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sinistra

Addio America: i cancelli si stanno aprendo

di ALGAMICA*

Presentiamo la traduzione italiana del nostro articolo Goodbye America: the gates are opening pubblicato in questo link, con alcune precisazioni aggiuntive per i lettori italiani – di ALGAMICA

000456935 ade83e35 5f00 42d4 82e8 5465127a251d.jpgCiao a tutti, amici e giovani americani (” bipoc” e “traditori della razza bianca “).

Speriamo che ci perdonerete per il nostro inglese approssimativo.

Molti di noi negli ultimi anni hanno visto e detto che l’America sta crollando.

Quando un costrutto storico sociale inizia a crollare, i rapporti sociali si frantumano. I rapporti sociali sono un contratto di scambio nel contesto del modo di produzione che definisce le classi sociali, legate reciprocamente anche se il legame è conflittuale (ciò che viene definito come lotta di classe). È tempo di ammettere che la lotta di classe e il conflitto tra classi sociali hanno avuto una traiettoria storica che si è sviluppata sotto l’egida del mercato delle merci e della produzione di valore, che, nel contesto del suo sviluppo unitario, ha caratterizzato la supremazia occidentale e la supremazia bianca. La storia del conflitto sociale non poteva, in termini materialistici, ignorare il fatto che i bisogni umani sono soddisfatti dalle merci, e quindi la riproduzione delle condizioni della vita richiedono la produzione di merci e la reificazione della vita stessa. Questo è ciò che considereremmo una doppia “schiavitù” che lega il “salario” e il “profitto” tra di loro e sottoposti entrambi alla legge impersonale del movimento della accumulazione.

Abbiamo da un bel po' pensato che la guerra civile americana fosse inarrestabile quando i fatti reali hanno iniziato a mostrare le prime crepe. Ma non riuscivamo a immaginare quale sarebbe stato il punto di svolta, quando sarebbe accaduto e quali sarebbero state le sue forme. Soprattutto non pensavamo che sarebbe successo così rapidamente. La storia sorprende sempre i rivoluzionari che esprimono un’avversione contro lo status quo. Nulla accade come lo immaginavamo prima. Ora siamo di fronte alle porte che si aprono verso una nuova guerra civile americana. “L’America si sta sgretolando” sta accadendo ancora più velocemente. Pezzo dopo pezzo, a passi rapidi, l’edificio storico si sta frantumando e decomponendo.

Ciò che sta accadendo ora, non ha nulla a che fare con la tradizione della lotta di classe o della guerra di classe. Non si sta muovendo verso una sua rinascita. La crisi unitaria di un modo di produzione generale sta spingendo verso la fine di un’epoca storica, e non solo negli Stati Uniti. È una catena di tessere del domino che stanno cascando, facendo crollare innanzitutto l’anello più alto nel movimento storico del rapporto degli uomini con i mezzi della produzione e la natura: la cosiddetta civiltà occidentale.

Si tratta piuttosto della guerra contemporanea tra la cosiddetta ” città ” o ” metropoli ” globale e la cosiddetta ” campagna ” o ” periferia ” globale. Principalmente, è la traiettoria fondamentale della contraddizione tra l’economia urbana e l’economia agricola che ha raggiunto il livello attuale di sviluppo del mercato mondiale. Le campagne sono popoli e nazioni definite dal colonialismo occidentale, ricche di risorse naturali, che possono competere con l’Occidente solo sulla base di ciò che i lunghi secoli di colonialismo li ha definiti. Quindi, anche quando la periferia compete con l’Occidente cercando di liberarsi dalla sottomissione dalla metropoli, non può evitare lo scambio con le potenze occidentali, e la legge dello scambio prevale riproducendo il dominio violento contro i popoli di colore razzializzati. La campagna fornisce non solo sementi, grano, terra e acqua, ma anche combustibili, minerali e metalli rari, e continua a essere la fonte dell’attuale tratta degli schiavi. Pertanto, questa guerra contemporanea tra città e campagna riguarda i fattori decisivi per l’intera produzione del valore. Lo sfruttamento delle risorse naturali e la filiera produttiva dei metalli rari nei paesi del Sud del mondo sono ancora oggetto di saccheggio da parte della maggior parte dei paesi industrializzati e ricchi, soprattutto dell’Occidente.

