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Rendita e biopotere

Summer School

di Stefano Lucarelli

Il tema della rendita e del biopotere è stato immediatamente declinato da Christian Marazzi come un problema che risponde a una domanda che credo si possa formulare nel modo seguente: di che moneta ha bisogno la soggettività costituente per non essere assoggettata?

I passaggi logici che vanno dai concetti di rendita e di biopotere fino ad una domanda del genere li do per scontati. Ricordo solo che quando ci riferiamo alla rendita lo facciamo a un certo livello dello sviluppo capitalistico – che abbiamo definito capitalismo cognitivo e finanziarizzato. Essa va dunque compresa tenendo conto del fenomeno del divenire rendita del profitto. Il biopotere è un’espressione presente in Foucault che chiama tutti in causa, poiché rinvia alla dicotomia soggettività/assoggettamento, quella dicotomia che caratterizza una forma della sovranità a questo stadio di sviluppo del capitalismo, che sempre Foucault ha chiamato governamentalità. Intendo qui la governamentalità come una peculiare evoluzione della sovranità che cerca di imbrigliare le soggettività, lasciando le briglie in talune circostanze, per valutare e conoscere la produttività, la creatività, che si può dare al di fuori delle forme tradizionali del comando, per poi ritirare le briglie. In tal senso la governamentalità partecipa di una certa forma di libertà, che presuppone che noi (in quanto soggettività costituenti) ci liberiamo da questa modalità di partecipazione ad una forma non autentica (cioè capitalistica poiché funzionale al regime di accumulazione contemporaneo) di libertà.

Di che moneta ha bisogno la soggettività costituente per non essere assoggettata, per non limitarsi ad una libertà non autentica?

Ciò che qui è innanzitutto rilevante è che ci poniamo questa domanda in un momento in cui l’Europa monetaria va sgretolandosi a causa delle sue contraddizioni monetarie e istituzionali, o meglio istitutive, o ancora meglio biopolitiche. La stessa Banca Centrale Europea partecipa della governamentalità, la subisce. Di questo ha già parlato Christian Marazzi. Queste carenze istituzionali vanno analizzate in un particolare orizzonte, l’orizzonte dei movimenti sociali che dovrebbero sottrarsi a qualsiasi ripiego sovranista, nel pieno di un processo costitutivo che deve restare aperto. E che quindi comporta una comprensione cosciente della moneta innanzitutto, e della moneta, si è detto, come Comune. Dire moneta come Comune significa nominare un processo in divenire; pertanto siamo dinanzi ad una espressione che si accompagna a stati confusionali che dobbiamo fronteggiare.

Il punto di partenza che ho deciso di assumere per la comprensione della moneta è antico ma non per questo inutile: mi sono posto pertanto il problema dell’uso proprio e dell’uso improprio della moneta. Per questo voglio leggere e commentare un brano tratto dall’opera di Aristotele. Aristotele parte da una costatazione: la moneta sembra la ricchezza stessa. Se la moneta fosse effettivamente ricchezza sarebbe il più perfetto oggetto del desiderio. Ma la sua natura è di essere interamente legge.

«Infatti, il più delle volte si ritiene che la ricchezza consista in una quantità di moneta, giacché è la moneta ciò su cui sembra concentrarsi il commercio. E tuttavia, accade una buona volta che la moneta appaia invece come peculiare “nonsenso”, cioè come qualcosa la cui natura è di essere interamente legge – e non qualcosa che sorga da sé e in vista di sé -, dal momento che, quando coloro che ne fanno uso l’hanno effettivamente scambiata, essa non ha più alcun valore, e nemmeno è di una qualche utilità per le necessità della vita. E in effetti, un uomo ben provvisto di moneta può trovarsi a mancare degli alimenti a lui necessari. Ma sarebbe davvero assurdo che la ricchezza fosse tale che un uomo ben provvisto di essa si trovasse a morire di fame, come Mida nel mito: al quale, per via della sua ingorda preghiera, tutto ciò che gli veniva offerto si trasformava in oro.»[1]

