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linterferenza

Fascismo e antifascismo, ieri e oggi

di Riccardo Paccosi

Pubblichiamo questa interessante analisi di Riccardo Paccosi, condividendola completamente con l’eccezione di un passaggio.

Infatti, se è giusto, in questa fase, non attaccare frontalmente i neofascisti e i post fascisti per le ragioni che lui stesso spiega (“A meno che non si verifichi una situazione come quella ucraina, il venir meno del ruolo di avanguardia liberista e atlantista da parte dei neofascisti, fa sì che la pratica della “interdizione democratica” – ovvero l’impedire di parlare pubblicamente alla destra e lo scontrarsi con essa fisicamente – possa in questa fase essere accantonata”.) è doveroso altresì ricordare che la violenza e la sopraffazione fisica sono parte integrante del bagaglio “ideologico” e “culturale” di tutti i fascismi che si manifestano sempre, anche e soprattutto attraverso l’esercizio sistematico e ideologico della violenza, concepita non come uno strumento ma – appunto – come elemento ideologico costitutivo dell’essere fascisti. Ragion per cui, l’autodifesa militante dai loro attacchi – quando si verificano – diventa un diritto legittimo [Fabrizio Marchi].

Tentativo di fare il punto su Fascismo e Antifascismo ma esteriore al (penoso) dibattito in corso.

Dunque, parliamo di:

– Antifascisti che, in politica estera, svolgono il ruolo filo-atalantista che fu del MSI.

– Neofascisti e postfascisti che svolgono il ruolo di gatekeeper del dissenso.

Nel corso della mia militanza politica all’interno della sinistra antagonista nei decenni passati, mi sono scontrato fisicamente in piazza contro gruppi formali e informali di neofascisti un numero di volte tale che, alla fine, ho perso il conto. Contando anche i tafferugli lievi, direi che il numero di volte sia comunque superiore a venti.

Le mie motivazioni di conflitto, però, non avevano nulla a che fare con il presente “antifascismo” neo-liberale materializzatosi a sinistra da alcuni anni a questa parte.

Anche a me, come oggi ai liberali, certamente ripugnava il razzismo o l’avversione di fondo dei neofascisti verso la democrazia.

Ma le motivazioni principali della mia militanza antifascista erano soprattutto di ordine storico, strategico e inerenti alla lotta di classe: per ben due volte nella Storia – ovvero negli anni ’20 e poi a cavallo fra i ’60 e ’70 – nel pieno d’uno scontro acceso fra classe operaia e sistema capitalista, fascisti prima e neofascisti poi decisero d’insinuarsi in aperto appoggio alla classe padronale.

Questo, con buona pace di Bombacci, dei sansepolcristi, dell’impresa di Fiume e di tutta quella teogonia rossobruna che pretenderebbe di revisionare la storia del fascismo nei termini di “una forma alternativa di socialismo”.

Inoltre, nel decennio ’70, a suddetta posizione di politica interna anti-operaia, da parte neofascista corrispose un allineamento con gli Stati Uniti e con le componenti più filo-atlantiste dell’apparato di stato italiano: un fatto denunciato, in primo luogo, proprio da una parte di militanti dell’estrema destra.

Nel periodo in cui ho partecipato a scontri di piazza contro quest’ultima – ovvero dalla fine degli anni ’80 fino ai primissimi anni duemila – non so quanto ancora queste funzioni strategiche che il neofascismo svolgeva negli anni ’70 (ovvero quella anti-operaia e quella filo-atlantista) fossero ancora vigenti. A occhio e croce, mi verrebbe da rispondere che in parte lo erano ancora e in parte non lo erano più.

Assai più certo è invece come, oggi, le cose stiano diversamente.

Sul versante della politica estera, il ruolo di asservimento pedissequo alla prospettiva filo-atlantista, quel ruolo di avanguardia dell’imperialismo americano che fu del Movimento Sociale Italiano, è oggi svolto in primo luogo dal PD, poi da formazioni estremiste come +Europa di Emma Bonino e infine – nel momento in cui viene enunciato “fuori i sostenitori di Assad dall’Università” nel bel mezzo d’una guerra d’aggressione americana ai danni d’uno stato sovrano – anche in parte dai centri sociali.

