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Due città, due insurrezioni e la profezia di List che si realizza
di Alastair Crooke per Strategic Culture
Il caos che gli "esperti" occidentali si aspettavano, "con libidinosa eccitazione", si sarebbe scatenato in Russia ("con la certezza che i russi... avrebbero ucciso i russi" e con Putin "probabilmente nascosto da qualche parte") – è arrivato.... ma è esploso in Francia - dove non era previsto - con Macron e non Putin alle corde.
C'è molto da riflettere da questa interessante inversione delle aspettative e degli eventi – da un racconto di due insurrezioni molto diverse:
Sabato pomeriggio, dopo che Prigozhin aveva raggiunto Rostov, negli Stati Uniti si è diffusa la notizia che il leader della Wagner aveva raggiunto un accordo con il Presidente Lukashenko per porre fine alla sua protesta e andare in Bielorussia. Si è così conclusa una vicenda sostanzialmente incruenta. Non c'è stato alcun sostegno per Prigozhin, né da parte della classe politica né da parte dell'esercito. L'establishment occidentale è rimasto sbigottito; le sue aspettative sono state inspiegabilmente distrutte nel giro di poche ore.
Altrettanto scioccanti per l'Occidente sono stati i video provenienti da Parigi e dalle città di tutta la Francia. Auto in fiamme, stazioni di polizia ed edifici comunali in fiamme, polizia attaccata e negozi ampiamente saccheggiati. Erano scene, come se fossero state prese dalla "Caduta di Roma imperiale".
Alla fine, anche questa insurrezione è svanita. Tuttavia, non è stato come l'ammutinamento di Prigozhin, conclusa con una dimostrazione di sostegno allo Stato russo in sé e al Presidente Putin in persona.
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Un anatema per il femminismo
di Clare Daly
«Il femminismo è stato spietatamente cooptato dal complesso industriale militare…. Ma la guerra e il militarismo sono un anatema per il femminismo…. Chiunque sostenga un “militarismo femminista” sta abusando del femminismo, sta sfruttando spietatamente gli anni di lavoro e impegno femminista…. La Nato sembra aver preso una decisione molto calcolata di commercializzarsi in modo diverso, e il linguaggio dell’uguaglianza di genere era proprio ciò di cui aveva bisogno…. Ma non esiste militarismo femminista. Puoi incollare un paio di pinne a un cane e chiamarlo pesce, ma è pur sempre un cane, anche se ha un aspetto piuttosto stupido…. Tutto questo è profondamente, profondamente distruttivo. È anche incredibilmente cinico, assolutamente osceno. Ma è quello che fanno i capitalisti. Prendono tutto ciò che è buono e lo riducono in polvere…. Quindi non possiamo essere timide su questo….». Dal discorso di Clare Daly, parlamentare europea irlandese (gruppo Gue/Ngl), durante le giornate di protesta internazionale promosse a Bruxelles dal 6 al 9 luglio dalle Donne globali per la pace.
Le giornate di protesta internazionale promosse dalle Donne globali per la pace, che si sono svolte a Bruxelles dal 6 al 9 luglio, hanno preso avvio dalla presentazione della Dichiarazione al parlamento europeo da parte di Skevi Koukouma (Segreteria generale del movimento delle donne POGO) e di Ulla Klotzer (Women for Peace Finland). Nelle pagine che seguono si può leggere in traduzione italiana il discorso della deputata irlandese Clare Daly del gruppo Gue/Ngl (a sinistra nella fotografia), dedicato al tema della inconciliabilità del militarismo con il femminismo. Un puntuale resoconto degli eventi dei giorni successivi sarà pubblicato su Comune-info a breve. [Bruna Bianchi]
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L’insostenibile pesantezza del non essere
di Fosco Giannini
Morte di Milan Kundera: l’egemonia della cultura liberale rilancia il più insipiente dei romanzi: “L’insostenibile leggerezza dell’essere”
“De mortuis nihil nisi bonum” (dei morti niente si dica se non il bene) è una famosa frase idiomatica contenuta nell’opera “Vita e opinioni di filosofi eminenti” che lo storico greco Diogene Laerzio, autore dell’opera, attribuisce a Chilone, uno dei sette saggi di Sparta. La locuzione è importante poiché, assieme, svolge sia il ruolo di rivelazione di una già vigente cultura, di un senso comune, volti alla venerazione, al rispetto dei morti (siamo circa a 200 anni dopo Cristo) che quello di propagazione del culto e persino dell’enfatizzazione della vita e delle opere dei morti. Un’enfatizzazione spesso così tanto vicina alla distorsione della realtà da spingere il giornale “Vita cattolica.it”, il 20 maggio 2016, in relazione alla morte di Marco Pannella a scrivere: “Non sempre «De mortuis nihil nisi bonum». A volte è meglio tacere”.
Lo scorso 11 luglio, a Parigi, a 94 anni, è morto lo scrittore ceco Milan Kundera, autore – come hanno ricordato tutti i media attraverso una grancassa mediatica rivolta ad una nuova, acritica, celebrazione dell’opera – de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Diversi giornali e telegiornali (tra i più enfatici il TG La7) hanno proclamato sul campo Milan Kundera “uno dei più grandi scrittori della seconda metà del ‘900 e “L’insostenibile leggerezza dell’essere” “tra i più grandi romanzi dell’intero ’900”. Rilanciando in pieno, attraverso questo discutibile stile di lavoro, la retorica insita nell’asserzione apodittica “de mortuis nihil nisi bonum” dell’antico Chilone. Un’asserzione apodittica, lo abbiamo già visto, per la quale anche la cultura cattolica contemporanea chiede più sorveglianza etica e culturale.
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Cronache marsigliesi /8: la guerra civile in Francia. Un tentativo di bilancio
Emilio Quadrelli intervista M. R.
