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Il referendum, lo SCUORUM, e la guerra civile
di Alberto Bagnai
Premessa
Vorrei cominciare con una cosa che col titolo (già di per sé criptico per molti) apparentemente non c'entra nulla. Un grande classico, questo:
"Our export industries are suffering because they are the first to be asked to accept the 10 per cent reduction. If every one was accepting a similar reduction at the same time, the cost of living would fall, so that the lower money wage would represent nearly the same real wage as before. But, in fact, there is no machinery for effecting a simultaneous reduction. Deliberately to raise the value of sterling money in England means, therefore, engaging in a struggle with each separate group in turn, with no prospect that the final result will be fair, and no guarantee that the stronger groups will not gain at the expense of the weaker."
Che a beneficio dei diversamente familiari con la lingua dell'Impero potrei tradurre così:
"Le nostre imprese esportatrici stanno soffrendo perché sono le prime alle quali si chiede di accettare una riduzione del 10% [dei salari, NdC]. Se ognuno accettasse una simile riduzione allo stesso tempo, il costo della vita diminuirebbe [perché i prezzi diminuirebbero di altrettanto, NdC], e quindi un salario inferiore in termini monetari equivarrebbe più o meno allo stesso salario reale [potere d'acquisto, NdC] di prima. Ma, in effetti, non c'è alcun meccanismo che possa mettere in pratica una simile riduzione simultanea. In Inghilterra, innalzare deliberatamente il valore della sterlina significa, quindi, impegnarsi a lottare separatamente con ciascun gruppo di interessi, senza alcuna prospettiva che il risultato finale sia equo, né alcuna garanzia che il gruppo più forte non prevarrà a spese del più debole".
Inutile dire (a voi) che la stessa cosa si otterrebbe, in Italia, innalzando deliberatamente il valore della lira.
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Volo Egyptair, regolamento di conti ad alta quota
di Federico Dezzani
I cieli dell’Egitto, di questi tempi, sono più pericolosi del triangolo delle Bermude, soprattutto per gli aerei che transitano da uno scalo di un Paese alleato del presidente Abd Al-Sisi: il disastro del volo Egyptair MS804 presenta forti analogie con l’attentato al volo russo Metrojet 9268, perpetrato ufficialmente “dall’ISIS”. Il mezzo di trasporto, la tratta percorsa ed il momento della quasi certa esplosione sono vocaboli di un preciso lessico terroristico, con cui gli ambienti atlantici esprimono il loro disappunto per l’intraprendenza francese in Egitto ed Libia, in contrasto con gli interessi angloamericani. L’attentato denota un salto di qualità nel contesto internazionale, spostando la lotta per gli assetti mediorientali dentro al ristretto “patto di sindacato” della NATO.
* * *
I parallelismi tra il volo Egyptair MS804 ed il Metrojet 9268
Appartiene agli anni ’50-’60, l’epoca dei primi voli commerciali transoceanici col puntuale scalo alle isole Azzorre, il mito del triangolo delle Bermude: era il tratto di oceano “maledetto” tra l’arcipelago delle Bermude, l’isola di Puerto Rico e la penisola della Florida, dove si narrava che aeroplani e navi scomparissero sovente nel nulla.
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Il fantasma di Deleuze in place de la République
di Julius (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.)
«La differenza fra le persone comuni ed i professori universitari consiste nel fatto che questi ultimi sono arrivati all'ignoranza dopo lunghi e difficili studi.» (Oscar Wilde - Aforismi).
C'è qualcosa di profondamente corrotto nel regno del pensiero radicale alla francese. Non utilizzo il termine "corrotto" in senso morale, ma nel senso delle merci "andate a male" dal momento della loro produzione. Ovviamente, il fenomeno non attiene all'oggi e lo spettacolo politico-culturale che offre la place de la République ne è solo la manifestazione più recente. Nel supermercato delle ideologie che in quella piazza ha montato i suoi stand, il postmodernismo occupa il posto principale. In particolare il "deleuzismo", il quale, in maniera del tutto evidente, costituisce uno dei denominatori comuni al cittadinismo mille volte riciclato e aggiornato che regna ai piedi della statua della dea tutelare dello Stato esagonale, e che punteggia i discorsi dei politici alla moda, a cominciare da Lordon. Vista la mitologia favorevole che ha permesso di nobilitare il deleuzismo, di attribuirgli il titolo di pensiero sovversivo, e visto il ruolo che gioca attualmente, vale la pena di tornare brevemente sul percorso di Deleuze e dei suoi accoliti, senza pretendere esaustività ma mostrando quali sono state le sue prese di posizione durante i periodi chiave della storia con cui si sono confrontati. Deleuze fa parte di quei personaggi che, all'indomani del maggio 68, avevano la pretesa di essere dei filosofi impegnati in attività originali e di aprire dei percorsi di riflessione e di azione che andavano oltre i confini tracciati e bloccati dal militantismo tradizionale. Benché le sue prese di posizione non esauriscano la questione dell'analisi critica della sua "cassetta degli attrezzi" concettuale, le prime dipendono dalla seconda e in molti casi ne rivelano il senso. Cosa che i riciclatori di oggi preferiscono occultare.
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Niente bocciature... che già abbiamo tanti guai
di Leonardo Mazzei
Quando la politica viene prima dell'economia... Le "pagelle" dei commissari europei e il futuro della "flessibilità" di Renzi
Alla fine sono arrivate le Raccomandazioni-Paese. Non ridete, si chiamano proprio così nel burocratese ufficiale della Commissione che ha il compito di emetterle annualmente. La stampa, che ama volgarizzare, le definisce invece "pagelle". Già questa terminologia la dice lunga sia sulla natura che sullo stato della (dis)Unione Europea.
