Collettivismo… forzato?
di Nico Maccentelli
Una delle critiche più ricorrenti che gran parte della sinistra, dagli euroglobalisti a certi “antagonisti”, rivolge a chi va in piazza contro il green pass e l’obbligo vaccinale è quello di essere individualista, individui che pensano solo a se stessi, a cui non frega nulla della pandemia e che quindi non hanno alcuna responsabilità per la salute pubblica, senza una visione collettiva della società. Articolando questa critica su un piano più teorico, i “no vax” sarebbero degli autentici esegeti del liberalismo borghese. Ma è davvero così?
Il movimento no green pass nel suo complesso, dunque, per chi sbandiera modelli di collettivismo da realismo socialista sarebbe dunque espressione di tante ambizioni e rivendicazioni individualistiche. Di fatto i nostri “collettivisti responsabili” tirerebbero fuori niente po’ po’ di meno che John Stuart Mills (1806-1873) il filosofo ed economista britannico che con la sua visione utilitaristica sarebbe il padre del liberalismo moderno, ossia la libertà e l’autonomia dell’individuo in opposizione allo Stato e al suo potere di controllo sociale e sulle individualità.
In pratica rivendicare una libertà (non la libertà totale, questo è il primo enunciato truffaldino dei nostri) come quella di dissentire, di avere dubbi e quindi di non accettare il ricatto statale di questo tipo di vaccinazione, sarebbe una rivendicazione di tipo liberale borghese. Si potrebbe già replicare col fatto che la questione in realtà è sul terreno dell’efficacia immunizzante o meno di questi vaccini e che è evidente che se da un vaccino dipendesse la vita di tutti il discorso cambierebbe. Quindi, altra replica elementare sarebbe sul carattere teleologico di tale scienza, questa sì non certo neutrale e del tutto liberal borghese, tutt’altro che finalizzata al bene comune, ma ai lauti profitti di multinazionali come la Pfizer: la multinazionale farmaceutica con il record di risarcimenti miliardari per farmaci nocivi (affidereste mai vostro figlio undicenne a un pedofilo?).
Ma la questione vera è che è falso che questo movimento rivendichi la libertà totale dell’individuo sullo Stato e la collettività. Non è una questione ideologica, ma di reazione a come e cosa è stato imposto in specifico a tutta la comunità e all’individuo stesso. Tanto è vero che questa reazione è caratteristica di persone di ogni tipo di ideologia e cultura.
Andiamo comunque a verificare sul campo se questo movimento sia espressione di un individualismo collettivo eretto a fenomeno sociale. Già il binomio individualismo collettivo è un ossimoro. E qui emerge la seconda truffa retorica, che nasconde un approccio per nulla marxiano e del tutto sociologico, da parte di coloro che oltre all’individualismo aggiungono classificazioni come fascisti, terrapiattisti, no vax in genere, ossia tutto l’armamentario semantico del pensiero unico che oggi sta attaccando con i media e l’industria culturale schierata i resistenti ai vaccini e al green pass con lo scopo di distrarre dalla vera contraddizione che sta creando conflitto sociale e di dividere nella solita guerra tra poveri, tra cittadini la popolazione stessa.
Per verificare, partiamo da una comparazione molto semplice. Prendiamo un operaio. Supponiamo ciò che è nella normalità delle cose: ciò che guadagna non è sufficiente per sbarcare il lunario, è a rischio licenziamento e le condizioni di lavoro sono malsane. Cosa fa? Si ribella. Ma come? Si unisce ad altri operai e lotta. Fior fior di marxisti a questo punto sfodereranno il “movimento operaio” e, se c’è un progetto di cambio di società, il “movimento comunista”.
Secondo termine della comparazione. Prendiamo lo stesso operaio, ma potrebbe essere un impiegato, un artigiano o un commerciante. Non vuole sottoporsi (a torto o a ragione) a un trattamento sanitario impostogli: non si fida, non è convinto, ha paura. Cosa fa? Si unisce ad altri come lui e lotta. Qui però il movimento per i nostri collettivisti, per magia, non ha più un carattere collettivo. E invece la dimensione collettiva c’è, eccome. Ma per il primo si tratta di lotta di classe. Per il secondo ci si ferma furbescamente a una facile sociologia di superficie.
Nel caso delle soggettività no green pass, va sottolineato che Stuart Mills e l’individualismo c’entrano come i cavoli a merenda. Infatti, non solo la difesa del proprio corpo diviene la difesa di tanti corpi ed espressione un’idea collettiva di società dove un potere considerato illegittimo non può arrogarsi il diritto di disporre di trattamenti sanitari obbligatori o sotto ricatto. Un’idea parziale, una rivendicazione priva di un progetto generale di cambiamento, ma esattamente come l’economicismo delle lotte sindacali senza il sale della coscienza politica comunista. Ma in questa idea di resistenza sociale (non più individuale) ai diktat di un regime è prevalente la difesa e l’applicazione di quell’insieme di diritti costituzionali calpestati e che vanno dal lavoro alla libera circolazione, a una normale vita fatta di fruizione di servizi. È individualista solo perché non parla di socializzazione dei mezzi di produzione e dittatura del proletariato? Via non offendiamo l’intelligenza delle persone. Sappiamo per altro molto bene che le rivolte sociali nascono quasi sempre da scintille che poco o nulla hanno a che vedere con la totalità delle contraddizioni di classe. Ma le contraddizioni di classe e sociali ci sono sempre.