La rivoluzione è un’ideologia che ha trovato delle baionette. (N. Bonaparte)
I fuochi della rivolta si sono, almeno momentaneamente, sopiti. Con questo articolo cerchiamo di comprendere che cosa i sei giorni di rivolta hanno determinato e quali scenari si vanno delineando. L’articolo si compone di tre interviste rilasciate da attori sociali, già ascoltati in precedenza, che in virtù della loro militanza politica possono vantare un qualche legame con il “popolo dei quartieri”. La nostra interazione con le interviste è stata minima ripromettendoci, in un successivo articolo, di tentare una lettura politica di quanto andato in scena. Una lettura che, senza una base empirica, diventa puro esercizio retorico. “Solo chi fa inchiesta, ha diritto di parola” e a partire da Mao, ma si potrebbe aggiungere tranquillamente da tutta la storia dello “operaismo”, abbiamo cercato in tutti i nostri articoli di mantenere questa “linea di condotta”.
Diamo pertanto, senza fronzoli di troppo, la parola a M. R., operaio precario dell’edilizia attivo nel Collectif Chomeurs Precaries.
* * * *
Che percezione c’è nei “quartieri” a Marsiglia dopo la rivolta?
Allora, in linea di massima, c’è un senso di soddisfazione abbastanza generalizzata. Questo è ampiamente comprensibile perché, almeno per sei giorni, i “quartieri” sono stati in grado di riversare, e con gli interessi, ciò che abitualmente subiscono. Questo è un fatto che puoi facilmente constatare attraversando una qualunque zona ghetto. La polizia, almeno per il momento, sta tenendo un profilo basso il che rafforza l’orgoglio della banlieue anche se questa calma, più che essere la ratifica di un mutamento dei rapporti di forza, appare come la classica calma che precede la tempesta.
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La democrazia dei signori
Recensione di Alessia Franco
Luciano Canfora: La democrazia dei signori, Laterza, Roma/Bari 2022, 88 pp., Isbn 9788858147405.
L’agile volume di Canfora tenta di offrire una analisi della deriva politica (e culturale) italiana, precisando quanto sia complessa la congiuntura che la determina: trasformazioni strutturali ed economiche, nonché di autopercezione da parte dei differenti e compositi strati sociali; equilibrismi istituzionali tra la dimensione delle singole sovranità nazionali e di quanto, più in alto, l’Europa “ci chiede”; la presunta esigenza di snellire le normali procedure costituzionali tendendo, attraverso eccezioni sempre più frequenti e consolidate - complice la prolungata situazione di emergenza determinata dalla pandemia di Covid-19 - di accentramento di potere legislativo nelle mani dell’esecutivo; l’intreccio amaro di propositi e necessità, come far funzionare l’apparato dello Stato e tutti i settori pubblici mentre, nel contempo, ci viene imposto di tagliare la spesa pubblica e smantellare quanto resta dello Stato sociale, considerato insieme alla Costituzione un asfittico residuo di altre epoche. La chiave di lettura che Canfora tiene presente e sovente ricorda a chi legge, è la complessa relazione tra la dimensione nazionale e quella internazionale del problema politico; la causa occasionale dell’analisi è offerta dal governo Draghi, e dall’anomalia, gravida di implicanze e conseguenze, che esso ha costituito rispetto al nostro quadro costituzionale.
Tra le categorie politiche che Canfora mette in discussione teoricamente e poi dimostra insufficientemente realizzate nella pratica contemporanea, c’è quella del “suffragio universale”.
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La diplomazia russo-cinese riporta la Pace laddove gli USA avevano seminato la guerra
Russia e Cina hanno avviato una vera e propria rivoluzione diplomatica
di Francesco Cappello
Mentre la diplomazia dell’Unione europea, per bocca di Joseph Borrell, che aveva definito le autorità di Mosca “regime fascista”, dichiara l’Europa un “giardino” e il resto del mondo una “giungla”, nel resto del mondo Russia e Cina hanno avviato una vera e propria rivoluzione diplomatica.
Ecco la dichiarazione di Borrell proferita nel corso dell’inaugurazione a Bruges del nuovo programma di studi dell’Accademia diplomatica europea che dovrebbe formare i futuri diplomatici della Ue:
«Sì, l’Europa è un giardino. Abbiamo costruito un giardino. Tutto funziona. È la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità sia riuscita a costruire: le tre cose insieme (…) La maggior parte del resto del mondo è una giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino. I giardinieri dovrebbero occuparsene, ma non proteggeranno il giardino costruendo muri. Un bel giardinetto circondato da alte mura per impedire l’ingresso della giungla non sarà una soluzione (…) I giardinieri devono andare nella giungla. Gli europei devono essere molto più coinvolti con il resto del mondo. Altrimenti il resto del mondo ci invaderà, in modi e mezzi diversi (…) questa guerra è stata un’occasione per l’Unione europea di essere più assertiva e di spingere per la creazione di una posizione europea – dal lato della politica estera e anche dal punto di vista militare e di difesa».
e la Dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-NATO del 10 gennaio:
L’Occidente unito «mobiliterà ulteriormente l’insieme degli strumenti a nostra disposizione, siano essi politici, economici o militari, per perseguire i nostri obiettivi comuni a beneficio del nostro miliardo di cittadini».
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Come spiegare la guerra in Ucraina?
di Sergio Farris
Come sappiamo, il 24 febbraio 2022 la Federazione russa ha dato inizio a un’invasione militare dell’Ucraina.
Fin dal principio, la visione prevalente del conflitto diffusa dai politici e dai mezzi di comunicazione occidentali ha abbracciato una teoria che si sposa con il liberalismo. Entro un certo limite, questo è comprensibile. Era persino prevedibile. Come abbiamo già scritto sulle pagine di questo sito, un sistema di valori e di istituzioni tende naturalmente a ricercare conferma della propria bontà, ponendosi magari in controluce rispetto a sistemi che deve considerare alteri.
