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Geopolitics is back: no endgame!
di Piotr
Finalmente cadono le maschere dei “valori” e riprende il proscenio la cruda realtà degli “interessi”, motore autosufficiente della geopolitica e di tutte le sue guerre (e chi muore per gli ideali R. I. P.).
Il quadro ora è chiaro e anche un cieco lo può vedere.
Il 26 aprile scorso gli USA hanno chiamato a rapporto nella base militare di Ramstein (che è in Germania ma è territorio statunitense) 40 Paesi alleati in tutto il mondo per ordinargli di aiutare l'Ucraina in quella che prevedono sarà una “lunga guerra” (ci saranno consultazioni mensili). Il segretario alla Difesa, Austin, ha detto papale papale che se i Russi vincono nel Donbass «l'ordine internazionale finisce». E ha avvertito che «la posta in gioco va oltre l'Ucraina e persino oltre l'Europa» (“the stakes extend beyond Ukraine – and even beyond Europe”).
Traduzione in Italiano corrente: «Se l'Ucraina non vince militarmente, non riusciremo a indebolire la Russia, e men che meno a balcanizzarla, e quindi poi non riusciremo a sconfiggere la Cina». E l'Europa risponde da Bruxelles: «Vogliamo che l'Ucraina vinca questa guerra» (Ursula von der Leyen al Parlamento Europeo). Perché altrimenti salta la tabella di marcia statunitense.
Una tabella di marcia che preoccupa una “bibbia” statunitense di politica estera, Foreign Affairs, che esprime le sue preoccupazioni addirittura per bocca di Pechino: «[Il governo cinese] vede ora Washington come voler deliberatamente inasprire la guerra per perpetuarla, e così indebolire sia la Russia che la Cina» (“[The Chinese government] now sees Washington as deliberately escalating the war in order to perpetuate it, thereby weakening both Russia and China»”)[1].
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Michael Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, ovvero “tempi da canaglia”
di Alessandro Visalli
Nel blog “Scheerpost”, un sito collettivo da tenere d’occhio, è riportata un’intervista[1] di Robert Scheer[2] all’anziano professor Michael J. Brenner[3], illustre professore emerito di Affari internazionali presso la Università di Pittsbourgh, e prima della John Hopkins e Direttore del Programma Studi Globali e Relazioni Internazionali dell’Università del Texas, poi insegnante a Stanford, al Mit, ad Harvard.
L’ottantenne professore avvia la conversazione raccontando un’esperienza personale: come usa a molti da anni diffondeva analisi politiche sulla situazione mondiale ad una selezionata mailing list di corrispondenti. Avendo condiviso analisi sulla crisi ucraina non corrispondenti alla linea ufficiale ha ricevuto un tale violento tenore di risposte da essere costretto a concluderne che la società americana “non è in grado di condurre un onesto, logico, ragionevolmente informato discorso sulla questione”. In altre parole, non esiste su questi temi una reale sfera pubblica, sostituita da fantasia, falsificazioni, fabbricazioni di informazioni, faziosità e aggressione. Il crollo dell’infrastruttura della democrazia liberale arriva al punto che uscire dalla linea, anche parlando con corrispondenti storici legati da vincoli di rispetto e amicizia, comporta immediati attacchi personali.
Questo lo vediamo benissimo anche in Italia, sono “tempi da canaglia”, come ebbe a dire Lillian Helman[4] durante il McCartismo.
Bisogna notare che quel che Brenner ha fatto, nel suo post incriminato, non è niente altro di quel che ogni buon accademico dovrebbe fare normalmente: porre domande. Ovvero, come dice il conduttore, “quel che ha fatto tutta la vita”.
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La spettacolarizzazione della guerra e la fabbrica del falso
Alba Vastano intervista Angelo D’Orsi
Un biennio di pandemia. Una guerra ad un nemico invisibile quanto letale. Ne usciamo, forse, da questa guerra che ha mietuto vittime in tutto il Pianeta. Ed è di nuovo guerra, ma questa volta il nemico, i nemici, sono fin troppo visibili e belligeranti. ‘ Non ci si ferma, finchè l’obiettivo non è raggiunto’. E’ un mantra radicato nei neuroni deformati di chi ha sete di potere . Ed è braccio di ferro fra i due leader contendenti la vittoria. In mano a questi uomini assetati di potere personale la pace che può scaturire dai negoziati non è fondamentale, tanto quanto portare la palma della vittoria a casa. Intanto sui luoghi di guerra si bombarda e si spara, si muore, si fugge, si vive in bunker senza acqua e cibo. Muoiono civili, muoiono giovani combattenti di entrambe la nazionalità. Si muore a 18 anni, per una guerra che giovanissimi, a volte ancora imberbi, buttati sul campo per fare il gioco crudele della guerra, probabilmente non capiscono e non condividono.
Intanto dalle lussuose stanze dei bottoni dei palazzi del potere i lorsignori della guerra non si fermano, anzi si accaniscono maggiormente nello spietato gioco mortale a chi ha più potere e armi più letali, tanto da rischiare una escalation senza ritorno. La guerra si trasforma in derby con tifoseria mondiale. E vi si affianca un’altra guerra a latere, ma altrettanto micidiale. E’ la guerra alla verità. E’ la perversa e tossica fabbrica delle notizie contraffatte, delle fake news che ci propinano i media h.24, per suscitare morbosità e scatenare le tifoserie mondiali contro il nemico, decretato da diversi capi di Stato aderenti alla Nato il number one dei malvagi, l’invasore, il folle, il criminale. Intorno a questa guerra alla verità si affolla e spunta, come funghi parassiti, un popolo di informatori, di tuttologi, di esperti disfunzionali e di parte, di conduttori di talk show che accendono i microfoni a lungo all’opinionista che fa gioco al sior paron. Chi contesta viene silenziato e, a volte, anche dileggiato.
