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coordinamenta

“L’inganno e le bugie”

di Elisabetta Teghil

guerra delloppio 1L’esperienza neoliberista oggi può dirsi compiuta. Sono alcuni decenni almeno che si sta realizzando ed attuando e dal colpo di Stato in Cile in cui è stata sperimentata sono passati più di quarant’anni. Ha rivelato di essere il risultato di un voluto e devastante inganno imperniato su delle bugie grossolane che parlavano di crescita economica della società e di esaltazione delle capacità dell’individuo che si sarebbero realizzate con il riconoscimento del primato del mercato, inganno a cui ha chiesto di sacrificare tutto, da un minimo di giustizia sociale alla tutela dell’ambiente, ai contratti nazionali, ad una equa retribuzione, alla sanità e all’istruzione pubblica e gratuita….

Ma, malgrado tutto ciò, l’ideologia neoliberista sulle virtù del libero scambio continua ad imporsi grazie ad un apparato economico e politico che viene presentato come un dogma.

Il centro della nuova religione sono gli Usa e il Regno Unito che impongono alle istituzioni multilaterali il bello e il cattivo tempo, che manipolano i dati e le informazioni scomode in particolare riguardo all’occupazione e al potere d’acquisto delle popolazioni. E fanno questo non solo e non soltanto nei riguardi dei paesi che una volta si chiamavano in via di sviluppo, ma anche dei paesi occidentali utilizzando il grimaldello dei partiti così detti di sinistra.

Il neoliberismo ha ottenuto il pieno controllo dell’agenda politica e intellettuale accusando chi lo critica di essere populista, di avere uno sguardo limitato al solo breve periodo e di dimenticare che il riconoscimento della necessità delle disuguaglianze, nel lungo termine, porterà a tutti grande ricchezza. E’ la variante del racconto sulle tragedie provocate ai popoli dell’Afghanistan, della Jugoslavia, della Libia e via dicendo secondo cui queste devastazioni sono mali passeggeri e comunque dei passaggi necessari che prefigurano per loro un radioso avvenire.

L’ultima chicca di queste teorizzazioni presunte obiettive è la scoperta che la libertà di scambio tra paesi con livello di produttività molto diverso può favorirne alcuni a scapito di altri, ma, guarda caso, viene ricordata solo e soltanto per il disavanzo commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Cina e viene omesso che questo avviene di solito e quasi sempre a vantaggio degli Usa.

Gli Stati Uniti attraverso i loro ascari/esperti economici, che si autodefiniscono tutti rigorosamente di sinistra e sono ospitati sistematicamente nei giornali e nei blog sempre di sinistra, gridano allo scandalo e ritengono immorale e da affrontare con misure energiche il disavanzo statunitense nei confronti della Cina e invocano forme di protezione doganale. Si dimenticano che, appena nel 2015, gli Usa hanno proposto di sopprimere tutte le forme di protezione per le industrie nei paesi in via di sviluppo nell’ambito del WTO ed oggi vogliono far passare questo anche nell’ambito dei paesi ad economia così detta avanzata promuovendo a tutto campo gli accordi di libero scambio spaziando dai settori tradizionali alla proprietà intellettuale, dall’ambito pubblico fino agli investimenti e al cibo. Non solo ma gli Usa esercitano direttamente pressioni unilaterali sia nei confronti dei paesi occidentali che nei paesi in via di sviluppo a favore della liberalizzazione degli scambi.

La teoria del libero scambio è nata in Gran Bretagna, ma questa è stata assunta solo quando l’Inghilterra aveva acquisito una posizione di forza grazie alle barriere tariffarie mantenute per un lungo periodo. La teoria del libero scambio non era altro che un atto di imperialismo destinato a bloccare i progressi dell’industrializzazione del resto dell’Europa e che coincideva con il vantaggio tecnologico della Gran Bretagna che, prima, aveva utilizzato per tanti anni protezioni doganali per le merci straniere e riduzioni tariffarie per le esportazioni nazionali.

