano le potenze occidentali? L’enorme entusiasmo che si scatenò in modo particolare nei paesi mediorientali e sudamericani, che salutò il gesto di Saddam Hussein come atto di difesa e sfida all'Occidente, perché il Kuwait era uno staterello quisling costituito dagli occidentali come testa di ponte in quell’area per garantirsi il controllo del traffico petrolifero. L’Onu si fece portatore delle preoccupazioni occidentali, che quel gesto di insubordinazione di Saddam Hussein, se non punito immediatamente e con severità, avrebbe potuto incoraggiare la rivolta in tutta l’area mediorientale con danni economici incalcolabili per tutti i paesi più ricchi. Difatti, l’azione dell’Iraq e di Saddam Hussein fu sconfitta con una straordinaria mobilitazione di uomini e mezzi superiore a quelli impiegati nella seconda guerra mondiale, per ridurre a miti consigli il “satrapo” di Bagdad. A più riprese l’Occidente intervenne ancora, sempre col consenso dell’Onu, fino a far impiccare il “rais” come azione esemplare da additare ai paesi in via di sviluppo, cioè di quanti desideravano sottrarsi al dominio imperialistico degli occidentali.

Come si comportò la sinistra occidentale in quel caso? Stette al seguito delle armate occidentali contro la volontà di ribellione dei popoli mediorientali e plaudì all’azione criminale di Desert Storm.

Oggi quella stessa l’Onu sventola la bandiera dell’antirazzismo nei confronti dell’Italia per le misure governative dell’uomo del momento, il ruspista Salvini. E la sinistra italiana – che era stata al carro di Desert Storm – ovviamente si erge a campione di antirazzismo plaudendo così alle iniziative dell’Onu. E noi, poveri fessi, ci meravigliamo di tanta bontà di quell’organismo internazionale che si fa garante degli immigrati maltrattati da Salvini dopo aver plaudito alla più infame operazione degli occidentali del dopoguerra contro l’Iraq.

La domanda che ci dobbiamo porre con serietà è se ci sia un razzismo che avanza in questa fase in Italia e quale sia la sua natura, cioè da cosa è generato?

Malcom X disse che sotto la pelle del più democratico degli occidentali, gratta gratta ci trovi comunque un genuino razzismo. Basterebbe questa espressione per ritenere chiusa la questione. Ma essa non ci soddisfa, perché il razzismo non si manifesta sempre allo stesso modo in nessun angolo della terra, esso è determinato volta per volta dall’andamento delle forze produttive e dalla lotta tra le classi, a seconda della variazione dei cicli dell’accumulazione capitalistica e del trasferimento di milioni di immigrati da paesi poveri (impoveriti) a paesi ricchi, cioè arricchitisi a spese di quelli impoveriti.

Dunque si tratta di un razzismo sociale generato dalla concorrenza delle leggi del mercato che pone una parte del proletariato – esercito industriale di riserva – contro un’altra, cioè i lavoratori indigeni. Ecco spiegata la natura strutturale e sociale del razzismo. Un razzismo che ha radici lontane e che possiamo far risalire alla cosiddetta scoperta dell’America, cioè a quella famosa impresa coloniale che segnò l’inizio del grandioso sviluppo moderno del vecchio continente e la successiva tratta dei neri e a seguire lo sviluppo degli Usa con la guerra civile ecc. Dunque le stimmate del razzismo stanno nel processo di accumulazione del capitale e dello sviluppo di un movimento storico che Marx definì modo di produzione capitalistico. La formazione delle classi e lo sviluppo degli Stati sono il prodotto di quel movimento. Sicché da un punto di vista del materialismo storico la locuzione “razzismo di Stato” è sbagliata, perché assegna all’effetto, lo Stato, il ruolo di causa del fenomeno, alimentando in questo modo una confusione teorica che non aiuta alla comprensione del razzismo di ieri e ancor meno del razzismo di oggi.