Come previsto (almeno da chi scrive) i commissari sono stati quest'anno di manica larga. La barca fa acqua da tutte le parti e non è il caso di fare gli schizzinosi. I "poveri" (non per lo stipendio) tecnocrati sono sinceramente affezionati ai loro dogmi, ma qualche volta la politica comanda perfino a Bruxelles.
Mentre Cipro, Slovenia ed Irlanda hanno incassato l'abrogazione della "procedura di infrazione" (il burocratese eurista colpisce ancora); Spagna e Portogallo hanno per ora schivato le sanzioni previste dalle regole sul deficit dei conti pubblici. Se ne riparlerà a luglio. Strano mese, direte. Ma il fatto è che luglio viene dopo giugno, ed il 26 di quel mese gli spagnoli andranno alle urne. E l'amico Rajoy - amico della Merkel s'intende - val bene una deroga. Pare che anche Schaeuble questa volta abbia chiuso volentieri un occhio.
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Metrojet, Egipt Air, Regeni
Gli assassini dell'Egitto: Utili idioti, amici del giaguaro
di Fulvio Grimaldi
Nella tattica del terrorismo aereo di Stato, scatenato contro i paesi islamici a partire dai missili travestiti da aerei dell’11 settembre, rilanciato contro la Russia dal MH17 malese abbattuto sul Donbass nel luglio 2014, l’Egitto è al momento il target privilegiato. E possiamo con tranquilla sicurezza dire, parafrasando Pasolini, che noi sappiamo, pur non avendo altre prove che l’identità, la pratica storica e gli interessi del colpevole. Chi, l’ottobre scorso, ha fatto esplodere sul Sinai il Metrojet russo in volo da Sharm el Sheik con 224 persone a bordo ha colpito la Russia, antagonista globale e particolarmente vincente in Siria, insieme all’Egitto, dove un’insurrezione di 30 milioni di cittadini aveva eliminato dalla scena il Fratello Musulmano Mohamed Morsi e aveva sancito nel successivo voto la vittoria del generale Abdel Fatah Al Sisi. E qui colui che aveva collocato la bomba sull’aereo è stato catturato: un jihadista dell’Isis, vale a dire un miliziano del ramo terrorista della Fratellanza.
Questi aeroporti supersicuri con le voragini
Visto che Francia e Belgio appaino terreni di scorribande di terroristi con appiccicata l’etichetta Isis e vista la dimostrata apatia (inefficienza? complicità?) dimostrata dalle autorità di sorveglianza franco-belghe in occasione delle mega-operazioni di questi terroristi, viene naturale pensare che anche all’aeroporto Charles De Gaulle non si sia stati esasperatamente impegnati a impedire che qualche manina depositasse nell’Egypt Air in partenza per il Cairo l’ordigno che è stato visto bruciare nel cielo sopra il Mar Egeo.
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Marx 1881, il marxismo creativo e i “quattro enigmi” della storia contemporanea
di Roberto Sidoli, Massimo Leoni, Daniele Burgio
Un carteggio sull'Effetto di sdoppiamento. In calce a questo scritto le domande rivolte agli autori
Caro Fabio, nel rispondere al tuo scritto – fin troppo generoso nei nostri confronti – vogliamo per il momento concentrarci solo su due distinte tematiche, e cioè:
- Il rapporto tra marxismo e teoria dell’effetto di sdoppiamento, con il derivato primato della sfera politica (Lenin, “Che fare?”, 1902 e sulla successiva polemica contro Trotsky e Bucharin, nel 1920/21);
- Quale sia l’utilità politica, a cosa serve concretamente la tesi dell’effetto di sdoppiamento, con la sua analisi dell’epoca “sdoppiata” del surplus dal 900 a.C. fino a i nostri giorni.
- Sulla prima questione, sottolineiamo subito che il primo e finora ignorato precursore della teoria dell’effetto di sdoppiamento è stato Karl Marx, in un suo geniale lavoro del 1881 che semi-marxisti russi quali Plechanov, Axelrod e Vera Zasulich occultarono e nascosero vergognosamente per quasi quattro decenni e che venne invece pubblicato in Unione Sovietica nel 1924.
Infatti all’interno della bozza e stesura provvisoria della sua lettera del marzo 1881 indirizzata a Vera Zasulich, il geniale rivoluzionario tedesco analizzò anche la dinamica generale di sviluppo delle millenarie comuni rurali (la “comune agricola”, nella terminologia usata da Marx), notando tra le altre cose che «come… fase ultima della formazione primitiva della società, la comune agricola… è nello stesso tempo fase di trapasso alla formazione secondaria e, quindi, di trapasso dalla società basata sulla proprietà comune alla società basata sulla proprietà privata.
