Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1225
La realtà della guerra, il fantasma dell’opposizione
di Mimmo Porcaro e Ugo Boghetta
1- La guerra in corso rivela ed esaspera le dinamiche profonde che hanno determinato la nostra storia a partire dalla dissoluzione dell’Urss. A quella dissoluzione non ha corrisposto il parallelo e “logico” scioglimento della Nato. E questo perché Washington doveva evitare che la fine del collante anticomunista avvicinasse eccessivamente l’Unione europea, e in particolare la Germania, alla Russia, dando vita così ad un’alleanza potenzialmente esiziale per il dominio statunitense. Da qui la spinta (favorita dalla preferenza tedesca per le ragioni economiche rispetto a quelle strategiche) all’inclusione di Polonia, Ungheria ecc. nell’Ue. Da qui il placet al consolidamento dell’Unione stessa, così ampliata, come mezzo per tener legata la Germania. Da qui l’evidente e inesorabile allargamento della Nato a Est, col momentaneo esito attuale. Non si tratta di un piano delineato in tutte le sue parti e tappe. Nessun vero stratega fa piani del genere e, soprattutto, lo stratega in questione era ed è internamente diviso, quantomeno sui tempi e sui modi: Trump contro Biden, Biden contro il Congresso, Dipartimento di Stato e Pentagono contro tutti e in reciproca frizione. Ma alla fine, anche grazie alla confusione, prevalgono gli apparati più duraturi e soprattutto la parte dominante, più dinamica e aggressiva, del capitalismo statunitense, rappresentata soprattutto dal Partito Democratico. E questo si traduce in una politica tesa ad acuire i conflitti tra Europa e Russia (anche in risposta all’incremento dei rapporti di Berlino e Roma con Mosca), a rinfocolare la questione ucraina, a mettere quindi in conto una guerra e a trasformarla, una volta scoppiata, nell’occasione per impantanare Putin, aumentare la dipendenza politica ed economica dei partner europei, rafforzare la posizione del dollaro e con essa la pretesa, ormai folle, del dominio assoluto dell’ Occidente “americano” sul resto del mondo. Ossia sulla stragrande maggioranza del genere umano.
- Details
- Hits: 1921
Jason W. Moore e il concetto di Capitalocene
di Bollettino Culturale
Introduzione
Jason W. Moore legge il capitalismo come una successione di specifici regimi ecologici, in cui l’accumulazione del capitale da un lato e la “produzione della natura” dall’altro sono processi concepiti come dialetticamente intrecciati. Moore propone di rompere con la concezione del capitalismo come formazione economico-sociale che, quando si dispiega, agisce semplicemente sulla natura. Questa concezione è da lui definita “cartesiana”, cioè che separa Natura e Società. Moore sostiene la necessità di concepire il capitalismo come una formazione storico-sociale che si è sviluppata attraverso le relazioni tra le società e la natura in quanto il capitalismo non ha un regime ecologico specifico, il capitalismo è un regime ecologico. Nel corso della sua elaborazione teorica rielaborerà la concezione marxista della storia, impegnato a incorporarvi la dimensione ecologica. Traendo ispirazione dalla prospettiva ereditata dall’École des Annales francese, in particolare da Fernand Braudel e dal suo concetto di Longue Durée, e dal lavoro dei teorici del Sistema-Mondo come Giovanni Arrighi, Moore costruisce una teoria del capitalismo come Ecologia-Mondo.
Moore pone con questo concetto di Ecologia-Mondo le basi di una sorta di “materialismo storico-ecologico” in cui la storia del capitalismo e dei modi di produzione precedenti è intesa come un susseguirsi di regimi ecologici che strutturano i processi di accumulazione e “produzione della natura”. Con questa proposta, Moore sostiene che invece di scrivere la storia dell’impatto del capitalismo sulla natura, è possibile indagare la relazione generativa tra “l’accumulazione infinita” e la “produzione infinita della natura”.
- Details
- Hits: 3973
La situazione militare in Ucraina
di Jacques Baud per The Postil
Il problema non è tanto sapere chi ha ragione in questo conflitto, ma mettere in discussione il modo in cui i nostri leader prendono le loro decisioni
Parte prima: La strada per la guerra
Per anni, dal Mali all’Afghanistan, ho lavorato per la pace e ho rischiando la vita. Non si tratta quindi di giustificare la guerra, ma di capire cosa ci ha portato ad essa. Noto che gli “esperti” che a turno in televisione analizzano la situazione sulla base di informazioni dubbie, il più delle volte ipotesi elevate a fatti, non riescono a farci capire cosa sta succedendo. È così che si crea il panico.
Il problema non è tanto sapere chi ha ragione in questo conflitto, ma mettere in discussione il modo in cui i nostri leader prendono le loro decisioni.
Proviamo ad esaminare le radici del conflitto. Si comincia con quelli che da otto anni parlano di “separatisti” o “indipendentisti” del Donbass. Già questo non è vero. I referendum condotti dalle due sedicenti Repubbliche di Donetsk e Lugansk nel maggio 2014 non sono stati referendum per l’“indipendenza” (независимость), come hanno sostenuto alcuni giornalisti senza scrupoli , ma referendum per l’ “autodeterminazione” o l’ “autonomia” (самостоятельность ). Il termine “pro-russo” suggerisce che la Russia fosse una parte del conflitto, il che non era il caso, il termine “di lingua russa” sarebbe stato più onesto. Inoltre, questi referendum sono stati indetti contro il parere di Vladimir Putin.
In realtà, queste Repubbliche non cercavano di separarsi dall’Ucraina, ma di avere uno status di autonomia, garantendo loro l’uso della lingua russa come lingua ufficiale. Però il primo atto legislativo del nuovo governo risultante dal rovesciamento del presidente Yanukovich, è stata l’abolizione, il 23 febbraio 2014, della legge Kivalov-Kolesnichenko del 2012 che aveva reso il russo una lingua ufficiale.