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È il turno della Francia
di Giulio Palermo
Lunedì sera, il Presidente Macron ha aggiornato i francesi sul nuovo giro di vite sui loro diritti. Lo ha fatto, come è ormai costume, con un annuncio a reti unificate per radio e televisione.
Dal 21 luglio per accedere ai luoghi di svago e di cultura, tutte le persone non vaccinate di più di 12 anni dovranno produrre un test PCR negativo di meno di 48 ore. A inizio agosto, queste misure si estenderanno a bar, ristoranti, centri commerciali, ospedali (!), treni e aerei. Il 15 settembre scatterà l’obbligo di vaccinarsi per il personale infermieristico e non medico di ospedali, cliniche, case di riposo, istituti per disabili e per tutti i professionisti e i volontari in contatto con gli anziani e le altre categorie a rischio. A settembre, sarà anche predisposta una campagna di richiamo per permettere a quelli che si sono vaccinati per primi, che “vedranno presto diminuire il loro livello di anticorpi, di beneficiare di una nuova iniezione” (sì è proprio così: mentre ci dicono che il vaccino è la soluzione finale, danno per scontato che il suo effetto protettivo dura solo pochi mesi!). Nelle scuole saranno lanciate specifiche campagne di vaccinazione all'inizio dell'anno scolastico. I test PCR, finora gratuiti, “saranno resi a pagamento, al fine di incoraggiare la vaccinazione”. Già da oggi, sono inoltre rinforzati i controlli alle frontiere. Infine, cercando di prendere la faccia della maestrina buona, Macron ammonisce con chiarezza: “dovremo senza dubbio porci la questione della vaccinazione obbligatoria per tutti i francesi, ma per ora io scelgo di essere fiducioso”.
Questo per quanto riguarda repressione e sanità. Ma Monsieur le President sa benissimo che tutte queste misure socio-sanitarie da sole non risolvono la crisi economica se non si traducono in un inasprimento dello sfruttamento dei lavoratori. Nella seconda parte del suo discorso, Macron ha dunque affrontato qualche tema economico non esattamente secondario.
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Che cos’è il Metaverso?
di Jacopo Anderlini
Il termine “Metaverse” deriva da “Snow Crash”, un racconto cyberpunk di Neil Sephenson del 1992, in cui questo spazio ha tratti distopici. Quello che ha presentato Mark Zuckerberg il 28 ottobre 2021, quando ha comunicato il cambiamento del nome della società da lui fondata da Facebook, Inc. a Meta Platform Inc. – secondo molti osservatori e osservatrici non riuscendoci tanto bene – è invece una sorta di utopia tecnoentusiasta di un futuro dove saremo costantemente connessi. Uno spazio e un tempo dove non ci sarà quasi la necessità di fare logout e dove in buona sostanza il nostro avatar virtuale coinciderà con la nostra identità “reale”. Il confine, anzi, tra reale e virtuale, come già avviene adesso, andrà sempre più ad assottigliarsi.
In realtà questa non è un’idea nuova. Facebook sin dall’inizio propugna a livello “ideologico” – che si innerva e viene incarnato dal design della piattaforma e delle applicazioni a essa collegate – l’idea della trasparenza radicale. Non c’è nulla da nascondere – questa è la narrazione – quindi gli utenti devono mettere su Facebook e su tutte le altre piattaforme la propria vera identità, il proprio nome e cognome, i propri veri interessi: creare insomma una sorta di copia virtuale, di riproduzione delle loro interazioni. Seguendo questa idea di trasparenza radicale, Zuckerberg e i suoi collaboratori intendono dare forma a quello che loro chiamano Metaverso, cioè una proiezione, un’estensione del mondo “reale” fatta di app e servizi vari. Ovviamente, a uno sguardo critico, l’etichetta Metaverso risulta essere uno specchio per le allodole, una buzzword, un significante il cui significato rimane indeterminato.
Innanzittuto, potremmo dire che Internet – o meglio, parti di esso – per come adesso lo conosciamo sia una sorta di metaverso. Siamo in una fase storica dove molti servizi digitali sono già connessi tra loro.
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Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io
Psicoanalisi della storia o scienza della storia?
di Roberto Finelli & Luca Micaloni
Introduzione a Consecutio rerum n. 11, anno VI (1/2021-2022), Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io a cura di Roberto Finelli e Luca Micaloni
1. Lo scorso anno è caduto il centesimo anniversario di Massenpsycholo- gie und Ich-Analyse, il testo pubblicato da Freud nel 1921 sulla psicologia collettiva e la cui composizione s’intreccia profondamente con la stesura di Al di là del principio di piacere, apparso qualche mese prima nel 1920. La nostra rivista dedica il suo numero 11, nella sezione monografica, al tema di questa ricorrenza, avendovi visto una occasione da non perdere per tornare a riflettere sulla questione del rapporto tra psicoanalisi e storia e su quella, ad essa intrinseca, della relazione tra psicologia individuale e psicologia collettiva, o psicologia sociale.
Psicologia delle masse e analisi dell’Io è componente fondamentale di quel quadrilatero con il quale Freud ha inteso stringere e definire una teoria psicoanalitica della storia e che accomunava, oltre al saggio del ’21, Totem e tabù, Il disagio della civiltà e Mosè e il monoteismo: opere dotate ognuna di una peculiarità di oggetto e di ambito di studio, ma tutte e quattro riconducibili a un impianto concettualmente unitario di fondazione e di spiegazione della storia umana, che facilmente si riassume nella centralità, per usare la celebrata espressione di J. Lacan, del “Nome del padre”.
La proposta freudiana d’interpretazione del formarsi di masse in cui predominano l’affettività e uno psichismo inconscio è, com’è ben noto, fondata sulla centralità di un legame libidico che lega un gruppo umano, regredito a una dimensione fusionale e priva di libertà del singolo, al padre/ padrone/capo. Nella massa, inoltre, ogni individuo appare libidicamente legato, da un lato, al capo attraverso identificazione/introiezione e, dall’altro, a tutti gli altri individui che esperiscono il medesimo innamoramento e formano con lo stesso contenuto oggettuale l’Ideale dell’Io.