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Lo sguardo di Ippolita tra le anime elettriche della rete
Ippolita
Pubblichiamo un estratto da “Anime elettriche. Riti e miti sociali” di Ippolita, edito da Jaca Book (marzo 2016), un testo che riflette sulle contraddizioni prodotte dalla digitalizzazione delle nostre esistenze in rete
Corpi, macchine e corporation
I social sono un campo da gioco sterminato, una straordinaria palestra di pornografia emotiva per la scienza della comunicazione e il marketing, soprattutto perché amplificano le caratteristiche virali dei messaggi, la loro carica contagiosa. La velocità è tutto: se non agganci l’utente in una manciata di secondi, non sei efficace. In prima istanza, esistono due grandi agglomerati di corpi. Da una parte, la grande massa degli utenti, con i loro corpi organici; dall’altra, il corpus tecnologico sul quale gli organismi proiettano il loro alter ego digitale: il retroterra inorganico, di silicio e codici. Le macchine in rete organizzano l’espressione dei corpi organici, ovvero letteralmente si nutrono di essi, della loro biodiversità. Il corpus di conoscenze necessarie all’interazione fra organico e inorganico costituisce un terzo polo, che però può essere riassorbito negli altri due[1]. Ci interessa qui distinguere fra le diverse forme di oscenità interiore degli utenti e l’oscenità delle macchine, il loro essere cose gettate nel mondo, ossatura esposta, sistema nervoso estroflesso, struttura tecnico-culturale.
Esaminiamo da vicino l’opposizione corpi analogici – corpi digitali. Proviamo a seguire gli attori coinvolti. Osserviamo cosa accade quando mandiamo una mail, inviamo un messaggio, postiamo un contenuto.
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Reportage dal Kurdistan iracheno
Interviste raccolte dai corrispondenti di Radio Onda d'Urto e Infoaut
Prosegue il lavoro di inchiesta e reportage dei nostri corrispondenti in Medio Oriente: i compagn* si trovano ora in Iraq nella zona del Kurdistan Basur, ovvero nei territori che rientrano sotto il Governo Regionale del Kurdistan nel nord dell'Iraq (il Krg).
Di seguito proponiamo una raccolta (in continuo aggiornamento) di tutti i contributi, gli aggiornamenti, le interviste e gli approfondimenti realizzati dai nostri corrispondenti
* * *
Il Pkk sugli attacchi di Lice e Ankara: “Il popolo curdo ha diritto di difendersi”
In un'intervista rilasciata ai corrispondenti di Infoaut e Radio Onda d'Urto in Iraq (che nei prossimi giorni pubblicheremo in versione integrale), il comandante delle forze armate del Pkk nell'area di Mosul, Cemal Andok, ha commentato così l'attacco esplosivo che ha causato decine di vittime nell'esercito turco ad Ankara (capitale della Turchia): “Il Pkk è estraneo a questo attacco, ma esso è il risultato della crudeltà del governo di Ankara nei confronti dei civili e delle città curde del Bakur [regione curda della Turchia sud-orientale, Ndr]”.
A poche ore di distanza dall'attacco di Ankara c'è stata un'altra azione di sabotaggio nei pressi di Lice. Sull'autostrada tra Bingöl e Diyarbakir, principale città del Bakur, un veicolo delle forze turche è stato fatto saltare in aria facendo sei morti tra i soldati.
“I curdi non possono stare a guardare mentre Erdogan uccide impunemente centinaia di civili e ne brucia i cadaveri, incendiando case e palazzi e soffocando o bambardando le persone nelle cantine”, ha continuato Andok. “I curdi, con questi due attacchi all'esercito, hanno provato a rispondere all'attacco della Turchia. Esiste un diritto curdo di rispondere agli atti di guerra e a proteggersi, combattendo tanto lo stato islamico quanto gli altri nemici”.
Nella giornata di ieri una rivendicazione dell'attacco di Ankara è arrivata dal gruppo Tak, “Falchi del Kurdistan per la Libertà”. Il comandante del Pkk ha fatto presente che “esistono molte organizzazioni che si battono per la causa curda e per la libertà curda, ad esempio Tak. Non c'è relazione militare tra Pkk e Tak, ciò che ci unisce è l'essere curdi”. I Tak, che avevano già rivendicato un'esplosione su un aereo della Turkish Airways all'areoporto Sabiha Gokcen di Istanbul alcune settimane fa, hanno dichiarato nel loro comunicato che l'azione di Ankara “è una risposta al massacro perpetrato dall'esercito a Cizre. Il silenzio su ciò che sta accadendo a Cizre è complicità”.
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Happy Diaz, una riflessione non convenzionale su Genova 2001
Adriano Ercolani intervista Massimo Palma
Trentasei anni fa, il 18 maggio 1980, moriva Ian Curtis, cantante dei Joy Division. Il secondo album della band, Closer, è una delle chiavi di un libro pubblicato di recente che muove da un lutto musicale per soffermarsi su un lutto politico. Di seguito un’intervista all’autore di questo libro
Pochi libri mi hanno colpito negli ultimi anni come Happy Diaz (Arcana) di Massimo Palma, un racconto lucido e non convenzionale della pagina più tragicamente oscena nella storia italiana recente, ovvero le violenze perpetrate dalla polizia su manifestanti inermi durante il G8 di Genova 2001.
Un libro che si fonda su una catena apparentemente arbitraria di connessioni e riferimenti, ma che al termine svela una visione complessa e ragionata, senza dubbio originale, dei nodi politico-culturali collegati a quell’epocale manifestazione di violenza di Stato.
Uno dei pregi della narrazione è quello di non raccontare solo le ultime, infernali 48 ore di mattanza poliziesca, ma di recuperare nel dettaglio l’intero programma di rivendicazioni, incontri, proposte e proteste del movimento sbrigativamente etichettato “no global”, analizzato per ciascun giorno della settimana.
Questa chiave narrativa consente al libro di non incancrenirsi nel livore dei toni di denuncia (comunque forte e circostanziata), ma di aprire a due peculiari percorsi sotterranei: la settimana è raccontata da un lato attraverso le canzoni dei gruppi dei gruppi rock di Manchester dedicati ai diversi giorni della settimana (a completare il quadro, tredici illustrazioni di Tuono Pettinato che ritraggono i protagonisti di quella straordinaria stagione musicale); dall’altro attraverso i personaggi del romanzo L’Uomo che fu Giovedi di G.K. Chesterton, amato dal grande studioso hegeliano Kojève.
