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quotidianosanita

La sanità, il Movimento 5 Stelle e il rischio privatizzazione

di Ivan Cavicchi

02ee7ec60d0fb13de9d5619404f0c0f3 XLChi ha votato per questo movimento di certo non l’ha fatto per fare il gioco delle assicurazioni e degli speculatori e meno che mai per farsi rubare da costoro i propri diritti. Da nessuna parte del programma di governo sta scritto che bisogna far fuori il Ssn e sostituirlo con il sistema multi-pilastro di berlusconiana memoria. Eppure…

Non so se ricordate l’ultimo mio articolo, quello che, per rispondere al prof. Spandonaro, ho scritto la settimana scorsa, sulle mutue (QS 25 marzo 2019).

Sostenevo che sino ad ora la sinistra di governo (Letta, Renzi, Gentiloni) ha esitato a istituire la “seconda gamba” perché tra le varie cose che impedivano tale eventualità, c’era anche un “dilemma morale”, legato al fatto che fare un cambio di sistema avrebbe avuto pesanti conseguenze negative sulle persone più deboli, sull’acceso ai diritti, sulle diseguaglianze.

 

Una ingenua speranza

In cuor mio speravo, confesso la mia ingenuità, che con un ministro 5 stelle, la possibilità di un ribaltone del genere, fosse improbabile anche se, con un inciso nel mio articolo non escludevo la possibilità, proprio con questo governo, che ciò potesse avvenire:

“Non escludo tuttavia che a un certo punto il “dilemma morale” possa essere superato proprio per disperazione finanziaria. Il rischio a cui andiamo incontro, a causa delle politiche ordinarie di questo anodino ministero della salute, è quello di acuire i problemi di sostenibilità del sistema esponendolo a crescenti gradi di privatizzazione”.

Ebbene questa possibilità, di superare il “dilemma morale”, esattamente per “disperazione finanziaria” in questi giorni è stata messa nero su bianco, da un ministro 5 stelle, nella bozza di Patto per la salute (d’ora in avanti “patto”).

Egli ha di fatto proposto alle regioni una intesa per ridiscutere il sistema universale e istituire la “seconda gamba”.

Si confermano così le tre leggi fondamentali del “”:

- quando in sanità hai dei problemi soprattutto finanziari, e non hai idee, l’unica cosa che devi fare è contro-riformare facendo bene attenzione che a rimetterci siano i più deboli,

- quando non capisci e non sai nulla di sanità fai comunque qualcosa che dimostri che per lo meno sei capace di distruggerla,

- fregatene del “dilemma morale” il problema è galleggiare ma non dimenticare mai di informare i social con dei twitter su qualsiasi cosa che fai durante il giorno dal momento che non hai null’altro da offrire.

 

Il Patto per la salute

Nonostante in questo patto si dichiari in apertura di voler “voltare pagina”, di “guardare al futuro” di “rafforzare lo spirito universalistico ed equitario del Ssn”, di “superare la logica del risanamento” e tante altre belle cose, esso esprime la schizofrenia di una politica sanitaria che non si capisce se è una linea del M5S o il frutto dell’insipienza, di un ministro, incapace di tradurre il mandato ricevuto in un vero cambiamento virtuoso.

Del resto, in entrambi i casi, se non si sa come si rompono le uova e nemmeno come si sbattono, e come si usa una padella, come si fa a fare la frittata?

Vorrei rivolgermi a quella parte del M5S con la quale in questi anni sulla sanità, ho condiviso delle complicità: la linea che emerge dal patto non è in nessun caso obbligatoria e necessaria, cioè non è, a parità di problemi, l’unica strada percorribile, quella che bisognerebbe prendere per forza, ma è ciò che pensa sia giusto fare sbagliando un ministro o chi per lei semplicemente a corto di idee.

Il patto ci dice dei limiti del ministro o dei limiti di chi le da linea, ma in nessun caso ci dice come si possono risolvere davvero senza distruggere i problemi della sanità.

La proposta di patto parla di tante cose alcune anche positive ma quelle davvero notevoli cioè con grandi conseguenze sulla tenuta del sistema pubblico sono tre:

- l’anticipazione di fatto del regionalismo differenziato,

- l’istituzione della seconda gamba,

- una politica per gli operatori molto pericolosa.

 

Anticipazione del regionalismo differenziato

Nella bozza di patto si legge:

- “Si ritiene necessario anche valorizzare il principio di autonomia regionale, consentendo alle Regioni in pareggio/avanzo di bilancio di gestire e modulare i propri fattori produttivi in maniera più aderente alle proprie scelte organizzative”.