I nuovi metalli rari sono al centro della nuova industria, non più ancorata al carbone, all’acciaio, alla produzione di macchinari tradizionali e alle fabbriche automobilistiche. Sono più strettamente legati ai semiconduttori, ai microchip e ai data center, le nuove cattedrali e i loro arazzi di quest’era capitalista. Le industrie tradizionali necessitano di macchinari di alta qualità realizzati con microchip e semiconduttori per sopravvivere alla concorrenza del mercato. L’industria militare statunitense dipende da questa catena per mantenere la propria superiorità militare e dipende di fatto dalla Cina per la produzione di armi tecnologiche moderne. Microchip, semiconduttori ed energia necessaria per attivare la loro capacità produttiva svolgono il ruolo che il carbone e la macchina a vapore hanno svolto in passato. Il potere della valuta statunitense (e di tutte le valute tradizionali) e del petrodollaro sta declinando di fronte alla nuova realtà strutturale: possedere, produrre, accumulare materie prime e la capacità di trasformarle in macchinari definisce l’unità di misura del valore. L’Occidente è diventato dipendente e soffre della concorrenza delle materie prime prodotte in Asia, America Latina e Africa. La crisi dell’Occidente include anche l’indisponibilità a produrre autonomamente i macchinari moderni.

Durante il XVIII e il XIX secolo, le potenze europee e occidentali erano inarrestabili grazie alla loro capacità di fungere da riserva di carbone per tutte le altre nazioni del mondo, costrette a inseguire il tumultuoso sviluppo dell’Occidente. Oggi, l’Occidente dipende dalla campagna globale e dalla cosiddetta periferia per tutti gli aspetti del modo di produzione. Il mondo, un tempo dominato, si è svegliato e si è reso conto che l’Occidente è improvvisamente diventato un’appendice parassitaria, non più in grado di produrre beni e quindi di soddisfare i bisogni di aree del mondo con una popolazione in crescita. La forma merce è sul punto di perdere il suo potere.

Il punto di svolta di questo modo di produzione, che la storia ha chiamato capitalismo, è: la tumultuosa produttività raggiunta per accumulare valore che consuma i suoi elementi fondamentali più velocemente della loro riproduzione. Quindi non può andare oltre avendo esaurito la sua capacità di auto-riproduzione. La città contemporanea (o l’imperialismo) vive di un’accumulazione di valore che si traduce in un accumulo di debito infinito, in contrapposizione con lo spazio fisico finito della natura che viene costantemente violentato e demolito. La realtà imperialistica della bianchezza non può sopravvivere senza una guerra senza fine contro la campagna, mentre la demografia occidentale (e anche cinese) è in declino.

Marx comprese che le crisi cicliche provocate dalla sovrapproduzione venivano compensate dalla crescita della domanda di merci, dalla crescita della classe media attraverso la sua costante riproduzione e soprattutto dalla crescita demografica della popolazione.

Gli USA, che certamente occupano uno spazio eccezionale nel movimento storico, hanno tratto vantaggio dal colonialismo di insediamento, dalla schiavitù, dal razzismo e quindi dalla capacità di assorbire e assimilare rapidamente l’eccezionale surplus di popolazione europea bianca nel corso di tre secoli.

