Il rinculo di Trump
di ***
I dazi che Trump aveva messo contro il resto del mondo sono durati esattamente una settimana, dopo di che sono stati sospesi per tre mesi per avviare trattative con quasi tutti i paesi, con l’eccezione della Cina.
Sono state proposte varie spiegazioni per questa improvvisa retromarcia, da una eccessiva reazione della Borsa, dalla pressante richiesta di trattative di quasi tutti i paesi, che Trump ha espresso a modo suo (‘vogliono tutti baciarmi il fondo-schiena’), così come naturalmente che ‘era stato tutto previsto’ (la spiegazone meno credibile di tutte).
In questo contesto di sterzate e controsterzate, per cercare di capirci qualcosa crediamo sia utile inquadrare le cose in una prospettiva di più lungo periodo.
Trump o non Trump, gli Stati Uniti si ritrovano ad affrontare due enormi problemi contemporaneamente, uno di tipo economico e uno di tipo finanziario, strettamente legati tra loro.
Come illustrato abbondantemente altrove (Maurizio Agostini, Moneta e Potere) a cinquanta anni dalla fine della convertibilità del dollaro in oro, i nodi vengono necessariamente al pettine perché senza il vincolo della convertibilità, sono state stampate dal nulla enormi quantità di dollari. Ciò ha permesso agli Stati Uniti di acquistare tutto quello che volevano nel mondo praticamente gratis. Valery Giscard d’Estaing, quando era ministro delle finanze della Francia negli anni ‘60, coniò il termine ‘esorbitante privilegio del dollaro’ che ben definisce il ruolo del dollaro nel dopo guerra. Le ragioni di questo privilegio sono legate al ruolo di leadership mondiale degli USA, al suo esercito, all’essere diventato la moneta di riserva mondiale, al ruolo del petrolio che doveva essere pagato in dollari, insomma al ‘credito’ che gli States avevano nel resto del mondo.
L’esorbitante privilegio del dollaro ha però prodotto due importanti conseguenze:
a) un problema ‘finanziario’: gli Stati Uniti si sono ‘indebitati’ con il resto del mondo, dove circolano grandi quantità di dollari non si sa bene in mano a chi, che possono essere usate secondo altri interessi che non siano quelli prettamente americani. Chiunque siano i creditori, essi hanno perciò ‘potere’. L’attuale deficit commerciale è di circa 1 trilione di dollari l’anno e il costo del debito federale dello stesso ordine di grandezza. Il rinnovo di questo debito, per lo più a breve, sta imponendo costi giganteschi non più ignorabili;
b) un problema ‘economico’: il poter reperire ogni bene fuori dai confini praticamente gratis a livello di paese ha fortemente disincentivato la produzione interna per cui gli States si sono quasi totalmente de-industrializzati, anche su componenti strategiche come quelle militari, cantieristiche o sanitarie. Come ha avuto modo di dire Trump: ‘se non hai l’acciaio, non hai un paese’.
In questi cinquanta anni gli States hanno cercato di far rientrare i dollari in uscita dalla bilancia industriale tramite i servizi, sia finanziari che quelli legati ad internet, riuscendo a compensare, anche se solo parzialmente, il deflusso di moneta. I dollari, ad esempio, che uscivano comperando petrolio rientravano come capitali da investire a Wall Street.
Le borse quindi hanno prosperato come non mai proprio perché il denaro in eccesso stampato dal nulla vi veniva segregato, producendo le note e sempre pià attuali ‘bolle’ finanziare.
Trump o non Trump, sono in molti negli Stati Uniti a pensare che sia necessaria una re-industrializzazione e che sia necessario rendere più competitivo il sistema americano. Le industrie vanno protette dal dumping (effettuato soprattutto dalla Cina) – ed ecco comparire i dazi – e devono contare su un dollaro adeguato alla loro capacità di esportare, cioè molto più debole di oggi.
In realtà pochi si sono accorti che la re-industrializzazione degli USA è già in atto ed è cominciata proprio dalla energia, dal petrolio. Dopo un minimo di produzione nel 2008 di circa 5 mil bbl/g, la nuova tecnologia del fracking l’ha riportata già nel 2014 a 9 mil bbl/g per raggiungere un massimo di 13 mil bbl/g nel 2023. Gli Stati Uniti sono oggi il maggior produttore mondiale e sono largamente autosufficienti.