Se la Gran Bretagna fu il primo paese ad avviare con successo la promozione delle proprie industrie passando dal protezionismo al libero scambio, la seguirono, buoni secondi, gli Stati Uniti dove i dazi doganali sulle importazioni sono stati tra i più alti del mondo tra il 1830 e la fine della seconda guerra mondiale.

La consapevolezza che il libero scambio corrispondeva agli interessi britannici è stato il motivo vero della guerra civile negli Stati Uniti, non una scelta dettata da motivi etici o morali ma una strategia tesa a tutelare gli interessi nazionali.

Lincoln disse “Se potessi salvare l’Unione senza liberare alcuno schiavo lo farei e se potessi salvarla liberandoli tutti lo farei e se potessi farlo liberandone alcuni e lasciando gli altri là dove sono lo farei ugualmente”. Niente nobili motivazioni.

Ed ancora Ulysses Grant “…per secoli l’Inghilterra ha praticato il protezionismo, l’ha utilizzato fino ai suoi limiti più estremi e ne ha ricavato risultati soddisfacenti. Dopo due secoli ha giudicato più opportuno adottare il libero scambio ritenendo che il protezionismo non avesse più niente da offrirle. Ebbene, signori, la mia conoscenza del nostro paese mi induce a pensare che tra meno di duecento anni, quando l’America avrà tratto dal protezionismo tutto ciò che questo può offrire anche il nostro paese sceglierà il libero scambio.”

L’Inghilterra che aveva usato il protezionismo ed era approdata, una volta diventata una potenza, al libero scambio non si fa scrupoli di aggredire la Cina che vietava il commercio dell’oppio per imporre la libera circolazione dello stesso con effetti devastanti non solo rispetto a quel paese ma anche con esiti nefasti a casa propria.

Non solo il protezionismo e il libero scambio corrispondono a determinati periodi storici di un paese, ma l’uno e l’altro si piegano agli interessi anche più inconfessabili fermo restando che vengono addotte motivazioni tanto nobili quanto false. Se serve si deve liberalizzare l’oppio, se serve si porta la civiltà, se serve si porta la democrazia, ma è sempre lo stesso discorso/progetto rapace per sottomettere altri popoli.

Il principio è sempre lo stesso, in nome della crescita e della competitività si fa pagare un prezzo altissimo. Mentre le popolazioni sono sempre più tartassate e impoverite con l’attacco al lavoro, alla sanità, all’istruzione, ai diritti, ora viene portato l’ultimo osceno attacco alla vita delle persone cioè quello ripugnante al regime pensionistico. Un attacco coordinato dagli organismi del neoliberismo, trainato soprattutto dai partiti socialdemocratici, in Italia dal PD e dai sindacati collaborazionisti, attuato tramite i tagli alle liquidazioni, la promozione dei fondi pensione, l’innalzamento dell’età pensionistica. In parole povere, un regalo alle assicurazioni. La vecchiaia è diventata un incubo per i lavoratori tanto più nella stagione in cui, logorati dal lavoro e aggrediti dalle malattie proprie dell’età, la porta della sanità pubblica viene loro chiusa in faccia.

L’impero britannico da tanti punti di vista costituisce un precedente dell’impero americano. Il primo, quello britannico, era un sistema di scambi internazionali in cui lo sviluppo dell’industria si basava essenzialmente sull’esportazione dei prodotti finiti in paesi sottosviluppati dove la Gran Bretagna era il principale mercato delle materie prime. Era imperniato sulla protezione dell’industria del paese. Le scelte, del protezionismo prima e del libero scambio poi, sono conseguenti al livello e al ruolo dell’economia britannica.

La prima fase è stata l’equivalente dell’accumulazione primitiva, la seconda la manifestazione esplicita del risultato ottenuto. Dopo il 1918 l’Impero britannico è stato consapevole del suo declino e si è convertito per diventare il centro del sistema finanziario del mondo.