L’immagine odierna di agenti mascherati dell’ICE o del DHS che danno la caccia a chiunque non sia bianco, che sequestrano un uomo o una donna per strada o li rapiscono sul posto di lavoro, è il documentario storico che testimonia 500 anni di schiavitù occidentale e di razzismo sistemico. Gli agenti federali in azione sono la versione moderna del Fugitive Slave Act del 1793, che formalizzò il ruolo dei cacciatori di taglie, i quali, oltre a dare la caccia ai fuggitivi dalle piantagioni schiaviste, potevano rapire qualsiasi uomo di colore privo del certificato di libertà, riportarlo in catene in uno stato schiavista e rivenderlo sul mercato come schiavo. Le strette somiglianze nascondono verità diversa. Il fuggitivo dalla piantagione o l’ex schiavo privo del certificato veniva costretto a tornare in catene in condizioni di schiavitù. L’attuale condizione di vita di un immigrato senza documenti è coerente con l’attuale forma della schiavitù moderna. Non riguarda solo gli Stati Uniti, ma tutte le nazioni civilizzate. Lo si può osservare nelle campagne agricole italiane moderne, dove aziende agricole e agroindustriali utilizzano la manodopera immigrata per il duro lavoro della terra. Le baraccopoli nascono spontaneamente vicino alle aziende agricole che fanno affari con le grandi multinazionali agroalimentari e le catene di distribuzione multinazionali. Le baraccopoli, non legali o legalizzate dalle politiche amministrative italiane, sono governate da ONG progressiste e circondate da forze di polizia o militari. Qui, in Italia, la schiavitù è dipinta di “umanità” e “solidarismo”, mentre la sinistra progressista e i liberali democratici gestiscono gli affari. Le stesse ONG europee e italiane che salvano gli immigrati che attraversano il Mediterraneo, poi chiedono più polizia italiana nei porti e il dispiego di unità navali fisse vicino a queste coste che danno “il benvenuto” al nuovo traffico di esseri umani.

Tutte le piccole e medie aziende agricole degli Stati Uniti impiegano una forza lavoro composta fino al 70% da immigrati e quasi tutti non hanno documenti regolari. Sono costretti a fuggire dalle moderne piantagioni, obbligati a scegliere tra la moderna schiavitù e la deportazione, nella speranza che il loro sacrificio dia speranza ai loro figli nati in America. Pertanto, se riescono a sfuggire alla frusta del DHS e dell’ICE, non sono liberi, possono solo vivere come prigionieri fuggitivi. Ciò accade perché la crisi generale dell’accumulazione del valore non consente più la possibilità per l’assimilazione o per l’integrazione degli immigrati.

È stato facile, quando il processo storico del mercato capitalistico era in violenta ascesa, accogliere e assimilare rapidamente immigrati europei, contadini poveri e ampi strati del proletariato più povero negli Stati Uniti, dando loro presto il vantaggio sociale del privilegio bianco. Negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno continuato a far crescere la propria popolazione, la forza lavoro e la domanda del mercato interno attraverso nuovi flussi migratori dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia. Ma il periodo ascendente dell’accumulazione generale si è arrestato. Questo è il punto di svolta.

 

Diversi periodi storici, diversi fattori materialistici.