Per concludere la comparazione tra operaio e soggetto che rivendica la libertà di decidere del proprio corpo, entrambi i termini della comparazione stessa nascono da una contraddizione dell’individuo con l’ambiente esterno: che sia il padrone o lo Stato. Ma in entrambi i casi abbiamo una socializzazione delle condizioni e l’avvio di processi collettivi di soggettivazione che non prevedono soluzioni individuali. Nel caso del movimento no green pass l’aspirazione prevalente è quella di ritornare a una vita normale, libera da condizionamenti di regime. E su questo tema si intrecciano ideologie e religioni, credenze e sapienze di ogni tipo.
Semmai, allora, in entrambi casi la direzione verso un cambio sociale è data dalla qualità e direzione del progetto egemone in tali movimenti, la cultura, l’ideologia, l’identità collettiva, la consapevolezza delle contraddizioni sociali e del nemico che si ha innanzi.
Un altro esempio? Al netto del fatto che i sieri genici non immunizzano e la “responsabilità collettiva” dei nostri quindi va a farsi benedire, c’entra forse l’approccio individualistico di una visione liberale in chi rivendica a sé il diritto di decidere del proprio corpo? Se è così c’entra allora anche quella della donna che rivendica il diritto alla sovranità individuale sul proprio. Per decenni il movimento femminista si è battuto attraverso potenti leve biopolitiche che rompevano con il ruolo che il sistema capitalistico su cui il patriarcato si è perfettamente innestato, leve che urlavano “l’utero è mio e lo gestisco io”. Il diritto a decidere del proprio corpo non mi pare dunque pertinente a un individualismo egoistico tipico del pensiero borghese, ma tutt’altro a una liberazione da costrizioni che hanno sempre un riferimento ai rapporti sociali di oppressione e dominio nelle più diverse modalità Ed entriamo a questo punto nel campo della biopolitica, ma con un approccio marxiano.
Come non vedere il valore, la cifra libertaria e biopolitica della lotta contro l’obbligo vaccinale di vaccini che non funzionano, contro le costrizioni discriminatorie finalizzati entrambi imporre l’autorità e il dominio del potere classista sui corpi individuali e su un intero corpo sociale? Questa è la questione che dobbiamo porci come marxisti. Perché ciò che sta avvenendo negli ultimi due anni ha molto a che vedere con un’immane ristrutturazione economica e sociale da parte di un capitalismo putrescente che “risolve” le sue crisi attraverso cure d’urto, come ha sviscerato Naomi Klein nel suo saggio Shock economy. E allora la questione vista con queste lenti, pone il movimento no green pass legittimamente dentro un’analisi di classe, delle contraddizioni che attraversano l’intero sistema mondo del capitale.
Chi in questi ultimi anni ha criticato l’alterglobalismo dei movimenti femministi, il “dirittoumanitarismo”, non è un caso che poi alla fine approdi a un socialismo filocinese, a farsi esegeta di una società alter-capitalista del controllo pervasivo. Quando di fatto è su questo terreno che attraverso la pandemia, il capitale ha iniziato ad attaccare la classe e le popolazioni. Un mostro che si amputa di quelle parti che sino ad oggi hanno regolato la lotta di classe nelle metropoli imperialiste con la democrazia borghese e i vantati “diritti civili”, che si libera dell’orpello del 1789, della sua Rivoluzione borghese che aveva mene universalistiche, lasciandone solo l’involucro, secco, la pelle del rettile per dare vita a qualcosa di nuovo e di orrido.
Sappiamo poi che le contraddizioni sociali e di classe emergono in modo non certo lineare e ciò che il sociologismo di certi marxisti ortodossi non vede è il carattere di classe di questo conflitto sociale in atto. Non viene visto perché non viene compreso il piano generale che i settori dominati del potere capitalistico, delle oligarchie hanno messo in moto da decenni e che oggi con questa gestione pandemica coronano. Ho trattato la questione in altri miei scritti su Carmilla e non mi ripeterò. Mi limito a osservare che siamo in presenza di un “triello”: capitale oligopolistico finanziario e delle multinazionali il primo, piccolo e medio capitalismo territoriale il secondo, proletariato e ceti sociali precarizzati il terzo.
Ma di più, siamo di fronte a un piano globale che i centri di potere del capitale a livello internazionale hanno messo in atto operativamente e successivamente alla bolla finanziaria sul finire del 2019 in una condizione di generale crisi capitalistica e di progressiva ipertrofia monetaria. Condivido l’analisi di Fabio Vighi in Varianti e inflazione: cronaca di una demolizione controllata, che potete leggere su La Fionda. E a quei ragionamenti vi rimando.
Pertanto, un approccio marxiano a tutta la questione non può prescindere: uno, dalla relazione tra crisi del capitalismo e uso biopolitico del covid per manipolare i mercati come controtendenza alla crisi stessa, ormai piuttosto grave e irreversibile; due, dalla contraddizione oggettiva tra questa biopolitica del controllo e delle restrizioni finalizzata a ristrutturare le catene del valore e dall’altra la resistenza popolare a questa biopolitica autoritaria, che la pone oggettivamente sul terreno della lotta di classe tra capitale e lavoro, tra modello implosivo di un capitalismo putrescente e vaste masse popolari prive di mediazioni e patti sociali alla ricerca di percorsi vitali libertari attraverso un ribellismo generalizzato. Una liberazione dei propri corpi, delle libertà di movimento, di rifiuto delle selezioni, discriminazioni, tracciamenti algoritmici, valutazioni, schedature, inibizioni, divieti, che hanno superato il limite di una normalità riconosciuta e accettata. Stavolta per scaldare la pentola d’acqua con la rana è stato usato il lanciafiamme.
