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Attacco contro la Siria, sei cose da sapere

di Alberto Bellotto

GETTY 20180414151133 26175226Oltre un centinaio di missili è piovuto sulla Siria come risposta a quanto successo a Douma qualche settimana fa. Washington, Parigi e Londra, nella notte tra il 13 e 14 aprile, hanno condotto una serie di bombardamenti contro quelle che vengono ritenute strutture per la produzione e lo stoccaggio di armi chimiche. Sia Trump che Macron e May hanno messo l’accento sulla straordinarietà dell’attacco, evidenziando che si tratta di una risposta all’attacco chimico del regime del 7 aprile. Attacco che l’Occidente attribuisce ad Assad ma sul quale rimangono ancora molti interrogativi. Intanto però la rappresaglia è iniziata. Queste sono le cose che sappiamo sul raid.

 

1 – I tre Paesi coinvolti: l’offensiva di Usa, Francia e Regno Unito

Alle 21:00 del 13 aprile Donald Trump ha tenuto un discorso alla nazione in cui ha confermato l’intenzione di colpire la Siria. «Ho ordinato all’esercito degli Stati Uniti di lanciare attacchi di precisione contro obiettivi associati al potenziale di armi chimiche del dittatore siriano Bashar al Assad». Negli stessi attimi in cui parlava il presidente una pioggia di fuoco ha colpito la Siria. Gli attacchi, ha detto ancora il presidente, continueranno fino a quando il regime siriano non cesserà di utilizzare armi chimiche: «Siamo pronti a sostenere questa risposta fino a quando il regime siriano non cesserà l’uso di agenti chimici proibiti».

Al fianco di Washington si sono schierati anche Francia e Regno Unito. La premier britannica Theresa May ha voluto precisare che non si è trattato di «un intervento nella guerra civile siriana» e nemmeno di un’operazione volta a imporre un «cambio di regime», ma solo di una serie di operazioni mirate contro l’uso di armamenti chimici. Con particolare riferimento a quanto successo a Douma. Stesso spartito anche per il presidente francese Emmanuel Macron. Il capo dell’Eliseo ha spiegato che «la linea rossa fissata dalla Francia nel maggio 2017 è stata oltrepassata. Ho dato quindi ordine alle forze armate di intervenire questa notte nel quadro di un’operazione internazionale condotta in coalizione con gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna, diretta contro l’arsenale chimico clandestino del regime siriano».

chat bomb

 

2 – Gli armamenti utilizzati

La Cnn parlando con diverse fonti ha cercato di ricostruire quali armi sono state usate nel corso dei raid notturni. In particolare Washington e Parigi hanno impiegato sia dispositivi aerei che marini mentre Londra ha usato solo l’aviazione.

  • Regno Unito: stando allo Stato maggiore la forza impiegata nell’attacco ha riguardato quattro caccia Tornado ognuno dei quali ha lanciato due missili cruise Storm Shadow. I jet sono partiti dalla base della RAF a Akrotiri, a Cipro e hanno colpito i dintorni di Homs.
  • Francia: il ministero della Difesa ha fatto sapere nel corso della mattinata che sono stati lanciati 12 missili dalle forze francesi, nove sono partiti dai jet Rafale, che si sono alzati in volo da basi suolo francese, come Saint-Dizier e Haute-Marne, e tre da una fregata francese multimissione FREMM nel Mediterraneo orientale.
  • Stati Uniti: le forze armate Usa hanno impiegato i bombardieri B-1B senza però chiarire quali armi siano state lanciate anche se hanno confermato di aver impiegato missili cruise. Non è chiaro da dove siano partiti i velivoli ma la scorsa settimana dei bombardieri erano arrivati nella base americana di al Uldeid in Qatar. Altri missili, in questo caso tomahawk, sono stati invece lanciati da una nave da guerra dal Mar rosso.

 

3 – I luoghi in cui sono avvenuti i raid

Le prime deflagrazioni sono state sentite a Damasco proprio mentre il presidente Usa stava ancora tenendo il suo discorso alla nazione. Dopo l’intervento di Trump, i raid il capo di stato maggiore Joseph Dunford ha tenuto un breve briefing al Pentagono per spiegare quali erano i target. Il generale ha spiegato che gli obiettivi sono stati in particolare tre:

  • Un centro di ricerca per armi chimiche a Damasco,
  • Una struttura di stoccaggio a ovest di Homs
  • Un’altra struttura collegata a un centro di comando sempre nei dintorni di Homs.

Media russi hanno riportato la notizia che i missili hanno colpito anche altri target, in particolare la sede della Guardia Repubblicana a Damasco, la basi aerea vicina al monte Kasyun e l’aeroporto di Mezzeh, sempre a Damasco. L’aeroporto Ad Dumayr nella Ghouta Nord-orientale, il centro scientifico e militare di Barza e Jamraya nei sobborghi della capitale. E sempre a Damasco anche le strutture di Kalamun e Kiswa.