- Details
- Hits: 2783
Circa David Brooks, “La globalizzazione è finita”
Ovvero, ancora del “fardello dell’uomo bianco”
di Alessandro Visalli
Nel 1899 nella rivista “McClure’s” Rudyard Kipling pubblicò la poesia “The White Man’s Burden” il cui sottotitolo era “The United States and the Philippines Islands”, con riferimento alle guerre di conquista che la potenza americana aveva compiuto rispetto alle colonie spagnole[1].
“Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco–
Disperdi il fiore della tua progenie–
Obbliga i tuoi figli all’esili
Per assolvere le necessità dei tuoi prigionieri;
Per vegliare pesantemente bardati
Su gente inquieta e selvaggia–
Popoli da poco sottomessi, riottosi,
Metà demoni e metà bambini
Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco–
Resistere con pazienza,
Celare la minaccia del terrore
E frenare l’esibizione dell’orgoglio;
In parole semplici e chiare,
Cento volte rese evidenti,
Cercare l’altrui vantaggio,
E produrre l’altrui guadagno.
Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco–
Le barbare guerre della pace–
Riempi la bocca della Carestia
E fa’ cessare la malattia;
E quando più la mèta è vicina,
Il fine per altri perseguito,
- Details
- Hits: 3025
La globalizzazione è finita?
Quattro domande a Sergio Bologna e Giovanna Visco
a cura di Paolo Perulli
Due specialisti di logistica mondiale, Sergio Bologna, presidente di AIOM, Agenzia Imprenditoriale Operatori Marittimi di Trieste, e Giovanna Visco, blogger di Mari, Terre, Merci, intervistati da Paolo Perulli
1. La globalizzazione è davvero finita? Il governatore della Banca d'Italia parla di pericolo che ci sia un «brusco rallentamento o un vero e proprio arretramento dell’apertura dell’interdipendenza della globalizzazione». La fine insomma del mondo così come si era andato configurando dalla fine della Guerra Fredda in poi. Con il rischio di tornare a una dimensione più regionalizzata, con minori movimenti di «persone, merci, capitali e investimenti produttivi più bassi». Ora «i progressi dell’ultimo decennio non potranno che rallentare». Condividete quest’ analisi che è propria delle élites tecnocratiche? O ritenete piuttosto che sia necessaria una profonda revisione delle modalità con cui la globalizzazione si è affermata in passato?
Sergio Bologna: Probabilmente è il concetto di globalizzazione che non basta più a contenere la complessità dei fenomeni in atto. Che cosa vuol dire? Che la circolazione delle merci e delle persone non ha più barriere? Dalla fine della guerra fredda la situazione è sempre stata così. Vuol dire che i sistemi produttivi si sono articolati su dimensioni planetarie? Quindi il re-shoring sarebbe il regresso della globalizzazione? Mi sembra un po’ curioso. Il re-shoring o il back shoring sono del tutto compatibili con l’esistenza e lo sviluppo della globalizzazione. Vuol dire che abitudini, stili di vita, di consumo, forme di comunicazione sono comuni a tutto il mondo? Con la diffusione di Internet e della telefonia mobile, dei social e dei whatsapp, ormai tutto il mondo comunica allo stesso modo ma non significa affatto che gli stili di consumo siano simili. Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che la globalizzazione può convivere con fenomeni di ri-regionalizzazione, di neo-autarchie, e con tutta una serie di cose che noi non abbiamo ancora sperimentato (es. l’isolamento d’intere zone del pianeta dai collegamenti Internet) ma che sono ipotizzabili.
- Details
- Hits: 2467
L’imbroglio ucraino
di Lanfranco Binni
Lo spettacolo osceno della guerra, la ripugnante pornografia dei suoi disastri (sì, ancora Goya) che tutto distruggono, senza tempo né luogo né ragioni, travolgendo vittime e carnefici in folli danze macabre arcaiche e postmoderne, impone con la forza delle sue immagini spietate e strazianti l’orgia totalitaria dell’autodistruzione, costi quello che costi, in un tripudio di armi e propaganda. L’imbroglio ucraino, inganno, groviglio e cortocircuito di strategie economiche e militari esplicite e occulte, sempre comunque iscritte in processi storici determinati dalla logica elementare delle cause e degli effetti, riserva oggi ai territori metropolitani dell’Europa quei trattamenti che il colonialismo e l’imperialismo occidentali hanno riservato e continuano a riservare ai popoli del mondo, il cibo del potere.
In Europa non è la prima volta. La dissoluzione dell’Unione sovietica accelerò la corsa delle potenze occidentali del sedicente “mondo libero” all’accaparramento di quell’immenso mercato, di quegli immensi giacimenti di materie prime, finalmente disponibili: la fiera dell’Est, un potenziale bengodi del libero mercato occidentale e locale; liquidato il riformismo di Gorbaciov con il colpo di stato di Eltsin, si sviluppò a tappe forzate (affari, corruzione, formazione di una nuova classe dirigente oligarchica) la definitiva disgregazione dello Stato sovietico e la sua riorganizzazione su un modello di satrapia inserita nelle strategie finanziarie occidentali.
- Details
- Hits: 2107
La guerra e il declino del re dollaro
di Domenico Moro
L’effetto boomerang delle sanzioni sul ruolo egemonico del dollaro
La guerra è sempre più “senza limiti”, contemplando un’ampia gamma di misure e mezzi non letali ma comunque devastanti per gli stati e le popolazioni che ne sono oggetto. Tra i diversi tipi di guerra non letale c’è la guerra economica e finanziaria, che si declina anche come guerra valutaria, utilizzando le valute e gli scambi tra queste come strumento per piegare il nemico.