Intanto però va detto che il movimento contro il green pass e le restrizioni liberticide del governo Draghi non si esauriscono nelle piazze, ossia nelle mobilitazioni che si susseguono a ondate, come del resto in Europa e in altre metropoli e nazioni. La Resistenza popolare trova un suo terreno di iniziativa proprio a partire dai luoghi di lavoro e del territorio. E qui in concreto si definisce tutta la caratteristica specifica della lotta di classe di questo movimento. L’avanguardia politica, così come storicamente ha il compito di superare le barriere di un economicismo nelle lotte operaie e di politicizzarle, anche nella questione del green pass deve saper strappare alle organizzazioni borghesi l’egemonia sul comune terreno (tra lotte operaie e lotte popolari) della lotta al neoliberismo e al suo più pericoloso piano globale mai avuto e già poco sopra menzionato, di ristrutturazione dell’economia capitalistica e della società stessa.
Se vogliamo allora parlare di collettivismo, dobbiamo vedere cosa accade nella Resistenza popolare al green pass, come si vanno organizzando contro questo attacco neoliberista le casse di resistenza, gli sportelli del lavoro, le lotte per il reintegro dei sospesi, le marce collettive spontanee come in Veneto, le assemblee come a Ravenna, il lavoro straordinario anche sul piano della critica scientifica della rete studentesca contro il green pass: una faccia della medaglia che evidentemente qualcuno non aveva considerato nella propria vulgata superficiale su terrapiattisti, no vax e fascisti.
Si può pensare qualsiasi cosa sui vaccini, ma se non si comprende questa configurazione sociale della lotta di classe, del “triello” prima menzionato, non si può poi avere una chiave di lettura marxianamente corretta della “situazione concreta”, delle contraddizioni sociali e quindi in specifico un’analisi corretta del movimento no green pass. E si finisce pigramente nel comodo sociologismo.
Ma peggio: si finisce con l’assumere posizioni decisamente reazionarie e aiutare nel suo piano il “re di Prussia”, ci si riduce a diventare veri e propri ascari del peggior capitalismo globalista anche sventolando le migliori bandiere rosse e cantando bella ciao.
E la cosa assume toni ancor più patetici se si finisce con l’accostare in modo fuorviante la scienza capitalistica a quella scienza sociale e socializzata come a Cuba, dove il collettivismo c’è sul serio. Se si finisce, “grazie” a questo accostamento impossibile, con l’accettare la gestione pandemica fatta qua, facendo di tutta un’erba un fascio con quella fatta da paesi la cui ricerca, i cui laboratori e le cui campagne vaccinali hanno finalità realmente collettivistiche, hanno come scopo supremo la salute pubblica e non il profitto. Dove la campagna vaccinale non ha per finalità la discriminazione e ricatto a fini di controllo sociale. Un tragico abbaglio fatto da chi accosta i sieri genici mRNA ai vaccini tradizionali, da chi confonde l’uso che dei vaccini ne viene fatto qua con quello fatto a Cuba.
Non è un approccio ideologico: il diritto di critica è un diritto inalienabile e il dubbio è alla base della scienza stessa. Ma in tutta questa operazione da parte dei nostri “collettivisti responsabili” questi due fattori essenziali per una teoria e una prassi comuniste si sono persi per strada in una rutilante confusione.
Retaggio del peggior socialismo reale? Contraccolpi di un diamat mai morto? So solo che certe coazioni a ripetere non muoiono mai. E resta il fatto che gran parte dei comunisti nostrani in tutta questa vicenda del bio-fascismo che avanza hanno dato il peggio di loro stessi. Hanno tirato fuori antiche tirannie senza avere stavolta il potere per attuarle, ma solamente per vessare chi ha provato tra noi a portare un po’ di critica politica nel dibattito, precludendo dall’alto ogni possibilità di confronto.
Invece di vedere questa immane tendenza generalizzata, direi planetaria a un totalitarismo ipertecnologico dei mercati, irridono a chi rivede certe intuizioni di Michel Foucault e sdoganano (non è un caso) il revisionismo cinese da Deng Xiaoping ad oggi, questo Frankenstein tra burocrazie mandarine e tycoon, spacciandolo per socialismo. Dove la “patente a punti” del credito sociale cinese si configura come una modalità di controllo pervasivo dove i diritti più basici sono regolati dal merito e dal comportamento e che traccia la strada anche al nostro sistema che con il green pass sta muovendo i primi passi verso quella direzione. E questo, no grazie, non è il tipo di società “collettivista” che vorrei né qui né altrove.
E l’altrove cinese odierno non è il tipo di socialismo che mi esalta, sapendo che socialismo non è in ogni caso, ma una modalità diversa di dominio del capitale sul lavoro che esce dalla fabbrica e dai campi con modalità ipertecnologiche per permeare nel controllo sociale e individuale ogni ambito della nostra esistenza. C’è modo e modo di fare capitalismo, di estrarre plusvalore, a seconda del tipo di borghesia con cui si ha a che fare (che abbia la proprietà giuridica dei mezzi della riproduzione sociale o meno).
Il cigno nero che è arrivato a sconvolgerci la vita, tutto sommato, tra le immani tragedie e gli orrori sociali che sta producendo con la sua gestione capitalistica, ha fatto emergere anche le tare teoriche, politiche e metodologiche ancora presenti in gran parte delle soggettività comuniste nel nostro paese.