Quindi moneta e legge hanno dei tratti comuni. Quali? Quali sono gli elementi specifici di una legge. Stiamo riferendoci alla legge in senso aristotelico, cioè a qualcosa che non può essere limitato alla sovranità intesa come imposizione di un certo comportamento ad una popolazione. Quando la moneta è usata in modo proprio, essa ha la stessa costitutiva inappropriabilità che è propria della legge. Se una legge non è semplicemente un comando volto a realizzare una coazione a ripetere, nessuno deve appropriarsene. Si potrebbe anche dire nel modo seguente: un processo costituente moltitudinario deve sempre lasciare aperti spazi di mediazione. Affinché la moneta non si muti in un dispositivo di assoggettamento essa deve mantenere una costitutiva inappropriabilità. La legge, proprio perché sempre inappropriabile, lascia aperto il desiderio persistente di farla propria. Qui sta il tratto del Comune, che è radicalmente altro dal gesto di imposizione. È possibile immaginare una moneta di questo tipo? Una moneta che lasci la soggettività libera dall’assoggettamento. Cioè, detto in altri termini, esiste la possibilità che la moneta non sia “denaro come capitale”, “denaro come comando monetario”? Il denaro, come ci insegna la lettura dei Grundrisse, «è la dimostrazione che il movimento del valore è pura precarietà, che la sua solidità è solo tendenziale e riesce solo a determinarsi nel continuo alternarsi fra medietà sociale del lavoro necessario e sua sovradeterminazione forzosa» (Antonio Negri, Marx oltre Marx, Feltrinelli, 1979, p. 51). Il denaro è qui ciò che la moneta non deve essere. Siamo di fronte ad un uso improprio della moneta, sebbene appropriato per la struttura capitalistica fondata sullo sfruttamento. Da uno sfruttamento che è costituito immediatamente dal modo in cui si convive con il denaro stesso. Cosa è la precarietà del valore? Esattamente la tensione riferita alla rendita sociale, su cui Christian Marazzi si è soffermato in conclusione del suo intervento. La precarietà del valore ci dà subito, immediatamente, al livello del denaro, l’immagine di un riconoscimento di una lotta per determinare ciò che è valore. Il riconoscimento comune di ciò che è valore comporta sempre la possibilità di un’appropriazione violenta (un’espropriazione), cioè il piegarsi alle esigenze della valorizzazione capitalistica. La solidità del denaro è solo tendenziale e riesce solo a determinarsi nel continuo alternarsi fra medietà sociale del lavoro necessario e sua sovradeterminazione forzosa. Il lavoro necessario non è semplicemente lavoro astratto che all’interno del processo produttivo viene imposto dal tipo di socializzazione capitalistica, dalla capacità di mettere in relazione i soggetti assoggettandoli, ma può essere riconosciuto come soggettività rivoluzionaria, come lavoro vivo che abbiamo imparato a non appiattire solamente all’interno delle mura della fabbrica a questo stadio del capitalismo. Dal lavoro vivo espresso come soggettività può partire una messa in discussione dei processi di valorizzazione capitalistici, anche del criterio di valore, quindi anche del denaro per riaffermare una diversa moneta.

Gli aspetti inaggirabili della moneta, nel suo uso proprio, quel suo partecipare alla costitutiva inappropriabilità e al desiderio persistente di farla propria che fa sì che la moneta e la legge siano considerate un tuttuno da Aristotele, andrebbero declinati secondo il metodo della tendenza antagonista. Ora il punto è che istituire una moneta comune che determina antagonismo, io credo che sia una contraddizione; ma non solo una contraddizione logica, proprio una contraddizione reale. Quindi stiamo procedendo bene: la contraddizione reale è porsi dinanzi al problema della moneta pretendendo di istituire una moneta comune che determini l’antagonismo. Proprio per questo, proprio perché la sfida delle soggettività, la sfida di una moltitudine è nell’istituzione di una moneta comune che determini un antagonismo, può aprire ad un processo istitutivo di una moneta che preservi l’antagonismo, quello che nell’epoca fordista era fossilizzato negli spazi di mediazione conquistati dalle lotte. Che tipo di spazi di mediazione possiamo aprire?