Le enormi quantità di dollari che gli USA dovevano esportare per acquistare petrolio non sono quindi più necessarie.
Nonostante le cose siano già in miglioramento, è come che gli Stati Uniti debbano operarsi di un cancro. L’operazione è dolorosa ma è inevitabile e sarà pure seguita da cure chemioterapiche altrettanto dolorose e debilitanti. E bisogna sperare che non si siano diffuse troppe metastasi altrimenti non ci saranno cure che tengano e gli Stati Uniti scompariranno dalla faccia della Terra, così come è successo alla Unione Sovietica. Può sembrare un quadro esagerato ma non lo è. Non è per niente certo che gli Stati Uniti esisteranno ancora tra trent’anni se non vengono presi i provvedimenti giusti.
Il debito accumulato, come è noto fin dal tempo dei Sumeri, a un certo punto, diventa insostenibile e deve essere ‘rimesso’, cioè annullato. Infatti adesso, dopo cinquanta anni dal 1971 quando Nixon abolì la convertibilità del dollaro in oro, stiamo vivendo il Grande Giubileo, il Grande Reset, il Redde Rationem, o comunque lo vogliate chiamare, cioè la necessità di annullare parte del debito per poter ripartire con un nuovo ciclo di accumulazione. Non è una scelta, è una inevitabilità matematica.
È indispensabile ricordare che praticamente tutta la moneta nel mondo nasce come debito, sia se emessa dalla banche centrali che dalle banche commerciali, e che quindi cancellare il debito significa far scomparire dalla circolazione equivalenti quantità di moneta.
È pure indispensabile ricordare che il denaro non è l’energia e non si conserva in una transazione. Quando prendiamo un prestito in banca, quel denaro è creato dal nulla e quando lo restituiamo ritorna dal nulla in cui era venuto. La quantità di denaro in circolazione (che è quasi uguale alla quantità di prestiti) è tutto fuorché costante nei sistemi occidentali, basati sulla moneta-debito.
Chiariti questi concetti di base (che la maggioranza dei commentatori ignora bellamente), la ormai indifferibile cancellazione dei debiti si può fare in tre modi:
1) rimborsandoli con beni reali;
2) non rimborsandoli;
3) con l’inflazione.
Non vi sono altre alternative.
Vediamo di capire cosa significa imboccare una delle tre strade.
Prima strada, quella preferita dai creditori. I nostri Draghi, Monti o Mattarella sono tutti schierati nettamente da questa parte perché i banchieri, che detengono in ultima analisi la totalità del debito, vogliono essere pagati con beni reali. Non è più possibile infatti pagare i debiti rifinanziandoli con altri debiti perché siamo dentro al Grande Giubileo, nessuno si fida più, il credito svanisce e la pacchia è finita.
Questa strada, concettualmente semplice, porta a risultati ovvi. Il popolo sarà rovinato, la crisi economica sarà devastante ma i banchieri saranno soddisfatti. Da ora in poi ‘tutto’ sarà di loro proprietà e pazienza se l’economia soffrirà.
Due conti della serva: il debito federale USA è di circa 36 tril $ a cui vanno aggiunti 4 tril $ di debiti dei singoli Stati, totale 40 tril $. La ricchezza delle famiglie americane (solo beni reali) è di circa 60 tril $. Per pagare i debiti dello Stato sarebbe cioè necessaria una patrimoniale del 66%. Siccome le famiglie Usa hanno anche 21 tril $ di debiti personali, se devono pagare anche quelli non gli resta nulla. Niente di Niente.
Per l’Italia: Debito dello Stato: 3000 mld €, debito delle famiglie 650 mld. €, ricchezza totale famiglie (solo beni reali) 4500 mld. €. Se esse dovessero pagare tutti i debiti, agli italiani resterebbero solo 850 mld. €. Un po’ meglio degli statunitensi ma di poco.
La situazione è aggravata dal fatto che la maggior parte della ricchezza delle famiglie è concentrata nelle fasce alte e che non puoi certo tassare la Famiglia Rothschild. Pagare i debiti significa quindi distruggere integralmente la classe media.
Quando Klaus Schwab coniò la sua famosa frase: ‘Non avrete nulla ma sarete felici’ non voleva fare una boutade ma diceva una pura e semplice verità matematica. Se quel debito fosse integralmente ripagato dai popoli, i banchieri, che quel debito hanno integralmente generato, sarebbero i padroni del mondo occidentale in toto.