Gli Usa da tempo utilizzano il dollaro, che è la moneta di riserva e di scambio internazionale, come strumento di guerra e di pressione sui propri avversari. Quest’uso è particolarmente evidente nel conflitto tra l’Ucraina, sostenuta dagli Usa, e la Russia. Gli Usa hanno fatto in modo di espellere la Russia dal circuito Swift, che è un servizio di messaggeria necessario agli scambi internazionali di merci. In più, hanno bloccato le riserve in dollari detenute dalla Banca centrale russa e sottoposto la Russia a uno spettro di sanzioni che si allarga sempre di più e che coinvolge banche, singoli capitalisti, imprese, spazi aerei, viaggi. Tutto questo mira a colpire il rublo, svalutandolo e alimentando l’inflazione e portando la Russia al default del debito. Recentemente l’agenzia di rating Standard & Poor ha declassato il debito estero russo a causa di un “default selettivo”, perché Mosca ha pagato in rubli un bond denominato in dollari. Soprattutto, la Russia è minacciata dal blocco delle importazioni delle sue materie prime energetiche, da parte dell’Ue, che ne è il principale acquirente mondiale.
- Details
- Hits: 1690
Crisi ucraina: i punti qualificanti per una pace possibile
di Bruno Steri
Fatti rimossi e sentimenti a corrente alternata
«(…) Questa guerra, come ha detto Lucio Caracciolo sulla rivista di geopolitica Limes, sarà ricordata come un “collasso dell’informazione”, intrisa com’è di bugie e omissioni. (…) Lo scorso 23 febbraio, la tivù satellitare Al Arabyia denuncia via Twitter un massacro: “10mila morti e 50mila feriti in Libia”, con bombardamenti aerei su Tripoli e Bengasi e fosse comuni. La fonte è Sayed Al Shanuka, che parla da Parigi come membro libico della Corte penale internazionale. La “notizia” fa il giro del mondo e offre la principale giustificazione all’intervento del Consiglio di Sicurezza e poi della Nato: per “proteggere i civili”. Non fa il giro del mondo invece la smentita da parte della stessa Corte Penale internazionale. (…) E la “fossa comune” in riva al mare? E’ il cimitero (con fosse individuali!) di Sidi Hamed, dove lo scorso agosto si è svolta una normale opera di spostamento dei resti. (…) I soldati libici sono sempre definiti “mercenari”, “miliziani”, “cecchini”. “I mercenari, i miliziani e i cecchini di Gheddafi violentano con il Viagra”: è stata l’accusa della rappresentante Usa all’Onu Susan Rice. Ma Fred Abrahams, dell’organizzazione internazionale Human Rights Watch, afferma che ci sono alcuni casi credibili di aggressioni sessuali (del resto il Governo libico e alcuni migranti muovono le stesse accuse ai ribelli) ma non vi è la prova che si tratti di un ordine sistematico da parte del regime».
Questo è ciò che scriveva il 14 giugno 2011 Famiglia Cristiana nel Dossier ‘Libia: e se fosse tutto falso?’, a proposito dell’attacco Nato alla Libia di Gheddafi. Potremmo aggiungere alla galleria dei ricordi più raccapriccianti la fialetta che Colin Powell agitò davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2003, a suo dire contenente antrace “iracheno”, per giustificare l’aggressione ad un Iraq additato come produttore di armi di distruzione di massa: una menzogna costata centinaia di migliaia di vittime civili.
- Details
- Hits: 1675
Guerra, capitalismo, ecologia
Sui limiti di comprensione della filosofia ecologista
di Maurizio Lazzarato
Pubblichiamo il primo di tre interventi programmati a opera di Maurizio Lazzarato sui temi della guerra in corso sulla soglia dell’Europa. Lazzarato, che ha già pubblicato lo scorso 7 marzo un testo a riguardo nella sezione «mundi» di Machina (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/la-guerra-in-ucraina-l-occidente-e-noi), è autore del recente libro L’intollerabile presente, l’urgenza della rivoluzione. Classi e minoranze, ombre corte. Nel 2019 DeriveApprodi ha pubblicato il suo Il capitalismo odia tutti. Fascismo e rivoluzione.
* * *
Di fronte alla guerra scoppiata in Ucraina, il filosofo ecologista Bruno Latour, è smarrito, sopraffatto dagli eventi: «Non so come tenere insieme le due tragedie», l’Ucraina e la tragedia del riscaldamento globale. L’unica cosa che afferma è che l’interesse per l’una non deve prevalere sull’interesse per l’altra.
Non riesce a cogliere la loro relazione, eppure sono strettamente legate perché hanno la stessa origine. Latour, per capirci qualcosa, dovrebbe prima ammettere l’esistenza del capitalismo, che è il quadro nel quale le due guerre emergono e si sviluppano.
La guerra tra Stati e le guerre di classe, di razza e di sesso hanno da sempre accompagnato lo sviluppo del capitale perché, dai tempi dell’accumulazione primitiva, sono le condizioni della sua esistenza. La formazione delle classi (degli operai, dei colonizzati, delle donne) implica una violenza extra-economica che fonda il dominio e una violenza che lo conserva, stabilizzando e riproducendo i rapporti tra vincitori e i vinti. Non c’è capitale senza guerre di classe, di razza e di sesso e senza Stato che ha la forza e i mezzi per condurle! La guerra e le guerre non sono delle realtà esterne, ma costitutive del rapporto di capitale, anche se da molto tempo sembra che ce ne siamo dimenticati. Nel capitalismo le guerre non scoppiano perché ci sono gli autocrati brutti e cattivi contro i democratici belli e buoni.
- Details
- Hits: 2482
Guerra e scongelamento della crisi globale
di Raffaele Sciortino
Il mondo che conoscevamo prima del 24 febbraio 2022, oggi, non esiste più.
È a partire da questo dato di fatto, terrificante nella sua chiarezza, che il 2 aprile abbiamo voluto organizzare un momento di discussione, a Modena, sul mondo di domani, la guerra in Europa e il destino della globalizzazione, di cui oggi cominciamo a riportare gli interventi. Due invitati d’eccezione: Raffaele Sciortino, autore di I dieci anni che sconvolsero il mondo. Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi (Asterios 2019) oltre che di numerosi altri contributi, e Silvano Cacciari, della redazione di «Codice Rosso» di Livorno e autore di La finanza è guerra, la moneta è un’arma (in uscita a breve per La Casa Usher). Una discussione di alto livello quindi – o tutto o niente, ormai dovreste conoscerci –, per capire quella che è la “temperatura” del sistema capitalistico globale, al netto del riscaldamento climatico e dei “condizionatori spenti”; un “provare la febbre” a una fase che, già prima della precipitazione ucraina, appariva torrida, e che la messa in mora di un nuovo conflitto armato dentro l’Europa, tra attori e potenze mondiali sull’orlo della crisi di nervi, non può che “accompagnare solo” (cit.) al punto estremo di fusione.