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Caso Pizzarotti: amici del M5s, siete sicuri che…?
di Aldo Giannuli
Come era prevedibile, l’avviso di garanzia a Nogarin ha innescato un terremoto soprattutto nel mondo dei social, che è la bussola con cui il M5s si confronta. Si trattava di quello che io chiamo “effetto Savonarola”.
Se un noto gangster svaligia una banca, la cosa fa notizia ma, non si scandalizza nessuno (in fondo, i gangster fanno proprio quello), ma se ad appropriarsi indebitamente di un decino, anche solo per fare l’elemosina, è Gerolamo Savonarola che dal pulpito tuona ogni domenica contro il malcostume e le rapine, la cosa fa molto più rumore e tutti sono sbalorditi.
Temo che il vertice del M5s (chissà se mi perdoneranno di aver usato la parola “vertice” ma non sapevo come altro dire) si sia fatto prendere la mano dal panico, sopravvalutando grandemente l’effetto Savonarola, che può essere anche molto vistoso, ma in genere ha breve durata. Poi c’è stata la solidarietà di Grillo a Nogarin che ha fatto gridare ancora di più allo scandalo gli uomini della rete (“Ma allora siamo proprio come tutti gli altri!”); e su questo hanno soffiato quelle verginelle del Pd. Magari qui sarei stato più cauto, assumendo la posizione ufficiale “Attendiamo di vedere cosa c’è nelle carte”, il che non avrebbe escluso una solidarietà privata comprensibilissima.
Nemmeno 24 ore dopo è arrivata la notizia di Pizzarotti (ero in trasmissione ad Agorà proprio quando è arrivato e mi è toccato commentarla a caldo, con un battibecco con una parlamentare del Pd). E qui le cose sono cambiate, perché Fico ne ha chiesto subito il passo indietro.
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15M: Nuit Debout partout
di Davide Gallo Lassere
Come ci si rialza, come ci si riprende dalla atonìa seguita alla vicenda greca, come innescare un sovvertimento che risponda a un diffuso e inespresso desiderio di rivalsa e alla spinta che viene dall’affettività comune, reazione di forza superiore e contraria alla frammentazione imposta attraverso gli stati d’eccezione e le logiche individualiste neoliberali? Per questo è importante capire che cos’è successo in Francia, quale è stato il processo che ha portato il paese, nel giro di pochi mesi, a rovesciare completamente la cappa dello stato d’emergenza introducendo l’effervescenza del movimento #nuitdebout che resiste da due mesi a questa parte a partire dalla piazza simbolo della repressione emergenziale di Valls e Hollande, Place de la République. Pubblichiamo dunque l’ottimo intervento che Davide Gallo Lassere ha fatto al Piano Terra di Milano, giovedì scorso, portando una testimonianza diretta da Parigi. La discussione si è articolata guardando all’appuntamento del 15 maggio, che, ricordiamo, a Milano è fissato in Piazza XXIV maggio, #nuitdebout Milano, dalle 19.30. A Roma dalle ore 17 al Phanteon, a Torino dalle ore 23 .00 in Piazza Vittorio Veneto, a Genova dalle ore 18.00 in P.za Rostagno, a Padova dalle ore 17.00 in via VIII Febbraio, a Napoli Piazza San Domenico dalle ore 19.00, a Messina, invece, il 14 maggio, in Via Peculio Frumentario dalle ore 22.00 (per non sovrapporrsi alla manifestazione No Muos di domenica 15 maggio).
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Guerre vere e guerre immaginarie. Sull'uso del concetto di geopolitica
di Marco Bertorello
“Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti” ha dichiarato recentemente il Papa prospettando il rischio di un nuovo conflitto planetario. Ma, nonostante il forte ritorno ai nazionalismi, l’allarme del pontefice pare infondato perché non sussistono le condizioni politico-economiche per tale evenienza e la globalizzazione – per quanto multilaterale e asimettrica – rimane il fulcro centrale
Il Papa ha sostenuto ripetutamente che la terza guerra mondiale sarebbe iniziata. Su “Repubblica” ha affermato che «Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli»[1] e successivamente sul “Corriere della sera” ha ribadito in maniera ancor più perentoria «Io ho parlato di terza guerra mondiale a pezzi. In realtà non è a pezzi: è proprio una guerra»[2]. Le affermazioni del Papa vengono interpretate come una provocazione, una metafora per denunciare un contesto fatto di crescenti conflitti militari, ma al contempo contribuiscono a confondere le idee su ciò che sta accadendo. Dico subito che questo modo di leggere le vicende del mondo contemporaneo non mi convince e proverò a spiegare perché.
Va registrato che le affermazioni del Papa hanno rafforzato, per certi versi si potrebbe dire sdoganato, un esteso sentire a sinistra che legge i conflitti militari in corso dentro un più generale contesto di guerra finendo, in alcuni casi, per dare la stura a un nuovo «campismo», cioè a una nuova divisione del mondo in blocchi politico-economici già militarmente in conflitto tra loro. Ovviamente questa visione viene sviluppata con modulazioni differenti, ma in tutti i casi è indice di una certa propensione a leggere gli attuali conflitti regionali dentro un processo più ampio e ben più drammatico.