Su questo piano la moneta ha dei tratti comuni con il linguaggio, che nasce proprio dal desiderio di appropriarsi dell’interdetto e che comunque deve mantenere una libertà. Nel momento in cui il linguaggio viene fossilizzato ed imposto non è più un linguaggio, ma è un linguaggio di tipo orwelliano, rappresentato ottimamente nel film di Kubrick Arancia Meccanica. Il linguaggio del potere, la regola che blocca dinanzi alle possibilità creative.

A questo punto giunge la frattura: io non conosco delle pratiche rivoluzionarie, anche di fronte a questa crisi, che dal basso pretendano di costituire una moneta nel senso su indicato. L’immagine di una moneta che colga la sfida del metodo della tendenza antagonista è davvero difficile da rendere: una misura che mantenga in sé esplicitamente l’espressione di una dismisura che ogni volta va svelata, al di là delle pratiche sovrane presenti nel capitalismo. Vi è un suggerimento presente in Foucault, che rinvia a un saggio provocatorio di Klossowski, La moneta vivente, un testo su cui non ho però avuto modo di riflettere adeguatamente. Si tratta di un punto di vista che non funziona allo stesso modo della critica dell’economia politica, sebbene sia anch’esso critico della storia data. Credo che porre il problema di una moneta vivente voglia dire cercare di rappresentare – non certo nel senso politico­-istituzionale, ma quantomeno dal punto di vista estetico (della percezione sensoriale) – una moneta che rompa con l’uso capitalistico della moneta, che aspiri ad istituire una misura che serba in sé una dis-misura che ogni volta va svelata, e che non legittimi le pratiche sovrane dello sviluppo capitalistico.

Devo allora fermare il mio ragionamento al punto in cui sta il mio lavoro di economista. Presento dunque in questa sede un lavoro di ricerca al quale sto partecipando, e che è coordinato da Massimo Amato e Luca Fantacci, due studiosi dell’Università Bocconi per nulla bocconiani, i quali sono impegnati a Nantes nell’implementazione di una moneta che funzioni a partire dal principio del clearing. Si tratta di una moneta comune.

La domanda di partenza, la percezione del problema, è la stessa: cosa caratterizza il comando monetario? Il denaro, la moneta capitalistica, il comando monetario nel capitalismo cognitivo-finanziarizzato diremo noi, è improntato al principio della liquidità. Come scrive André Orléan, «il mondo della liquidità è un mondo artificiale, regolato dalle convenzioni. Esso istituisce una temporalità e delle forme di valutazione che rompono con i tempi produttivi e i vincoli della gestione delle imprese. […] Il capitale ha una natura contraddittoria. Esso è l’articolazione di due logiche specifiche, l’impresa e la speculazione. Per noi, la forma “mercato finanziario” non è allora una forma neutra. La liquidità esprime la volontà di autonomia e di dominio della finanza»[2]. Ecco ciò che è il principio della liquidità a questo stadio del capitalismo: un principio che ha guidato una struttura istituzionale in cui diviene centrale la compravendita dei debiti e dei crediti, dei privati e, poi, di conseguenza, degli Stati. Cosa accade se nel capitalismo diventa centrale il ruolo dei mercati finanziari, cioè se il risparmio collettivo è drenato dalle Borse? Accade che il finanziamento dell’economia si sposta dal settore bancario a quello borsistico. Ne deriva che, come ha ribadito Christian Marazzi nel suo intervento, la Banca Centrale si trova in qualche modo costretta ad assecondare la domanda di liquidità proveniente da posizioni debitorie via via crescenti. Il principio della liquidità amplia la gamma della creazione monetaria secondo le logiche dei mercati finanziari, logiche convenzionali in cui alle ondate di euforia seguono prolungati momenti di panico, nei quali – nel nome della liquidità – domina la tesaurizzazione. Oggi, anche grazie agli interventi paventati dal Governatore Centrale Mario Draghi, le convenzioni finanziarie si vanno riorganizzando mentre si consolida il divenire rendita – credo si possa dire così – degli stessi Stati nazionali. Infatti quando la possibilità di realizzare plusvalenze si fonda su una bolla del debito sovrano, si assiste alla completa etero-direzione della finanza pubblica nazionale. In questa dinamica la tecnocrazia è funzionale alle logiche finanziarie che scommettono su quei processi di riconoscimento della rendita sociale che partecipano della dismisura espressa dalle soggettività. La disgregazione dello Stato Sociale presente (ma soprattutto futuro) è la base su cui si fonda il rilancio della operatività dei mercati finanziari. Perché ho parlato di Stato Sociale futuro? L’operaismo ci ha insegnato che il welfare state, prima di degenerare nella lottizzazione legittimata dal sistema dei partiti e funzionale alla disgregazione delle rivendicazioni sociali più coscienti, è una struttura istituzionale che si afferma solo a partire dalle lotte di classe. In tal senso esso è anche il frutto di una capacità di immaginare un’altra società, di godere dunque di una rendita sociale. In questo processo costituente sta anche la necessità un’espansione monetaria necessaria a finanziare lo sviluppo sociale (parafrasando Schumpeter la moneta è qui il complemento di una particolare innovazione che non è prodotta dal sistema industriale, ma dalla società). Il rovesciamento di questa moneta in denaro, in comando monetario sulla composizione di classe (nella terminologia presente in Primo Maggio) è sempre possibile.