Nelle considerazioni che seguono, si cercherà di dar conto dell’interrogativo in oggetto alla luce di due fra le maggiori scuole di pensiero delle relazioni internazionali: liberalismo e realismo. (1)
* * * *
Il liberalismo connota le cosiddette ‘democrazie occidentali’.
La locuzione liberal-democrazia definisce un sistema-paese dove si tengono periodicamente elezioni ‘libere’ dei rappresentanti politici e dove sussistono garanzie giuridiche dei diritti individuali. Lo stato è considerato invasivo della sfera personale, pertanto il potere pubblico deve soggiacere al diritto e non deve essere esercitato in modo arbitrario.
Se si prova ad applicare il liberalismo alle relazioni internazionali, anche in tale disciplina emerge la sua matrice individualistica.
Nell’ambito delle relazioni internazionali, il liberalismo si riferisce al modo mediante il quale le istituzioni, i comportamenti e i legami economici temperano e contengono il potere degli stati.
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“Ur dei Caldei” e il prestito del Tempio. Cronache marXZiane n. 12
di Giorgio Gattei
1. Dove eravamo rimasti? Che prima dei Babilonesi in quello stesso lembo di terra tra il Tigri e l’Eufrate avevano abitato i Sumeri e sono stati costoro ad aver dato il via, 5000 anni fa, ad una intera economia centrata sul prestito ad interesse. Insomma, ai Sumeri non spetterebbe soltanto quella “rivoluzione urbana” che ha attribuito loro Gordon Childe nel 1950 (a fare il paio con la successiva Rivoluzione industriale britannica del XVIII secolo), ma ben di più se, insieme alle città, essi avrebbero inventato addirittura la finanza (O. Bulgarelli, La finanza… esisteva già nel III millennio a. C.?, in Bancaria”, 2015, n. 12 e più in dettaglio Moneta ed economia nella antica Mesopotamia (III-I millennio a.C.), in “Rivista trimestrale di diritto dell’economia”, 2009, n. 3, supplemento). Le condizioni ambientali c’erano tutte: un territorio alluvionale particolarmente fertile per cereali e bestiame, una produttività del lavoro in aumento, una popolazione in crescita che progressivamente si trasferiva dall’insediamento sparso dei villaggi in agglomerati urbani in cui le attività economiche si specializzavano facendo coesistere le abitazioni private con le botteghe artigiane e commerciali. Storicamente la città più famosa ritrovata dagli archeologi è stata «Ur dei Caldei» (come viene impropriamente chiamata nella Bibbia) che, se non proprio la prima che sembra che sia stata Uruk peraltro non distante) è stata certamente la più importante e dove ha vissuto il patriarca Abramo prima di trasferirsi, con famiglia e mandrie al seguito, nel “paese di Canaan”, ossia in Palestina.
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Una lunga estate calda
di Enrico Tomaselli
La NATO si riunisce a Vilnius, a ridosso dei confini russi, ma non può celebrare – come sperato – alcun successo ucraino; al contrario, l’incontro porta alla luce le reciproche diffidenze e divisioni e produce un nulla di fatto. Perché è sì la politica a condurre la guerra, ma ciò che accade sul campo la determina. E da lì non viene alcuna buona notizia per l’Alleanza Atlantica. Al contrario della narrazione propagandistica, si avvertono i primi scricchiolii che ne minano la stabilità.
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Uomini e munizioni
A 5 settimane dall’avvio della controffensiva ucraina, ed entrati ormai pienamente nell’estate, possiamo provare a tracciare, se non un bilancio, certamente un quadro dei trend principali.
Al netto delle solite sparate propagandistiche (“19 basi russe distrutte”, “Bakhmut sotto controllo”…), la situazione sul campo non presenta mutamenti sostanziali, come era del resto prevedibile. In mancanza della supremazia aerea, qualunque offensiva è ovviamente un azzardo, ma per quanto riguarda gli ucraini ci sono da considerare altri due fattori non meno importanti; il primo, è il deficit di artiglieria, e segnatamente di munizionamento (1), il secondo è l’insufficiente rapporto numerico tra attaccanti (ucraini) e difensori (russi).
Normalmente si considera che – a parità delle altre condizioni – sia necessario un rapporto 4:1, in favore di chi attacca. Ma attualmente la situazione lungo la linea di combattimento è diversa.
Le forze russe dislocate nelle quattro regioni ex-ucraine contano circa 250/280.000 uomini – ovviamente non tutti schierati in prima linea – mentre le forze ucraine ne schierano circa 400.000. Complessivamente, lungo i quasi 1000 km di fronte, il rapporto effettivo è di 2:1, con punte di 3:1 (nel settore di Bakhmut-Artyomovsk).
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Capitale e lavoro: un conflitto di struttura
di Roberto Romano
La relazione tra capitale e lavoro varia nel tempo e a seconda dei Paesi. Negli ultimi anni il nostro è l’unico Paese tra i fondatori dell’Unione europea in cui il risultato lordo di gestione (cioè i profitti) è sistematicamente più alto del reddito da lavoro in rapporto al Pil
Il conflitto capitale-lavoro ha una storia molto lunga. Nel tempo è cambiato il contenuto di sapere e saper fare di capitale e lavoro1; sostanzialmente il primo come il secondo sono figli della società che evolve nei diritti, nella percezione del ben-essere e, soprattutto, dei diritti di seconda generazione descritti da Norberto Bobbio2. Questi diritti sono ancora oggi un asse importante della società moderna. Certamente sono indeboliti, ma la spesa pubblica per i cosiddetti “beni di merito” (scuola, sanità, previdenza e assistenza in caso di perdita del posto di lavoro) sono una parte cospicua della spesa pubblica. I “beni di merito” dovrebbero e potrebbero essere più elevati se passasse l’idea (giusta) che le tasse sono un diritto, ma l’attuale dimensione della spesa pubblica rimane comunque importante.
