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Compiti per il pensiero complesso

di Pierluigi Fagan

61WIztYBlxLNell’articolo, che originariamente è pubblicato sul sito del Festival della Complessità, si pone la questione della agonistica separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica, conosciuta anche come questione delle “due culture”. Questa separazione,a grandi linee e con bordi sfumati, sembra corrispondere ad una più profonda divisione tra cultura europea e cultura anglosassone, che oltre al suo riflesso in filosofia ha oggi anche una sua attualità politica. Poiché finisce col presentarsi anche come separazione tra il fare le cose ed i fini per cui le si fanno, nonché il loro significato ed il come le giudichiamo criticamente e per altri versi come separazione tra uomo e natura, la si pone come una delle questioni in agenda per un pensiero che voglia ripensare le cose “nel loro complesso”, inclusa la conoscenza stessa. Parleremo anche del sito americano -Edge- un aggregatore di pensatori tra cui molti rappresentanti di un certo tipo di pensiero della complessità contemporaneo.

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L’americano John Brockman nasce come agente letterario a vocazione scientifica, ma nell’esercizio della sua professione è poi diventato depositario di così vaste conoscenze da vedere una possibile sintesi, quella sintesi di sintesi di cui abbiamo parlato in un precedente articolo (qui). E’ diventato così autore egli stesso e animatore di circoli di pensiero, sempre nell’ambito tecno-scientifico tipicamente anglosassone. Come autore, ha scritto almeno un libro l’anno negli ultimi quindici anni (più d’uno tradotto in Italia), mente quindi molto eccitata. Uno in particolare si distingue, “La terza cultura” (Garzanti, 1999), che segna il momento in cui gli si è formato un nuovo sistema mentale, un diverso modo di vedere le cose nel “loro complesso”. Di quel libro in cui il nostro ha preferito far parlare direttamente 25 scienziati tra cui molti interni alla tradizione del pensiero complesso (M. Gell Mann, F. Varela, B. Goodwin, S. Jay Gould, S. Kauffman, C. Langton, L. Margulis ed altri molto noti da S. Pinker a M. Rees, da L. Smolin a R.Penrose, più tangenziali a questa forma di pensiero) ha avuto l’intuizione del titolo che fa categoria e le categorie, si sa,  ordinano le sintesi. Ma cos’è la “terza cultura”?

Quel titolo, seguiva un famoso pamphlet degli anni ’60, scritto dal britannico C .P. Snow che ebbe un suo vasto seguito[1]: Le due culture (Marsilio, 2005). Snow, partendo dalla condizione della cultura soprattutto britannica, lamentava il rancoroso divorzio tra cultura scientifica e cultura umanistica anche se più che altro, il rifiuto della prima da parte della seconda[2]. Ecco allora spiegato il titolo-manifesto di J. Brockman, la “terza cultura” in pieno schema dialettico-hegeliano, si presentava come “superamento” della dicotomia in una nuova sintesi che includeva amalgamandole le due tradizioni conoscitive in antitesi. In realtà, il programma di Brockman era meno dialettico del suo titolo, alla fine infatti rimaneva prevalentemente piantato nel solo campo scientifico[3]. Una sorta di inversione gerarchica per la quale quella scienza prima ribellatasi alla teologia, poi emancipatasi dalla filosofia, diventava il nuovo vertice della piramide del pensiero dominando tutto il resto. Naturalmente, derivando da Pitagora e Platone almeno per la via matematica, non poteva esser certo la scienza a pensare criticamente lo stesso apriori della “piramide del pensiero”. Che la conoscenza debba ordinarsi per gerarchie venne, e purtroppo ancora viene,  dato per scontato.

In merito a questa problematica relazione agonistica (ed anche un po’ confusa) tra scienziati duri, sociali ed umanisti, così difficile da superare, possiamo notare che la faccenda è tutt’altro che semplice -al solito- ed ha radici lunghe e complesse. Un fortunato saggio della filosofa italiana Franca D’Agostini, “Analitici e continentali” (Cortina, 1996) mappò in campo filosofico la deriva dei continenti filosofici tra anglosassoni (analitici) e continentali (franco-tedeschi ed altri tra cui noi italiani), trovandone radici a partire dalla fine dell’Ottocento, in piena Rivoluzione industriale o forse ai primi del Novecento. Ma ampliando lo sguardo nel tempo, potremmo rinvenire questa divergenza molto ma molto prima, addirittura sin dall’Alto Medioevo ed al fatto che, seguendo il solo campo teo-filosofico, in Inghilterra pervenne più il pensiero francescano che aveva radici neo-platoniche, che quello tomista che aveva radici aristoteliche. Capisco che la faccenda a molti di voi interessi poco e sia molto specialistica dello studioso di filosofia, però ha anche una sua versione antropo-storico-geografica più pret-à-porter ed arriva anche a fatti politici di grande attualità. Forse la stessa Brexit e Trump ed il come questi due fatti sono recepiti e giudicati in Europa, ne sono una declinazione.