Non ci interessa ripetere la cronaca della guerra o dare cristalline indicazioni politiche. Ci muove, per ora, l’urgenza di possedere la complessità di tendenze, traiettorie e scenari. Sebbene questa crisi sia (fino adesso) localizzata in Ucraina, si dispiega infatti su vari livelli – militari, economici, geopolitici – che abbracciano il mondo intero, sia fisico che immateriale; che chiamano in causa l’egemonia del dollaro, l’ascesa della Cina, la decadenza occidentale – anche se ben vedere ci sono tanti Occidenti, e questa crisi mette in luce i diversi loro interessi: l’Europa, dell’Ovest e dell’Est, quella mediterranea, la Russia eurasiatica, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e il resto dell’anglosfera, e via discorrendo.
- Details
- Hits: 1512
La guerra del Draghistan
di Gandolfo Dominici[1]
Nella neolingua dell’orwelliana colonia atlantista del sultanato del Draghistan la guerra si chiama pace e per ottenerla basta spegnere i termosifoni e l'aria condizionata.
Infatti, il sultano del Draghistan è passato dal suo già mirabile “non ti vaccini, muori e fai morire” all'altrettanto laconico e tranchant “Preferite la pace o l’aria condizionata?”. Qualcosa che suona come “accendi l’aria condizionati e uccidi un bambino ucraino”.
Poco importa che anche un bambino di due anni possa notare la mancanza di nesso logico tra l'aria condizionata (quindi le implicite sanzioni finalizzate al non comprare il gas russo) e una trattativa per ottenere la pace con la Russia.
Logica vorrebbe che per ottenere quella che nella paleo-lingua italiana si definiva “pace” sarebbe opportuno creare un clima di distensione per favorire il dialogo che difficilmente si può ottenere con sanzioni o, peggio ancora, inviando armi ad una delle due fazioni in conflitto.
Ma - evidentemente - i padroni di oltre oceano non vogliono questo, e il sultano della colonia del Draghistan - insieme al coro degli altri suoi omologhi europei - obbedisce incurante delle disastrose conseguenze economiche, sociali e (sperando che mai avvenga) militari.
Sempre nella scuola di Orwell, e come nel caso della precedente emergenza (o per meglio dire “stato di eccezione”) Covid, allo Stato ed alla stampa occorre generare paura e odio per un nemico cosicché, per combatterlo, bisognerà obbedire. Così, mentre nel caso del Covid il nemico erano (e per inerzia lo sono ancora) i “no-vax”, ora il nemico è un paese “avversario” che è tale per volontà di chi comanda.
- Details
- Hits: 2351
L’imminente rivoluzione finanziaria globale: la Russia segue il copione americano
di Ellen Brown
Ellen Brown ha scritto un articolo imperdibile che spiega con rara lucidità quale sia la posta in gioco dello scontro in atto tra Russia e Stati Uniti. Se in Italia esistesse ancora un giornalismo economico (o anche solo un giornalismo), di questo si dovrebbe parlare. Nessun paese ha sfidato con successo l’egemonia globale del dollaro USA prima d’ora. L’articolo originale in inglese è nel suo blog e qui di seguito eccone la traduzione.
I critici stranieri hanno sempre stigmatizzato il “privilegio esorbitante” che ha il dollaro USA come valuta di riserva globale. Gli Stati Uniti possono emetterla sostenuti nient’altro che dalla “piena fede e credito degli Stati Uniti “. I governi stranieri, avendo bisogno di dollari, non solo li accettano nel commercio, ma acquistano titoli statunitensi, finanziando efficacemente il governo statunitense e le sue guerre estere.
Ma nessun governo è stato abbastanza potente da rompere quell’accordo fino ad ora. Come è successo e cosa significherà per gli Stati Uniti e le economie globali?
L’ascesa e la caduta del petrodollaro
Innanzitutto, un po’ di storia: il dollaro USA è stato adottato come valuta di riserva globale alla conferenza di Bretton Woods nel 1944, quando il dollaro era ancora sostenuto dall’oro sui mercati globali. L’accordo prevedeva che l’oro e il dollaro sarebbero stati accettati in modo intercambiabile come riserve globali, i dollari sarebbero stati convertibili in oro su richiesta a $ 35 l’oncia. I tassi di cambio di altre valute sono stati fissati rispetto al dollaro.
Ma quell’accordo è stato rotto dopo che la politica “guns and butter” del presidente Lyndon Johnson ha esaurito le casse degli Stati Uniti finanziando sia la guerra in Vietnam che i suoi programmi sociali “Great Society” all’interno. Il presidente francese Charles de Gaulle, sospettando che gli Stati Uniti stessero finendo i soldi, cambiò gran parte dei dollari francesi in oro. Altri paesi seguirono il suo esempio o minacciarono di farlo.
- Details
- Hits: 1776
Autodeterminazione dell’Ucraina?
di Alessandro Mantovani
«Se [per la propria affermazione nazionale] un paio di Erzegovini vogliono dare il via ad una guerra mondiale che costerebbe mille volte gli uomini che popolano l'intera Erzegovina; questo secondo me non ha nulla a che fare con la politica del proletariato» (Engels a Bernstein, 22-25/2/1882) 1
«Essere per la guerra in tutta l'Europa per la sola ricostituzione della Polonia significa essere un nazionalista della peggior specie, significa porre gli interessi di un piccolo numero di polacchi al di sopra degli interessi di centinaia di milioni di uomini che soffrono la guerra» (V.I. Lenin, "I risultati della discussione sull'autodecisione", 1916)
«Quanto più pura è ora la lotta del proletariato contro il fronte generale imperialista, tanto più imperioso si fa, evidentemente, il principio internazionalista: "Un popolo che opprime altri popoli non può esser libero"» (Lenin, "I risultati della discussione sull'autodecisione", 1916)2.