Prendiamo il toro per le corna e cerchiamo di affrontare la questione per quella che è, senza indorare la pillola per renderla meno amara: esiste in tutto l’Occidente, dunque anche in Italia, un razzismo sociale di massa nei confronti degli immigrati, in modo particolare quelli di colore. Lo Stato lo cavalca e lo utilizza pro domo dei capitalisti.

Citiamo un esempio di questi giorni. Il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, ha ritenuto di lanciare una provocazione nei confronti del suo partito, il PD, dicendo: ma ce li avete o no gli occhi per guardare e le orecchie per sentire? Sulla Domiziana (strada statale del casertano) ci sono gruppi di nigeriani che gestiscono il mercato della droga e della prostituzione. Magari don Vincenzo da Salerno sa pure che i nigeriani sono la manovalanza, e che dietro c’è la camorra casertana e napoletana. Ma a lui interessa denunciare il “fenomeno”. Agli occhi dei cittadini però – e gli operai sono cittadini prim’ancora di essere operai – questo quadro è realistico e sottoscriverebbero volentieri la lamentazione del filosofo De Luca. E sarebbero pronti a sostenere la tesi che “sono troppi gli immigrati di colore che arrivano e non trovando lavoro si dedicano al malaffare: droga, prostituzione, furti, rapine ecc.”. E se messi alle strette, i cittadini casertani o campani giustificherebbe il camorrismo locale e condannerebbe quello nigeriano, in nome della italianità. Esageriamo? Può darsi.

Salvini è la voce di questo stato d’animo, e il governatore campano lo segue a ruota. Ma Salvini non potrebbe esistere come voce se non ci fosse uno stato d’animo, un sentire comune, diffuso fra i cittadini al nord, al centro e al sud. E c’è un paradosso: mentre gli industriali grandi, medi e persino piccoli, in ogni settore, trovano utile la presenza degli immigrati, a soffrire di questa presenza sono le classi meno abbienti, logico quindi che viene ad alimentarsi un razzismo di questi settori e si arriva all’assurdo di scaricare sul “caporalato” la responsabilità di uno sfruttamento nei confronti dei propri simili. Persino organizzazioni che si autodefiniscono di estrema sinistra additano al caporalato i nefasti del razzismo nei confronti dei braccianti di colore. Insomma il nemico è il nigeriano che si comporta da caporale. Si chiude così il cerchio.

Il grande assente è il dio capitale, ovvero quell’insieme di rapporti impersonali dell’accumulazione di cui fanno le spese gli ultimi. Sicché i poveri immigrati finiscono sfruttati per un verso, odiati e disprezzati, per l’altro. Quel che è peggio è che il razzismo proletario viene percepito e denunciato, mentre quello del capitale non compare e perciò non viene combattuto. Sicché sarebbero razzisti i lavoratori, i disoccupati e gli abitanti delle periferie delle nostre metropoli, e tutt’al più settori di ceto medio che vivono con fastidio la loro presenza.

Lo Stato in questo tipo di rapporti arriva per ultimo: prima ci sono le leggi dell’accumulazione, poi gli industriali, poi ancora i mezzi di informazione che alimentano la campagna d’odio nei confronti degli sfortunati ed infine magistratura e forze dell’ordine, dunque lo Stato, a garantire lo status quo.

Orada parte della sinistra in generale e dell’estrema sinistra in particolare si dice che le ragioni per cui gli immigrati vengono in Italia (e nel resto d’Europa) sono da attribuirsi alle guerre, alla povertà e alla miseria nei loro paesi, dunque è giusto accoglierli. Di più, si ripete come un mantra che anche il popolo italiano andò a cercar fortuna all’estero. Argomenti troppo deboli per essere sostenuti dai cittadini onesti, in modo particolare fra quelli della nostra classe di riferimento, il proletariato, la quale ha ben altro a cui pensare in questa fase. Più serio, perché più veritiero, quello che la stampa borghese afferma un giorno sì e l’altro pure: «abbiamo bisogno di lavoratori stranieri (sbagliano i sovranisti a negarlo)»[i], tanto per citarne uno a caso.