Nel corso del suo incontro con la stampa Dunford ha spiegato che gli Usa hanno identificato dei «target specifici» per «mitigare il rischio che forze russe potessero rimanere coinvolte. L’unica comunicazione che c’è stata con le forze armate russe ha riguardato l’uso dello spazio aereo senza però che Mosca venisse informata sugli obiettivi.

attacco missili due

 

4 – Gli effetti sul campo: distrutte strutture a Damasco e Homs

Alle prime luci dell’alba sui diversi canali social hanno iniziato a circolare le immagini degli effetti dei bombardamenti. Gli Usa hanno parlato di un grosso danno inflitto con i minimi rischi. Mentre Damasco si è limitata a dire che gli effetti dei raid sono stati limitati. Parigi per bocca del ministero degli Esteri Le Drian ha dichiarato che il raid ha distrutto «buona parte dell’arsenale chimico» nelle disponibilità del governo siriano. Mosca ha spiegato che nel corso dei bombardamenti nessuno dei missili di Usa, Francia o Regno Unito è entrato all’interno delle aree anti-aeree russe. Serghiei Rudskoi, dello Stato maggiore russo ha detto che per il momento non si sono «vittime né tra i civili né tra i militari siriani». Rudskoi ha anche aggiunto che la contraerea siriana ha abbattuto alcuni vettori diretti verso basi delle forze armate siriane, in particolare Dyuwali, Al-Dumayr, Blei e Shayrat, l’ultima già colpita un anno fa durante la rappresaglia per il presunto attacco chimico di Khan Sheikhoun. Il ministero della Difesa russo ha anche dichiarato che il sistema di difesa missilistico siriano sarebbe riuscito a intercettare 71 dei 103 vettori sparati dalla colazione. L’agenzia Interfax ha rilasciato anche un lancio che spiegava come l’intera aerea in cui si trovano gli organi governativi e la residenza del presidente siriano Bashar al Assad non sia stata presa di mira.

La tv di Stato siriana ha inviato diversi giornalisti per le vie di Damasco ma soprattutto nei luoghi colpiti mostrando gli effetti dei bombardamenti. Fonti del governo siriano hanno spiegato che quello colpito dagli americani non è un centro di ricerche clandestino ma una struttura con studi e laboratori. Intanto per le strade della capitale sono iniziate manifestazioni contro la coalizione internazionale.

 

5 – Le reazioni, Russia pronta a una risposta

Già nel corso dell’attacco le reazioni di Damasco e Mosca sono state molto dure. Bashar al Assad commentato dicendo che i raid aumenteranno la determinazione per proseguire nella distruzione del terrorismo in ogni angolo della Siria. Il presidente ha poi aggiunto che la reazione di Usa, Francia e Regno Unito non è altro che l’ennesima conferma che l’Occidente ha perso il controllo sul conflitto siriano.

Durissima anche la replica della Russia. L’agenzia Tass ha riportato le parole del presidente Vladimir Putin sostenendo che l’attacco è stato un «atto di aggressione» contro un Paese sovrano. Non solo. Il capo del Cremlino ha aggiunto che i raid sono avvenuti senza un mandato delle Nazioni Unite con una palese violazione del diritto internazionale. Per questo motivo ha chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’ambasciatore russo a Washington Anatoly Antonov è stato ancora più duro dicendo che le azioni della Casa Bianca e della coalizione «non rimarranno senza conseguenze».

«I peggiori timori si sono realizzati», si legge in un post dell’ambasciata russa in Usa, «i nostri avvisi sono stati inascoltati. È stato portato a termine uno scenario predeterminato. Ancora una volta veniamo minacciati. Abbiamo avvertito che azioni simili non sarebbero rimaste senza conseguenze. Tutta la responsabilità è di Washington, Londra e Parigi».

Parole di fuoco anche dall’altro grande alleato di Damasco, l’Iran. La guida suprema, l’ayatollah Khamenei ha apostrofato Trump, Macron e May come «criminali» dicendo che i tre hanno commesso un grave crimine dal quale non otterranno nessun beneficio. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Bahram Ghasemi ha aggiunto che «gli Usa non hanno prove sull’attacco chimico in Siria e sono responsabili per le conseguenze regionali che seguiranno all’attacco deciso senza aspettare che prendessero una posizione gli ispettori dell’Opac».

 

6 – Cosa succede adesso

Dalle parole e dichiarazioni di Usa, Francia e Regno Unito sembra chiaro che il coinvolgimento rimarrà limitato. Anche i media americani, come il New York Times, hanno notato che nonostante le dichiarazioni roboanti e i tweet minacciosi, l’attacco di Trump e degli alleati è stato più limitato del previsto. La Russia ha minacciato contromisure ma è anche vero che nel corso dell’attacco non ha attivato i suoi sistemi antimissile. Ora la palla passerà al consiglio di sicurezza dell’Onu che in una riunione infuocata dovrà fare il punto di quanto successo, con Mosca, ma anche Pechino, pronti a chiedere conto alle altre tre potenze.

Le prime sensazioni tendono ad indicare che la coalizione si limiterà solo a questo. Lo stesso presidente americano su twitter ha confermato che la missione è stata compiuta. Mentre il Pentagono ha detto che ogni obiettivo è stato colpito. Sul terreno intanto la situazione è molto diversa sia rispetto al 2013, quando avvenne un attacco chimico da Ghouta che l’Onu riconobbe senza però attribuirlo a Damasco, sia all’anno scorso quanto Trump diede l’ordine di colpire dopo il presunto uso di armi chimiche a Khan Sheikhoun. Damasco ha liberato dai ribelli la Ghouta orientale, mentre nel frattempo quasi tutta la Siria è tornata sotto il suo controllo. Fanno eccezione alcune sacche a Sud, a Daraa, a Nord di Homs e nella provincia di Idlib. Come apertamente dichiarato da May quella del 13 aprile è stata più una rappresaglia, un modo per l’Occidente di dare un significato all’assenza nei lungi anni del conflitto siriano. Al momento la scelta di Trump è un sonoro passo indietro, non solo rispetto alla campagna elettorale del 2016 quando prometteva un disimpegno dal Medio Oriente, ma anche da quanto dichiarato poco meno di qualche settimana fa, quando promise di ritirare i 2.000 militari impegnati nella regione. Resta ora da vedere se e quale sarà la risposta di Mosca, soprattutto in settori molto delicati come la provincia di Deir el-Zor, dove ora il conflitto potrebbe riaccendersi violentemente.

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