Una versione sofisticata e problematizzata è proposta anche dalla rivista «Limes» che vi ha dedicato un numero intero dall'emblematico titolo «La terza guerra mondiale?»[3] e con il medesimo titolo ha organizzato un Festival, a Palazzo Ducale di Genova, che ha visto la partecipazione di 8.000 persone. Numeri che parlano dell'attenzione al tema.
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Keynes, Draghi, Gollum, e i tassi negativi
di Alberto Bagnai
(...scritto a 30000 piedi, da dove si vede più lontano...)
Come forse starete vedendo, sui media di regime è tutta una scoperta dell’acqua calda. Il Sole 24 Ore, il Corriere, la Stampa, scoprono quello che qui da sempre ci siamo detti: che il surplus tedesco più che dimostrazione di virtù è causa di problemi; che il debito privato, non quello pubblico, è origine della crisi; che curare il debito pubblico con l’austerity trasforma una situazione fisiologica in una patologica. Insomma: tutto quello da cui siamo partiti, parola per parola, viene oggi dato come assodato, come “mainstream”, da persone che spesse volte ci hanno denigrato, singolarmente o collettivamente, per averlo detto quando c’era ancora qualcosa da salvare.
Naturalmente nessuno è disposto a fare per primo l’ultimo passo, vale a dire che siccome solo la crescita potrebbe risolvere i nostri problemi, e siccome l’euro è nemico della crescita, perché la svalutazione interna (taglio dei salari) imposta dalla rigidità del cambio condanna alla deflazione, condizione necessaria per uscire dall’impasse è superare il sogno di una moneta imperiale ed evolvere verso un sistema monetario più flessibile.
Faranno questo ultimo passo quando sarà loro chiesto di farlo.
Noi, intanto, possiamo guardare avanti.
Per rendervi più agevole questo compito, e aiutarvi a perdonare chi con le sue menzogne ha distrutto un paese, vorrei oggi con voi allargare le prospettive, facendovi leggere qui quello che fra un anno leggerete sul Financial Times.
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Neoliberismo medioevale e nuova aristocrazia
di Elisabetta Teghil
Il neoliberismo medioevale
Abbiamo già parlato qui del neoliberismo fascista, cioè dei caratteri nazisti e fascisti che informano questa società. Ma questa stessa società ha anche caratteristiche medioevali.
L’agire sociale tollerato è quello che si esprime per corporazioni, associazioni categoriali spoliticizzate, a tutela di interessi specifici di gruppo. Ne sono un esempio le associazioni dei consumatori, ma anche quelle che raggruppano le minoranze sessuali, o i comitati, le organizzazioni che dovrebbero “salvaguardare” le donne come genere oppresso.
Tutto viene ricondotto ad una generica matrice culturale che dimentica la struttura della società e la divisione in classi.
Ognuno così finisce per chiedere tutele e visibilità, riconoscibilità e legalizzazione organizzandosi in un gruppo di interesse. I “centurioni” che accompagnano i turisti al Colosseo, i venditori ambulanti, le sex workers, tutti chiedono albi professionali in cui essere inseriti e riconoscibilità in un gruppo. Vengono così criminalizzate e perseguite tutte le economie marginali e tutti e tutte coloro che non possono essere inquadrate in una categoria o che non vogliono legare la propria vita ad un ambito specifico.
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Paolo Virno. L’idea di mondo
Alessandro Foladori
Esiste una certa lettura dell’opera di Gilles Deleuze che consente un aggancio tra la sfera ontologica e quella etica a partire dal non-concetto di immanenza e dal “canone eretico” della storia della filosofia, cui egli si rifà: Spinoza, Bergson, Nietzsche, gli stoici, per citare i più noti. Forse il più grande merito di una simile lettura sta nel fatto che essa rifiuta alla morte il privilegio di donare compiutezza e senso all’esistenza, per soffermarsi invece sull’incompiutezza senza mancanza che fa tutta la potenza di una vita.
L’idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita di Paolo Virno (Quodlibet, Macerata 2015, pp. 187) non condivide con Deleuze alcuna premessa operativa esplicita, eppure sembra ruotare attorno allo stesso intento problematico. Il libro di Virno è composto da tre saggi, due dei quali già pubblicati nel 1994, che afferiscono a “generi” differenti. Il primo è un saggio filosofico stricto sensu; il secondo un trattato politico; e il terzo un programma di lavoro per una filosofia «da fare». Nonostante questo i tre saggi sono inestricabilmente avvinghiati l’uno all’altro, non solo perché ognuno prende l’abbrivio esattamente dal punto in cui quello precedente si interrompe, ma proprio in virtù del fatto che, pur nella loro differenza di genere e d’intenzione, sembrano essere tutti protesi a illuminare con luci diverse la stessa tematica di fondo.
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Per non morire da hypsters manieristi
SUAG - Solo Un Altro Giornalino
C'è un intenso odore di muffa. Le culture giovanili ripiegano sul vecchio, sul passato.
Tra vestiti dismessi da decadi e eroi pop di generazioni del secolo scorso risulta difficile provare a comprendere cosa sta accadendo. Magalli, Piero Angela, Gianni Morandi, Jerry Calà e la loro riscoperta se da un lato scatenano una facile risata dall'altro ci pongono delle domande sui fenomeni che innervano i tratti soggettivi dei giovani d'oggi e il modo con cui stanno al mondo.
Liquidare questi fenomeni come spazzatura è una facile scorciatoia. Non basta steccare "l'hypsterismo" o prodursi in facili polpettoni di sociologia. Il recupero del vecchio ci parla immediatamente del mondo in cui viviamo, e anche di alcune specifiche del nostro paese.