- “Per consentire alle Regioni di modulare i propri fattori produttivi in maniera più aderente alle proprie scelte organizzative si rende opportuno concedere una maggiore flessibilità al sistema, pur nel rispetto degli obblighi di finanza pubblica, con riferimento ai vincoli di spesa previsti dalla normativa nazionale”.

Quando, all’indomani dell’incontro sul regionalismo differenziato, con il ministro Stefani, seguirono le dichiarazioni del ministro Grillo (23 gennaio 2019) scrissi un articolo che fece scalpore con il quale accusavo, senza mezzi termini, il ministro della salute di “avallare” il regionalismo differenziato con ciò, sostenendo, che per questa strada si apriva la porta ad una politica che puntava a ridimensionare pesantemente il SSN (QS 24 gennaio 2019).

Dopo di allora la questione “regionalismo differenziato” è stata messa dal governo in stand by, soprattutto grazie all’intervento prudente di Di Maio che temeva di “spaccare l’Italia in due”, ma anche di Salvini che dichiarava la sua contrarietà a fare “cittadini di serie A e di serie B”.

Dalla sanità invece si levò forte la protesta degli ordini (Teatro Argentina 23 febbraio 2019) che chiedeva sulla questione un confronto. Parallelamente, anche grazie ad un appello sottoscritto da 30 costituzionalisti, si faceva strada l’ipotesi, per altro sembra condivisa anche dal presidente della Repubblica, di un passaggio di parlamentare.

Rispetto a questa situazione politica, che si anticipi, in un patto tra regioni e governo, una contro riforma costituzionale ancora tutta da decidere e sulla quale gravano ipoteche politiche grandi come catene di montagne, da par mia, la reputo semplicemente una decisione sconsiderata e che fa sorgere dubbi politici importanti:

- se è una decisione del ministro della salute allora questo ministro è un pericolo politico prima di tutto per il M5S perché a parte le conseguenze sulla sanità, a causa di questa storia, il M5S perderà in questo settore di sicuro un mucchio di voti,

- se questo ministro, come si dice, non decide niente, ma attua linee politiche che vengono dall’alto, allora il M5S sul regionalismo differenziato fa un gioco sporco che, se fosse coerente con il mandato elettorale ricevuto, dovrebbe chiarire.

Vorrei ricordare la definizione ufficiale di patto per la salute data dal ministero della salute: è un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema.

Come si fa ad usare una intesa finanziaria per anticipare una controversa contro-riforma, sulla quale probabilmente dovrà pronunciarsi il parlamento e sulla quale il governo ha deciso, almeno per il momento, di sospendere il giudizio?

Ma possibile mai che il ministro non si renda conto che dare più autonomia e più flessibilità sui fattori produttivi significa dare alle regioni molte delle cose che sono scritte nelle pre-intese sottoscritte da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna?

Possibile mai che questo ministro non capisca che vincolare la maggiore flessibilità solo alle compatibilità finanziarie e non alle leggi di principio di questo Stato significa permettere alle regioni la deregulation senza limiti?

E poi chiedo: come si fa a concedere più flessibilità e più autonomia così genericamente, senza prima esplicitare cosa vuol dire l’una e cosa vuol dire l’altra?

Ripeto il quesito politico:

- se ammettiamo la tesi dell’incompetenza il problema è il ministro della salute,

- se escludiamo l’incompetenza del ministro allora il M5S sulla sanità sta facendo un gioco sporco e i suoi elettori devono saperlo.

 

L’istituzione della seconda gamba

Lo stesso dubbio, ministro e/o M5S, viene quando consideriamo nella bozza di patto l’art. 5 “ruolo complementare dei fondi integrativi al Servizio Sanitario Nazionale”.

Non ho lo spazio per riprodurre tutto l’art. 5 ma invito tutti a leggerlo, mi limito a riassumerne il senso: per ragioni di sostenibilità si istituisce di fatto la “seconda gamba” impegnandosi a cambiare la normativa in essere al fine di estendere e accrescere per i fondi integrativi le agevolazioni fiscali permettendo a tali fondi, per rispondere ai bisogni di salute dei loro iscritti, di utilizzare anche le strutture pubbliche.

Il patto, in questo modo, ci propone un cambio di sistema, cioè un’altra contro riforma, anche in questo caso scavalcando il parlamento, con la quale si ridimensiona il ruolo e il peso del SSN a favore di fondi e di assicurazioni cioè a favore della speculazione finanziaria.

Ritorna il dubbio di prima:

- se questa pensata è del ministro allora il M5S farebbe bene a prendere tempestivamente delle misure almeno di contenimento,

- ma se questa pensata è del M5S allora il gioco sporco diventa una vera e propria truffa politica.