Ogni grande evento storico determina svolte. In particolare le catastrofi, e nessuna più della guerra. Tutto accelera, gli animi si accendono, le forze sociali si mettono in moto. Sono destinate a divaricarsi inesorabilmente tra chi la guerra la vuole e chi la subisce. Ma all'inizio il quadro si presenta diverso: lo sciovinismo e l'isteria bellicista imperano. ''Armiamoci e partite! Prendiamo misure di guerra e tirate la cinghia!'', è l'assordante boato dei media che copre ogni voce dissonante, mentre gli esitanti si danno un gran daffare, con ragionamenti tortuosi, per esorcizzare il momento in cui dovranno decidere: o per la guerra, o contro.
- Details
- Hits: 1015
Marxismo ed ecologia. Analisi di un dibattito internazionale
di Francesco Barbetta
Il volume di Jacopo Nicola Bergamo, Marxismo ed ecologia. Origine e sviluppo di un dibattito globale (ombre corte, 2022) – che la recensione di Francesco Barbetta discute nel dettaglio – si propone di fare il punto su un ambito di discussione, quello appunto dell’eco-marxismo, in grande fermento negli ultimi anni.
Un buon modo per inquadrare la dinamica del confronto è quello di distinguere tra analisi che si propongono di mostrare la dimensione ecologista dell’opera di Marx – in modo tale che il Moro di Treviri si presenti come ambientalista ante litteram – e analisi che invece si propongono di interrogare l’archivio marxiano a partire dalla politicizzazione della crisi ecologica tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso – a partire, cioè, da un insieme di problemi che, semplicemente, non esisteva ai tempi in cui Marx scriveva.
Del primo gruppo fanno parte i teorici della frattura metabolica (Burkett, Foster, Saito), del secondo chi ha esplorato strade più sperimentali, spesso sulla scia dei movimenti sociali (Federici, Merchant, O’Connor). Vi sono poi voci (Malm, Moore, Salleh) che rivendicano una continuità forte col pensiero di Marx – e pure con il marxismo – senza esprimersi direttamente su questo passaggio.
Quasi superfluo concludere ribadendo che la posta in gioco del dibattito in oggetto non è filologica ma politica: solo la riflessione collettiva potrà trasformare le varie opzioni teoriche in efficaci strumenti del conflitto sociale (Emanuele Leonardi).
******
Il libro di Jacopo Nicola Bergamo, Marxismo ed ecologia. Origine e sviluppo di un dibattito globale (Ombre Corte, Verona 2022), consente al militante italiano di conoscere a grandi linee varie letture del rapporto tra ecologia e marxismo.
- Details
- Hits: 1875
Desaparecidos
Alba Vastano intervista Enrico Calamai
Intervista al Console Enrico Calamai “ lo Schindler di Buenos Aires”. A cura di Alba Vastano per il mensile Lavoro e Salute
Due anni di stillicidio di informazione terroristica. Il virus dell’infodemia corre pressante almeno da un biennio sul filo delle nostre vite. Molto prepotente da inizio pandemia, fino ad oggi con la guerra in corso in Ucraina. I fili della paura che avviluppa la nostra esistenza li gestiscono strumentalmente i soliti pochi noti, i signori del potere e della guerra.
La vittima è la verità sulle dinamiche storiche, economiche e geopolitiche che l’hanno provocata, ma la verità non è la sola vittima. A pagare lo scotto peggiore della guerra sono migliaia di persone costrette a fuggire dalla normalità della loro vita. Ad abbandonare tutto il loro mondo, a nascondersi nei bunker, a patire la fame. Spesso anche a morire sul ciglio di una strada, mentre fuggono dalle loro case distrutte dai bombardamenti.
Loro sono lì e noi qui a vedere dai monitor questo esodo forzato e la strage degli innocenti come fosse un film, come un dramma avulso dalla nostra realtà. Possiamo provare rabbia, pena, odio verso un leader o l’altro, ma noi siamo gli estranei della guerra, finché noi non diventiamo loro, accogliendo realmente le loro sofferenze e ribellandoci a tanta crudeltà, rifiutando la guerra e la sua possibile escalation voluta dalle potenze imperialiste. La guerra è stupida e crudele. Vuol dire che ci sono uomini stupidi e crudeli che detengono enormi poteri e soggiogano i loro popoli, rendendoli inermi. Le guerre più cruente hanno sempre avuto origine da forme di governo a matrice fascista, con un dittatore al comando. La storia ne è piena.
Basterebbe ricordare quanto accadde nella metà degli anni ‘70 in America latina. In Uruguay, Cile e Argentina si avvicendarono forme di dittature violentissime e molte furono le vittime. In Argentina, nel periodo dei generali, sparirono molte persone e di loro non se ne seppe più nulla. Solo alcune riuscirono a salvarsi e a fuggire, grazie anche all’intervento del console italiano in Argentina, Enrico Calamai.
- Details
- Hits: 2719
La parabola dell’economia politica dalla scienza all’ideologia
di Ascanio Bernardeschi
I. La fisiocrazia
Questa prima parte è dedicata ai fisiocratici e in particolar modo al Tableau économique di Quesnay
Anche se già nell’antichità non mancarono riflessioni sull’attività umana volta a produrre e riprodurre la società, come per esempio con Aristotele che tese a distinguere fra economia e crematistica, quest’ultima intesa come accumulazione di ricchezza misurata in denaro e considerata attività innaturale, Marx aveva ben chiaro che si può parlare di economia politica come scienza autonoma solo con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico. Nelle società precedenti, infatti, la riproduzione sociale era governata da regole fisse, i rapporti di dipendenza erano rapporti personali stabiliti per legge o per volontà divina e inderogabili e lo sfruttamento era ben visibile, senza la necessità di dotarsi di una scienza:
“La corvée si misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci, ma ogni servo della gleba sa che quel che egli aliena al servizio del suo padrone è una quantità determinata della sua forza-lavoro personale. La decima che si deve fornire al prete è più evidente della benedizione del prete” [1].