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Crisi sistemica e crisi militare
di Mauro Casadio
Stallo come accumulo di contraddizioni
Se siamo chiamati a fare una analisi della situazione attuale rischiamo di essere parziali se non si analizzano le condizioni che hanno portato all’oggi. Dunque per descrivere la dinamica che ora porta alla “formalizzazione” delle contraddizioni in atto dobbiamo delineare per sommi capi il percorso fatto da queste nell’ultimo decennio.
Certamente dopo la fine dell’URSS si è determinata una fase di stabilità dovuta alla possibilità per il capitale di autovalorizzarsi utilizzando gli enormi spazi materiali che si erano creati, inclusa la Cina, e lo sviluppo delle forze produttive causato da scienza e tecnologia e dal forte ridimensionamento della lotta di classe, dal basso, a livello internazionale.
Questa condizione “virtuosa” si è protratta fino alla crisi finanziaria del 2007/2008, anche se è stata preceduta da altri momenti di caduta per la finanza, segnando una prima modifica della linea di crescita, curvandosi verso un andamento più “piatto”; e nel decennio passato questa tendenza si è ulteriormente accentuata.
Questa stato delle cose, caratterizzato da una crisi latente, però non ha rimesso in discussione l’egemonia statunitense e gli equilibri internazionali, ma ha fatto crescere competitori potenziali portando di fatto ad uno stallo dei rapporti di forza internazionali.
Va chiarito che per “rapporti di forza” non intendiamo eminentemente quelli militari ma, oltre ovviamente a questi, intendiamo anche quelli economici, sociali, ideologici, etc, cioè dello sviluppo complessivo dei diversi soggetti in campo.
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La peste nera in Europa
di Nico Maccentelli
In occasione dell’anniversario della strage di Odessa, avvenuta il 2 maggio del 2014, e che è possibile approfondire sulla stessa Carmillaonline qui e su L’Interferenza qui, intendo mettere in rilievo un fenomeno preoccupante che si stagliando in Italia e in Europa in generale e che sostanzialmente si basa sullo sdoganamento, e direi la “santificazione”, da parte dei media mainstream del nazismo ucraino.
Partirei dall’episodio avvenuto a Bologna, alla festa partigiana Oltre il ponte, organizzata da Potere al Popolo: ore 19,00, un ucraino inizia a inveire contro i compagni del banchetto del Comitato Ucraina Antifascista, si cerca di contenerlo con le buone, questi chiama i suoi compari al telefono, nel giro di mezzora arriva una trentina di facinorosi i quali iniziano a fotografare e filmare gli astanti e cercano di attaccare il banchetto del comitato, qualcuno di questi si è qualificato come aderente a Pravy Sektor (Settore Destro), qualcuno parlava bene l’italiano, i compagni presenti alla festa erano in numero preponderante e sono riusciti a respingere l’attacco oltre le transenne che limitano lo spazio della festa.
Questi sono i fatti accaduti il 23 aprile a Bologna, ma gli episodi analoghi come l’ostruzione aggressiva alla presentazione del libro di Sara Reginella a Senigallia “Donbass una guerra fantasma”, ormai non si contano più. A questo si aggiungono aggressioni e cartelli intimidatori contro cittadini russi: chiare forme di razzismo che non fanno fare una piega a quella “sinistra” soprattutto dem che parla tanto a vanvera di razzismo. È un fatto estremamente grave che i “paladini” dirittoumanitaristi, vieppiù in una società che vanta di essere civile, non potrebbero tollerare. E invece tollerano.
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L'inconscio della fisica
di Emilia Margoni
Per quanto implausibile, l’intuizione di Leonardo Sciascia è suggestiva: parlare di scomparsa in riferimento a Majorana ha un che di sviante e rivelativo a un tempo. Sviante, perché dissimula i segni di un progetto studiatissimo; rivelativo, perché quel progetto contemplava la dissimulazione delle proprie tracce. In questa chiave, quello di Majorana fu un gesto di duplice sottrazione: sottrarre sé stesso al peso di una svolta epocale e ingovernabile e sottrarre un peso così poco sostenibile a un mondo che aveva intuito, ma non ancora elaborato, un piano strategico per l’autodistruzione, la cui première sarebbe andata in scena a Hiroshima il 6 agosto 1945.
Sciascia proietta sul fisico catanese una capacità anticipatoria che non è né chiaroveggenza né pura sensazione, ma una ponderatissima logica deduttiva che da certe premesse portava a certe conclusioni. In risposta all’inconsapevole cupio dissolvi dei suoi colleghi, secondo Sciascia, Majorana decise di inscenare la sua scomparsa (“perché la sua scomparsa noi la vediamo come una minuziosamente calcolata e arrischiata architettura” – L. Sciascia, La scomparsa di Majorana, Torino: Einaudi, 1975, p. 54) per dare massimo risalto alla “cecità” improvvida e fatale della comunità scientifica e per trovar riparo in ben altre comunità. Insomma, mentre i giovani fisici in fermento degli anni Venti e Trenta rompevano i protocolli della fisica classica con sconsiderata esuberanza e avviavano la nuova fisica verso quel futuro che oggi è presente, Majorana, Pizia riluttante, preferiva sottrarsi a quelli che, ai suoi occhi giudiziosi, sarebbero stati di lì a breve gli esiti deflagranti di quegli entusiasmi giovanili: la fissione nucleare.