Comments
"Ma dove trova fondamento l'arrogante pretesa che la Cina faccia la rivoluzione per noi o si sacrifichi anima e corpo per noi?"
Nessuna pretesa. Ma che almeno non dia armi agratis a Duterte o sfrutti le popolazioni africane (https://ilmanifesto.it/gli-schiavi-bambini-del-coltan-in-congo/). Nonchiamiamolo socialismo. E sul miliardo uscito dalla povertà, ho già risposto sullo sviluppo del capitalismo. Il marxismo non si pone l'obiettivo di sviluppare le forze produttive, ma di fare la lotta di classe e socializzare i mezzi di produzione. Lo sviluppo è in funzione della lotta d classe. I cinesi e la loro "società armoniosa" hanno ripudiato le contraddizioni e la lotta di classe per il confucianesimo. Poi se lei ci trova le "magnifiche sorti" di un "socialismo" dalle caratteristiche sue proprie, io proprio non so che farci. Ma almeno non insulti l'intelligenza di quei tanti militanti di quei partiti comunisti di quei popoli di cui lei Galati ne descrive l'uscita dal neocolonialismo, che la lotta di classe la fanno tutti i giorni e che vivono nella tortura, nelle sparizioni, nell'illegalità, sparati magari proprio da quelle armi del soccccccialismo cinese!
“La Cina si impadronisce delle nostre materie prime e ci vende prodotti finiti (…) Questa è proprio l’essenza del colonialismo. L’Africa sta spalancando le sue porte a nuove forme di imperialismo (…) La Cina, per esempio, ormai non è più una economia sorella del mondo sottosviluppato ma è la seconda economia più forte del mondo, un gigante capace di esprimere le stesse forme di sfruttamento che ha adottato l’Occidente nel passato… servono scelte coraggiose, dobbiamo produrre in Africa e allo stesso tempo respingere importazioni cinesi frutto di politiche predatorie”. [Lamido Lanusi, governatore della Banca Centrale della Nigeria]
https://ilmanifesto.it/gli-schiavi-bambini-del-coltan-in-congo/
notoriamente giornale della CIA
Sono capitato per caso su questo film, di cui consiglio caldamente la visione. Non tanto per il valore estetico in sé anche perché (de gustibus non disputandum est) l’estetica filmica è un concetto estremamente “fluido” già per pellicole nate alle nostre latitudini (Sergio Leone docet e il giudizio di un italiano del cavolo come me conta per quello che conta, ovvero nulla).
E neppure per il messaggio e il linguaggio, il codice linguistico, che sono tipicamente cinesi, come è giusto che sia (così come, per esempio, Smetto quando voglio è un film italiano per italiani).
Neppure, oserei dire, per la ricostruzione caricaturale del passato (anche se è una ricostruzione autoctona, con imprimatur diretti delle autorità centrali a capo della produzione e della distribuzione, e questo dovrebbe comunque far riflettere).
Lo consiglio a tutti perché è dell’anno scorso, quindi recentissimo. E parla di un passato ormai remoto (1981) e più prossimo (2001) per i cinesi di oggi, che sono i due tempi in cui si svolge l’azione. E, se proviamo per un attimo a fare un esercizio, che per Fosco Maraini era diventato regola di vita, ovvero di diventare Cit.Lu.V.I.T. (Cittadini della Luna in Visita d’Istruzione sulla Terra), sicuramente troveremo argomenti e contenuti molto interessanti di cui prendere nota e su cui riflettere.
Il tutto, come sempre quando mi accade qualcosa, è avvenuto per caso. La domanda era innocente e pour parler con una collega di Shanghai su una cosa che non sapevo, visto che ormai nelle mail impazzano gli auguri per il capodanno cinese:
"Gli ex-sovietici hanno Ironija sud'by (Ironia della sorte), a noi ci propinano Una poltrona per due e i film di Stanlio e Ollio... voi avete qualche film “rituale” per il nuovo anno (inteso sia come 31 sia come il loro capodanno che quest'anno cade il primo febbraio, anno della tigre, 老虎 laohu, ovvero di tutti quelli che compiranno 0-12-24-36-48-60-72-84-96-108-120 anni di età)?"
Mi ha risposto dicendo che no, niente film propiziatori, loro vanno al cinema e si vedono ogni anno un film diverso... niente u nas est' tradìcija ("noi abbiamo una tradizione", come cerca di spiegare l'ubriaco protagonista moscovita di Ironija sud'by alla malcapitata biondina che se lo trova in casa… a Leningrado!). E mi ha consigliato "你好,李焕英" (Ni hao Li Huanying, Ciao Li Huanying, cognome e nome della mamma della protagonista, "ciao mamma" Hi, mom nella (pochissima) distribuzione all'estero, cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Hi,_Mom_(2021_film) , visto che era andata a vederlo l’anno scorso e le era piaciuto tantissimo.
Lei e qualche altro centinaio di milioni di connazionali, oltre cinque miliardi di RMB di incasso in pochi mesi, record su record, secondo incasso di sempre. Così, sempre pour parler, i russi ce l'hanno e coi doppi sottotitoli (Привет, мам (2021) mandarino e inglese)
https://vk.com/wall-64180366_3987
(pour parler, perché sono sicurissimo che invece chi lo vedrà è perché detiene legalmente il DVD originale, peraltro mai distribuito nel nostro belpaese…)
Trama abbastanza semplice: giovane figlia "sfigata" dei primi del 2000 sul letto di morte della madre si trova magicamente portata indietro nel 1981, un anno prima della sua nascita, e conosce sua madre da giovane, e cerca di influenzarla nelle scelte future perché faccia una vita felice. Nel lavoro, nella vita coniugale (portando a casa un buon partito, ovvero il figlio del capo della fabbrica locale), eccetera. Commedia agrodolce, a tratti melensa (per un gusto occidentale, ma c’è sempre “>>” all’occorrenza), nel complesso godibile anche da noi, con gli ultimi dieci minuti che a mio parere sono “cinema” anche per i palati più esigenti, CitLuVIT o no.