Contro il principio della liquidità si erge il principio del clearing, un principio chiaramente espresso da John Maynard Keynes a Bretton Woods nel 1944[3]. Christian Marazzi ha notato che la moneta del Comune non ha a che fare con la moneta comune. Tuttavia egli è approdato al termine del suo intervento ad una rilettura di Keynes in chiave rivoluzionaria, ad una nuova declinazione del keynesismo di cui abbiamo bisogno: un keynesismo che conduca ad investire nella cultura, nella socialità, nella sanità, nell’istruzione, cioè in un modello antropogenetico.

In ogni scritto di Keynes si può riscontrare un’innata pratica rivoluzionaria, una vera e propria potenza costituente, la stessa che si può riscontrare nelle sperimentazioni linguistiche di Virginia Woolf, negli atteggiamenti provocatori di Vanessa Bell, nelle picconate che Lytton Strachey riserva alla società vittoriana nelle sue biografie sugli Eminent Victorians… insomma Keynes è prima di tutto un Bloomsbury, e da omosessuale scandalizzerà lo stesso Bloomsbury group quando deciderà di sposarsi con una donna, la ballerina russa Lydia Lopokova.

La sua prima opera A Treatise on Probability è caratterizzata dall’idea che dinanzi all’incertezza ciò che conta non è tanto il calcolo delle probabilità in senso classico, ma il funzionamento degli effettivi processi cognitivi e di credenza associati all’uso dei concetti di causa e caso. La logica della probabilità è studiata da Keynes da un punto di vista pratico – direi del potere costituente della parola – è il punto di vista del discorso ordinario, non quello del linguaggio artificiale della logica formale. D’altro canto la stessa General Theory è una trappola teoretica tesa agli economisti ortodossi, i quali a partire da semplici identità contabili impossibili da rifiutare sul piano logico (X=C+I), si trovano ingarbugliati in categorie psicologiche per loro del tutto nuove, come la propensione marginale al consumo, o la trappola della liquidità, o la stessa efficienza marginale del capitale, che li costringono a riconoscere le funzioni sociali degli aggregati economici, l’intreccio fra capitalismo ed incertezza radicale, sino a giungere – senza di fatto nominarle – alle classi sociali tra loro in conflitto. Nella General Theory, in un certo modo, Keynes si fa beffa della scienza economica, riempendola di categorie politiche pronte a mandarla in tilt. Come ha scritto Toni Negri nel suo John M. Keynes e la teoria capitalistica dello stato nel ’29 (in AA.VV. Operai e Stato, Feltrinelli 1975, p. 86): «quando si dice domanda si dice classe operaia, si dice movimento di massa che ha trovato una identificazione politica, si dice possibilità di insurrezione e di sovversione del sistema».

Keynes indica la necessità di tenere a bada i bisogni relativi, cioè quei bisogni che esistono soltanto in quanto la loro soddisfazione ci fa sentire superiore ai nostri simili. Egli si adopera per costruire l’adeguata struttura istituzionale volta a perseguire l’eutanasia del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsità del capitale, unico contesto in cui poter governare la socializzazione di una certa ampiezza degli investimenti, senza che lo Stato si assuma la proprietà degli strumenti di produzione. Non solo, giunge ad immaginare un sentiero di sviluppo in cui un’equa distribuzione dei redditi, un elevato tasso di accumulazione del capitale e un giusto controllo demografico possano condurre gli uomini a cambiare il proprio codice morale considerando spregevole l’amore per il denaro. Poco importa a mio modo di vedere che questa progettualità sia anche sorretta dalla paura che nel pieno della crisi economica il conflitto di classe possa condurre ad una crisi sociale e politica.