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Danilo Zolo, “Cosmopolis. La prospettiva del governo mondiale”
di Alessandro Visalli
Danilo Zolo è stato il giurista che negli anni Novanta del Novecento seppe contrastare nel modo più ampio e fermo l’universalismo astratto della loro posizione applicata alle relazioni internazionali. Ciò malgrado lo studioso di origini cattoliche, ma poi avvicinatosi a posizioni della sinistra marxista, sia sempre stato personalmente amico di Norberto Bobbio, Luigi Ferrajoli e Antonio Cassese, ovvero degli alfieri della posizione contraria. Critico feroce delle guerre preventive americane nella fase unipolare e per questo avvicinato alla posizione realista, l’opera di Zolo, scomparso a 82 anni nel 2018 è oggi particolarmente utile per affrontare le sfide terminali dell’egemonia occidentale che stiamo vivendo.
“Cosmopolis”[1] è un libro del 1995, anno nel quale la produzione di Zolo si stava orientando verso la critica della democrazia espansiva americana (del “principato democratico”[2]) e dopo che nel 1991 era definitivamente crollata l’Urss e si preparavano le molte guerre di assestamento del potere statunitense (Panama, 1989; Prima guerra del golfo, 1990-1991; Guerra slovena, 1991; Guerra in Croazia, 1991-95; Guerra in Bosnia, 1992-95). Negli anni successivi, peraltro, seguiranno la Guerra del Kosovo e il bombardamento della Serbia (1998-99), e dopo l’11 settembre le invasioni preventive dell’Afghanistan (2001-2021) e la Seconda guerra del golfo (2003-11), quindi gli interventi di Obama a seguito delle “primavere arabe” (Siria, Libia), ed altri vari bombardamenti (Yemen, Somalia, Pakistan).
Difficile stimare quanti morti possano aver fatto queste guerre, durante le quali non di rado sono stati effettuati bombardamenti indiscriminati di città e popolazioni civili.
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Il nuovo disordine mondiale / 12: Vittorie perdute*
di Sandro Moiso
“Siamo in guerra. Ma per quale vittoria? E se non lo sappiamo, come potremo stabilire se avremo vinto o perso, quando mai finirà?” (Lucio Caracciolo)
“Questo è il futuro, sorellina…” (La canzone del tempo – Ian R. MacLeod)
Ci siamo. Dopo più di sessanta giorni dal suo inizio, la guerra nei fatti è dichiarata.
Non quella della Russia con l’Ucraina, ma quella che fino ad ora si è manifestata, nemmeno troppo, sottotraccia: Biden contro Putin, Nato contro Russia e contro gli alleati recalcitranti, Occidente “democratico” contro resto del mondo “autoritario”.
Ma guai a parlare di imperialismo, se non è quello russo-putiniano; guai a parlare di pace se non è quella dettata dai cannoni e dall’invio di armi; guai ragionare; guai uscire dal coro; guai smontare la propaganda bellica di entrambi le parti in conflitto.
Guai, guai, guai…
Basti invece cantare come i sette nani disneyani: Andiam, andiam, andiam a guerreggiar… (i nanetti di allora cantavano lavorar, ma che importa ormai ai nano-burocrati rappresentanti del capitale internazionale?). Oppure “Bella Ciao”, contro qualsiasi commemorazione della Resistenza che non si limiti ad esaltare l’unità nazionale e interclassista con i fascisti di un tempo e con quelli di oggi.
Così, nei libri di Storia futuri (stampati, online oppure semplicemente scolpiti nella pietra), come data di inizio vero del Terzo conflitto mondiale potrebbe essere ricordata non quella del 24 febbraio 2022 per l’invasione russa dell’Ucraina, ma quella del 26 aprile dello stesso anno.
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Sotto l’atlantismo niente. L’Europa messa a nudo della guerra ucraina
di Alessandro Somma
La Nato come alleanza moribonda
Solo qualche mese fa il mondo si stava definitivamente congedando dal Novecento. Il varo di Aukus, l’alleanza militare fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, aveva certificato la centralità della confrontazione con la Cina, e con essa il disinteresse di Washington per l’area europea. Poco prima il Presidente francese Emmanuel Macron aveva stigmatizzato il disimpegno statunitense in Medio Oriente, iniziato con la Presidenza Obama e proseguito con il suo successore. Aveva anche messo in discussione il senso della Nato, liquidandola come alleanza in stato di morte celebrale. L’Alleanza atlantica costituiva del resto il prodotto della Guerra fredda, che l’implosione dell’Unione sovietica aveva consentito di archiviare, facendo così emergere differenze fondamentali nell’agenda politica di Stati Uniti ed Europa.
Eppure la fine della confrontazione tra blocco occidentale e blocco socialista non ha certo determinato una inattività della Nato. Al contrario questa si è allargata ai Paesi un tempo aderenti al Patto di Varsavia, così come a quelli sorti dalla dissoluzione dell’Unione sovietica: nel 1999 aderiscono all’Alleanza atlantica la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, mentre nel 2004 è il turno dell’Albania, della Bulgaria, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Romania e della Slovacchia. Una volta giunti a ridosso dei confini con la Russia, gli Stati Uniti hanno tuttavia pensato di potersi in qualche modo distrarre, o quantomeno di prendersi una pausa per concentrarsi sulla Cina.
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Nell’intreccio della guerra. Ordine e caos della crisi globale
di Silvano Cacciari
Shock energetico, scarsità di materie prime, inflazione galoppante, recessione annunciata, riarmo massiccio: «È l’economia di guerra, bellezza, e tu non puoi farci niente, NIENTE!».
È il coro unanime scandito a reti e firme unificate che in questi giorni, dalle televisioni ai giornali, passando per i social, comincia a essere ripetuto da giornalisti, opinionisti, politici e ministri con molta chiarezza. Economia di guerra: siamo in guerra, quindi? Dichiarata da chi e in nome di chi, per quanto riguarda l’Italia, ancora non è altrettanto chiaro – in apparenza, nella forma: sappiamo benissimo che le decisioni ratificate a Roma vengono prese a Bruxelles, e prima ancora imposte da Washington e Londra, oltre che pagate da noi.
