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Quanto durano otto ore in Germania?

Il lavoratore medio e un problema da risolvere

È il caso di dirlo: abbiamo un problema. Noi, come lavoratrici e lavoratori, come operaie, casalinghi, riders, come militanti, abbiamo un grosso problema. Questo problema attualmente si aggira per la Germania creando nuovamente scompiglio. Sì, perché questo problema lo abbiamo avuto diverse volte in passato, ma continua a schivare l’interesse dei più.

Sono stati i cinque saggi tedeschi, amici della lungimirante Angela (cosi lungimirante che ha bisogno di cinque persone che le dicano dove sta e come sta messa), a rimettere in circolo il problema che si aggira tra noi come uno spettro. Si tratta del problema della giornata lavorativa che necessariamente significa anche quale lavoratore deve lavorare in quella giornata. Per aiutarci a risolvere il nostro problema, i cinque saggi del German Coucil of Economic Experts sembrano proporre l’esistenza di un lavoratore medio, un’entità che incarnando il desiderio medio della classe lavoratrice, una classe media ovviamente, sta lentamente distruggendo ogni traccia, anche minima, di tutele dei lavoratori, quelli non medi. Così nel momento in cui la giornata lavorativa è sempre meno sottoposta a forme giuridiche universali e si estende per tutte le ore del giorno e in tutti gli spazi del globo, abbiamo comunque una figura di lavoratore a cui fare riferimento per comprendere e accettare il nostro sfruttamento.

Questo lavoratore medio, incarnazione del suo alter-ego statistico, è più reale di quanto si immagini, almeno negli effetti che produce. Nel suo non esistere, infatti, giustifica tanto l’esistente, quanto quello che sarà. Per cui abbiamo a che fare con un problema, ma invisibile. Alla faccia di chi sostiene che i fantasmi non esistono.

Dicevamo che si aggira certamente in Germania e le fonti parlano di un nuovo colpo ai nostri diritti, sempre in nome del bene dei lavoratori in generale, perché il medio è anche rappresentativo. E sarebbe questo lavoratore inesistente a non volere più una giornata lavorativa regolamentata. La tanto decantata esigenza di flessibilità del temibile lavoratore medio, quella che ha legittimato le grandi riforme a livello europeo degli ultimi decenni, dal Jobs act alla Loi travail e prima ancora l’Hartz-Konzept, sta ora investendo la spinosa questione della giornata lavorativa di 8 ore in Germania (il lavoratore medio è davvero molto potente e parla tante lingue!).

Per quanto i più vogliano lavorare meno e ricevere di più, molto di più, al lavoratore medio in cerca di flessibilità questo pare non andar bene. Lui odia le prese di posizione per natura. Lui legge le mail mentre fa colazione, fa delle chiamate la sera per questioni di lavoro, vuole più flessibilità, lui. Certo ha due figli in media, è mediamente bianco, maschio, con antenati che mediamente facevano gli impiegati in ufficio, ma ora lavora in un settore innovativo. A lui dello sfruttamento lavorativo cui la maggioranza è sottoposta non interessa mediamente nulla. Lui è lui, ma è anche un po’ noi.

Nel loro rapporto 2017/2018 i cinque saggi hanno di fatto sostenuto che il lavoratore medio non è più quello che si alza al mattino e inizia la sua giornata di lavoro in ufficio che terminerà nel tardo pomeriggio. Detto altrimenti secondo la realtà del lavoratore medio, le 8 ore lavorative sono da mitomani, demodé, come le tutele sindacali, ormai quasi inoffensive anche quando a pieno regime, di fronte a un attacco globale da parte delle sempre nuove esigenze del lavoratore medio. Secondo i portavoce tedeschi del lavoratore medio, lui per essere flessibile vorrebbe togliere il limite giornaliero delle otto ore, che dichiara essere «obsoleto» e propone inoltre, di avere un limite settimanale e non giornaliero. Questo lavoratore medio, infatti, non sa fare le addizioni e tanto meno le moltiplicazioni. Manifesta una chiara insofferenza per questa compresenza di limiti orari giornalieri e settimanali, quando basterebbero solo i secondi, che sono ovviamente da rivedere, perché lui vuole lavorare di più settimanalmente, ma come vuole lui quotidianamente; se non capiamo è perché è mediamente più all’avanguardia. È chiaro che il lavoratore medio è affascinato dalle nascenti piattaforme digitali, dal «lavora quando vuoi tu».

Chiunque pensi che questo lavoratore medio presenti esigenze simili a quelle dei padroni che sfruttano la flessibilità per precarizzare definitivamente il lavoro, o a quelle di un capitale in costante fluttuazione e il cui governo globale non è mai messo in discussione, sbaglia. Loro non hanno nulla a che vedere con questa storia. È colpa del lavoratore medio, è colpa di tutti noi, seppur in percentuali minime, perché c’è un pezzo di ognuno di noi in quel lavoratore. Tutti noi un po’ vogliamo quello che vuole lui, parola di saggio tedesco! Ecco perché è un problema, essendo lui la fonte di tale attacco, come sostengono gli esperti, è come cercare di organizzare una lotta contro una millesima parte di noi. O questo è quanto hanno deciso di farci credere.

È vero anche che i tedeschi non hanno bisogno di andare in Polonia per veder lavorare 16 ore al giorno. Già ora, infatti, secondo la legge tedesca sui tempi di lavoro, tutti i contratti possono subire delle deroghe, che possono arrivare a 60 ore settimanali (dalle 40/50) con punte anche maggiori nelle industrie chimiche. Lasciando perciò i saggi tedeschi al loro destino, dovremmo forse cercare di risolvere noi il nostro problema, per non perdere una volta per tutte quella vecchia «guerra civile» sulla limitazione della giornata lavorativa. Dovremmo forse dire di no al lavoratore medio che è dentro di noi, quello che pensa il tempo di lavoro come un problema puramente individuale, quello che non sciopera perché è mediamente sconveniente, quello che subisce la paura media del precario medio, quello che considera il lavoro migrante come qualcosa al di fuori di ogni media. Dicendo un chiaro no a lui, forse potremmo essere più saggi dei saggi e senza alcuna mediazione potremmo occuparci del lavoratore collettivo che siamo.

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