Per tutti questi motivi non escluderei a priori che il principio del clearing riscontrabile in Keynes sia la strada da seguire per istituire la moneta appropriata al modello antropogenetico richiamato da Christian Marazzi nel suo intervento (la moneta del Comune).

Il progetto di moneta locale così come è stato pensato per Nantes dall’equipe coordinata da Massimo Amato e Luca Fantacci si compone di un circuito creditizio e di un circuito monetario, integrati[4]. Una delle condizioni necessarie affinché questa struttura funzioni è che vi sia un tasso di interscambio locale fra le imprese che non sia trascurabile. La moneta che viene istituita è una moneta locale, con un tasso di cambio fisso 1:1 nei confronti dell’Euro che tuttavia non è convertibile in altre valute. Nel concreto è una moneta di conto che non svolge la funzione di riserva di valore.

Il circuito creditizioè concepito come una camera di compensazione per agevolare gli scambi fra le imprese. La camera di compensazione, o clearing union è una banca municipale (specificamente prevista nel sistema giuridico francese), una banca che offre semplicemente il servizio di coordinare le imprese nelle loro compravendite. Presso la clearing union ciascuna impresa ha un conto corrente, denominato in moneta locale, che può essere utilizzato per pagare e ricevere pagamenti da altre imprese partecipanti. Ciascuna impresa è creditrice o debitrice nei confronti di tutte le altre attraverso la camera di compensazione. Detto in altri termini si viene a costituire una struttura volta alla compensazione multilaterale dei pagamenti.

Per ogni singola impresa, il saldo può dunque essere, di volta in volta, negativo o positivo. Tuttavia, l’obiettivo è che vi siano tendenzialmente conti in pareggio. Per assicurare il raggiungimento tendenziale di questo obiettivo, sono fissati massimali sugli squilibri ed è previsto che siano pagati oneri non solo sui saldi negativi ma anche, simmetricamente, sui saldi positivi; infatti crediti eccessivi creano sempre debiti eccessivi per qualcun altro (si tratta dello stesso meccanismo progettato da Keynes a Bretton Woods in un contesto macroeconomico in cui il problema era quello dei rapporti commerciali far Stati diversi.).

Alternativamente, le imprese hanno la possibilità di utilizzare i saldi positivi per remunerare i propri lavoratori, alimentando così il circuito monetario locale (vedi la Figura 1 sotto).

A questo livello del ragionamento si pone la possibilità di pensare ad un primo spazio politico di mediazione (e di rivendicazione), in cui possa realizzarsi fra lavoratori ed imprese una contrattazione di secondo livello in moneta locale: il salario diverrebbe nuovamente funzionale alla tenuta della domanda effettiva a livello locale, e conquisterebbe, in qualche modo, una sua indipendenza.

I lavoratori sono dotati di un borsellino elettronico che consente loro di utilizzare la moneta locale per effettuare acquisti presso le imprese partecipanti. Nella misura in cui un lavoratore non spenda tutta la sua moneta locale presso le imprese, una parte del saldo residuo è periodicamente trasferita a un’organizzazione non profit a sua scelta fra quelle che partecipano al circuito.

Emerge a questo livello del ragionamento un secondo spazio di mediazione politico – come ha suggerito Andrea Fumagalli in una discussione avvenuta a Bergamo ospitata dai compagni di BgReport. Infatti non è detto che alle associazioni non-profit del progetto originario non si possa sostituire una cassa municipale per i servizi sociali. Il precariato metropolitano potrebbe così rivendicare uno spazio di rappresentanza diretta[5]. Né è detto che debbano essere i lavoratori i soggetti su cui grava questo incentivo al de-cumulo, cioè l’esigenza di spendere la moneta: potrebbero essere direttamente le imprese a versare moneta alla cassa municipale per i servizi sociali.