Delle tendenze di ristrutturazione dell’economia, delle catene del valore e degli scenari geopolitici della crisi ne abbiamo parlato a Modena il 2 aprile, alla giornata di discussione sul mondo di domani, la guerra in Europa e il destino della globalizzazione. Dopo quello di Raffaele Sciortino, presentiamo allora la trascrizione dell’intervento di Silvano Cacciari, autore su «Codice Rosso» e che a breve uscirà in libreria con La finanza è guerra, la moneta è un’arma (per La Casa Usher).
L’intervento ci regala una grande dimostrazione di metodo. Attraverso l’analisi materiale di diversi indicatori, offre una fotografia mossa del presente, in cui linee tendenziali e traiettorie di possibile sviluppo vanno formandosi, permettendo una possibile anticipazione, appunto, del mondo di domani – che, come vediamo, è già oggi. La bussola resta sempre la ricerca, di parte, delle contraddizioni e ambivalenze su cui la prassi militante può (deve) insistere. Nelle righe che seguono, ripercorreremo la storia delle ultime crisi, nelle traiettorie che si sono prevedibilmente disegnate e nei varchi aperti dall’imprevedibile.
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Green pass, passaporto per il futuro?
di Leonardo Lippolis
Il green pass entra in vigore il 1 luglio 2021; il Parlamento dell’Unione Europea lo approva e presenta come una “facilitazione” per i viaggi tra paesi all’interno dell’Unione stessa. Tutti gli Stati europei lo adottano, ma ognuno lo modula in maniera differente. In Italia viene introdotto come necessario per accedere a bar, musei, ristoranti e altri servizi il 6 agosto 2021. Da allora è stato gradualmente e progressivamente esteso fino a diventare, nel gennaio 2022, un documento obbligatorio per molte categorie lavorative (pena la sospensione dal lavoro senza stipendio) e per l’accesso a quasi tutti i servizi e le attività della vita quotidiana. La sua graduale implementazione e diversificazione tra una versione base e una rafforzata (ottenibile soltanto tramite vaccinazione o guarigione) ha portato a una complessa e inedita stratificazione “meritocratica” della società. Se inizialmente è stato, con poca convinzione, presentato come strumento di contenimento sanitario della pandemia, capace di garantire ambienti sicuri dal contagio, ben presto è stata ammessa la sua vera ratio di incentivo alla vaccinazione, variamente definita – a seconda dei punti di vista – come “spinta gentile”, “obbligo surrettizio” oppure come vero e proprio ricatto.
Nel frattempo, l’obiettivo ufficiale fissato dal governo è stato raggiunto, con il superamento del 90% della popolazione over 12 vaccinata; contemporaneamente, a sentire la voce di molti scienziati, la variante Omicron ha indebolito la pericolosità del virus, rendendolo gestibile al di fuori di una logica di emergenza. Eppure, nonostante il governo abbia sempre affermato che il green pass sarebbe stato uno strumento transitorio e che sarebbe stato abolito nel momento in cui l’emergenza fosse finita – come sta avvenendo in molti paesi –, esso ha varato con i decreti di gennaio 2022 l’ennesima stretta nei confronti di chi non lo possiede, imponendo l’obbligo del possesso della sua versione rafforzata (ovvero della vaccinazione) per tutti i lavoratori over 50, a partire da febbraio.
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«Il grande errore degli Stati Uniti è credere che la Nato sconfiggerà la Russia»
Federico Fubini intervista Jeffrey Sachs
L’economista della Columbia University: «Gli Stati Uniti sono più riluttanti della Russia nella ricerca di una pace negoziata. Negli anni Novanta l’America sbagliò a negare gli aiuti a Mosca, la responsabilità fu di Bush padre e di Clinton»
Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University, nominato nel 2021 da papa Francesco all’Accademia Pontificia, risponde con questa intervista all’articolo del 23 aprile in cui il Corriere si chiede se gli errori dell’Occidente nei rapporto con la Russia post-sovietica, che negli anni ‘90 ha vissuto una drammatica crisi economica, hanno contribuito ad aprire la strada al nazionalismo revanscista di Vladimir Putin. Sachs fu consigliere economico del Cremlino fra il 1990 e il 1993.
* * * *
Imporre sanzioni sempre più dure sulla Russia è la linea giusta?
«Accanto alle sanzioni abbiamo bisogno di una via diplomatica. Negoziare la pace è possibile, sulla base dell’indipendenza dell’Ucraina e escludendo che aderisca alla Nato. Il grande errore degli americani è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. È difficile capire cosa significhi "sconfiggere la Russia", dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Sarebbe molto meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della "sconfitta" di Putin».
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Sui valori della resistenza
di Michele Castaldo
La giornata del 25 aprile 2022 ha posto sul tappeto il quesito dei quesiti politici: perché era giusto essere resistenti in Italia unitamente alle truppe angloamericane nella lotta contro il nazifascismo dopo il 1943, mentre c’è più di una remora a sostenere la resistenza armata dell’Ucraina di Zelensky contro la Russia di Putin che ha invaso e in parte occupa il paese limitrofo. Inutile girarci intorno: è una questione storica molto complicata e si cammina sempre sul filo del rasoio. E se la sinistra è frammentata da posizioni diverse sullo stesso fatto vuol dire che c’è da riflettere. E per riflettere è necessario spogliarsi delle vesti ideologiche, analizzare i fatti nudi e crudi del passato e fare la stessa operazione con i fatti di oggi senza l’uso di comodi meccanicismi ideologici, ma con lealtà. Solo a quel punto si è realmente credibili oltre le strumentalizzazioni della propaganda di parte. Chiediamo troppo? Pazienza, chi ci sta ci sta e chi no, amen.
C’è qualche analogia tra i fatti della resistenza in Italia contro il nazifascismo dal 1943 al 1945 con la resistenza ucraina contro la Russia? Analizziamo i fatti.