La prima guerra civile americana non aveva certo l’intenzione di abolire la schiavitù. La sinistra e il liberalismo pensavano che il movimento ascendente dello sviluppo del capitalismo stesse annullando la schiavitù per trasformare gli schiavi neri in una classe operaia nera per le fabbriche del Nord. La storia ha dimostrato il contrario; si tratta di un falso stereotipo. Infatti, solo intorno alla Seconda guerra mondiale le fabbriche del Nord iniziarono ad assumere lavoratori neri in gran numero. Ciò di cui l’industrializzazione degli stati del Nord aveva bisogno era la rivoluzione dei rapporti di produzione in agricoltura. Il rapido sviluppo dell’accumulazione doveva trovare uno sbocco per la produzione di macchinari; in sostanza, le piantagioni dovettero subire un processo di ristrutturazione tecnica e di riorganizzazione del lavoro. Come per i nuovi coloni coinvolti nella corsa all’insediamento dell’Ovest, l’offerta doveva essere quella della forza lavoro dei macchinari e non quella degli schiavi per raggiungere il livello di produttività corrispondente all’eccezionale sviluppo dell’accumulazione capitalista. Di fatto, gli ex schiavi rimasero bloccati nelle piantagioni e violentemente segregati dalle leggi Jim Crow. Mentre l’immigrazione europea riempiva le fabbriche di proletari bianchi e copriva il fabbisogno di manodopera, il conflitto di classe si ricomponeva sempre all’interno del quadro del vantaggio sociale garantito dal razzismo sistemico. Il vero obiettivo della prima guerra civile non era liberare gli schiavi perché le fabbriche avevano bisogno di manodopera nera, ma seguire l’impulso dell’industria meccanica: il rapido sviluppo richiedeva la vendita di macchinari. L’abolizione della schiavitù fu solo una conseguenza secondaria, lasciando intatto il sistema segregazionista.

Marx fu inizialmente illuso e poi profondamente deluso dopo l’abolizione della schiavitù, vedendo che il movimento operaio statunitense si stava sindacalizzando e organizzando politicamente, ma questo processo continuò a svolgersi entro i confini della bianchezza e del razzismo. La lotta di classe occidentale, soprattutto negli Stati Uniti, è sempre stata compatibile con il razzismo sistemico articolato dal processo della accumulazione. È arrivato il momento di chiarire in modo definitivo, per evitare di buttare a mare il bambino con l’acqua sporca, che la tesi del Manifesto del Partito Comunista del 1848 di Marx e Engels incentrata sulla lotta di classe per disarcionare una classe, impossessarsi dei mezzi di produzione e installare la propria dittatura, è stata smentita dalla storia. Non a caso dopo la fine della Guerra Civile Americana, Marx agì più per sciogliere l’Internazionale che per svilupparla. Ne prendiamo atto e guardiamo avanti.

 

I tempi storici sono cambiati.

Ora gli Stati americani come la California e il Texas sono realtà aliene rispetto a ciò che erano gli Stati Uniti d’America. Anche Londra e Parigi lo sono diventate. Non sono più prevalentemente “bianche”, “europee”. Chi non tiene conto delle implicazioni radicali, del processo storico che le ha determinate e degli sconvolgimenti sovversivi che sta preparando, e vuole aggrapparsi al libero arbitrio di una “soggettività di classe” che decide “arbitrariamente” la propria “natura”, fa inutili esercizi idealistici per la causa rivoluzionaria.

Avendo fatto perno intorno alla classe operaia, quale motore della rivoluzione, abbiamo visto l’estrema sinistra, in Occidente, predicare per decenni un’assurdità: che la lotta palestinese dovesse guardare alla classe operaia israeliana. Queste ali di estrema sinistra ora predicano di guardare al sionismo di sinistra o al sionismo liberale, o più conseguentemente in nome della supremazia dell’idealismo della classe operaia si schierano al fianco di Israele, che ha sviluppato un moderno proletariato.

Gli Stati Uniti, ma anche molti altri paesi occidentali (Gran Bretagna, Francia, Belgio e i paesi Nordici) si trovano di fronte all’impossibilità di assimilare o integrare decenni di flussi migratori dal Sud del mondo, che hanno contribuito a far crescere la popolazione, il mercato interno e a soddisfare le necessità della accumulazione. Rischiano di essere sopraffatti dalle conseguenze della loro stessa struttura sistemica del “suprematismo bianco”. Tra le linee della nuova guerra civile americana attualmente in corso, notiamo che non si assiste semplicemente alla deportazione di massa degli immigrati, ma alla “sanificazione” della bianchezza attuata attraverso qualcosa di più simile a una pulizia etnica.