Con l’affermarsi del modo capitalistico di produzione, i rapporti sociali perdono la caratterizzazione di rapporti di dipendenza personale, gli uomini sono tutti liberi e uguali di fronte alla legge e occorre la scienza per indagare come, sotto la superficie di rapporti paritari nel mercato, sussista la dipendenza di carattere economico e lo sfruttamento. Per questo motivo gli albori dell’economia politica coincidono con l’affermazione di questo modo di produzione.
- Details
- Hits: 2560
"I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico"
Francesco Santoianni intervista Benedetta Piola Caselli
Ucraina: basta con il giornalismo di guerra ridotto a mera propaganda! È il sorprendente appello di dodici corrispondenti di guerra italiani (tutti provenienti da media mainstream) pure loro verosimilmente inorriditi dai reportages di tanti giornalisti italiani diventati meri cantori della narrativa atlantista.
Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.
"La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese.
Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.
Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.
I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari.
- Details
- Hits: 2616
OMS. La salute globale che piace ai ricchi
Profitti con la beneficenza
di Erika Bussetti
I privati dentro l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quanto finanziano e cosa finanziano? Che potere decisionale hanno all’interno dell’Agenzia? Perché danno denaro all’OMS? Data journalism: leggiamo i numeri
Nel 1948 entra in funzione l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, o WHO, World Health Organization), l’agenzia dell’ONU che, secondo il suo Statuto, ha come obiettivo principale il raggiungimento del più alto livello di salute possibile da parte di tutte le popolazioni mondiali, indipendentemente da razza, religione, credo politico, condizione economica e sociale. Ha sede a Ginevra e ne fanno parte 194 Stati. Attualmente è guidata dall’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. Le macro aree su cui lavora riguardano il rafforzamento della copertura sanitaria universale, la prevenzione e l’intervento in caso di emergenze sanitarie e, più in generale, il raggiungimento di salute e benessere fisico, mentale e sociale a livello globale.
La pandemia da Covid-19 ha portato alla ribalta del discorso politico, internazionale e non solo italiano, il tema della sanità: smantellata e svenduta ai privati negli ultimi decenni di neoliberismo, si discute di come debba tornare a essere pubblica ed efficiente, con investimenti nei servizi sanitari nazionali. L’OMS è un’istituzione pubblica di diritto internazionale: a rigor di logica, visto anche il peso della sua voce, nel bene e nel male, in caso di emergenze sanitarie, dovrebbe essere finanziata dagli Stati stessi. Al contrario, sta in piedi grazie ai soldi di realtà private. Quel che occorre capire è quale potere decisionale hanno queste ultime all’interno dell’agenzia e perché danno denaro all’OMS. Beneficenza? Non sembra proprio. Leggiamo i numeri.
- Details
- Hits: 1590
La nuova pandemia: il tifo da stadio nel conflitto russo-ucraino
di Roberto Bonuglia
Vagliando le più diverse e accreditate chiavi di lettura geopolitica del conflitto russo-ucraino perchè la realtà fattuale suggerisce un’analisi leggermente diversa
Disclaimer. Attenzione, spoiler: le scorciatoie mentali del lettore acritico e resistente al cambiamento di opinione potrebbero funzionare male una volta attivata la modalità di ragionamento del sistema in virtù del reframing proposto in questo articolo.
Le più accreditate chiavi di lettura geopolitica del conflitto russo-ucraino ‒ una su tutte, quella del The New York Times [1] ‒ hanno iniziato a tessere le lodi di un’Europa che, grazie alla vicenda, si sia ricompattata liberandosi dell’approccio weimariano che ha, da sempre, contraddistinto la sua politica estera de facto inesistente dal punto di vista dell’unitarietà e della coerenza. Ma la realtà fattuale suggerisce un’analisi leggermente diversa.
D’altra parte, un paio d’anni fa, un articolo su La Stampa lo ricordava agli smemorati siberiani [2]: «la politica estera dell’Ue non esiste e mai s’è vista. Per i capi di Stato e di governo che ne parlano ai vertici e nei Parlamenti è ‒ a seconda della geografia e delle vocazioni storiche ‒ una vanagloriosa foglia di fico sulla volontà di far da sé («Si parli con una voce sola»); una scusa per guadagnare tempo nei giorni peggiori («Chiediamo una missione comunitaria»); un aiuto per frenare sul processo d’integrazione («L’Ue è un pozzo per soldi dei contribuenti»)» [3].
Possibile, quindi, che oltre a far dimenticare il Covid-19 ‒ come risulta dal ribaltone nel web delle interazioni e delle ricerche sulla pandemia [4], nonché l’abbandono dei tormentoni “vax/no-vax” e “Gp/no-Gp” nei talk show televisivi ‒ il «baffone 2.0 del Terzo millennio» [5] che in molti incensano abbia avuto anche il taumaturgico merito di dare all’Ue uno straccio di linea coerente in politica estera? Quell’Ue, insomma, che solo qualche mese fa non è stata neppure informata da Biden delle decisioni strategiche degli USA in Afghanistan e ai cui Stati membri «impone di continuare a perseguire linee di politica economica “neo liberiste”, mentre […] gli USA […] sperimentano linee “neo-keynesiane” per sorreggere l’occupazione» [6]?
- Details
- Hits: 1527
La pandemia COVID-19, l'espansione del controllo digitale e le implicazioni politiche
di Philip Seufert
Questo testo contiene alcune riflessioni sull'espansione del controllo digitale attraverso i passaporti COVID1 e le relative implicazioni politiche. Si concentra sull'Italia perché questo paese è stato il primo in Europa a rendere obbligatorio il cosiddetto Green Pass per accedere al posto di lavoro. Al momento di ultimare il testo, diversi stati europei hanno introdotto in un modo o nell'altro il passaporto COVID, anche se le modalità e l'applicazione variano da paese a paese.