Prima questione: La NATO nasce il 4 aprile 1949, dunque a guerra finita e come “difesa” contro l’Urss temuta come insieme di popolazioni e etnie che cercavano una propria via per sottrarsi al dominio euro-atlantico, quella potenza economica, politica e militare che aveva fino a quel momento dominato il mondo. Altrimenti detto: la NATO perciò nasce come difesa contro la rivoluzione dei paesi poveri capeggiati dall’Urss contro i paesi ricchi capeggiati dagli Usa.
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Gerusalemme: una Pasqua di provocazioni sioniste e di sangue – nel silenzio generale
di Il Pungolo Rosso
Nelle scorse settimane Gerusalemme, e la moschea di al-Aqsa in particolare, sono state il luogo di una catena di provocazioni anti-palestinesi e anti-islamiche da parte delle autorità dello stato di Israele e delle organizzazioni dei coloni. [E ancora ieri, venerdì 29 aprile, nuovi scontri sulla spianata delle moschee con 42 feriti tra i palestinesi, secondo la Mezzaluna rossa.]
Sono prove di forza che schiacceranno per sempre le masse palestinesi e le indurranno alla resa? Assolutamente no. Come scriviamo nelle conclusioni: è da settantaquattro anni, dalla Nakba (1948), che i Palestinesi resistono. Invitti. Questa è la prova storica che la politica colonialista e razzista di Israele, fondata sulle espropriazioni senza fine, sulle discriminazioni da apartheid (che colpiscono anche una parte della stessa popolazione ebraica immigrata dal Corno d’Africa), su una repressione sistematica e spietata dotata delle tecnologie di avanguardia, non è in grado di piegare la resistenza palestinese che, come l’araba fenice, rinasce periodicamente dalle proprie ceneri. (Red.)
Una settimana di raid
Quella che è andata in scena presso la moschea di al-Aqsa nei giorni scorsi è stata la ripetizione di un medesimo tragico copione, che non è certo una novità nel quadro della persecuzione palestinese in Israele e nei Territori Occupati, ma ne rappresenta uno dei picchi più drammatici degli ultimi tempi.
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Dalla Rivoluzione scientifica alla rivoluzione industriale
Recensione al volume di Angelo Calemme
di Pietro Ciampini
Angelo Calemme, Dalla Rivoluzione scientifica alla rivoluzione industriale. Sulle condizioni marxiane dello sviluppo scientifico-tecnico, Milano, 2022, 448 pp.
Riannodando i fili delle sparse considerazioni di Marx (in particolare negli Hefte zur Technologie degli anni 1850-1857/1858 e in quelli preparatori al Capitale del 1857/1858, 1861/1863, 1863-1865) sulle leggi che regolano lo sviluppo della tecnologia scientifica, il libro di Calemme si propone di mostrare come, in accordo con il filosofo di Treviri, l’evoluzione scientifico-tecnica non sia riducibile ad uno strumento di sfruttamento del lavoro da parte del capitale, ma costituisca al contempo un’occasione di emancipazione del lavoro dell’uomo. La ripresa del progetto marxiano di una Storia critica della tecnologia ha allora innanzitutto la funzione di considerare la logica interna, troppo spesso trascurata dalla storiografia marxista, dello sviluppo della tecnologia scientifica:
[…] le grandi scoperte e invenzioni della Rivoluzione scientifica prima e industriale poi […] possiedono anche una natura, una “logica ontologica”, uno statuto di senso autonomo e irriducibile sia alla mera accumulazione dei risultati raggiunti dalle pratiche produttive nel corso dei millenni sia all’uso politico, sociale ed economico del lavoro da parte del capitale.1
Mediante un confronto con epistemologi come Koyré e Geymonat (ma anche con Husserl e Foucault), Calemme evidenzia quindi l’irriducibilità di questa natura tecnologica all’esito di mere innovazioni pratico-tecniche.2 Si tratta piuttosto di comprendere quella logica indipendente degli oggetti tecnologici che costituisce la modernità senza scadere nel «rozzo materialismo» secondo cui «lo sviluppo delle scienze e delle tecniche moderne segue leggi astoriche»,3 integrando dialetticamente la Critica dell’economia politica e la Storia critica della tecnologia in funzione dell’idea che il superamento del modo di produzione capitalistico sia vincolato ad una profonda comprensione delle leggi interne di sviluppo della tecnologia scientifica.
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Russia: il diritto alla difesa
di Mário Maestri*
Le sorti del mondo del lavoro e della civilizzazione nei prossimi decenni potrebbero dipendere fortemente dall'evoluzione e soluzione del confronto militare tra la Russia e l'imperialismo statunitense ed europeo sul territorio ucraino. Buona parte della sinistra che si rivendica marxista rivoluzionaria si divide attorno a questa questione cruciale, assumendo posizioni chiaramente pro-imperialiste e pro-nato, che in questo articolo nomineremo con l’acronimo italiano di Otan (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord.)
Non parliamo delle organizzazioni che da decenni sono schierate a favore delle operazioni militari imperialiste, come la Liga Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale (LIT-QI), che negli anni 1979-89, festeggiarono la sconfitta dell'Afghanistan e applaudirono i mujahidins della contro-rivoluzione; che negli anni 1989-1991 si compiaceva dell'esplosione dell'URSS, dell'unificazione tedesca e della restaurazione del capitalismo nelle nazioni del “socialismo reale”; che sostennero la distruzione della Jugoslavia e l'aggressione alla Serbia, nel 1999; le aggressioni all'Iraq, all'Afganistan, a Cuba, alla Siria, alla Libia e così via; difesero diversi colpi di stato: quelle del 2013 in Egitto, del 2014 in Ucraina, del 2016 in Brasile, sempre proponendo di sostenere rivoluzioni popolari mai viste ne sentite, sia prima sia dopo quegli avvenimenti.