Ma la vera difficoltà consiste nel fatto che non si può combattere l’immediatezza di un fenomeno con la spiegazione delle cause storiche che lo hanno prodotto. Al cittadino-operaio interessa molto poco sapere delle origini colonialiste dei paesi europei – quando non le giustifica e le apprezza addirittura – perché non gli risolve il problema del momento, che è quello di avere un concorrente fuori della fabbrica e che il padrone lo usa continuamente come arma di ricatto per tenerlo a schiena abbassata. Gli appare più vero, più realistico quello che dice Salvini: sono troppi, sono in concorrenza con i nostri lavoratori, ci prendono le case e se non lavorano rubano e spacciano droga. Lo Stato viene così chiamato in causa “in difesa” del cittadino onesto italiano o anche straniero, contro l’immigrato disoccupato e destinato perciò a rubare o a spacciare. Quando e se necessario, lo Stato sancisce con leggi una situazione di fatto, che diviene stato di diritto.

Il dramma vero, un dramma storico che come correnti marxiste ci trasciniamo dietro da parecchio, è che l’onda barbarica del razzismo sociale è come una frana che travolge anche quelle persone di sinistra che conoscono la storia e le ragioni economiche dell’immigrazione di questa fase, e che – come Vincenzo De Luca – in competizione con Salvini dice le stesse cose caricandole del “carisma” di governatore di “sinistra” della Campania.

Come arginare una valanga di merda così copiosa?

Nella storia umana è già successo più volte che la schiavitù e l’oppressione siano state fatte passare come fenomeni del tutto naturali, perciò razionali. E da sempre c’è stato chi si è opposto condannando senza riserva l’irrazionalità e la bestialità di una parte dell’umanità. Non ci lasciamo impressionare perciò per il fatto che una sinistra si imbarca con tutti i “valori” della destra su una nave che è costretta a navigare nelle acque molto agitate del modo di produzione capitalistico in crisi. Cosa sono dunque quelli che chiamiamo oggi di sinistra? Dei poveri miserandi stralunati, sbandati, disgraziati che legati a un passato ideologico privo di fondamento materiale, vengono attratti dalle peggiori schifezze che le leggi del mercato, il dio capitale, impone loro. Il nemico è sempre lo stesso.

Non inneggiamo perciò all'azione ipocrita e strumentale dell’Onu, sostenuta dalla sinistra storica e meno storica, che nasce dalla necessità di tenere in equilibrio l’intero sistema ancora a trazione occidentale, e che le posizioni alla Salvini potrebbero mettere a rischio, per le ragioni sopra esposte: se si privano di una valvola di sfogo alcuni paesi, in modo particolare mediorientali e africani, c’è il reale rischio che cresca in essi la tensione con conseguenze incalcolabili per l’intero sistema. Così come non inneggiamo al papa Francesco e alla chiesa cattolica perché oltre alle gravissime responsabilità per un passato colonialista, ci sono le responsabilità del presente, quelle che la vedono impigliata nei gangli del potere capitalistico a tutti i livelli e ad altissime sfere. E soprattutto perché nella loro quotidianità hanno un atteggiamento perfidamente ambiguo, che in napoletano suona così: ciacca e ‘mereca, ovvero ti ferisce e ti medica. Mentre il papa parla di sistema iniquo dedito solo all'arricchimento, i cardinali sostengono che l’Italia non può accogliere tutti gli immigrati ed i vescovi si fanno garanti di un’accoglienza simbolica per garantirsi benevolenza da parte degli immigrati in Italia e nei paesi d’origine, tenerli buoni, per mantenere aperto il canale – la famosa valvola di sfogo – come miraggio per “chi scappa dalle guerre, dalla miseria, dalla povertà e dalla fame”. Dunque non ci stiamo occupando di un fatto religioso, dell’esistenza o non esistenza di dio, ma della loro attuale azione che fa da battistrada e sostegno attivo al modo di produzione capitalistico, che tradotto vuol dire sostenere lo sfruttamento e l’oppressione qua e garantire attraverso i missionari nei paesi impoveriti il controllo sociale e il trasferimento di risorse umane e materiali in Occidente, in primis nel vecchio continente. Ancora una volta siamo in presenza di un paradosso: Salvini, un personaggio momentaneo e transitorio, è il razzista, e lo è, ci mancherebbe, l’Onu garante di antirazzismo, mentre la chiesa di papa Francesco passa per essere non una vera corporazione di interessi capitalistici in tutto il mondo, ma una associazione di misericordiosi che tutt’al più avrebbe da farsi perdonare i comportamenti pedofili di alcuni vescovi e cardinali al proprio interno. Curatori di anime? No, curatori di interessi capitalistici attraverso la “cura” dell’anima.