Bisogna iniziare chiarendo che quello che viene recuperato è un "vecchio" senza Storia.
Degli anni ottanta e novanta, degli anni venti e cinquanta, non si interrogano gli eventi, le culture, le aspirazioni, ma si assume la superficie di un periodo considerato come felice, senza sconvolgimenti sostanziali. Statico, nonostante chi l'abbia vissuto potrebbe darne un quadro diverso. Nonostante allora come adesso qualcosa si muoveva magmatico sotto le placche della vita quotidiana.
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Chi farà la prossima mossa
Demostenes Floros
Tra Mosca, Ankara e Atene, si gioca una partita importante per i futuri flussi di oro blu nel vecchio continente, sempre che si metta mano alle nuove vie di collegamento e si definiscano meglio i termini della discesa in campo di Teheran
I fortissimi contrasti fra la Turchia e la Federazione Russa in merito al conflitto siriano e al futuro del Medio Oriente hanno portato al congelamento della costruzione del Turkish Stream, il gasdotto progettato dalla Gazprom sotto il Mar Nero, con approdo in Turchia, ai confini con la Grecia, per il trasporto del gas naturale all’Europa centro meridionale e nei Balcani.
Il 2 dicembre 2015, in conseguenza dell’abbattimento del jet militare russo ad opera della Turchia, la Russia, per bocca del Ministro dell’Energia, Alexander Novak, "ha sospeso le negoziazioni in merito al Turkish Stream", e ha bloccato la costruzione dell’impianto nucleare da 22 miliardi di dollari di Akkuyu in Mersin (Turchia) appaltato alla Rosatom. Dopodiché, ha accelerato le operazioni relative al raddoppio della capacità di trasporto della pipeline Nord Stream I, il progetto Nord Stream II. In precedenza, il 1° dicembre 2014, Vladimir Putin aveva ufficialmente cancellato la costruzione del gasdotto South Stream prendendo atto, in primo luogo, degli effetti delle pressioni americane sulla Bulgaria - con conseguente ritiro del permesso di costruzione - e degli ostacoli posti dalla Commissione Europea - "approccio non costruttivo", le parole utilizzate dal Presidente russo - in merito all’uso della pipeline. In tale contesto politico, come potrebbe evolvere lo scenario della realizzazione delle infrastrutture energetiche (pipeline) per l’approvvigionamento del gas naturale russo verso il Mediterraneo nord-orientale? Quali sono gli effetti che un mutato contesto geopolitico dell’energia potrebbe avere sulla Turchia e sulla Grecia?
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Rêve Générale
Quando la sazietà del ricco non ti lascia dormire
Nicolas Martino
L’appuntamento è per domani, domenica 15 maggio. La «Nuit Debout» si diffonde nelle piazze di Roma, Milano, Napoli, e in tante città francesi e di tutta Europa per immaginare e costruire insieme altre forme di vita. E non è un caso che la dimensione notturna e onirica dell’appuntamento sia legata a una lotta che riguarda il lavoro, ovvero la vita di ognuno di noi. Infatti nelle piazze parigine, impegnate nella lotta contro la «Loi Travail», ha fatto la sua comparsa uno striscione che invitava, dopo lo sciopero generale, al «Rêve Générale», al sogno collettivo da fare in piazza trasformata per la notte in una vera e propria «Dream Machine». Parigi si sa, inaugura spesso i tempi nuovi a venire, chissà allora che da Place de la République non si diffonda in tutta Europa un nuovo ciclo di lotte. Chissà che non riparta quella «Comune» accesa a Parigi dal jolie mai e dal suo slogan più famoso, e forse abusato, l’«immaginazione al potere». Uno slogan che sembra tornare oggi con il «Rêve Générale», anche se con uno passo indietro strategico e significativo, giacché lo scarto quarantennale che ci separa da quel decennio «comunardo» non è stato privo di conseguenze. Per capire perché il sogno sia oggi immediatamente legato al lavoro e al reddito e per cogliere la profondità di questo scarto e quindi la differenza del passo indietro, occorre partire da quel primo slogan e chiedersi che cosa significasse.
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Brasile, le responsabilità del PT e il golpe da fermare
di Gennaro Carotenuto
Restaurazione completata in Brasile. Dilma Rousseff, che aveva vinto le elezioni con oltre 54 milioni di voti, viene sostituita da un governo che non si limita a metterla in stato d’accusa per presunte violazioni, ma ribalta completamente il segno politico del paese. Quello presieduto da Michel Temer, un dinosauro della peggior politica, inquisito per corruzione e con un’aspettativa di voto che i più benevoli collocano al 2%, è un governo non eletto da nessuno, sessista e razzista, composto esclusivamente di maschi bianchi, sette ministri del quale già inquisiti per corruzione. Dopo aver coperto di letame, complici i media monopolisti, uno dei più autorevoli dirigenti politici mondiali, Lula da Silva, le destre hanno dunque fatto un passo avanti e preso il potere con un colpo di stato parlamentare destituendo una presidente, Dilma Rousseff, accusata di nulla. Quello di Temer è un governo di agroindustriali, fondamentalisti neoclassici ed evangelici (due facce della stessa medaglia), corrotti, violatori di diritti umani e narcos, che ha come ministro di giustizia un avvocato vicino al principale cartello criminale del paese.
Addirittura duecento degli uomini che hanno votato l’impeachment contro Dilma sono già inquisiti per corruzione, con l’infamia massima di uno di loro che ha votato in onore al boia che torturò la presidente durante la dittatura.