Il capitale ha tratto certamente giovamento dell’intervento pubblico; anche il lavoro ha beneficiato dell’attivismo dello Stato, almeno storicamente, ma la recente struttura del capitale nazionale ed europeo registra una difficoltà di sistema importante.
La contabilità nazionale
La contabilità nazionale è fondamentale per analizzare il flusso del reddito sia dal lato della domanda e sia dal lato dell’offerta, così come è fondamentale per studiare la ripartizione dello stesso reddito tra i diversi soggetti economici. La contabilità nazionale, inoltre, permette di osservare la ripartizione del reddito. Il reddito nazionale è costituito dalla somma dei redditi da lavoro (salari e stipendi – W – al lordo dei contributi sociali), dalla rendita (R) per l’affitto di proprietà (terreni, case, ecc.), dai profitti (P) che comprendono tutte le remunerazioni non altrove classificate (interessi, dividendi, ecc.):
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Ecosistemi cognitivi
Ovvero l’individuo come rete autopoietica
di Raffaele Guarino
“Il mondo è come te lo metti in testa”
Nel film Everything everywhere all at once, la protagonista scopre l’esistenza di alcuni universi paralleli generati dopo ogni scelta avvenuta nel corso della sua vita. Ognuno di questi rappresenta una versione di lei che ha preso esattamente la decisione opposta. Attraverso una tecnologia sviluppata in uno di questi universi, Michelle Yeoh ha la possibilità di fare visita alle diverse versioni di sé e acquisirne le capacità e le competenze. Le sliding doors, come il trasferimento della mente in corpi diversi, rappresentano uno dei topoi più diffusi nel panorama fantascientifico e sono, per questa ragione, perfette rappresentazioni sia delle fantasie più diffuse che del metodo scientifico maggiormente affermato basato sulla separazione tra soggetto e oggetto. In questo caso, la trama del film è un utile stratagemma per mettere in risalto quei caratteri del pensiero che riguardano i concetti di individuo e degli universi spazio-temporali che questo attraversa. La possibilità di trasferimento della propria individualità in corpi diversi presuppone, infatti, la possibile separazione tra il processo cognitivo, affidato dall’immaginario collettivo al cervello, e la macchina motrice, ovvero il corpo. Non è un caso che nel film la tecnologia che consente il trasferimento sia un dispositivo da indossare proprio sulla testa. Da questa prospettiva, il sistema nervoso è la sede del governo centrale dell’individualità e può essere ospitato da diverse macchine corporee da utilizzare in base alle informazioni in suo possesso. In questa visione si presuppone anche che i prodotti dei processi cognitivi, come per esempio le abilità nella lotta, siano codificati in una sequenza di informazioni acquisibili da chiunque sia in grado di decifrarla.
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«Non più parole ma piogge di piombo»1. Il labirinto degli anni Settanta in libreria
di Alessandro Barile (Università “La Sapienza” di Roma)
Vi è ancora un bisogno di verità che ruota attorno al lungo Sessantotto italiano. Ne è prova la persistenza editoriale del tema, che vede storia e testimonianza - sovente uno strano ibrido tra le due - catalizzare l’attenzione di un discreto pubblico di studiosi e appassionati. A conferma dell’esistenza di un significativo interesse pubblico appaiono soprattutto le numerose ristampe e riedizioni di opere di difficile reperibilità: ad esempio i ricordi di Prospero Gallinari (Un contadino nella metropoli, Pgreco 2023, I ed. 2006) o l’operaismo di Romolo Gobbi (Com’eri bella, classe operaia, Derive Approdi 2023, I ed. 1989), che si vanno ad aggiungere ai lavori “laterziani” di Valentine Lomellini (La diplomazia del terrore, 2023; Il “lodo Moro”, 2022), al lavoro di Monica Galfrè (Il figlio terrorista, Einaudi 2022), nonché alla vasta ricostruzione di Miguel Gotor (Generazione Settanta, Einaudi 2022). Vogliamo qui concentrare l’attenzione sui ricordi di Guido Viale (Niente da dimenticare, Interno 4 edizioni 2022), e soprattutto sul discusso lavoro di Roberto Colozza (L’af- faire 7 aprile, Einaudi 2023), letto alla luce di un altro libro importante e scomparso e meritoriamente rieditato da Chiarelettere, La generazione degli anni perduti, di Aldo Grandi (2023, I ed. 2003).
I confini “politico-cronologici” degli anni Settanta si dilatano o si contraggono a seconda delle interpretazioni (e delle convenienze). Se Miguel Gotor li allunga non senza valide motivazioni («1966-1982»), Guido Viale li “decentra” con giustificazioni meno comprensibili ed esplicite («dal 1962 al 1976», p. 15). Possiamo giocare con le genealogie: se ne può individuare una di lungo respiro (il 1956 come crisi e scomposizione del marxismo italiano)2; oppure il 1962 (gli scontri di piazza Statuto a Torino, la nascita della rivista «Quaderni rossi»)3.