In questo modo, la moneta locale entra nel secondo sottocircuito, in cui le organizzazioni non-profit (nella versione originale) e la cassa municipale per i servizi sociali (nella variante proposta da Andrea Fumagalli), anch’esse dotate di un apposito borsellino elettronico, spendono presso le imprese le somme che hanno ricevuto.

E qui si apre un’altra possibilità istitutiva laddove dalla cassa municipale per i servizi sociali dipendano gli investimenti necessari a realizzare il modello antropogenetico prefigurato da Christian Marazzi nel suo intervento. Ciò comporterebbe una moneta dotata di una temporalità diversa, sebbene sempre sottratta alle forme del comando capitalistico.

Il sistema così congegnato fa sì che la moneta locale sia sempre disponibile in misura adeguata a sostenere le esigenze degli scambi locali; circoli più rapidamente della moneta ufficiale, dal momento che chi la detiene ha sempre un incentivo a spenderla; contribuisca ad attenuare la situazione paradossale, tipica delle crisi, in cui ci sono beni invenduti e capacità di lavoro non valorizzata in presenza di bisogni insoddisfatti.

Voglio concludere questa mia nota richiamando un passo elaborato durante il lavoro di inchiesta del gruppo sulla moneta della rivista Primo Maggio: «Se riteniamo che la forma-stato oggi palesemente dispiegata abbia la sua origine nell’ideologia della crisi e nel programma restrittivo da quella indotto, che questa ideologia abbia fornito il terreno costituente dei nuovi rapporti tra partiti, che essa sia la base storicamente determinata del compromesso storico, che sia la giustificazione del potere emarginante, riuscire a ribaltare tutto questo ed imporre quindi non un ritorno alla vecchia forma conflittuale dei rapporti tra partiti ma dei ‘vincoli dal basso’ al capitale, non è cosa da poco. A maggior ragione oggi che l’imperialismo più svagato, quello di Jimmy Carter, a differenza dei ragionieri ottusi del Fmi, ha capito che in Italia il sistema di valori e di comportamenti che si vuole oggi governare accoppiando pratica dell’austerità e ordine, è più forte di quanto si creda. E che allora tanto vale (questo è l’attuale indirizzo di Carter) sganciare quattrini, iniettare denaro-comando a più non posso tramite la grande banca privata internazionale. Cominciamo a farlo diventare ‘denaro come denaro’, a trasformare questo potere sul lavoro altrui in potere sui propri bisogni, sui propri spazi di organizzazione e di cultura, molla di sviluppo della nuova composizione di classe; cominciamo a strappare al ‘sistema dei partiti’ i poteri residui sulla riproduzione delle classi ed a determinarlo dal basso invece, in modo da garantire i sistemi di valori e i comportamenti che la nuova composizione di classe ha legittimato nelle lotte degli ultimi mesi»[6].



[1] Aristotele, Politica, Libro I, 1257b 8-17, traduzione di Massimo Amato in Massimo Amato, L’enigma della moneta, Et.Al., 2010, p. 245.
[2] Cfr. André Orléan, Le pouvoir de la finance, Odile Jacob, 1999, p. 12, citato nella introduzione mia e di Andrea Fumagalli ad André Orléan, Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi, ombre corte, 2010, p. 12.
[3] Cfr. John Maynard Keynes, Eutopia. Proposte per una moneta internazionale, a cura di Luca Fantacci, Et.Al., 2011.
[4] Cfr. Massimo Amato e Luca Fantacci, Come salvare il mercato dal capitalismo, Dozelli, 2012, pp. 157-191.
[5] Cfr. ad esempio Andrea Fumagalli, Lavoro. Vecchio e nuovo sfruttamento, Punto Rosso 2006, pp. 174-178.
[6] Sergio Bologna , a cura di, La tribù delle talpe, Feltrinelli, 1978, p. 40. Sul gruppo sulla moneta di Primo Maggio si può leggere il mio saggio “Sentieri interrotti: il lavoro del gruppo sulla moneta di Primo Maggio”, in Cesare Bermani, La rivista Primo Maggio (1973-1989), Roma, DeriveApprodi, 2010, pp. 111-137.

 

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