Per la vittoria della OTAN
Oggi, così come altre organizzazioni che si definiscono marxiste-rivoluzionarie, la LIT-QI rivendica il rompimento delle relazioni diplomatiche; maggiori e più dure ritorsioni alla Russia; l'invio di armi pesanti e lo stabilimento di una “Zona d'interdizione al volo” sull'Ucraina.
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Il giorno dopo: sbirciando nella sfera di cristallo
di Angelo Baracca
Poiché il mio ragionamento sarà piuttosto articolato antepongo una breve sintesi degli argomenti.
1. Nulla sarà come prima: eventi recenti come la pandemia e la guerra in Ucraina hanno cambiato il mondo, mentre la crisi climatica ambientale aggravata da decenni dalle attività umane lo modifica in modi imprevedibili. 2. Sullo stato della crisi climatica tutti si affidano ai rapporti dell’Ipcc, senza considerare che è un organismo intergovernativo, cioè finanziato dai governi: il mio parere è che lo stato del clima abbia già superato delle soglie irreversibili. 3. La guerra in Ucraina ha innescato cambiamenti geopolitici radicali: si profila nel mondo una gravissima crisi alimentare; la transizione green comporta un ingente aumento della necessità di minerali strategici, per il possesso dei quali è prevedibile un aumento dei conflitti; gli Usa cercano in tutti modi il conflitto con la Russia, la guerra rischia di generalizzarsi, mentre l‘Europa subirà le conseguenze più gravi, e la NATO cerca di espandersi verso l’Asia-Pacifico in funzione anti Russia e Cina; sullo sfondo vi è una lotta senza esclusione di colpi per l’egemonia del dollaro; la recente votazione all’Onu per la condanna della Russia ha evidenziato – al di là dei numeri – una dissociazione di sostanza dei paesi del Sud dalle persistenti politiche degli Usa e dei paesi ex-coloniali, configurando un riposizionamento geopolitico che sembra desinato a radicalizzarsi. Si apre un mondo nuovo, nel quale dominano le incognite.
* * * *
Nulla sarà come prima
La storia della società umana è cambiata sia attraverso trasformazioni graduali, sia con eventi repentini che ne hanno mutato il corso in modo radicale e definitivo. La frequenza, rapidità e profondità dei cambiamenti sono andate aumentando man mano che la società è divenuta più complessa e interconnessa.
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L’energia non è una merce ma una infrastruttura pubblica
di Davide Gionco
Tutti i danni che subiamo dalle privatizzazioni nel mercato dell’energia
L’acqua, le infrastrutture pubbliche e l’energia
Nel 2011 gli italiani votarono a larga maggioranza (95,8%) a favore del referendum per il mantenimento del controllo pubblico sui servizi idrici.
La maggioranza degli italiani aveva capito che l’acqua è un bene comune fondamentale, senza del quale non possiamo vivere, la cui disponibilità non può dipendere dagli interessi economici di soggetti privati.
Senza acqua non possiamo sopravvivere come esseri umani e non possiamo produrre il cibo che mangiamo. Senza acqua molte aziende dovrebbero fermare la loro produzione, non avremmo il turismo, non avremmo i servizi pubblici. Senza acqua non potremmo neppure produrre energia elettrica tramite la combustione di gas, idrocarburi o carbone.
Se venisse a mancare l’acqua in un certo territorio del paese, quel territorio si spopolerebbe in brevissimo tempo, obbligando gli abitanti ad emigrare verso altri territori.
La disponibilità di acqua è un bene comune, una infrastruttura fondamentale da cui dipende la vivibilità e la sostenibilità economica del nostro Paese.
Analogamente alla disponibilità di acqua, un paese moderno non può sussistere senza disporre dell’accesso comune, a prezzi abbordabili, ai prodotti alimentari fondamentali, ad una rete stradale, ai servizi sanitari, all’istruzione di base, alle telecomunicazioni.
L’accessibilità ai servizi energetici, intesi come disponibilità di energia elettrica e come disponibilità di combustibile per produzione di energia termica, è con ogni evidenza una questione fondamentale per la sussistenza del nostro paese.
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L’Occidente totalitario getta la maschera
di Norberto Fragiacomo
Se gettano la maschera non è per sbadataggine, né per imperizia o imprudenza: le “grandi firme” nostrane sono agitprop che sanno il fatto loro e conoscono benissimo il mestiere – quello di propagandista dei presunti valori occidentali s’intende, perché il giornalismo libero è tutt’altra cosa, ed è comunque una specie in via di estinzione.
Ormai sui quotidiani di regime (cioè tutti, eccezion fatta per La Verità e Il Fatto Quotidiano, su cui residuano spazi di riflessione e dibattito) si dà per scontato e pienamente accettabile che la guerra in corso, dapprincipio presentataci come “difensiva”, sia un’operazione NATO per interposta Ucraina, e il 28 aprile, durante la trasmissione Otto e Mezzo, Massimo Franco ha seraficamente affermato che anche se la Russia fosse effettivamente caduta in una trappola tesale dagli americani (vale a dire: anche ammesso che sia stata indotta/forzata ad attaccare l’Ucraina) giudizi e valutazioni non cambierebbero. Può farmi piacere che un “saggista di fama, membro dell’International Institute for Strategic Studies di Londra (IISS)”, definito “un istituto di ricerca britannico (o think tank) nel campo degli affari internazionali” da Wikipedia, confermi quanto ho scritto in alcuni pezzi per l’interferenza a partire da fine febbraio, ma mi domando cosa motivi questo soprassalto di sincerità. Quando, il 25 febbraio scorso, azzardai che “In questa vicenda sin dall’inizio Joe Biden e i suoi “diplomatici” hanno alimentato le tensioni soffiando quotidianamente sul fuoco: non puntavano a un accordo, ma a provocare l’antagonista spingendolo a un’umiliante resa o a gesti inconsulti. Messo all’angolo dall’intransigenza statunitense Vladimir Putin ha soppesato le poche opzioni sul tavolo, propendendo infine per l’attacco militare – scelta dolorosa e gravida di pericoli anzitutto per la Russia.