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Fed e BCE nel vicolo cieco della politica monetaria
di Tomasz Konicz
Breve storia delle aporie della politica borghese di crisi nella fase di transizione dell'economia globale, dalla crisi pandemica alla crisi bellica
Dalla pandemia alla guerra: l'economia mondiale non ha più pace. Sul suo sito web, "Tagesschau" vede l'economia mondiale minacciata addirittura da «crisi multiple» [*1] Ma quando si tratta di parlare delle conseguenze economiche causate dalla rapida erosione del sistema capitalistico globale, quel che ora ci si pone è la questione di sapere se abbia un qualche senso parlare di crisi economica pandemica o di crisi economica bellica; o se piuttosto non sia invece più appropriato comprendere gli shock economici che si susseguono come delle fasi di quello che è un solo e unico processo di crisi sistemica. In ogni caso - nella sua ultima analisi dell'economia globale - la Banca Mondiale ha dovuto rivedere, in maniera significativa e al ribasso, le sue precedenti previsioni di crescita [*2]. Secondo le ultime previsioni, quest'anno l'economia globale dovrebbe crescere solo del 2,9%, mentre invece a gennaio, l'attesa per la Banca Mondiale, corrispondeva ancora al 4,1%. Se così fosse, ciò significherebbe arrivare quasi a dimezzare lo slancio economico globale, il quale, nel 2021, grazie alle gigantesche misure di stimolo economico finanziate dal debito di molti Stati, era arrivato a registrare un enorme aumento del 5,7%. Per molti Paesi in via di sviluppo ed emergenti, i quali possono arrivare ad avere stabilità sociale solo attraverso alti tassi di crescita, un tale rallentamento economico è già di per sé pericoloso, soprattutto se visto in un contesto di impennata dei prezzi dei generi alimentari. Inoltre, la Banca Mondiale ha messo in guardia a proposito del crescente rischio di un periodo prolungato di stagflazione, simile alla fase di crisi avuta negli anni '70, allorché la stagnazione economica veniva a essere accompagnata anche da un'inflazione a due cifre (a tal proposito si veda anche: "Ritorno alla stagflazione?" [*3]).
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La comprensibile furia delle sommosse francesi
di Andrea Inglese
Solipsismo collettivo
Nelle pagine più intense e terrificanti di 1984, in una pausa tra le varie sessioni di tortura, a cui Smith, il protagonista del romanzo di Orwell, è sottoposto, avviene una cruciale conversazione tra lui e O’Brien, il dirigente del partito che si occupa della sua “rieducazione”. “We control matter because we control the mind” (Noi controlliamo la materia perché controlliamo la mente). Qualche paragrafo dopo, O’Brien lo definisce il metodo del “solipsismo collettivo”: se tutti dicono che una cosa non esiste, e sono convinti che quella cosa non esiste, nulla può far sì che collettivamente, che socialmente, quella cosa esista. Nella distopia orwelliana, è il partito che attraverso la manipolazione delle coscienze e il terrore impone ai suoi membri il solipsismo collettivo: è vero solo quello che esiste nelle coscienze, nella testa delle persone. Nulla conta di ciò che esiste in una pretesa realtà al di fuori di esse. Nelle democrazie attuali non sono escluse simili forme di solipsismo collettivo, ma esse hanno un valore rassicurante, fungono da allucinazione orchestrata, ma attraverso una concertazione a cui ognuno liberamente partecipa. I ministri dicono certe cose, i portavoce dei ministri le ripetono, e così pure i giornalisti della stampa e della televisione, e poi gli opinionisti, e infine la gente intervistata per strada: continuando a ripetere una cosa o negando la sua esistenza nel discorso, si fa in modo che essa appaia o scompaia secondo il flusso concertante.
Piano Macron per le periferie: Quartieri 2030
Nel 2016, in un incontro pubblico nei quartieri popolari a nord di Parigi (Seine-Saint-Denis), il candidato alla presidenza Emmanuel Macron evoca un progetto per le periferie, affinché i giovani possano emanciparsi e acquistare una libertà d’iniziativa, che appare congelata in quei territori.
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Le regole del Mes sono la prova che questa Europa è senza speranza
di Carlo Clericetti
La nuova situazione geopolitica, che ha mutato profondamente il processo di globalizzazione, mostra gli enormi limiti di un’Unione nata un trentennio fa su presupposti molto diversi. Ma le classi dirigenti europee non sembrano rendersene conto e continuano a proporre strumenti come il Mes e regole che non cambiano la logica del passato
Il governo, la Banca d’Italia, la Commissione europea, l’Ocse, il Fondo monetario: tutti, all’inizio dell’anno, stimavano una crescita del Pil italiano nel 2023 dello 0,6%. E tutti, oggi, correggono la stima intorno all’1,2. Certo c’è da essere contenti che l’Italia stia crescendo il doppio delle previsioni e sopra la media dell’eurozona, anche se (come nota per esempio Attilio Pasetto su Eguaglianza & Libertà) fattori importanti come la produzione industriale (ad aprile -7,2% su base annua) e l’export (-5,4% sempre ad aprile sull’anno) stanno andando male e l’aumento è dovuto quasi solo a consumi e turismo.
“Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”, poetava Lorenzo il Magnifico. Aveva proprio ragione: non si può fare a meno di notare che le stime di tutti quegli autorevolissimi organismi hanno fatto un errore del 100% sull’arco di pochi mesi, per giunta in un periodo in cui, sul piano economico, non ci sono state scosse particolari. E chi poteva prevedere – si potrebbe obiettare – che gli italiani si sarebbero messi a spendere e che in tanti paesi del mondo si sarebbe sentito il desiderio di visitare l’Italia? Nessuno, certo. Come era imprevedibile la pandemia, quantomeno nelle dimensioni che ha assunto, o la vicenda dell’Ucraina, due eventi che hanno fatto mutare bruscamente e profondamente il quadro economico. La realtà è piena di fatti imprevedibili.
Il problema sta nel fatto che i tecnocrati europei, e vari uomini politici dei paesi ossessionati dai saldi di bilancio, pretendono invece di prevederli, e ritengono che su stime del genere debbano essere basate le regole europee.