I paragrafi seguenti non entreranno nel merito della questione se i passaporti COVID in generale e il Green Pass italiano in particolare siano misure efficaci per contenere le infezioni da virus SARS- CoV-2 né si parlerà del contributo della vaccinazione (di massa) per affrontare la pandemia di COVID-19. Cercheranno piuttosto di analizzare gli aspetti politici e sociali del Green Pass italiano. Il documento pone l’accento sulla natura discriminatoria della misura e descrive l'infrastruttura (digitale) di controllo e sorveglianza che è stata messa in atto per rendere operativo il Green Pass. Infine, descrive come questo comporti un cambiamento significativo nel modo di intendere i diritti, che vengono riformulati come "libertà autorizzate". L'articolo si conclude con alcune riflessioni sulla complessità della contestazione contro le misure prese da molti stati per contrastare la pandemia COVID-19.
Tutte queste riflessioni sono state scritte con la convinzione che sia fondamentale prendere coscienza delle implicazioni più profonde e a lungo termine delle misure che vengono introdotte nell'attuale "situazione di emergenza", perché sono suscettibili di rimodellare i nostri sistemi politici ben oltre la pandemia.
* * * *
1. “La più grande opera di digitalizzazione mai fatta”: una breve storia del Green Pass italiano
- Details
- Hits: 4795
Il «problema dello Stato» nel marxismo rivoluzionario di Evgeny Pashukanis*
di Carlo Di Mascio
Questo Stato borghese, strumento del dominio di classe borghese, Marx e Lenin hanno ripetuto che occorreva “spezzarlo”, e, idea molto più importante, hanno correlato questa “distruzione” dello Stato borghese con l’“estinzione” ulteriore del nuovo Stato rivoluzionario […]. In altri termini, essi hanno pensato la distruzione dello Stato borghese anche sulla base dell’estinzione e della fine di ogni Stato. Ciò dipende da una tesi fondamentale di Marx e di Lenin: non è solo lo Stato borghese ad essere oppressivo, ma ogni Stato.
Louis Althusser, 22ème Congrès
1. Stato, rapporti di produzione e classe dominante
Se nel marxismo rivoluzionario di Evgeni Pashukanis il «problema dello Stato», e se si vuole dell’intera sua filosofia del diritto, ha poco da condividere con la tradizione marxista legata ad una nozione ancora «romantica» e «utopica» di democrazia ottocentesca, ha invece molto a che fare con la maturità dell’analisi marxista-leninista del capitalismo, nonché con l’approfondimento teorico degli antagonismi scaturenti dai suoi intricati processi economici e amministrativi. E’, difatti, proprio in forza dell’analisi dello sviluppo del capitale - quel capitale che, in coincidenza con il contesto storico in cui La Teoria generale del diritto e il marxismo1 viene pubblicata, inizia aggressivamente a ricercare nuovi mercati in grado di assimilare sempre più pluslavoro, e che Lenin in particolare negli scritti su L’imperialismo del 1916 aveva con lungimiranza già individuato, sia per l’enorme concentrazione del potere capitalistico nella figura dei singoli Stati imperialistici che nella forza di distruzione che lo scontro tra gli stessi metteva in risalto2 - che tende a potenziarsi in Pashukanis il discorso sullo Stato come strumento borghese capace di proteggere interessi di classe e, soprattutto, di mediare le transazioni di mercato per consentire l’accumulazione capitalistica.
- Details
- Hits: 1996
Il massacro di Bucha, i camion di Bergamo e il Metaverso
di Andrea Zhok
I. I fatti e la cornice
In questi giorni al centro della discussione pubblica troviamo il cosiddetto “massacro di Bucha”, che viene presentato, secondo un canone bellico noto, come un’efferatezza delle truppe russe occupanti.
Un tempo, quando avevamo a che fare con fatti violenti, ad esempio un omicidio in città, eravamo soliti attendere gli accertamenti della magistratura, e finché questi non erano avvenuti i giornali nominavano i possibili colpevoli con espressioni tipo “l’indagato”, “il presunto sospetto”, ecc. per evitare colpevolizzazioni precoci. Oggi invece, davanti a un mucchio di morti nel contesto bellico di un paese straniero – cioè in condizioni donde le informazioni giungono sempre con difficoltà e condizionamenti – il giorno stesso dell’annuncio per la stampa internazionale era tutto chiaro e inchiodato ad un’unica versione possibile: autori, modalità, identità delle vittime, motivazioni. Qualche immagine, sezione istantanea del reale, è stata presentata come parte evidente di una storia già pronta.
Ora, né lo scrivente, né tutti quelli che hanno ricevuto la notizia di seconda mano (tra cui tutti i caporedattori dei quotidiani principali) sanno cosa sia accaduto. C’è spazio per congetture educate, deduzioni e controdeduzioni, ma non c’è conoscenza dei fatti. Ci asteniamo perciò dal proporre la nostra versione, e, in mancanza di un’indagine indipendente, proviamo a tener fermo il quadro d’insieme degli eventi, che è invece alquanto chiaro.
Un primo dato di cornice è legato alla classica questione che va sempre posta, soprattutto in situazioni di carenza di dati certi: “ A chi giova?”. Chiunque non sia sciocco o in malafede deve ammettere che c’è una parte, quella ucraina, che ha l’interesse a presentare incidenti che scandalizzino l’opinione pubblica internazionale (e spingano a sostenere la loro causa) e un’altra, quella russa, che ha l’interesse opposto.
- Details
- Hits: 2432
Guerra: tutti perdenti
di Wolfgang Streeck
Proponiamo la traduzione di un articolo di Wolfgang Streeck, comparso originariamente sulla rivista «El Salto» (https://www.elsaltodiario.com/carta-desde-europa/wolfgang-streeck-guerra-ucrania-todos-perdedores), in cui sono analizzate le motivazioni geopolitiche che si annidano dietro all’attuale Guerra in Ucraina. Streeck affronta il punto di vista russo, europeo e americano, non risparmiando ampie critiche alle ingerenze degli Stati Uniti nelle vicende europee e al ruolo di subordinazione assunto dall’Ue in un conflitto che sembra a tutti gli effetti configurarsi come una propaggine della Guerra fredda.