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Noi non siamo niente, siamo tutto!
di Serge Quadruppani
Serge Quadruppani ricorda Valerio Evangelisti e i suoi personaggi abietti a cominciare dal più popolare: Eymerich. La descrizione delle forme più atroci di dominazione come incitamento alla ribellione
Valerio Evangelisti è morto lunedì 18 aprile. Non potremmo parlare della sua opera senza cominciare da quella che è sia la parte maledetta che la più visibile, la più conosciuta: Eymerich, quel personaggio storico, Inquisitore Generale del Regno d’Aragona nel 1357, «predicatore di verità», «dottore di prim’ordine», divenuto un personaggio di finzione, antenato di due delle figure archetipiche della nostra modernità, il poliziotto e lo scienziato. Eymerich, dice San Malvagio, imperversa nella sua epoca ma viaggia nel tempo. Le sue avventure sono state raccolte in una saga di dodici volumi di successo internazionale, pubblicate e ripubblicate anche in Francia prima da Rivages/Fantasy, poi da La Volte, in una traduzione a opera del sottoscritto per quanto riguarda i primi volumi, e dell’eccellente Daniel Barberi per i successivi.
Mischiando diversi generi letterari, horror, fantascienza, giallo, avventura, ogni episodio della saga è costruito sull’intrecciarsi di tre temporalità: il medioevo dell’Eymerich storico, un presente o passato recente, e un futuro distopico. Le quarte di copertina, che cercano di restituire la ricchezza di questi intrecci, compongono una sorta di poema barocco che dà le vertigini: «Qual è il legame tra l’indagine di Eymerich sulla rinascita dell’eresia catara in Savoia, la manipolazione genetica dei ricercatori dementi a metà degli anni Trenta e le fosse comuni di Timisoara, in Romania?»; «1358, Castres. Nicolas Eymerich conduce una terribile vendetta contro la setta dei Masc, bevitori di sangue. Ventesimo secolo, Usa. Il Ku Klux Klan, la Cia e l’Oas sono coinvolti da un biologo fanatico di esperimenti su persone di colore.
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Verso la guerra ad oltranza in Ucraina
di Gianandrea Gaiani
Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu (apparso nei giorni scorsi in pubblico dopo le voci di presunti problemi di salute dovuti addirittura ad avvelenamento) ha confermato gli obiettivi militari dell’operazione speciale già annunciati da Vladimir Putin all’inizio delle ostilità due mesi or sono.
Shoigu ha sottolineato “il coraggio e l’eroismo” dimostrato dai militari dopo l’annuncio con cui, il 19 aprile, lo stato maggiore ucraino aveva reso noto l’inizio dell’offensiva russa nel Donbass lungo un fronte di 480 chilometri in quella che ha definito “una nuova fase della guerra”.
Mosca del resto aveva annunciato il completamento della concentrazione di forze in vista dell’offensiva nell’est dell’Ucraina mentre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in un’intervista ha confermato che l’operazione russa mira “alla completa liberazione delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, come annunciato inizialmente”.
Il 22 aprile il generale Rustam Minnekayev, vice comandante delle forze del distretto militare della Russia Centrale, citato dalle agenzie di stampa russe ha detto espressamente che “dall’inizio della seconda fase dell’operazione speciale, uno degli obiettivi è stabilire il pieno controllo del Donbass e dell’Ucraina meridionale. Ciò garantirà un corridoio terrestre verso la Crimea, oltre a pesare sulle infrastrutture vitali dell’economia Ucraina, i porti del Mar Nero attraverso i quali vengono effettuate le consegne di prodotti agricoli e metallurgici.
Il controllo dell’Ucraina meridionale è anche un corridoio per la Transnistria, dove ci sono anche casi di oppressione della popolazione di lingua russa”, ha concluso il generale Minnekayev lasciando così intendere che le offensive proseguiranno anche nel settore di Odessa.
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I Gigacapitalisti
di Riccardo Staglianò
A distanza di tempo il ricordo più vivido che ho della passeggiata sulla versione nautica di Versailles è la schiena di una donna. All’apparenza magrebina, china per terra ad appiccicare pezzetti di nastro adesivo azzurro su scalfitture nel parquet di rovere. Guasti che io, pur sforzandomi, non riuscivo a vedere. Lei sì. Il suo mestiere era di individuare i graffi impercettibili nel pavimento patrizio di quella nave da 160 milioni di euro. E poi quelli sui lavandini in travertino, sulle boiserie alle pareti e così via. A bordo anche la più piccola imperfezione era bandita. Lei doveva denunciarla, appiccicandoci sopra un nastro adesivo blu, e qualche specialista sarebbe intervenuto per sanarla. Mentre camminavo con soprascarpe di gomma per non peggiorare la situazione mi sono chiesto quanto guadagnasse per quel lavoro parossistico e ho provato a immaginarmi che casa avesse lei e quanta acribia potesse permettersi nella sua manutenzione. Milleduecento euro, il suo stipendio mensile, era quanto quella sontuosa abitazione marina consumava di cherosene in mezza giornata per tenere accese le luci. Lo sapeva? Ci pensava mai? E che effetto le faceva questa pantagruelica sproporzione? Centosessanta milioni di euro. Fermatevi un attimo a pensare. In equivalenze al tempo del Covid significano mascherine per tutta l’Africa o prime dosi Astrazeneca per quasi 90 milioni di esseri umani. (…)
Una ricchezza pericolosa (per la democrazia)
La parabola nautica, con i suoi record di business pandemico, serviva solo come location (dove piazzare i nostri eroi) e metafora (dell’andamento strepitosamente anticiclico dei loro portafogli).
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