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L’ostinata ricerca. Ricardo e la misura invariabile del valore
di Riccardo Evangelista
La teoria del valore di David Ricardo, un vero rompicapo dell'economia politica di cui Marx saprà acutamente servirsi, ha posto le basi per definire la distribuzione dei redditi nel capitalismo come un processo conflittuale. Motivo per cui è oggi importante riscoprirne i fondamenti
Nella sua Storia dell’economia, piccolo capolavoro della divulgazione d’autore, John Kennet Galbraith introduce in questo modo l’economista David Ricardo:
«È il personaggio più sconcertante e, sotto certi aspetti, il più controverso nella storia della sua disciplina; sconcertante perché la natura e la profondità della sua influenza sulla scienza economica sono tutt’altro che chiare; controverso perché agli occhi di molti tale influsso ha reso un servizio meraviglioso alle persone sbagliate: Marx e i marxisti. » (J. K. Galbraith, Storia dell’economia)
Un giudizio tutt’altro che esagerato: effettivamente siamo di fronte a un autore difficile, a tratti oscuro, con una prosa grigia e un metodo rigidamente deduttivo attraverso il quale, muovendo da una proposizione evidente (o presunta tale), arriva a conclusioni ritenute inevitabili. Nei suoi aspetti più originali e anche in forza di discordie interpretative ancora irrisolte, rappresenta probabilmente il caso scientifico più interessante del pensiero economico.
David Ricardo nasce a Londra nel 1772 da una famiglia ebrea di antiche origini portoghesi e, dopo una lunga attività da agente di cambio che lo aveva reso benestante, nel 1815 pubblica l’opera in cui s’imbatte per la prima volta nel problema che lo tormenterà per tutta la vita da infaticabile studioso: l’origine e la misura del valore, nonché le leggi che determinano la distribuzione dei redditi nella società capitalistica. Il titolo didascalico, Saggio sull’influenza di un basso prezzo sul grano sui profitti del capitale, non deve trarre in inganno: pur facendo riferimento a una questione di politica economica del tempo (il dibattito del Parlamento inglese sulle Corn Laws, relativo all’opportunità di aprire all’importazione del grano straniero), lo scritto, per quanto breve, ha una portata che deborda largamente dagli argini contingenti.
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Generazione Z e social
di Vittorio Stano
I parte
… Tempora mutantur et nos mutamur in illis
I social media hanno poco meno di 20anni di vita, eppure hanno già rivoluzionato e ribaltato i paradigmi della comunicazione a livello planetario.
L’evoluzione è stata rapida e i cambiamenti radicali, al punto che oggi vivere senza queste piattaforme sembra impensabile.
Internet è diventato il luogo in cui ogni singolo individuo può condividere le proprie idee e conoscenze, postare le proprie foto e depositare le esperienze di vita più o meno rilevanti dentro un database, sapendo che altre persone faranno altrettanto. Il vecchio e caro diario, dove si annotavano i pensieri al fin di ricordare e far chiarezza su ciò che capitava, è stato sostituito dai social network che, attraverso le numerose e sempre nuove funzionalità, sono in grado di creare un vero e proprio diario dell’utente.
È evidente una sostanziale differenza riguardo alla privacy. Il contenuto del diario cartaceo era custodito gelosamente con chiave & lucchetto, per tenere alla larga i curiosi; sui social network, invece, la vita del singolo è sotto gli occhi di tutti.
Neppure l’allora giovanissimo Mark Zuckeberg era a conoscenza della portata rivoluzionaria della sua creazione. L’avvento di Facebook nel 2004 ha cambiato il mondo.
I social network stanno avendo un impatto forte nelle nostre vite attraverso la rete di servizi che consente agli utenti di scambiare messaggi, informazioni e contenuti attraverso i vari canali. Nella società attuale l’utente digitale non è uno spettatore inattivo, ma diventa potenziale produttore di contenuti. Visivamente i social media possono essere immaginati come dei nodi.
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Se stai guidando verso un precipizio, hai bisogno di un’auto più veloce?
Ovvero: L’intelligenza artificiale e il destino del mondo
di Richard Heinberg
Eliezer Yudkowsky, cofondatore del Machine Intelligence Research Institute, pensa che l’intelligenza artificiale (IA) ci ucciderà tutti. Spesso pone la seguente domanda: immaginate di essere un membro di una tribù di cacciatori-raccoglitori isolata e che un giorno si presentino delle strane persone dotate di scrittura, armi e denaro. Dovreste accoglierli?
Per Yudkowsky, l’IA è come un alieno spaziale super-intelligente; inevitabilmente, deciderà che noi esseri umani e altri viventi non siamo che mucchi di atomi per i quali può trovare usi migliori. “In qualunque circostanza lontanamente simile a quelle attuali“, ha scritto Yudkowsky in un recente articolo sul Time, “tutti gli abitanti della Terra moriranno. Non nel senso di ‘forse per qualche remota possibilità’, ma nel senso di ‘questa è la cosa più ovvia che accadrebbe'”.
Il 30 maggio, un gruppo di leader dell’industria dell’IA provenienti da Google Deepmind, Anthropic, OpenAI (compreso il suo amministratore delegato, Sam Altman) e altri laboratori ha pubblicato una lettera aperta in cui avvertono che questa tecnologia potrebbe un giorno rappresentare “una minaccia esistenziale per l’umanità“. Per i curiosi, ecco una breve descrizione di alcuni dei modi in cui l’IA potrebbe spazzarci via.
Non tutti pensano all’IA in termini apocalittici. Bill Gates, ex presidente di Microsoft Corporation, ritiene però che l’IA possa sconvolgere il mondo degli affari e della tecnologia, portando forse alla scomparsa di Amazon e Google.