Guardatelo, le domande saranno molteplici, in positivo e in negativo. Anche quella "perché questo film è stato il secondo più visto di sempre in Cina". Vale tutto. Non mi resta che augurarvi
Buona visione!
Paolo
Però non mi ha risposto riguardo l'integrazione tra finanza, tra economie USA e Cina. Guardi, non sono un integralista che va a vedere sui cencelli del marxismo cos'è il socialismo e meccanicamente deve essere così. Certamente occorre considerare che ogni specifico contesto ha le sue modalità di transizione. In Cina però sul piano della socializzazione dei mezzi della riproduzione sociale si è tornati indietro dal 1976 ad oggi. Ossia dal denghismo fino a Xi Jinping. Tanto è vero che questa integrazione non ha nulla di tattico a segue i canoni dell'accumulazione capitalistica, della formazioni di ceti borghesi, di élite nelle quali si concentra gran parte della ricchezza sociale. Dunque di che socialismo si parla? Ha senso parlare di socialismo? Perché alla guida del paese c'è un partito che si autodefinisce comunista? Anche Pol Pot si definiva comunista e allora? E proprio la questione del partito è un aspetto fondamentale. In quel partito ha vinto la frazione borghese, la Rivoluzione Culturale maoista ha perso e va fatta un'analisi di classe su cosa sia quel partito in tutta la sua traiettoria in oltre 45 anni. Mi dispiace ma per comprendere se la strada di un paese va verso il socialismo o meno, il mio metro è il soviettismo, o consiliarismo, la democrazia socialista che esprime l'egemonia delle classi popolari, senza spacciare una camera di compensazione tra interessi forti burocratici e privati come la capacità di un partito comunista di tenere a bada i capitalisti predoni, che in modo surreale e inspiegabile per i "compagni filocinesi" continuano a proliferare in Cina. Comunque, caro Galati, sono in buona compagnia, dato che nel mondo esistono partiti comunisti che hanno una chiave di lettura della Cina molto simile alla mia. Il mio approccio comunque non è dogmatico, ma mantiene comunque un metro marxista-leninista per comprendere situazioni come quella cinese: rimando ai miei interventi su Carmilla riguardo la Cina.
Quando non vedrò più operai bastonati e messi in galera come nella vertenza della Jasic nel 2018 e in tante altre situazioni, solo perché vogliono un sindacato indipendente per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro, allora se ne potrà riparlare. E come vede, mi fregherebbe assai poco se questo accadesse a dei piagnucolosi possidenti.
Io suggerirei un po' più di senso della misura e con questo possiamo mantenere anche il giusto e sacrosanto atteggiamento critico.
Però non mi ha risposto riguardo l'integrazione tra finanza, tra economie USA e Cina. Guardi, non sono un integralista che va a vedere sui cencelli del marxismo cos'è il socialismo e meccanicamente deve essere così. Certamente occorre considerare che ogni specifico contesto ha le sue modalità di transizione. In Cina però sul piano della socializzazione dei mezzi della riproduzione sociale si è tornati indietro dal 1976 ad oggi. Ossia dal denghismo fino a Xi Jinping. Tanto è vero che questa integrazione non ha nulla di tattico a segue i canoni dell'accumulazione capitalistica, della formazioni di ceti borghesi, di élite nelle quali si concentra gran parte della ricchezza sociale. Dunque di che socialismo si parla? Ha senso parlare di socialismo? Perché alla guida del paese c'è un partito che si autodefinisce comunista? Anche Pol Pot si definiva comunista e allora? E proprio la questione del partito è un aspetto fondamentale. In quel partito ha vinto la frazione borghese, la Rivoluzione Culturale maoista ha perso e va fatta un'analisi di classe su cosa sia quel partito in tutta la sua traiettoria in oltre 45 anni. Mi dispiace ma per comprendere se la strada di un paese va verso il socialismo o meno, il mio metro è il soviettismo, o consiliarismo, la democrazia socialista che esprime l'egemonia delle classi popolari, senza spacciare una camera di compensazione tra interessi forti burocratici e privati come la capacità di un partito comunista di tenere a bada i capitalisti predoni, che in modo surreale e inspiegabile per i "compagni filocinesi" continuano a proliferare in Cina. Comunque, caro Galati, sono in buona compagnia, dato che nel mondo esistono partiti comunisti che hanno una chiave di lettura della Cina molto simile alla mia. Il mio approccio comunque non è dogmatico, ma mantiene comunque un metro marxista-leninista per comprendere situazioni come quella cinese: rimando ai miei interventi su Carmilla riguardo la Cina.
Quando non vedrò più operai bastonati e messi in galera come nella vertenza della Jasic nel 2018 e in tante altre situazioni, solo perché vogliono un sindacato indipendente per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro, allora se ne potrà riparlare. E come vede, mi fregherebbe assai poco se questo accadesse a dei piagnucolosi possidenti.