Chi ha votato per questo movimento di certo non l’ha fatto per fare il gioco delle assicurazioni e degli speculatori e meno che mai per farsi rubare da costoro i propri diritti. Da nessuna parte del programma di governo sta scritto che bisogna far fuori il Ssn e sostituirlo con il sistema multi-pilastro di berlusconiana memoria.

A parte questa cosa madornale, che, per la verità, dal M5S non mi aspettavo, ma che ci spiega perché questo governo al tempo della legge di bilancio, non ha mosso un dito per trasformare gli incentivi fiscali del welfare aziendale in risorse per rinnovare i contratti, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla motivazione politica di questo ribaltone.

Si dice, in sostanza, che dobbiamo cambiare sistema per ragioni di “sostenibilità” questo vuol dire che:

- il ministro, siccome non ha evidentemente una strategia per garantire al sistema sanitario pubblico la sostenibilità in altro modo, si vede costretto ad affondare il sistema cioè a privatizzarlo,

- le politiche finanziarie per la sanità, sin qui adottate da questo governo, sono acqua fresca perché in questo contesto di recessione economica è impensabile dare soldi al privato e dare soldi al pubblico, per cui questo governo ha deciso verosimilmente di sotto-finanziare il pubblico per costringere i cittadini che hanno reddito ad andare nel privato,

- il ministro della salute o il M5S per mezzo del proprio ministro della salute, hanno deciso, per risanare la sanità, di non imboccare la strada del riformismo come io stesso avevo a suo tempo proposto al ministro, ma quella neoliberista.

Qui lo sconcerto diventa rabbia. Assicuro l’intero M5S, da cultore della materia, come si dice, che se volessimo fare per davvero sostenibilità, di strade ce ne sarebbero tante, senza per questo sfasciare tutto e meno che mai mettere in discussione i diritti delle persone.

Per fare davvero sostenibilità e nello stesso tempo rendere il nostro sistema più adeguato ai bisogni di salute delle persone, tuttavia ci vogliono le idee, la competenza, le alleanze giuste, il coraggio di cambiare, che, mi duole dirlo, questo ministro della salute, alla prova dei fatti, non mostra di avere.

 

Una pericolosa politica per gli operatori

Potrei cavarmela semplicemente dicendo che sulla questione operatori cioè lavoro, mi trovo del tutto d’accordo con quanto dichiarato a più riprese su questo giornale da Carlo Palermo, segretario nazionale Anao, che inascoltato instancabilmente continua a lanciare allarmi sulla tenuta del sistema, con Filippo Anelli, presidente della Fnomceo teso a far capire al ministro che le strade che sta percorrendo sono sbagliate, e con Guido Quici, segretario nazionale della Cimo quando riferendosi alla bozza di patto dice “disegna una nuova geografia delle professioni sanitarie molto preoccupante sia sul fronte dei requisiti di accesso sia dell’inquadramento professionale, che abbasseranno in sostanza il livello delle competenze e dei servizi con la scusa di correre ai ripari sull’urgenza di personale”, (QS 28 marzo 2019).

Vorrei solo rimarcare un paio di cose:

- la filosofia del patto, sui medici e sulle altre professioni, resta quella di sempre dei precedenti governi che per garantire sostenibilità puntavano a contenere il costo del lavoro. Nel patto si parla di “una proposta di revisione della normativa in materia di obiettivi per la gestione e il contenimento del costo del personale”. Quindi nel patto le professioni gli operatori non sono mai considerati un “capitale” su cui investire proprio per garantire sostenibilità e meno che mai sono previste politiche volte a capitalizzare il sistema.

- Nel patto si ripropone in modo subdolo e surrettizio il comma 566 della legge finanziaria del 2014 sia riferendosi alla questione degli “incarichi professionali” definiti dall’ultimo contratto di comparto, per intenderci gli “incarichi di funzione” quelli che si basano su operazioni di task shifting tra professioni, di fatto alludendo alla fungibilità dei ruoli per sopperire alla “carenza del personale medico” e per offrire agli infermieri “percorsi di specializzazione adeguata per rendere meno critico il quadro complessivo del fabbisogno del personale”.

Da nessuna parte si legge qualcosa che abbia a che fare con una riforma del lavoro, con una ridefinizione delle professioni, con un ripensamento delle prassi e delle organizzazioni, al fine di fare del lavoro il motore:

- di un cambiamento virtuoso del sistema,

- di garantire attraverso di esso un grado più alto di adeguatezza dei servizi,

- di garantire un grado più alto di sostenibilità,

- di garantire un grado più alto di fiducia sociale.