Sul versante della politica interna, parimenti, il grosso dell’offensiva anti-operaia è stata realizzata e/o votata dal centrosinistra. Non con l’olio di ricino, bensì con qualcosa che ha effetti assai più estesi e duraturi: la Legge Fornero, il Jobs Act, le numerosi discussioni sulla limitazione del diritto di sciopero e, più indirettamente, le misure macro-economiche dell’austerity volte al crollo della domanda interna.

Dunque, se la funzione “fascista” – cioè nel senso filo-imperialista e filo-padronale del termine – è oggi svolta dalla sinistra, quale funzione ricoprono i neofascisti e i post-fascisti nominalmente detti?

Come abbiamo visto in Ucraina, vi sono parti del mondo in cui neofascismo e neonazismo sono pronti a riprendere la funzione storica di sempre: quella di braccio armato degli interessi strategici del capitalismo sovranazionale. La differenza è che questo avviene oggi – come abbiamo visto nel caso ucraino – col plauso e con l’appoggio d’una sinistra convertitasi nel frattempo all’atlantismo.

In paesi come la Francia e l’Italia, invece, il ruolo del neofascismo e del post-fascismo è oggi differente ma comunque decisivo.

Assunta la connotazione di “populismo di destra”, neofascisti e post-fascisti puntano oggi a raccogliere il voto di quelle classi disagiate contro cui la sinistra globalista ha sferrato un attacco frontale. Parimenti, questa destra populista si trova oggi – almeno per il momento – in aperta contrapposizione con le classi dominanti sovranazionali e sostenitrici del liberismo-globalismo.

In quanto di formazione fascista, però, gli esponenti della destra non possono e non vogliono risolvere la contraddizione di classe da essi cavalcata nei termini, appunto, di una più che logica lotta di classe. Essi devono, invece, spostare l’attenzione su temi e assiomi che incanalino il dissenso e l’opposizione sociali su argomenti esteriori alle cause che li hanno generati.

Per far questo, un evergreen dell’estrema destra continua a essere il rispondere al bisogno di protezione sociale fornendo soluzioni sul versante della sicurezza pubblica.

In altre parole, vengono proposte per l’ennesima volta quelle care, vecchie soluzioni “legge e ordine” che consentono di volgere l’insicurezza dovuta all’impoverimento verso istanze giustizialiste e securitarie, lasciando così indisturbato il nodo delle contraddizioni di classe.

Dunque, volendo sintetizzare, possiamo dire che se da una parte il ruolo dei neofascisti e dei post-fascisti non risulta essere più, al momento, quello storico di “braccio armato del Capitale”, dall’altra si palesa una funzione non meno nefasta che è quella di gatekeeper del dissenso.

Un esempio di gatekeeping del dissenso, ce lo fornisce questa recente notizia riguardante la leader post-fascista Giorgia Meloni. Ella propone, come già Salvini un anno fa, di attribuire alle forze dell’ordine la facoltà di torturare.

https://www.corriere.it/politica/18_luglio_12/meloni-il-reato-tortura-impedisce-agenti-fare-proprio-lavoro-poi-cancella-tweet-d0b07d94-85f2-11e8-b570-8bf371a11210.shtml

Se questa idea andasse in porto, la maggioranza della popolazione applaudirebbe senza capire che, con una cosa del genere, nessuno ci arriverebbe a fine mese, nessuno ci pagherebbe le bollette. Di più: con siffatta misura, non sarebbero i capi mafiosi o i grandi speculatori a essere torturati, bensì i soliti Aldrovandi e Cucchi di turno. Cioè, persone prive di qualsiasi potere e non in grado, in caso di arresto, di fare una telefonata a chi conta.

In molti, abbiamo criticato per anni la sinistra per il fatto d’aver proposto un ignobile scambio, una strumentalizzazione tematica, un dispositivo di distrazione, ogni qualvolta i diritti civili andavano a soppiantare, sul piano della priorità, i diritti sociali.

Orbene, che differenza c’è tra quell’approccio della sinistra e quello di una destra che propone un altrettanto irricevibile scambio, ovvero quando la sicurezza in termini di autorità poliziesca soppianta, a livello di priorità e come dispositivo di distrazione, la sicurezza sul piano di lavoro, sanità e pensioni?