Quando una architettura storico-sociale si frantuma, le classi sociali si dissolvono in individui, e agiscono non più in base a precedenti fattori di coesione, una parte viene spinta ad agire in difesa dello status quo, mentre altre parti sono costrette, in modo disordinato ad agire contro lo status quo. Uno status quo quale risultato di leggi che intanto saltano. Solo i fattori contingenti determinano il movimento di entrambi le parti.

Intorno alla difesa dello status quo confluiscono settori che il modo di produzione capitalistico ha favorito e privilegiato, che in Occidente vuol dire masse bianche, mentre i meno favoriti dallo stesso modo di produzione sono portate – anche se disordinatamente – a infrangere le loggi dello status quo. Pertanto un’ondata moderna di liberalismo nazionalista bianco di destra (che include la classe media e la classe operaia che sono state costrette a sentirsi parte del sogno americano bianco indipendentemente dal colore della loro pelle) guarda con violenza alla resurrezione di ciò che sta agonizzando. Poiché si tratta di una resurrezione dalla morte, la religione rimane un potente strumento ideologico. Ma la religione, lungi dall’essere l’oppio dei popoli, come Marx ipotizzava, riflette la speciale eredità del rapporto dell’uomo con il suolo utilizzato come mezzo di produzione. L’evangelismo dei coloni bianchi rappresenta il colonialismo d’insediamento e il suo diritto di proprietà sulle terre rubate e sui rapimenti di africani condotti in catene nel “nuovo continente d’oro”. La religione per gli afroamericani, d’altra parte, rappresenta la necessità di ricostruire la famiglia nera dissolta e negata dalla schiavitù. Al contrario, e per scopi diversi, la religione riflette in termini ideologici reali necessità materiali. Chi non comprende l’importanza fondamentale del rapporto tra gli esseri umani e i mezzi della natura e del suolo, soprattutto nei luoghi in cui si verificano genocidi e pulizie etniche, e come questo rapporto si rifletta nella religione, guarderà a ciò che sta accadendo nel Levante e alla resistenza palestinese attraverso gli occhi della supremazia bianca e dell’eurocentrismo.

Di fronte alla crisi generale, il movimento operaio, in pratica, si sta muovendo in modo conservativo e, pertanto, non può che disperdersi, disintegrarsi o essere catturato dal nazionalismo liberale di destra. In sostanza, il suo movimento come classe sta diventando conservatore e in difesa di uno status quo. Lo sciopero generale dell’UAW contro le tre principali case automobilistiche nordamericane, uno sciopero generale senza precedenti nella storia americana, svoltosi da metà settembre 2023 a fine ottobre 2023, ha disvelato ancora una volta questa realtà: “Salvare il sogno americano” è stato il leitmotiv dello sciopero e dei picchetti dei lavoratori dell’auto. “Il sindacato ha fatto il Michigan, e i lavoratori hanno fatto la classe media” è stato detto durante la manifestazione dei lavoratori di Detroit. L’ascensore sociale determinato dall’accumulazione passata e dalla lotta di classe non ha fatto che rafforzare la doppia schiavitù che lega salario e profitto alla legge impersonale del valore. In termini pratici, il razzismo è diventato uno dei pilastri saldi del tessuto sociale. Anche quando sembra essere svanito o diminuito in tempi di abbondanza, rimane intatto perché alla base del processo storico reale ci sono cinquecento anni di colonialismo e di schiavitù, sostenuti sempre da quelle leggi impersonali del modo di produzione il cui scopo è l’accumulazione del valore.