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Capitalismo cognitivo e postcapitalismo
Qualunque cosa ciò possa significare
di Sebastiano Isaia
«Come sulla fronte del popolo eletto stava scritto ch’esso era proprietà di Geova», così
l’espansione totale e capillare del rapporto sociale capitalistico imprime all’individuo
«un marchio che lo bolla a fuoco come proprietà del capitale» (Marx).
Introduzione
La lettura del libro di Paul Mason Postcapitalismo. Una guida per il nostro futuro ha generato in me una serie di riflessioni e di suggestioni che proverò a mettere in ordine per poterle condividere con i lettori, ai quali chiedo preventivamente scusa per le ripetizioni di frasi e concetti che probabilmente troveranno nel testo che avranno la bontà di leggere, e che non sono riuscito a eliminare nella fase di correzione degli appunti.
Lo scritto che segue non vuole essere, e difatti non è, una recensione del libro di Mason ma, appunto, una “libera” – e spero non troppo confusa – riflessione sui temi affrontati o anche solo evocati dal suo autore. I frequentatori più assidui del Blog non avranno difficoltà a capire subito che si tratta di “problematiche” che non smetto di prendere di mira, cercando di approcciarle da prospettive sempre diverse. Non sempre, o meglio: solo raramente la cosa mi riesce, non ho motivo di negarlo, ma l’impegno c’è, e credo che, tutto sommato, esso vada nella giusta (radicale/umana) direzione. Certamente sbaglio, inciampo e cado di continuo, ma sempre su un terreno a me caro: l’anticapitalismo “senza se e senza ma”, in vista di «una più elevata situazione umana» (Goethe).
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Il mercantilismo che sta uccidendo l’Europa
di Thomas Fazi
Uno studio recente dimostra che l’impatto della svalutazione interna sui paesi della periferia è stato – ed è – ben più grave di quanto rivelino i dati ufficiali
La politica economica europea – quel combinato disposto di austerità fiscale, compressione salariale e liberalizzazioni (soprattutto del mercato del lavoro) – ha un nome: mercantilismo. Il mercantilismo, secondo la definizione di Adam Smith, è una dottrina economica che “incoraggia le esportazioni e disincentiva le importazioni” al fine di ottenere un attivo della bilancia commerciale. Al tempo di Smith (XVIII secolo), tale obiettivo veniva perseguito soprattutto limitando le importazioni per mezzo di tariffe, dazi, tasse e sussidi. Oggi l’ideologia del libero mercato – che disdegna qualunque forma di protezionismo “ufficiale” – impone agli Stati di perseguire quell’obiettivo con altri mezzi: la svalutazione interna (austerità fiscale e compressione dei salari), l’esportazione di capitali all’estero (stimolando la domanda di beni/servizi importati in paesi terzi) e – laddove possibile – la manipolazione del tasso di cambio (svalutazione/deprezzamento della valuta). Ça va sans dire che le suddette strategie, per funzionare, presuppongono che uno abbia dei prodotti appetibili da vendere; un dettaglio tutt’altro che irrilevante di cui spesso ci si dimentica quando si parla di “competitività”.
I paesi dell’eurozona, come è noto, non possono più ricorrere alla variabile del tasso di cambio per recuperare competitività nei confronti dei propri competitor europei – variabile che oggi, in un contesto di domanda globale stagnante, non avrebbe probabilmente un grande effetto sulle bilance commerciali dei paesi che dovessero farne uso, in un ipotetico scenario post-euro, ma che invece, nel bene o nel male, negli anni pre-SME (sistema di cambi fissi che spianò la strada alla moneta unica)
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Il dio che non voleva morire
Tecnica, Capitalismo e limiti del vivente
Paolo Bartolini intervista Lelio Demichelis
Prof. Demichelis, in un suo recente lavoro ha parlato espressamente di religione per definire l'impianto tecno-capitalista che governa le nostre società. Quale valenza strategica e politica riconosce a un'analisi del dominio contemporaneo centrata sulla categoria del "religioso"?
In tempi di Isis e di integralismo politico-religioso potrebbe sembrare fuori luogo parlare e scrivere di capitalismo, di tecnica e di rete come di fenomeni religiosi. Io sostengo invece che proprio il capitalismo e la tecnica intesa come apparato hanno assunto ormai forme tipicamente religiose. Utilizzando le categorie e le modalità del religioso per evangelizzare il mondo, ma nella forma tecnica e capitalista.
Se andiamo alle analisi di Michel Foucault sulla nascita del potere moderno come evoluzione del potere pastorale delle prime comunità cristiane; se (ancora Foucault) analizziamo i meccanismi psicologici e pedagogici insiti nelle discipline e poi nelle forme biopolitiche di potere e di governo (la governamentalità) degli uomini; se, ancora, guardiamo alle società di massa del '900, alle forme totalitarie di potere, al concetto di ideologia - ebbene, abbiamo la conferma di quanto le forme religiose siano ben presenti anche oggi, in tempi di apparente secolarizzazione ma soprattutto di mercato globale e di rete.
La religione classica era un sistema di rappresentazioni collettive e di pratiche ripetute che uniscono e connettono e integrano ciascuno in una comunità/gregge, legandolo al pastore che guida il gregge e sciogliendolo all'interno del gruppo; è poi un insieme di riti, miti, cerimonie, simboli che rimandano e rinviano a Dio ma soprattutto alla chiesa che lo incarna e lo interpreta.