Il ministro a tal proposito non sembra avere alcun interesse a fare dei dipendenti degli autori, ad andare oltre le competenze per definire impegni, a misurare il lavoro per risultati, a definire prassi a contenzioso legale zero, a fare reticoli professionali in luogo dei burocratici profili, a redimere i conflitti tra professioni attraverso una coevoluzione dei ruoli, a corresponsabilizzare i medici nella gestione, a fare della retribuzione una attribuzione, cioè a compensare in modo diverso il lavoro che produce sostenibilità attraverso la salute.

Niente di tutto questo. Il ministro pare non avere idee in proposito e il suo massimo è ritoccare i tetti per le assunzioni, quindi comunque accrescere la spesa, oltretutto in modo molto discutibile e in quantità risibili, ma senza mai compensare la crescita di spesa con una crescita si sostenibilità.

Insomma sul personale nulla di nuovo sotto il sole. Secondo me la variabile personale diventerà, fin dal breve periodo, il fattore di distorsione più forte del sistema fino a causarne un ulteriore decadimento.

 

Poche riflessioni politiche

Condividendo sulla bozza del patto le preoccupazioni espresse da G. Luigi Trianni su questo giornale (QS 29 marzo 2019) e ribadendo che nel documento vi sono anche proposte interessanti (ad esempio la revisione della normativa sui piani di rientro, il paternariato tra servizi, ecc.) mi limiterei a poche riflessioni politiche conclusive:

- mi chiedo se è giusto che una intesa finanziario-programmatica tra il governo e le regioni introduca surrettiziamente dei cambiamenti di sistema che, per la loro natura fondamentale, meriterebbero, da una parte, per lo meno il parere del parlamento e dall’altra quanto meno il coinvolgimento e il confronto tanto dei lavoratori della sanità che dei cittadini.

- Ritengo che non tocchi al patto decidere sul regionalismo differenziato, sull’istituzione del sistema multi-pilastro, e sul mettere in discussioni fondamentali regole come quelle che regolano ad esempio, i ruoli delle professioni. Chi pensa il contrario per me è un “temerario delle macchine volanti”.

- Mi chiedo anche che fine fa la grande retorica del M5S contro le diseguaglianze che, nel documento è sparsa ovunque, quando gli effetti pratici di quel che propone il patto, sono una crescita delle diseguaglianze nel paese a meno che mi si dimostri che il sud ha il reddito che ha il nord per compensare una restrizione del servizio pubblico con la seconda gamba, che dare più autonomia e più flessibilità solo alle regioni forti non significhi acuire il discrimine con le altre regioni.

- Mi chiedo ancora se davvero il M5S o il suo ministro, (decidete voi) si rendano conto, a parte la questione di negare dei diritti, delle conseguenze finanziarie della loro proposta sui fondi integrativi impiegati, in particolare, come è scritto nella bozza di patto per fare prevenzione secondaria e per accrescere le prestazioni per la diagnosi precoce. L’ultima grande “patacca” escogitata dalle assicurazioni. Sulle analisi di merito circa il problema tragico della appropriatezza delle prestazioni erogate attraverso dei fondi integrativi rimando all’articolo di Geddes (QS 4 febbraio 2019), e a quello di Donzelli/Castelluso (QS 12 febbraio 2019) e per la questione della prevenzione soprattutto secondaria di nuovo a Donzelli (QS 18 marzo 2019). Mi limito solo a dire al nostro ministro della salute, che se si vuole davvero far saltare il banco della sostenibilità, la strada più efficace è esattamente quella indicata dal patto. I fondi integrativi, impiegati a fini preventivi, avranno l’effetto di riversare sul sistema sanitario nel suo complesso tanta di quella domanda impropria che sarà molto difficile governarla. Di sicuro il problema della sostenibilità diventerà ingestibile e questo spingerà per una ulteriore privatizzazione.

 

Conclusioni

Caro M5S, so che quando ti ho incontrato la prima volta, un bel po’ di anni fa, per me e per molti altri della sanità, come me, sfiancati da un PD neoliberista, eri una speranza di cambiamento, quindi con la vecchia amicizia di sempre, ti avverto, stai giocando con il fuoco.

Per un movimento post ideologico essere un neo-liberista non mi sembra un gran risultato. Verrebbe da esclamare: tutto qui? Ho l’impressione che a noi della sanità ci stai portando a sbattere. Aggiusta il tiro. A fare danni anche gravi in sanità ci vuole poco.

Datti una regolata. Ministro o non ministro alla fine non può essere che un movimento per il cambiamento e per la moralizzazione del paese, come tu ti proponi per una ragione o per un’altra, causi la fine del SSN. Sarebbe pazzesco.

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