Dopo quella lotta contro Ford, General Motors e Stellantis, nei mesi successivi, i proletari, in quanto movimento operaio, non hanno mai indetto una sola ora di sciopero con l’obiettivo di fermare il genocidio palestinese in corso. Sebbene in questi giorni osserviamo molti attivisti sindacali che si oppongono ai raid dell’ICE nella Greatest Los Angeles, e altri lavoratori comuni che boicottano i raid degli agenti federali, essi si comportano come individui e non vediamo alcun segno di un movimento, in quanto comunità di una coesione operaia scendere in campo. Ciò che è in gioco non è un generico “sogno americano” attraverso una concertazione conflittuale con il capitale, ma qualcosa di ancora più cruciale, che mina l’esistenza stessa delle classi sociali in Occidente: salvare il tessuto sociale storico costruito da cinquecento anni di civiltà occidentale in tutto il mondo, che negli ultimi decenni ha sfruttato l’immigrazione di persone di colore senza mai riuscire ad assimilarle o integrarle in gran numero come nuovi “negri da cortile”.

Sia detto francamente, che dal punto di vista di una civiltà occidentale morente, i razzisti e i liberali nazionalisti sono conseguenti, i liberali di sinistra barcollano. La conservazione e il proseguire dello status quo è impossibile. Pertanto, Trump è conseguente, Macron è conseguente, Merz è conseguente, Meloni è conseguente, Starmer è conseguente e persino Netanyahu è conseguente. Non si tratta di fascismo; ma della natura stessa della democrazia occidentale, che sta affrontando il suo declino, e i tentativi di salvare la civiltà occidentale, la democrazia liberale e i diritti individuali occidentali per donne, gay e persone transgender, incluso il diritto di organizzarsi e di dissentire, richiedono un genocidio. Detto in modo brutale e senza girarci troppo intorno, la crisi de modo di produzione a questo stadio di sviluppo e crisi, il “liberalismo” e il “progressismo” richiedono il genocidio e la pulizia etnica delle persone di colore, nere, ispaniche, arabe e musulmane dagli Stati Uniti e dall’Europa.

Sicché combatterli in nome dell’antifascismo è fuorviante, se in buona fede, niente di più che una forma diversa di difesa dello status quo conservatore.

 

Tempi rivoluzionari.

Per continuare la corsa all’accumulazione di valore (beni, capitale e salari sociali segnati dalla supremazia bianca), le società occidentali, in risposta al declino demografico, hanno dovuto espandere la propria popolazione attraverso l’immigrazione forzata dal cosiddetto Sud del mondo. La riserva europea si era già esaurita a metà del secolo scorso. In combinazione con il violento saccheggio imperialista, nuove ondate migratorie hanno iniziato a provenire dalle ex colonie ancora sotto il giogo dell’imperialismo e del neocolonialismo. L’Occidente ha dovuto, e ha potuto, assimilare o integrare la nuova diaspora nera e ispanica per un breve periodo. Questa era e rimane una necessità del modo di produzione, il cui scopo è la produzione e l’accumulazione di valore, che richiede una popolazione in crescita per compensare la crisi di sovrapproduzione. La crisi di accumulazione ha ridisegnato questo processo, che ha avuto successo in passato ma non più oggi. Ha creato un nuovo tratto impersonale che inverte l’assimilazione: le nuove generazioni della “metropoli” hanno iniziato a essere assimilate dal punto di vista dei figli e dei discendenti delle nuove diaspore provenienti dalle “periferie” razzializzate e colonizzate.

Malcom X disse che la schiavitù ha creato due tipi di “negri”: il “negro dei campi” (field negro) e il “negro da cortile” (house negro). Questo è così vero che il figlio di un uomo keniota, laureatosi negli Stati Uniti, è poi tornato nella sua terra natale, il Kenya, e ha scritto un opuscolo sulle vie del socialismo in Africa; questo figlio, a differenza del padre, è diventato presidente degli Stati Uniti e il primo presidente afroamericano a bombardare il continente africano. Ma di fronte a quanti “negri da cortile” siano passati, come “traditori” al nazionalismo di destra e alle file del liberalismo occidentale, molti di più sono i “traditori della razza bianca” tra le nuove generazioni passati a combattere le leggi che hanno favorito nel modo di produzione capitalistico l’Occidente. Questo accade perché la crisi unitaria di un modo di produzione ha bloccato lo sviluppo e l’ascensore sociale in Occidente, quindi le merci del modo di produzione sono percepite come tossiche, senza alcun sapore agli occhi delle nuove generazioni.