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Louise Michel, una vita per la rivoluzione
di Fernanda Mazzoli
Un ritratto della rivoluzionaria francese Louise Michel, scritto da Fernanda Mazzoli
Già dalla nascita – maggio 1830 – la vita di Louise Michel è posta sotto il segno dell’anomalia, se non dello scandalo: sua madre è una giovane contadina che lavora come domestica nel castello di Vroncourt, in Haute Marne e suo padre il figlio dei proprietari del maniero. Il padre non la riconoscerà e, infatti, la futura rivoluzionaria porta il cognome della madre, Marianne Michel, alla quale voterà un affetto profondo e protettivo. Storia dolorosa, ma tutto sommato non poi così originale, se non fosse che la piccola viene cresciuta amorevolmente nel castello dai nonni paterni, Charlotte e Charles Demahis, presso i quali Marianne continua a lavorare circondata dalla stima di tutti. Il padre, invece, si è trasferito in una fattoria dei dintorni, si è sposato con un’altra donna e sembra estraneo al singolare gruppo familiare, al quale va aggiunta un’altra figlia, separata dal marito, che è tornata a vivere con i vecchi genitori insieme al figlio Jules, cugino e compagno di giochi di Louise. Il nonno – discendente di un’antica famiglia – è un seguace di Voltaire, trascorre il suo tempo immerso nei libri, ama l’arte e la musica e coltiva la memoria dei grandi rivoluzionari dell’89. È lui ad occuparsi personalmente dell’istruzione della bambina.
Il castello ha conosciuto tempi migliori, le sue quattro torri dominano una campagna fatta di vigneti, prati e boschi, da lontano sembra un mausoleo o una fortezza, ma è in gran parte in rovina ed aperto ai venti come una nave. Ed abitato da animali di ogni sorta – cani, gatti, uccelli, caprioli, puledri – che entrano tranquillamente nella grande sala al pianterreno dove nelle sere d’inverno la famiglia al completo- comprese Marianne e la nonna materna di Louise, una contadina del villaggio – si riunisce intorno al grande tavolo, ascoltando le letture ad alta voce fatte dai padroni di casa e lavorando a maglia.
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La politica dei naufragi
di Guido Mandarino
Il naufragio di Pylos e quello di Cutro sono stati l’occasione per i governi europei per ribadire la necessità di aumentare i controlli e limitare i flussi dei migranti, ovviamente per evitare il ripetersi di queste stragi. Ed è stata anche l’occasione per la denuncia ormai seriale delle insufficienze dei sistemi di soccorso e delle leggi sulla sempre più restrittiva regolamentazione delle frontiere.
Non è il caso di unirsi a questo impianto scenico. Per chi ha a cuore la vita di coloro che scappano dai loro paesi per trovare una situazione migliore non va bene la solidarietà posticcia né la denuncia della scarsa democraticità dei nostri governi.
I naufragi in mare sono una delle conseguenze delle politiche di contenimento e deterrenza dell’Unione Europea che partono da lontano e che nel Patto Europeo sull’immigrazione e l’asilo del 2020 hanno solo una tappa. Controllare e reprimere l’immigrazione irregolare, prevenire i flussi costituendo un cordone sanitario sempre più ampio e militare. È su questa legalità che nascono le tragedie del mare. Vediamone il contesto.
Crisi globale, migrazione globale
Già nel 2017 il rapporto dello European Political Strategy Centre del 2017 descriveva i 10 trend che caratterizzano l’odierna immigrazione (che viene fatta risalire al 2001). Curiosamente gli autori non si sono resi conto di come dal 2001, elencando “chi emigra”, il “perché si emigra”, e il “da dove” provengono i flussi, si ottiene un dato univoco e cioè che il fenomeno migratorio è diventato “universale”: riguarda uomini, famiglie, donne, bambini; si fugge dalla crisi economica, dalla carestia, dai disastri ambientali e si fugge dal cosiddetto “sud globale”.
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L'arma più letale della Nato? L'informazione di guerra
di Giorgio Ferrari
La campagna di disinformazione sui danneggiamenti alle infrastrutture civili presenti in territorio ukraino non conosce sosta da parte di quasi tutti i paesi aderenti alla Nato, con l’Italia in testa. A tenere banco sono, ancora una volta, la diga di Kakhovska e la centrale nucleare di Zaporizhzhia per le quali si addebita ai russi ogni responsabilità per quanto già accaduto o che potrebbe ancora accadere.
Diga di Kakhovska
A dare manforte all’accusa di ecocidio verso la Russia per aver distrutto la diga di Kakhovska, sono recentemente intervenuti il New York Times e Greta Thunberg.
Il più noto quotidiano del mondo si è spinto a scrivere un articolo dal titolo “Perché le prove suggeriscono che la Russia abbia fatto saltare in aria la diga di Kakhovka”1, dove invece che delle “prove” si esibiscono una serie di congetture che dovrebbero avvalorare l’assunto del titolo.
Si comincia con l’affermare che la diga in questione, essendo stata costruita dall’ Urss nel periodo della guerra fredda, fu concepita per resistere a qualsiasi attacco esterno: ergo nessun bombardamento avrebbe potuto abbatterla.
Conseguentemente la sua distruzione non può che essere avvenuta con delle mine appositamente collocate nei punti deboli della diga e siccome il progetto originario era russo, solo i russi possono sapere dove si trovano questi punti deboli che l’articolo del NYT individua nel cunicolo di ispezione del basamento della diga.
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Senza partito niente coscienza di classe. Senza classe niente partito rivoluzionario
di Carlo Formenti
Questa non è una recensione. Il nuovo libro di Visalli, Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo (1), tratta troppi argomenti perché li si possa esaurire nell'angusto spazio di una recensione, ancorché corposa. In questo articolo mi limito quindi ad affrontare due temi teorici che reputo cruciali: la ridefinizione del concetto di classe (e il suo impatto sul concetto di partito) e il background "religioso" della civiltà capitalistica (e la sua capacità di "contaminare" il discorso socialista). Da queste pagine restano quindi fuori temi quali il lascito delle grandi rivoluzioni otto-novecentesche, nonché l'alternanza fra capitalismo di mercato e capitalismo politicamente regolato, associata all'alternanza fra fasi di crisi e fasi di ripresa economica, temi ai quali il lavoro di Visalli dedica ampio spazio.