Nei fatti, l’Inghilterra o ciò che c’era prima di questa definizione, è sempre stata un po’ dentro il sistema europeo ed un po’ a sé, come si conviene a tutte le grandi isole limitrofe a coste continentali, vedi il rapporto tra Giappone ed Asia. L’Inghilterra o meglio la sua cultura dominante di origine anglosassone, ha sempre avuto un fondo pagano e naturalista. Scoto Eriugena che era non si sa se scozzese o irlandese, già nel  IX secolo si interessava più di Dio in quanto natura che il Dio-idea tipicamente latino. Quando Enrico VIII si inventò la Chiesa anglicana, niente di meno di una chiesa cristiana ma cristiano-inglese, formalizzò semplicemente il fatto che gli inglesi erano un sistema loro proprio, una sorta di Brexit ante-litteram, nel 1534. Gli anglo-sassoni, quando ancora sul continente (IV°-V° secolo in Germania – Danimarca), erano abituati a vivere in gruppi famigliari isolati in grandi spazi, non nella civis, da cui secondo alcuni, la loro indomita passione per la libertà, ma anche una forma debole (a volte non poi così “debole”)[4] di sociopatia, nonché un rapporto un po’ conflittuale con la natura che infatti il loro Bacone vedeva come “prostituta da asservire all’umano piacere”. Tra condizioni di vita ed immagine di mondo, ci sono sempre reciproci riflessi e  la mentalità anglosassone è diversa da quella continentale, in particolare latina, poiché ha altra geografia e quindi nel tempo, ha avuto un’altra storia in un misto di empiria, scienza, tecnica, finalizzate in prassi. Per riproduzione asessuata, la cellula inglese produsse poi la figlia americana che in altro contesto, lontana dall’Europa e dalla stessa Gran Bretagna, speciò poi a modo suo, radicalizzando alcuni tratti già propri della lontana origine anglo-sassone. Nelle misura in cui tale pragmatica impostazione empiro-tecno-scientifica-pragmatica produsse effettivi benefici che poi aiutarono l’eccezionale sviluppo prima dell’Impero britannico, poi di quello informale americano, tale impostazione s’impose come “occidentale”. Ma, nel vago concetto di “occidentale” rimane quella ostinata differenza di fondo poiché ciò che genera la geografia nel tempo, ovvero la geo-storia, proprio come  a livello biologico[5] le specie, tende a divergere partendo da condizioni iniziali anche di poco diverse. Se sintesi si ritiene di dover fare quindi, forse occorre prender atto di questa divergenza pur all’interno di altre similarità. La questione delle due culture assomiglia un po’, anche se non precisamente, ad una questione poco discussa ovvero se esistono due occidenti.

Snow e Brockman dalla loro mentalità anglosassone hanno ragione e richiamare la nostra attenzione sul portato culturale della scienza e della tecnica degli ultimi due-tre secoli. Di contro, noi avremmo le nostre ragioni a richiamar la loro all’attenzione per la tradizione della riflessione su senso e significato, su i fini, sulla giustizia umana, sulla complessità politica e culturale, financo religiosa, e più in generale sulla riflessione anche critica dei nostri modi di stare al mondo in senso adattativo, se vogliamo evitare guerre finali o cataclismi ambientali, cioè “catastrofi”. Lo scoglio non è disputarsi il primato ma trovare la corretta relazione. Qualche segnale di superamento di queste incomunicabili divisioni, compare ogni tanto qui e lì[6], ma poiché il braccio di ferro va avanti da un bel po’ di tempo, c’è forse da fare una riflessione più profonda.