Un suggerimento: gioisca per i risultati ottenuti dalla Cina con la guida del suo partito comunista. In caso contrario, l'accusa di libertarismo piccolo borghese e liberale alla quale intende sottrarsi e sottrarre i critici della gestione pandemica in Italia e in Occidente, con argomenti anche buoni e validi, sarebbe ben fondata.
Come più complesso è il giudizio sui risultati raggiunti indistintamente dalla Cina e paesi come la Corea del Sud: la prima su di un piano di autonomia e di lotta anticoloniale e la seconda come dipendenza, vassallo e bastione dell'imperialismo e suo strumento. E in ogni caso, i risultati non sono minimamente paragonabili per le dimensioni, ma anche per la qualità.
Quanto al social credit system, dovremmo documentarci meglio, perché, da quel che so io, ad oggi riguarda le imprese e non è obbligatorio per gli individui. Un sistema del genere da noi vige da anni nel sistema bancario.
Per il resto, difendo il socialismo reale e la Cina, ma come vedi, e tanti altri come me, comprese organizzazioni partitiche, non mi trovo certo a difendere green pass, vaccini NATO, Pfizer, Draghi. Il nesso da te stabilito con il retaggio politico-culturale del socialismo reale, così come filtrato da molti compagni, non è peregrino ed è da considerare. Ma non è automatico, né corretto in se stesso.
La Cina, infine se ne fotte dell'internazionalismo: va dove si fanno buoni affari e si crea un vantaggio competitivo. Non ha nemmeno più la foglia di fico sovietica del sostegno alle lotte di liberazione nel terzo mondo e che univa l'utile all'ideologico.
Potrei continuare ponendo a mia volta altre questioni, ma non mi sembra opportuno.
https://thethaiger.com/news/regional/philippines/china-donates-us19-5-million-worth-military-equipment-to-philippines
Il titolo è: "China donates US$19.5 million worth military equipment to Philippines"
Armi cinesi di fatto contro la guerriglia comunista maoista. Basta questo. Abbiamo già detto tutto.
Saluti
Non intendevo approfondire una discussione sulla Cina, visto che non è al centro dell'articolo.
Ma, a questo punto, mi tocca spiegare la mia posizione.
Guardiamo le cose da un orizzonte storico e spaziale più ampio: La Cina sta realizzando La Grande Convergenza, ossia l'eliminazione dello scarto tra cosiddetto primo mondo ed (ex) mondo coloniale. È un fatto storico di valore epocale: La fine di un'era, l'era colombiana.
Questo fatto significa l'uscita dalla subalternità per un'enorme fetta di umanità.
Ma questo fatto incide enormemente anche sulla prospettiva socialista nel nostro mondo capitalistico occidentale, poiché, eliminando le rendite e i superprofitti coloniali o neocoloniali, ne impedisce la distribuzione di una parte alla classe lavoratrice occidentale per ottenerne la complicità nello sfruttamento ed oppressione globale (il compromesso socialdemocratico, colonialista). Viene meno, per i lavoratori occidentali, La possibilità di migliorare la sua condizione accordandosi con i capitalisti a spese di altri popoli. Dovrà pensare più seriamente a combattere i suoi capitalisti. Il terreno per l'azione rivoluzionaria e non opportunista è più adatto. La Cina fa bene alla rivoluzione anche da noi.
Finisce il suprematismo bianco occidentale, La faccia ideologica dello sfruttamento, sotto qualunque forma. Per parafrasare Lenin: gratta gratta e sotto l'antirazzista, dirittumanista da “bomba umanitaria”, democratico “da bomba umanitaria”, ambientalista da “decrescita felice” (neo malthusianesimo col messaggio: poveri è bello. Cinesi, rimanete poveri), trovi il suprematista bianco occidentale (per inciso, lo si trova anche nell'atteggiamento tenuto dall'Occidente verso la Cina nella vicenda pandemica). Perché escludere che ciò non ci riguardi anche come pretesi socialisti e marxisti, vista la faccenda dell'opportunismo socialdemocratico? Non è che, gratta gratta, sotto il marxista anticinese che sale in cattedra trovi il socialdemocratico suprematista occidentale? Certo, richiamarsi ad una realtà piccola e resistente come Cuba dovrebbe fugare ogni dubbio a carico di costoro. E invece li conferma, atteso che ciò che si mette sul piedistallo è una piccola realtà resistente, ma non vincente e vasta come quella cinese. Tutto sommato, Cuba è inoffensiva, mentre la Cina è pericolosa (i comunisti perdenti sono buoni, i vincenti cattivi; versione del detto "Gli unici comunisti buoni sono quelli morti").
Questo processo epocale è guidato dal partito comunista cinese e dovremmo esserne orgogliosi e rivendicarlo come nostro. E invece no, si bolla come capitalismo: il colonialismo è capitalismo e l'anticolonialismo è anche capitalismo.
Tutto ciò La Cina lo sta realizzando anche col ricorso a strumenti capitalistici e con grandi contraddizioni.
Dopo questa visione storica (dentro la quale ci possono stare tutti i fatti e gli avvenimenti particolari più disparati, contraddittori e in se stessi negativi), alcuni fatti:
La Cina ha sottratto alla povertà circa 800 milioni di persone. Se sembra una cosa da nulla e non riguarda anche il socialismo, non so che dire. se La Cina è capitalista, allora il merito è del capitalismo: chi lo afferma non si rende conto che sta facendo l'apologia del capitalismo;
la Cina ha aumentato La sua superficie boschiva verde attraverso un piano pubblico;
La Cina è all'avanguardia nelle tecnologie ambientali.