Concludendo, chi si pone dal punto di vista d’una prospettiva autonoma incentrata sulla lotta di classe, ritengo che sulla base di quanto esposto dovrebbe assumere le seguenti posizioni:

– Non si può avere NULLA a che fare col fronte neo-liberale che oggi si definisce “antifascista”. In primo luogo, perché quel fronte utilizza lo spauracchio del fascismo per mascherare il proprio sostegno a politiche di aggressione contro la classe lavoratrice; in secondo luogo, perché esso svolge in politica estera la medesima funzione di avanguardia filo-atlantista che negli anni ’70 svolgeva l’MSI. Assistendo a questo affluente “antifascismo dei padroni”, forse, si rivolterebbero nella tomba i numerosi sindacalisti e militanti della classe operaia uccisi o malmenati, nel secolo scorso, dalle camicie nere e brune.

– A meno che non si verifichi una situazione come quella ucraina, il venir meno del ruolo di avanguardia liberista e atlantista da parte dei neofascisti, fa sì che la pratica della “interdizione democratica” – ovvero l’impedire di parlare pubblicamente alla destra e lo scontrarsi con essa fisicamente – possa in questa fase essere accantonata.

– Al netto di quanto appena detto, però, il ruolo di neofascisti e post-fascisti rimane comunque quello di gatekeeper del dissenso, di produttori di distrazione di massa. Dunque, non è possibile una convergenza tattica con queste formazioni politiche e, di conseguenza, la prospettiva autonoma della lotta di classe deve constare del fornire un’alternativa a quell’elettorato popolare che oggi percepisce la destra come interlocutore.

Comments

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Eros Barone
Monday, 16 July 2018 23:58
Qualche tempo fa, il governo polacco decise di togliere la pensione ai combattenti antifranchisti superstiti della guerra di Spagna, bollandoli come traditori della patria.
Si trattò non soltanto di una vergognosa ingiustizia consumata nei confronti di persone anziane, non soltanto di una meschina provocazione verso il movimento antifascista internazionale , ma anche e soprattutto di un insulto alla verità storica. Salvo che per patria si intenda non la terra dei padri, ma la terra dei padroni, degli sfruttatori e dei fascisti, come Francisco Franco. Da tempo segnalo nei miei interventi pubblici, per usare una famosa metafora, la maturazione dell’uovo nel ventre del serpente, ossia il galoppante processo di fascistizzazione dell’Europa, che si sta compiendo sotto l’apparente involucro democratico. D’altronde, i coefficienti e gli ingredienti della fascistizzazione ci sono tutti: dissolta l’ URSS, nel mondo ormai c’è solo una potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, che accentuano sempre più il loro dominio; l’oggettiva debolezza della classe operaia, connessa alla disoccupazione e al precariato diffuso, smorza qualsiasi tentativo di opporsi ai disegni padronali (solo in Italia i lavoratori precari sono quasi tre milioni, senza contare il ‘continente sommerso’ del lavoro nero); la marginalità della sinistra; la mobilitazione reazionaria dei ceti medi e del sottoproletariato. È cosa nota che, quando i lavoratori sono deboli nei luoghi di lavoro, è più facile l’affermarsi di un movimento/regime apertamente autoritario, la cui sostanza è simil-fascista, anche se non si fregia di svastiche e di gagliardetti. Il fascismo non è un incidente di percorso della storia, esauritosi con la fine di Hitler e Mussolini, ma è nella natura stessa del capitalismo, e quando e dove ci sono le condizioni si ripresenta puntualmente. Diversamente, i colonnelli della Grecia del 1967, la dittatura di Videla nell’Argentina del 1972 e il Cile di Pinochet del 1973, oltre agli altri regimi sanguinari del Sudamerica di quegli anni, non ci hanno insegnato nulla. E nulla ci ha insegnato il colpo di Stato nazifascista avvenuto in Ucraina nel 2014. Lo Stato di diritto, la Costituzione e la stessa democrazia borghese non sono affatto irreversibili. Forze potenti lavorano per creare le condizioni della guerra e del fascismo.
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