I motivi per cui il sistema statale europeo è precipitato nella barbarie della guerra – per la prima volta dal bombardamento di Belgrado da parte della Nato nel 1999 – non possono essere spiegati ricorrendo a una «psicologia semplificata». Perché la Russia e l’«Occidente» hanno dato il via a un implacabile guerra sull’orlo dell’abisso, con il rischio per entrambi di cadere, infine, nel precipizio?
Ora più che mai, mentre viviamo queste tremende settimane, comprendiamo quello che Gramsci intendeva con l’espressione «interregno»: una situazione «in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere», una situazione in cui «si verificano i fenomeni morbosi più svariati», come paesi potenti che consegnano il loro futuro alle incertezze di un campo di battaglia offuscato dalla nebbia della guerra.
Nessuno sa, al momento in cui scriviamo, come finirà la guerra in Ucraina, e con quale spargimento di sangue. Quello su cui possiamo provare a ragionare, a questo punto, è su quali possano essere state le ragioni – e gli individui hanno sempre delle ragioni per agire, per quanto possano irritare gli altri – dietro alla politica di pressione psicologica (brinkmanship) esercitata senza compromessi sia dagli Stati Uniti che dalla Russia. Questo è il terrificante scenario: l’escalation del confronto, la rapida diminuzione delle possibilità per entrambe le parti di salvare la faccia a meno di una vittoria totale, che termina con l’assalto omicida della Russia a un paese vicino con cui un tempo condivideva uno Stato comune.
In questo conflitto troviamo notevoli parallelismi, così come le ovvie asimmetrie, tra Russia e Stati Uniti, due imperi che da lungo tempo si trovano a dover fare i conti con la strisciante decadenza del loro ordine interno e della loro posizione internazionale e a tentare di mettere un argine a questo processo.
- Details
- Hits: 1717
Difendere la democrazia attraverso un nazionalismo fascista e una spesa militare suicida? No grazie
di Enzo Pellegrin
Se Ennio Flaiano fosse chiamato oggi a pronunciarsi sul mainstream italiano in argomento guerra, ne uscirebbe sicuramente con uno dei suoi paradossi ad effetto "Non è tanto quel che vedo o leggo a farmi impressione, ma quel che sento: quell'insopportabile rumore delle unghie che si arrampicano al vetro".
Sugli altoparlanti dell'egemonia mediatica è andata in onda a reti unificate la difesa ad ogni costo delle parole ed opere del governo ucraino, quali che fossero i mezzi da questo utilizzati, il tutto in vista di una costosa militarizzazione dell'intera Europa, già con l'acqua alla gola per la crisi economica.
La gustosa intervista ad un comandante del Battaglione Azov - composto da nazionalisti dell'ultradestra ucraina, che confessa di "leggere Kant" ai propri soldati, la comparsata della band di "Kiev calling" che canta con le magliette di Banderas, hanno scoperto più di un nervo della narrativa dominante. Una volta emerso che il cavallo politico su cui si era contato consentiva un'agibilità senza paragoni ad organizzazioni ispirate al nazismo, al nazionalismo etnico, ai collaborazionisti del Terzo Reich venerati come "eroi nazionali" con tanto di monumenti, è partita la corsa a negare l'evidenza, a ridimensionare un fenomeno che il governo ucraino per primo si rifiuta di ridimensionare, oppure ad utilizzare narrazioni consolatorie e giustificazioniste, slegate dalla realtà, come quella per cui "i nazisti esistono su entrambi i fronti".
Va fatta la solita premessa, d'obbligo di questi tempi per non vedere il proprio ragionare delegittimato a tifo: la natura della Russia governata da Putin è di tutta evidenza un regime oligarchico nel quale il blocco storico dominante (composto da un blocco politico alleato a precisi blocchi economici privati e controllati dallo Stato) utilizza tutti gli strumenti della propaganda, della gestione sociale e della repressione per la perpetuazione del potere.
- Details
- Hits: 1618
Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione
Note sulla svolta di Biden
di Alessandro Visalli
Un anno fa la nuova amministrazione democratica americana ha convocato un ambizioso evento, invitando ben 110 nazioni del mondo[1], dal nome “Summit for democracy”[2]. Lo slogan era “la democrazia non accade per caso. Dobbiamo difenderla, lottare per essa, rafforzarla, rinnovarla”. A questo evento, cui ne seguiranno altri e che rappresenta il nucleo di una nuova dottrina internazionale più interventista, come scrivono in modo esemplare ‘adatta al movimento’ in corso, l’amministrazione ha invitato paesi asiatici come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan, ma anche l’India e le Filippine, e non Singapore. In cambio era invitato il cosiddetto “Presidente ad interim” del Venezuela Juan Guaidó, ma anche i leader, o attivisti eminenti, dell’opposizione di Hong Kong, Birmania, Egitto, Bielorussia. Un notevole e sovradimensionato spazio è stato affidato, infine, ai paesi europei nordici che si affacciano sulla Russia: la Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Danimarca.
La crisi Ucraina ha prodotto qualche smagliatura su questo schema “noi/loro”. In questi giorni, ad esempio, il governo di Singapore si è mosso verso la coalizione occidentale[3], se pure con qualche dichiarazione rispettosa verso la Cina, mentre l’India si sta chiaramente avvicinando alla Russia[4] e persino alla Cina. D’altra parte, storici alleati Usa come la Thailandia e le Filippine da tempo si stanno avvicinando alla Cina, e, recentemente le Isole Salomone (fronteggianti l’Australia) hanno dichiarato di voler stipulare un accordo di cooperazione militare con il gigante asiatico (ricavandone le minacce del vicino anglosassone). Inoltre, il Pakistan, che fino ad anni recenti era stato alleato degli Stati Uniti, si sta muovendo con decisione verso la Russia e partnership più pronunciate con la Cina (ma è stato fermato, al momento da una severa crisi di governo con probabili nuove elezioni).
Page 156 of 612