Con freddo realismo dobbiamo dire che Salvini è l’albero dietro cui c’è la foresta, una foresta che conoscono bene tanto l’Onu, quanto la chiesa di Roma, una foresta fatta di popoli, popoli d’Occidente che avvertono l’aria di crisi generale, da cui scaturisce il razzismo sociale che cerchiamo di spiegare.

C’è caos all’orizzonte e i poveri di spirito abboccano agli ami del nazionalismo pescatore con una illusione di fondo, quella di attirare le masse verso un nazionalismo di sinistra, egualitario, ecologista pacifista, e democratico capace perciò di dirigere l’economia in modo diverso dai borghesi reazionari, fascisti, guerrafondai e razzisti.

A questa illusione, tutta soggettivista, che inconsciamente chiama il proletariato a battersi in modo nazionalista, il materialismo storico oppone il realismo analitico del modo di produzione e addita nelle sue leggi economiche il nemico, leggi che si sottraggono all’arbitrio dell’uomo, anzi lo schiavizzano. Per questa ragione ci rivolgiamo alle masse proletarie esortandole a vincere la concorrenza che le contrappone come comunità nazionali, una concorrenza che le equipara a merci, e ritrovarsi come comunità mondiale e costruire così rapporti diversi non più basati sulla competizione ma sulla collaborazione fra gli uomini. Non sarà un pranzo di gala, è messo in conto, ma sono le leggi del mercato che lo porteranno al disastro. D’altra parte i grandi cambiamenti nei rapporti sociali sono sempre intervenuti a seguito di disastri. L’attuale caos ne è solo il preludio.


Note
[i] Goffredo Buccini, La partita dei migranti, Corriere della sera, 20 settembre 2018, p. 38.

Comments

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michele castaldo
Thursday, 27 September 2018 17:13
La locuzione che uso nel mio articolo si riferisce all'attuale contesto dell'accumulazione in Occidente fortemente attaccato dalla concorrenza asiatica. Diversamente va interpretato - l'esercito industriale di riserva - per la fase di straordinaria ascesa del modo di produzione capitalistico, come la tratta dei neri in America del nord. In punto chiave è che il Capitale - cioè l'insieme dei rapporti produttivi - mentre tende al massimo profitto da reinvestire nella fase di espansione, nella fase attuale tende al massimo profitto per "tenersi a galla", cioè in competizione. Resta valida la costante, mentre si relativizza il suo rapporto.
Michele Castaldo
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ndr60
Thursday, 27 September 2018 13:10
Sulla nozione di immigrati=esercito industriale di riserva le opinioni, anche a sx, sono molto divergenti. Per altri, infatti, il rapido declino del salario, tra gli operai, non è dovuto all’esercito industriale di riserva ma al ciclo espansione-crisi tipico dell’economia capitalistica e alle crisi finanziarie (Mauro Vanetti su Wumingfoundation). E quindi, chi ha ragione?
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