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Schengen e la crisi europea delle migrazioni
Domenico Mario Nuti
Domenico Mario Nuti nella prima parte ripercorre l’evoluzione, i vantaggi e i costi dell’eliminazione dei confini interni all’area di Schengen (1985), che considera meritoria ma prematura e incompleta, con svantaggi aggravati dalla divergenza dei paesi membri e dalle politiche di austerità. Documenta poi le crescenti pressioni migratorie che nel 2015 hanno indotto diversi paesi a ristabilire controlli, muri e barriere. Nella seconda parte illustra i vantaggi e i costi dell’eliminazione dei confini interni all’area di Schengen, sostiene che tale eliminazione è stata meritoria ma prematura e incompleta, considera le cause delle accresciute pressioni migratorie e traccia una netta distinzione tra rifugiati e migranti economici, mostrando le sue perplessità su una politica di migrazioni senza frontiere. Nelle conclusioni elenca 7 condizioni che ritiene necessarie per il mantenimento di Schengen
Parte I
L’Area di Schengen
Il 14 giugno 1985 Francia, Germania e Benelux firmavano il Trattato di Schengen, abolendo controlli di frontiera e trattando l’intera Area come un singolo paese. Inizialmente il Trattato non era parte delle strutture della Comunità, mancando il consenso degli altri cinque membri, ma veniva incorporato nelle leggi dell’Unione col Trattato di Amsterdam (1997). Gradualmente vi aderivano altri 21 paesi, compresi 4 membri dell’EFTA che non appartengono all’UE: oggi l’Area Schengen ha una popolazione di oltre 400 milioni di persone.
In linea di principio si trattava di un’ottima iniziativa, visto il risparmio di tempo e di costo dei trasporti per passeggeri e merci. Uno studio recente della Bertelsmann Stiftung stima il costo che seguirebbe la disintegrazione dell’Area Schengen da €470md a €1400md nel prossimo decennio (circa il 10% del PIL annuale dei 28 paesi dell’UE) dovuto all’aumento dei prezzi di importazione da 1% a 3%. Queste stime potrebbero essere esagerate ma senza dubbio il collasso di Schengen nelle condizioni attuali di ristagno economico avrebbe un impatto recessivo sullo sviluppo dell’Unione, con ripercussioni globali.
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Si comincia col denaro e si finisce col denaro
di Michael Roberts
Recensione di: Fred Moseley, 'Money and totality', Brill, 2016, pp. 436, £102
Negli ultimi due anni, una delle tendenze principali dell'economia mondiale è stata il crollo del prezzo del petrolio sul mercato globale. Da un picco che superava i $100 al barile, il prezzo è crollato fino al di sotto dei $30 e si trova ancora intorno ai $40. La spiegazione di questa caduta del prezzo, come era stato previsto dall'economia ufficiale, è semplice. C'è stato un mutamento nella domanda e nell'offerta di petrolio. Perciò gli economisti ora discutono su quale sia il fattore principale: l'incremento dell'offerta o la diminuzione della domanda.
Ma quest'analisi del prezzo di una merce e di quanto valga a livello della domanda e dell'offerta - come viene insegnato da tutti i libri di testo di economia all'università - nel migliore dei casi è superficiale. C'è una battuta che gira negli ambienti degli investitori finanziari, quando si discute sul perché il prezzo delle azioni di una qualche società sia improvvisamente crollato: "Be', c'erano più venditori che acquirenti" - talmente vero fino ad essere tautologico.
Cos'è che spiega perché un barile di petrolio costa $40 e non $1? Perché 100 graffette costano $1 ed un'automobile costa $20.000? In altre parole, dobbiamo capire cos'è che fa sì che qualcosa sul mercato venga valutato al di là della semplice domanda ed offerta; ci serve una teoria del valore. A partire da questo, possiamo cominciare a spiegare il funzionamento di un'economia capitalista, dove ogni cosa viene prodotta per essere venduta.
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Il sinistro scricchiolio delle banche: ultimo stadio dell’eurocrisi
di Federico Dezzani
La prima metà del 2016 è un lunga e sanguinosa mattanza borsistica per le banche italiane: Intesa SanPaolo -30%, Unicredit -40%, Banco Popolare -40%, Banca MPS -50%. E poi gli strascichi delle quattro banche “salvate” nel dicembre 2015, il clamoroso fallimento della ricapitalizzazione della Banca popolare di Vicenza, il timore del ripetersi di un flop simile per Veneto Banca e, soprattutto, l’incubo che qualche istituto “sistemico” imbarchi ancora un po’ d’acqua e coli a picco. Tutta colpa del “bail in”? Più che la causa, il “bail in” è la conseguenza della debolezza del sistema creditizio italiano: arrivati a questo punto dell’eurocrisi, l’infezione si è propagata dall’economia reale alle finanze pubbliche, sino ad infettare i bilanci delle banche. Berlino non ha nessuna intenzione di sobbarcarsi il costo di un salvataggio bancario e mette l’Italia di fronte alla scelta: scaricare le perdite su correntisti ed obbligazionisti o uscire dall’euro. Scenario, quest’ultimo, sempre più concreto.
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Banche, la sentina dove confluiscono i liquami dell’eurocrisi
Mercoledì 11 maggior, mentre il Parlamento vota la fiducia al governo sul ddl che riconosce le coppie omosessuali (“una pagina storica” secondo Matteo Renzi), si consuma a Piazza Affari una giornata di passione: alla chiusura della borsa la tavolozza di colori è ricca di sfumature di rosso, dal vermiglio di Intesa San Paolo (-1,6%), al rosso porpora del Banco Popolare (-9%), passando per il rosso pompeiano di Unicredit (-3,7%).
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