Lo stesso percorso effettuato dall’economia degli Stati Uniti che prima si è basata sulla protezione delle industrie del paese nel suo gigantesco mercato contro la concorrenza estera esterna. Allorché l’industria ha raggiunto la dimensione del dominio globale si è convertita al libero scambio così come aveva fatto a suo tempo la Gran Bretagna.

Si può fare un paragone tra la situazione dei pagamenti correnti al culmine dell’impero britannico prima del 1914 e quella degli Usa oggi. L’eccedenza corrente in Gran Bretagna era del 4% del suo PIL, quella odierna statunitense si trascina un deficit corrente cronico del 5% del PIL. Una situazione difficilmente sostenibile sebbene i capitali stranieri continuino a riversarsi sui mercati finanziari degli Stati Uniti ma ad un ritmo ridotto. Un indebitamento che sfugge ad ogni controllo e produce diseguaglianze all’interno degli Stati Uniti stessi così clamorose da aver assunto forme di aberrazione.

Nella stagione attuale però l’America importa dal resto del mondo una grande quantità di prodotti finiti il che ha suscitato una reazione protezionistica anche sul piano elettorale. E’ questo il senso della recente vittoria di Trump. Ma le ambizioni americane sono ben diverse da quelle che un tempo erano della Gran Bretagna. Gli Usa sono un paese geograficamente molto esteso con dei numeri demografici importanti ed in continua ascesa per un’immigrazione che viene sollecitata con lo specchietto per le allodole di una promozione economica accompagnata da quella sociale mentre ha l’obiettivo di attirare idee e cervelli da tutto il mondo, usarli per gli anni strettamente necessari a sviluppare le idee e i progetti e poi gettarli come stracci usati.

Il protezionismo che gli Usa vorrebbero imporre in questa stagione cozza con le esigenze di esportazione che gli stessi Stati Uniti hanno in molti settori importanti dell’economia americana a partire dall’espansione del commercio delle armi. La crescita impressa all’industria americana degli armamenti si è sempre accentuata negli anni a partire dalla fine della seconda guerra mondiale tanto che il primo a lanciare l’allarme sulla sua enorme capacità, potenza e forza di condizionare la stessa politica interna fu D.D. Eisenhower che per primo parlò negli Usa di “complesso militare industriale”.

Oggi, gli Stati Uniti sono la potenza egemone del mondo occidentale nel cui ambito hanno un ruolo guida ed esercitano la loro forza in tutto il restante mondo attraverso l’installazione di basi militari e la capacità di fomentare colpi di stato, guerre etniche e religiose e rivoluzioni colorate, a partire dall’Afghanistan per arrivare alla Siria con l’obiettivo di saldare i conti con l’Iran, la Russia e la Cina. La domanda che si pongono gli Usa è solo quale foglia del carciofo strappare per prima.

L’imperialismo americano non è egemone solo sul piano militare ma anche in quello tecnologico, nel controllo dei media, in quello culturale e dell’intrattenimento ed infine economico, agevolato in tutto questo dall’influenza e dalla diffusione della lingua inglese negli approcci e nelle relazioni internazionali. L’impero statunitense si impianta su un discorso narrativo che si è imposto grazie agli ascari che di volta in volta magari si spacciano per giornalisti, blogger, intellettuali e possibilmente di sinistra, e che parla di portare e di esportare democrazia, diritti umani, libertà delle donne e delle diversità sessuali e che racconta della eccezionalità e grandezza del ruolo degli Stati Uniti nel creare un mondo a loro immagine e somiglianza.

Gli Usa non mirano ad occupare il mondo intero, quello che vorrebbero e intendono fare è promuovere colpi di stato, in bianco e /o militari, e anche invadere i paesi militarmente e una volta imposto un governo “amico” tornarsene prima o poi a casa. Ma questo non sta loro riuscendo, nonostante la loro indubbia superiorità militare. Vedere l’Afghanistan per finire all’Iraq e alla Libia. L’Iraq doveva essere offerto al mondo intero come modello del ruolo degli Usa ma questo intento è completamente fallito. E qui emerge un’altra differenza con i britannici che invece avevano fatto dell’India un esempio del modello coloniale classico. L’Iraq e la Libia erano paesi talmente deboli che potevano essere sconfitti facilmente e così è stato, ma tutto si è risolto in una dimostrazione di forza internazionale con il corollario dell’uccisione di Saddam Hussein e di Gheddafi monito per tutti quelli che intendono perseguire una strada diversa da quella dell’assoggettamento agli Stati Uniti. Gli Usa hanno distrutto due dei governi laici, l’Iraq e la Libia, consolidati da tempo in medio oriente e si stanno dando da fare per far subire la stessa sorte alla Siria.