Quando un ginocchio colpì il collo e uccise un uomo di colore il 28 maggio 2020, abbiamo assistito alla più grande e inaspettata rivolta della storia degli Stati Uniti d’America e alla sua lunga ondata in molti paesi della civiltà occidentale. Cosa è stato rovesciato da queste ondate di ribellione oltre ai distretti di polizia incendiati? Le statue di Cristoforo Colombo, le statue degli schiavisti, i simboli che rappresentano le glorie e i successi dell’Illuminismo occidentale, sono state rovesciate con impeto. È stato un primo timido slancio dall’interno nel sottoporre cinquecento anni di civiltà occidentale al giudizio della storia: la violenza dell’imperialismo della ” città ” contro la ” campagna ” globale.

 

In seguito, un ulteriore shock ha colto di sorpresa l’Occidente e noi.

Il successivo shock avrebbe potuto essere una aggressione nei confronti degli stati ribelli del Sahel, ma è stato il 7 ottobre 2023 della resistenza palestinese. Poche settimane prima dell’alluvione di al-Aqsa, a metà settembre, l’UE stava preparando una mossa aggressiva e violenta e una sacra alleanza europea contro l’insurrezione dei popoli del Sahel, quando Hamas e la resistenza palestinese non hanno avuto altra scelta che abbattere il muro che ha sconvolto l’intero Occidente e scoperchiato così il vaso di Pandora.

Il legame oggettivo tra la campagna globale costretta a prendere a calci nel sedere la civiltà occidentale e il crollo dell’Occidente dall’interno è risultato, così, evidente. Come è chiaro che la rivoluzione in atto non ha nulla a che fare con le forme della lotta di classe che ci aspettavamo potesse partire e svilupparsi da una classe, come quella operaia.

Abbiamo appena assistito in Italia a dodici giorni eccezionali di blocchi che non hanno precedenti nella storia del conflitto sociale italiano. L’Italia è l’entità più codarda di tutto l’Occidente. Dietro la sua eredità operaista non c’è altro che un idealismo ideologico, perciò, metafisico, che è diventato la difesa reazionaria dello status quo. Nessuno ha bloccato il Paese guardando ai propri interessi immediati o ai bisogni primari del proletariato. Non si è trattato di Welfare, non si è trattato di salari e orari di lavoro, non si è trattato di spazi di democrazia o di diritti individuali (o individualistici). Si è trattato della partecipazione attiva, di una parte dell’occidente, delle nuove generazioni contro il genocidio palestinese da parte dello Stato sionista di Israele. È stata un’azione di massa composita contro il mito della democrazia occidentale che sta svanendo e parassitando nel nuovo panorama genocida.

In questi giorni straordinari non abbiamo assistito alle forme tradizionali del movimento operaio. Proletari e non proletari bloccavano strade e ferrovie, non in quanto classe operaia, ma come qualcosa di diverso, un magma che ancora non si disvela appieno. Abbiamo visto giovani, con la gioventù palestinese in prima linea, mobilitare con entusiasmo persone di mezza età e anziani. E li abbiamo visti rivendicare uno strumento storico, lo sciopero generale, a disposizione di un movimento poliedrico che ha raccolto la sfida all’Occidente e alla sua creatura artificiale, Israele, già attuata dalla resistenza palestinese e da Hamas due anni fa. Col senno di poi, si è trattato di un moto d’onda di una mobilitazione internazionale persistente e senza precedenti nella storia moderna.