1. Classe e partito: due questioni inscindibili
"Lo spettro che si aggira per l'Europa" evocato da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti era in larga misura un'entità virtuale (decenni più tardi, al tempo della Comune, gli insorti saranno in larga misura garzoni di bottega e artigiani, più che operai in senso moderno), ma presentava già una consistenza materiale sufficiente a inquietare una borghesia timorosa di dover abbandonare il trono sul quale si era da poco seduta. Oggi, dopo che la controrivoluzione neoliberale ha espropriato il proletariato occidentale della propria identità sociale, culturale e politica, lo spettro di cui sopra sembra persino più evanescente di quello evocato un secolo e mezzo fa.
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Macchine del Tempo: la Cina e la Modernità
di Filippo Scafi
Il Grande Sogno della Repubblica Popolare Cinese offre non pochi motivi d’interesse da molteplici punti di vista
Il 15 giugno 2023 Xi Jinping ha compiuto settant’anni; negli ultimi dieci ha ricoperto la carica di Presidente della grande macchina che è la Repubblica Popolare Cinese. Figlio di una delle figure più di spicco della rivoluzione del 1946-50, Xi Zhongxun, Jinping è parte del gruppo “Principi Rossi” – l’insieme di coloro in cui scorre il sangue dei rivoluzionari che hanno contribuito a costruire la Cina contemporanea e la sua via socialista. Ultimo in ordine cronologico dei segretari di Partito, Xi Jinping ha sviluppato e tentato di concretizzare sin dalla sua nomina un programma politico-filosofico in 14 punti: Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era (習近平新時代中國特色社會主義思想).
L’elaborazione dello xiismo non ha implicato strappi, rivendicazioni ideologiche, rimodellazioni del grande sogno. In continuità con l’idea di socialismo posta in essere da Deng Xiaoping, lo xiismo risponde, riconosce, propaga, riassesta, gestisce, ottimizza, smussa – prosegue, con estrema fiducia, un programma di apparente appropriazione del futuro. Nei “Principi Rossi”, che non detengono alcun privilegio politico particolare in funzione della loro appartenenza alla stirpe rivoluzionaria, non è contenuto il lume di una monarchia. Ogni individuo, anche colui che possiede più potere simbolico, è subordinato al grande progetto della Cina socialista. Cina moderna, eppure aliena.
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Della guerra (post-ucraina)
di Enrico Tomaselli
Il conflitto NATO-Russia costituisce visibilmente un importante giro di boa, che attesta ed accelera un radicale cambiamento negli equilibri geopolitici. Ma, al tempo stesso, se pure meno visibilmente, rappresenta una svolta nelle dottrine strategiche, il cui impatto (non solo sulle strutture militari, ma sulle intere società occidentali) è destinato a segnare i lustri a venire.
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Le molte facce della guerra
Ogni guerra – e significativamente ogni guerra moderna – presenta innumerevoli aspetti, tutti costantemente intrecciati tra di loro. C’è ovviamente un aspetto politico – che, almeno teoricamente, sovrasta e racchiude tutti gli altri. C’è un aspetto territoriale – ovvero i mutamenti nei confini geografici che il conflitto produce. C’è un aspetto industriale – che attiene non solo alla capacità dei singoli belligeranti di alimentare il proprio esercito, ma anche i risvolti economici (positivi o negativi) che questo comporta. Ci sono aspetti demografici, economici, psicologici e molti altri ancora.
Uno degli aspetti più importanti, su cui in genere ci si sofferma però solo a guerra finita ed in ristretti circoli di addetti ai lavori, è quello della guerra come terreno di verifica, sia dell’efficacia dei sistemi d’arma che, ancor più, delle tattiche e delle strategie immaginate prima della guerra. Il conflitto in Ucraina sta dicendo in merito moltissime cose, su cui vale la pena cominciare a soffermarsi.
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Una critica alle teorie sulla finanziarizzazione delle corporation non finanziarie
di Francisco Paulo Cipolla e Paolo Giussani
Da Countdown vol. V/VI Studi sulla crisi, ed. Asterios
1. Introduzione
I fenomeni a supporto delle interpretazioni secondo cui le corporation non finanziarie si stavano trasformando sempre più in imprese dominate da interessi finanziari sono stati i profitti in crescita delle attività finanziarie rispetto a quelli dell’economia reale (Kripnner 2005, Stockhammer 2004); il trasferimento nel sistema finanziario di una quota sempre maggiore di profitti sotto forma di interessi, i dividendi e il riacquisto di azioni (Duménil e Lévy 2004, p.74; Lazonick); una percentuale sempre maggiore dello stock di asset finanziari rispetto a quelli reali. Queste tendenze vengono incentivate sempre più una volta osservato l’aumento dei profitti nel sistema finanziario rispetto ai profitti totali dell’economia (Magdoff e Sweezy 1987 p.98; Harvey 2011, p.50) o per il volume infinitamente più grande delle operazioni finanziarie rispetto all’effettiva produzione di ricchezza.
Senza trascurare la sfida che questi fenomeni rappresentano per la nostra comprensione, in questo lavoro ci limiteremo ad analizzare i processi che vengono considerati come prove della finanziarizzazione delle corporation non finanziarie. Questa evidenza verrà illustrata in seguito attraverso grafici che replicano la maggior parte delle serie più comuni che si trovano nella letteratura specifica. Tuttavia, poiché si tratta di aggiornamenti relativi ad un periodo più recente, il semplice passare del tempo fa luce su alcune tendenze che si sono presentate come prove della finanziarizzazione.
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