Per fare questo era ed è necessaria la massa d’urto di una neolingua e i megafoni che la impongano: “l’asse del male”, il “novello Hitler”, la “coalizione dei volenterosi”, la “roadmap”. Gli Usa non hanno bisogno di alleati hanno solo vassalli. L’unico alleato alla pari è la Gran Bretagna. In questo contesto l’alleanza, eufemismo per dire il controllo, dei proprietari dei monopoli dell’informazione sarà utilizzata in maniera ancora più efficace e stringente di quanto non sia stato fatto fino ad ora.

Gli Usa possono invadere qualsiasi paese e magari riportare una vittoria abbastanza rapidamente, ma questa scelta politica che mira a controllare il mondo con mezzi militari ha come ricaduta sul piano interno una militarizzazione e una politica securitaria crescente che occupa tutti gli spazi della vita collettiva e sociale.

Questo quadro è molto pericoloso nella stagione in cui la debolezza dell’economia americana è manifesta più che in passato perché per la prima volta gli interventi militari all’ estero devono essere pagati in larga misura dagli americani stessi, cosa che non era mai avvenuta in passato ai tempi della Guerra Fredda e della Guerra del Golfo. Il costo della Guerra del Golfo era stato infatti garantito dall’Arabia Saudita e dal Kuwait e in misura minore dal Giappone e dalla Germania. La situazione attuale è completamente diversa, l’America non solo deve far fronte in prima persona ai costi ma deve addirittura pagare tanti Stati non solo perché partecipino ad eventuali coalizioni ma anche perché rimangano neutrali. Questo è il senso della richiesta di Trump che le Nazioni aderenti alla Nato aumentino la loro spesa militare.

L’economia del mondo occidentale e in particolare degli Usa, lo Stato del capitale, ha prodotto una situazione di grande privilegio per pochi e ha gettato nella disperazione la stragrande maggioranza delle persone compresi strati sociali che fino a ieri erano partecipi del banchetto del capitalismo provocando una situazione di grande conflittualità sociale ancora non compiutamente esplicita che rischia di provocare gravi destabilizzazioni a partire dal fronte interno degli stessi Stati Uniti. Da qui la suggestione per il neoliberismo di risolvere i gravi problemi interni con la soluzione classica della guerra mondiale che produrrebbe nella sua visione anche il rilancio dell’economia, ma questa guerra avrebbe caratteristiche ben diverse e ben più devastanti di quelle passate.

Coloro che invocano la libertà del commercio mondiale, nel contempo favoriscono la protezione e i privilegi dei progetti delle multinazionali. Dopo aver depredato le aziende del terzo mondo adesso si accingono a farlo anche nei paesi occidentali, dopo aver imparato a remunerare le élite locali dei paesi del terzo mondo mentre le popolazioni vivevano nella miseria e fornivano mano d’opera a basso costo, adesso si accingono a farlo anche nei paesi occidentali. La paura che viene alimentata nei confronti del comunismo, dell’uomo nero, dello straniero… aumenta la capacità di controllare la vita degli esseri umani in ogni momento e di delegare direttamente all’autorità il funzionamento sociale.

Quelli e quelle che si prestano a far da megafono alle direttive del dominio planetario si ricordino che possono avere qualche vantaggio immediato, qualche osso spolpato, ma non faranno mai parte dell’élite anglosassone autoreclusa in un giardino paradisiaco e che si crede al riparo dal resto del mondo ridotto volutamente nella miseria e nel terrore.

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