Molti stanno cercando di cavalcare quest’onda improvvisa, suggerendo visioni politiche generali strategiche senza alcun successo. L’onda ha il suo picco e la sua bassa marea, come sembrerebbe ora. Non dovremmo aspettarci un progressivo accumulo di forze, e nulla può ripetersi allo stesso modo. Ciò che è dimostrato, è la necessità che spinge a un “dobbiamo agire, senza sapere come e cosa fare, perché costretti a muoverci dalle necessità”. I liberali spaventati e l’estrema sinistra indifferente stanno cercando di dipingere come un confuso movimento di sentimenti pacifisti e umanitari. La vera natura di ciò che è accaduto è nelle parole di uno dei più importanti pensatori liberali italiani – Ernesto Galli della Loggia – che ha affermato pochi giorni fa durante un convegno al CNEL ( Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro ) e di fronte alla crema dell’establishment italiano (o borghesia): « […] quando ho visto la violenza israeliana e il livello che stava raggiungendo, ho dubitato che questa terribile crudeltà fosse davvero necessaria. Ma quando ho visto e ho dovuto confrontarmi con le proteste in Occidente e con l’odio crescente contro l’Occidente, ho deciso di schierarmi con Israele senza dubitare e verificare che la sua violenza a Gaza fosse effettivamente necessaria». In altri giorni, questo signore aveva scritto, sul più importante quotidiano liberale italiano, che « Israele deve fare a Gaza quello che le democrazie occidentali hanno dovuto fare a Dresda nel 1945 per permettere al liberalismo occidentale di vincere contro il nazifascismo ».

Le lezioni della storia e le sfide che si pongono dall’altra parte dei cancelli aperti insegnano che i rivoluzionari non possono fornire un « che fare » prima che l’edificio imploda o prima che il tetto inizi a crollare. Lo diciamo in tutta onestà, non abbiamo riferimenti che possiamo trarre dal passato. Perché il passato è periodo storico in cui il mercato e il moto unitario del capitalismo erano in ascesa. La rivoluzione, questa in corso, porrà sul piano impersonale alla stragrande maggioranza della campagna globale e a strati sempre più ampi della metropoli nuove domande e le loro improvvise risposte, spingendo l’umanità verso una nuova era. Forse saremo costretti ad attraversare la guerra civile che inietterà onde telluriche nel resto dei paesi occidentali. Cancellerà qualsiasi opzione di difesa dello status quo, così come abbiamo assistito alla dissoluzione di qualsiasi soluzione a due Stati avanzata per la causa palestinese o alla possibilità di un nuovo mondo basato ancora sullo scambio e su un ordine multipolare.

Cosa succederà? La nuova guerra civile americana, le cui porte si stanno aprendo, non può avere gli stessi esiti del passato. La prima fu parte di un incredibile sviluppo della accumulazione e fu alimentata dal boom demografico dell’Europa bianca. Determinò la fondazione degli Stati Uniti, come li abbiamo conosciuti nell’ultimo secolo e mezzo, e ha fondato la Grande America e il nuovo motore che ha guidato la civiltà occidentale contro il resto del mondo. Dalla seconda emergerà l’implosione e la decomposizione dell’intera America, provocata dalla crisi storica di un modo di produzione unitario. Darà un colpo fatale a cinquecento anni di storia dell’Occidente. In qualche modo ciò è sollecitato dal resto dei popoli di colore e dagli sfruttati (o proletari, come preferite) di tutte le latitudini, è sollecitato dalla natura, tutti costretti a confrontarsi con il parassitismo delle nostre società contro il mondo. Dall’interno stiamo già vedendo ampi strati di nuovi “traditori della razza bianca” a cui il vaso di Pandora del 7 ottobre 2023 ha dato una seconda possibilità. Per necessità, un nuovo corso d’acqua sta per inondare le pieghe della nuova guerra civile americana, travolgendo le vecchie idee e lo stato di cose presente. Forse, se queste sono le linee materialistiche tracciate dall’implosione del capitalismo dall’interno, non possiamo che accettarlo e accoglierlo.


* Alessio Galluppi, Michele Castaldo

 

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