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Tornando al nostro Brockman ed alla sua attività di divulgatore, sincronico al libro che ne ha segnato ed influenzato lo sviluppo delle sue idee, lanciò il sito Edge.com. che è da allora considerato la più avanzata piattaforma di pensiero intelligente a vocazione scientifica, degli Stati Uniti e quindi di buona parte del mondo occidentale. Questa comunità ospita il meglio del pensiero complesso contemporaneo, almeno quello di matrice anglosassone e di origine tecno-scientifica. Impossibile riportare qui la lista dei collaboratori che va dalla A dell’economista del MIT Daron Acemoglu alla Z del fisco austriaco Anton Zeilinger che è tra i pionieri del teletrasporto quantistico (dopo lo Scott -Scotty per gli amici- di Star Trek, ovviamente)[7]. Il nome “edge” si può tradurre con “bordo”, “margine”, “orlo” nel senso del domandarsi dove si trova il preciso confine stante che se meglio osservati, molti oggetti sconfinano dagli angusti limiti di questa o quella disciplina[8]. O forse “ponte” a voler connettere tra loro diverse piattaforme di pensiero e far arcipelago, rete o sistema. Più probabilmente, “edge” voleva significare l’invito farsi una passeggiata al limite delle idee più speculative, innovative, ancora più intuizioni che veri e propri concetti o teorie generali, in più, metterle assieme e farle configgere nel classico format della “tempesta dei cervelli”. Un po’ una Royal Society fricchettona, o un Bloomsbury group a vocazione tecno-scientifica, corroborata dal mito delle rete. La cosa poi spesso ha preso le forme delle classifiche che piacciono molto alla mentalità americana prodiga di molti “I 100 migliori …”, per altro senza mai domandarsi dove mai si vanno a fondare i criteri di giudizio per dare tali attribuzioni di valore ed assai spesso scambiando giudizi di valore per giudizi di fatto o il contrario[9]. In più, si potrebbe come qui  ha fatto l’intervistatore di Repubblica lo scorso marzo, farsi domande su quella che assomiglia ad una ripresa di tendenza neo-positivista con derive scientizzanti, o far domande su gli intrecci tra economia-finanza-ed immagine di mondo dominante, nonché disilludere l’indomabile eccezionalismo americano che può far sorridere per ingenuità anche se poi, considerando il potere che quella nazione ha, fa sorridere un po’ meno. Visto il ruolo che “Edge” svolge anche in una parte importante del pensiero complesso, quelle domande potrebbero riguardarci più di quanto crediamo.

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Il pensiero complesso, nella disciplina più ampia del pensiero umano che è e rimane la filosofia, corrisponde ad una teoria generale della conoscenza su base sistemica, il complesso “emerge” dal considerar le cose dei sistemi.  Della conoscenza generale fanno parte tutte e tre gli ambiti sviluppati storicamente, scienze dure e loro applicazioni tecniche, scienze umane e sociali, pensiero umanistico classicamente storico-filosofico. Fa parte anche logica e linguaggi come il matematico, ed anche il pensiero religioso e l’arte, le ultime due con distinta autonomia.

L’invito che abbiamo fatto al pensare le cose “nel loro complesso”, vale anche o forse prima, soprattutto per la conoscenza in generale poiché da lì si originano tutti i possibili pensieri. Cosa potremmo dire di questo rancoroso antagonismo tra cultura scientifica ed umanistica? Perché l’una ignora l’altra e l’altra addirittura arriva a gli assurdi di negare la stessa esistenza dell’una? Perché oggi tecnici e scienziati, i “nuovi barbari” anche se non tutti per fortuna (ad esempio il nostro C. Rovelli[10]), sono così smodatamente ipertrofici da non sapere neanche che Boltzmann, Planck, Einstein, Bohr, Heisenberg, Schrodinger, Whitehead, Mach ma anche Wiener (e Newton prima di ogni altro) scrissero più e più riflessioni se non addirittura interi libri di filosofia? Non è che tutti presi a replicare il nostro mondo di cose da fare secondo certi paradigmi, stiamo perdendo la capacità di riflettere sul cosa stiamo facendo, perché e con quali conseguenze? Ed è forse da questo che poi arriviamo a constatare che le tante nuove tecnologie che declinano un certo pensiero scientifico hanno così vasti problematici sviluppi e confusi scopi, etica assai problematica, impatto ambientale così negativo, riflessi sociali su quella “uguaglianza” già retrocessa ad ampiezza di grado quasi pre-moderna, questioni geopolitiche altamente conflittuali (si pensi alla guerra del 5G o le nuove biotecnologie)  e trionfo di quell’autismo algoritmico che dissecca ogni nostra inclinazione umana? Tutte cose che facciamo enorme fatica a pensare assieme. Era questo che intendevano Prigogine e Stengers nell’invocare una “nuova alleanza” tra uomo e natura? Era questo l’esito auspicato dall’invocazione a ripensare la conoscenza umana “nel suo complesso”? Non dovremmo cominciar col sostituire l’apriori piramidale dell’ordine delle conoscenze con quello sferico, l’immagine di accerchiamento a quattro dimensioni (tre spaziali ed una temporale) delle cose e dei fenomeni, per cercar di prenderle assieme ovvero com-prenderle meglio? E che effetti avrebbe tutto ciò sulle forme sociali della conoscenza, dalle scuole alle università, dalle pubblicazioni alle categorie del dibattito pubblico e specialistico? Incantati dall’auto-apprendimento delle macchine stiamo forse trascurando le forme di quello umano che pur quelle macchine producono?