In generale, la Cina ha elevato le forze produttive, ma non avrebbe potuto farlo senza acquisire la tecnologia occidentale. E non l'avrebbe acquisita senza aprire al capitalismo occidentale e sacrificarsi per un certo periodo.
Non si può costruire il socialismo senza elevare le forze produttive, a meno di non volere il socialismo della miseria.
Quando rimaniamo delusi dalla forma che il processo storico ha assunto in Cina è perché proiettiamo su di essa le nostre aspettative messianiche di instaurazione immediata di una società ideale. Ma la storia è processo, più lungo ed eterogenetico di quanto non vorremmo.
Quanto alla democrazia, in Cina non ci sono i soviet, ma una forma di democrazia ancora in costruzione. Ma democrazia socialista, non democrazia parlamentare borghese. Questa forma diversa di democrazia esiste già adesso. Prima della riunione dell'assemblea nazionale che approva le leggi si effettua un'ampia consultazione dal villaggio, al quartiere, alla provincia. in un caso sono stati presentati dal popolo migliaia di emendamenti alla proposta di legge e circa 900 sono stati accolti e inseriti. Vorrei vedere da noi questa partecipazione diretta del popolo alla formazione delle decisioni.
Altra considerazione: la Cina vuole costruire uno stato di diritto socialista (non capitalistico). Ciò avviene in una parte del mondo priva di tradizione in tal senso.
Infine: il partito comunista cinese ha guidato la più grande rivoluzione anticoloniale della storia e sta guidando la seconda fase di questa rivoluzione, quella del consolidamento, della costruzione economica, verso il socialismo. Discutiamone quanto vogliamo, ma non dimentichiamo questo fatto.
Il capitalismo ha fatto uscire dalla condizione di semi servitù l'umanità intera.
E quindi? Marx lo ha analizzato bene. Infatti suoi limiti eurocentrici e sviluppisti derivano da questo.
Ma cosa vuol dire… nulla.
Lo scarto tra primo mondo e resto del mondo lo ha colmato lo sviluppo del capitalismo.
Nessun socialismo da nessuna parte.
Semplicemente estensione geografica della forma merce come sistema.
Infine il fatto che occidente povero in quanto mondo emergente avanza sono delle bestialità mai sentite.
A. Il capitalismo non è un insieme chiuso bensì in sviluppo. Quindi in progressione.
Quindi la somma del benessere materiale sempre in aumento.
Infatti il pil mondiale cresce ogni anno.
Non essendo chiuso e statico, caro Galati ti sbagli.
B. Basta un qualsiasi rapporto della banca mondiale o fondo mondiale o anche Oxfam per dimostrare la polarizzazione della ricchezza.
Non esiste un travaso dal primo mondo al terzo.
C. Il capitalismo assicura lo sviluppo delle forze produttive. Tutta l'economia classica si basa su questo.
Il marxismo non ha come scopo lo sviluppo delle forze produttive ma la rivoluzione sociale dei rapporti di produzione.
Il capitale è un rapporto sociale.
Il problema, caro Galati è che oltre a tanta mitologia che non vede la catena del valore, dello sfruttamento che parte dai bambini che scavano sottoterra per estrarre il coltan delle più prestigiose marche di smartphone cinesi, per arrivare ai profitti di industrie pubbliche o private del grande paese di Xi, questa visione produttivista e non incentrata sulla natura dei rapporti sociali, questa impostazione tecnocratica ribalta esattamente le sue allusioni alla socialdemocrazia a me indirizzate. La socialdemocrazia ce l'hanno in casa politica e ideologica proprio i filocinesi come lei. E tutto si riassume in una parola: revisionismo.
E' evidente a ogni sincero comunista che l'impostazione tecnocratica sua come quella di altri che vedono nella Cina la grande mamma mitologica non risolve nulla sul piano della lotta di classe, non vede il capitalismo come un rapporto sociale e quindi non affronta la questione epocale sul piano del marxismo. Non c'è molto altro da dire, dopo tutti gli esempi concreti che ho fatto.
Ritorno sulla concezione sottesa a certo rivoluzionarismo preteso comunista e che invece risulta tutto inscritto nella concezione della socialdemocrazia opportunista, della quale è l'altra faccia complementare.
Quando si afferma che compito dei comunisti è sovvertire i rapporti produttivi in senso socialista e comunista e non elevare le forze produttive, cosa che fa benissimo il capitalismo, si fa bella mostra di quella cultura, che non è affatto comunista. Qui non c'è Lenin, ma Kautsky. Innanzitutto, mi meraviglia essere costretto a ricordare un concetto elementare del marxismo: il socialismo non è l'uguale distribuzione della miseria, non è un ideale ascetico di sottoconsumo, non è francescanesimo pauperista. il socialismo si realizza ad un grado di sviluppo elevato delle forze produttive. Nel novecento, però, la rivoluzione si fa nell'anello debole della catena imperialista (per inciso, faccio osservare che in questo anello debole, praticamente in tutto il mondo, il capitalismo c'era già e ci sarà nel corso del '900 con i suoi tentacoli sotto forma di sfruttamento coloniale e neocoloniale, non ce l'ha portato il partito comunista cinese), in paesi arretrati e a base contadina. Queste sono anche rivoluzioni anticoloniali. Secondo Kautsky, Lenin non doveva fare la rivoluzione “contro il Capitale”, poiché essa era un fatto che riguardava le società a capitalismo maturo.
Purtroppo, Lenin non ha osservato i comandamenti del preteso catechismo marxiano e ha fatto la rivoluzione, e così Mao e altri, cioè tutto il movimento comunista anticolonialista del '900. Che cattivi marxisti!