Questi son tutti “compiti per il pensiero”[11], compiti che proprio noi potremmo e dovremmo svolgere “intrecciando assieme” (cum-plexus) cose che a volte si ha interesse a tenere separate, irrelate, caleidoscopiche, riparate dall’atteggiamento critico. E’ anche questa una delle declinazioni della “sfida della complessità”, forse quella che oggi ha più di ogni altra una pressante urgenza[12]: tornare a pensare su come pensiamo.


Note
[1] Nel 2008, The Times Literary Supplement incluse The Two Cultures e la rivoluzione scientifica nella sua lista dei 100 libri che più influenzarono il discorso pubblico occidentale dopo la Seconda guerra mondiale.
[2] https://en.wikipedia.org/wiki/The_Two_Cultures . La tematica è poi echeggiata nel celebre saggio di I. Prigogine ed I. Stengers, La nuova alleanza, Einaudi, 1981, cap. 3. In quello che ormai è un classico del pensiero complesso, la divisione viene oltretutto letta anche come radicata in due scienze la fisica e la biologia o per lo meno a partire dalla fisica newtoniana e la chimica-fisica dei tempi di Diderot (se non prima). Il concetto di “nuova alleanza” tra l’altro, elaborato in mentalità continentale risulta più dialogico di quello di terza cultura di area anglosassone.
[3] http://science.sciencemag.org/content/279/5353/992.full
[4] K. Pickett, R. G. Wilkinson, La misura dell’anima, Feltrinelli, 2009. Ora in libreria una versione aggiornata, stessi autori, “L’equilibrio dell’anima” Feltrinelli, 2019.
[5] E. Mayr, L’evoluzione delle specie animali, Einaudi, 1970 voll I-II
[6] Si potrebbero fare molti esempi ma a titolo generale: https://www.iltascabile.com/linguaggi/morte-della-filosofia/ .
[7] Lista completa qui: https://www.edge.org/people  o anche con inquadramento più ampio sulla testata, qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Edge_Foundation,_Inc.
[8] http://www.moebiusonline.eu/fuorionda/Brockman.shtml . La teoria della conoscenza complessa ha di sua vocazione, approcci inter-multi-transdisciplinari.
[9] L’auto-presentazione della “filosofia” del  sito:  https://www.edge.org/about-edgeorg.
[10] https://www.internazionale.it/weekend/2015/05/23/sette-brevi-lezioni-di-fisica-rovelli
[11] E. Morin, opere varie a partire da “La conoscenza della conoscenza” (Feltrinelli, 1993) ma in versione più condensata eppure efficace in “La testa ben fatta” (Cortina, 2000)
[12] https://link.springer.com/article/10.1007/s40309-017-0126-4?fbclid=IwAR0ABau7PjK_vrwbzBBSeqbDYmX-gr1NLfppbZ63g2j1_bgqRg4SE5tB9L4

Comments

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Franco
Tuesday, 05 March 2019 19:01
Forse il Kantiano "Per la pace perpetua" non e' di questa terra ?. Di una cosa sono sicuro, "Das Kapital" ride quando l'uomo pensa di pensare. Spero di sbagliare. Cordiali Saluti.
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