Ma ormai la frittata era fatta e le scelte erano due: o cedere il potere o elevare le forze produttive. Questi cattivi allievi di Marx optano per la seconda ipotesi. Dunque, il compito primario che si poneva per i comunisti che avevano preso il potere in paesi arretrati era di elevare le forze produttive.
Quando si afferma che il compito dei comunisti non può essere questo ma quello di instaurare immediatamente il socialismo o il comunismo, non solo si pecca di messianesimo utopistico, ma si è anche kautskiani fino al midollo, non leninisti. E si stende una pietra tombale sulla stessa origine e storia del movimento comunista novecentesco.
Elevare le forze produttive è un compito rivoluzionario. La rivoluzione non è soltanto un gesto di presa del potere statale, dopo il quale si instaura con immediatezza la società ideale.
Davvero? Anche quello che la Cina fa in Africa è un "fatto particolare"? Si vada a leggere quello che ha scritto il signor Falcao sotto il mio articolo. O è propaganda imperialista?
Ma, a parte questo, è verissimo che la Cina fa una sua politica statale e non si atteggia a base di appoggio dei movimenti rivoluzionari nel mondo. È vero che fa i suoi affari e pensa a rafforzarsi. Ma il suo rafforzamento è necessario per mantenere una prospettiva di cambiamento nel mondo. Il suo ruolo di trasformazione e anche rivoluzionario è oggettivo e va cercato in ciò che ho scritto sopra sulla Grande Convergenza e le sue conseguenze nelle dinamiche mondiali.
Evidentemente vediamo due film diversi. Quello che vedo io è una borghesia burocratica che è in posizione dominante sulle classi lavoratrici cinesi e che gestisce i rapporti sia con il capitalismo interno, che ha contribuito a formare, in un'economia che non è socialista ma di mercato, e che sul piano finanziario, delle filiere è perfettamente integrata con il capitale multinazionale. Il percorso "socialista" non va vero la socializzazione dei mezzi di produzione ma all'opposto dal 1976 in poi ha aperto al capitale privato e la tendenza è la privatizzazione. L'unico argomento è quello della pianificazione e del ruolo dello Stato, ma anche nel fascismo e nel nazismo lo stato avevo un ruolo centrale. Confondere per socialismo una modalità diversa di condurre il business, pensare che questa consorteria di mandarini di partito siano il partito comunista è un grande abbaglio che una parte dei comunisti itaiani hanno preso. E non le metto i casinò con prostituzione annessa che gestisce in Laos nella zona del Mekong.
La socialdemocrazia, sul piano materiale, dei rapporti di classe è comando sulla forza lavoro, esattamente come ha sviluppato il PCI negli anni '70, con il laboratorio emiliano del decentramento produttivo. E infatti non è una caso che i berlingueriano oggi plaudono alla vittoria postuma di Togliatti su Mao (vedi Cremaschi nel suo discorso al convegno della Rete ei Comunisti).
Proprio non ci siamo.
Tutta questa mitologia senza vedere come stanno veramente le cose, ribadisco non fa bene e porta tanti comunisti a una realpolitik socialdemocratica.
"...è verissimo che la Cina fa una sua politica statale e non si atteggia a base di appoggio dei movimenti rivoluzionari nel mondo. È vero che fa i suoi affari e pensa a rafforzarsi. Ma il suo rafforzamento è necessario per mantenere una prospettiva di cambiamento nel mondo. Il suo ruolo di trasformazione e anche rivoluzionario è oggettivo e va cercato in ciò che ho scritto sopra sulla Grande Convergenza e le sue conseguenze nelle dinamiche mondiali."
Ma in questo modo fa confusione tra soggetto che opera per la rivoluzione socialista e una delle parti del capitalismo in conflitto tra loro. Ossia confonde le diverse contraddizioni: quelle tra forze rivoluzionarie e controrivoluzionarie, tra proletariato rivoluzionario e borghesia imperialista e la contraddizione tra forze capitaliste in contrasto tra loro.
Guardi, io penso che si possa fare alleanze tattiche con i nemici dei miei nemici e riguardo alla Cina, anche questo è tutto da dimostrare. Lo vedo più con la Russia. Ma non confondo gli alleati tattici con le forze strategiche della rivoluzione. Lo so che è dura non avere la grande mamma di 50 anni fa, ma bisogna farsene una ragione e non inventarsi paesi rivoluzionari che hanno ampiamente dimostrato di involvere dopo la Rivoluzione Culturale. La metta come vuole, ma la transizione al socialismo non viene definita dalla forestazione di un territorio, ma dalla socializzazione dei mezzi di produzione, dal percorso anche a tappe intermedie che porta a questo e non da processi economici che vanno al contrario di questo.
A continuare a vedere un film sbagliato non fa certo bene alla nostra rivoluzione.
Ma dove trova fondamento l'arrogante pretesa che la Cina faccia la rivoluzione per noi o si sacrifichi anima e corpo per noi? Non è forse un risultato universale togliere dalla povertà e dalla subalternità un miliardo e mezzo di cinesi? Non sono forse uomini? O lo sono di più i lavoratori occidentali per i quali i cinesi dovrebbero sacrificarsi? L'internazionalismo è a senso unico?
Lo ripeto, il solo fatto che la Cina si consolidi e si sviluppi, oltre che un fatto dal Gore universale, è un sostegno oggettivo alla prospettiva socialista e, in ogni caso, sta cambiando il mondo (in meglio).