Dato il meccanismo di funzionamento del capitalismo occidentale ciò non stupisce. Quello che stupisce è che nessuno se ne renda conto o se ne voglia rendere conto. Questa è però la tesi che stampa e televisione ci propinano tutti i giorni: i debiti vanno sempre pagati.
È una strada che Trump e il popolo americano non possono percorrere o almeno faranno di tutto per non percorrere.
Seconda strada: i debiti semplicemente non si pagano. In termini legali si fallisce. Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato e i banchieri non rivedranno i denari che hanno prestato. Fino a oggi i crediti inesigibili sono stati rifinanziati con altro debito, cioè le banche centrali (e gli Stati) hanno prestato nuovo denaro alle banche commerciali tenendole in piedi, si veda ad esempio il caso di Montepaschi, messa in grave difficoltà da sofferenze di tipo ‘politico’, come quelle nate dalle società di De Benedetti.
Nel nuovo contesto, il Montepaschi e le società di De Benedetti andrebbero lasciate fallire e la bolla dei prestiti eccessivi si sgonfierà. Quel denaro così come era stato creato dal nulla ritornerà nel nulla, cioè scomparirà.
Il numero di fallimenti necessari per resettare il sistema sarebbe molto elevato. Se le borse dovessero tornare su valori storici medi (cioè con un rapporto price/earning intorno a 15) le attuale quotazioni borsistiche si devono almeno dimezzare. Inoltre gli attuali utili sono fortemente influenzati dalle quotazioni, con quotazioni più basse gli utili finanziari diminuiscono. Tutti i prestiti che sono stati fatti usando come garanzia azioni e simili diventeranno inesigibili. Si innescherà quindi un circolo vizioso, che negli Stati Uniti è ben peggiore che in Europa per la maggiore dipendenza dell’economia dalla Borsa. I fondi pensioni americani che molto hanno investito in Borsa, nel nuovo contesto, saranno ancora in grado pagare le pensioni?
Insomma la secondo strada per rimettere i debiti, cioè la loro remissione tout court, innescherebbe una pesante recessione, come nel 1929.
In questa strada però anche i banchieri si troveranno ad avere problemi seri, molte banche falliranno, lo status delle banche centrali private verrà messo in discussione, visto il disastro che ha provocato, e non è neppure escluso che si arrivi alla modifica del cuore del capitalismo occidentale, basato sulla moneta-debito creata dalle banche. C’è già chi ipotizza che gli Stati si sostituiscano alle banche private ed emettano moneta senza debito (tipo helicopter money) o addirittura si torni all’oro in sostituzione delle monete fiat. Gli stessi BRICS potrebbero avere un ruolo in questo fenomeno.
Insomma la strada dei fallimenti inguaia sia i popoli che i banchieri. Certo una quota di fallimenti sarà inevitabile ma anche questa non può essere la scelta prioritaria di Trump.
La terza strada è invece costituita dalla semplice perdita di valore delle monete fiat. Ne sono state stampate in eccesso? Vorrà che dire che varranno di meno. Le fiammate inflazionistiche sono sempre successe e, in fondo, sono la cosa più semplice per distruggere moneta e debito. Basti pensare alla poderosa lira di Mussolini che alla fine della guerra non valeva più niente. La guerra, o per meglio dire l’economia di guerra, è infatti un ottimo sistema per giustificare l’inflazione.
Chi ottiene un mutuo (a tasso fisso) per acquistare una casa ne sarà largamente avvantaggiato perché il valore della casa aumenterà mentre la rata del mutuo sarà sempre più leggera in termini reali.
Il panorama di chi si avvantaggerà o meno dalla strada inflazionistica è variegato. In generale saranno favoriti i debitori (almeno quelli che hanno contratto prestiti a tasso fisso) mentre le banche che quei prestiti hanno emesso ci perderanno. L’impatto sulle classi lavoratrici non sarà univoco perché chi può disporre di emolumenti indicizzati non ci perderà mentre chi si ritrova ad avere stipendi non indicizzati potrebbe anche avere problemi serissimi.
In un contesto inflazionistico bisognerà puntare al possesso di beni reali perché la ricchezza finanziaria sarà di gestione assai difficile ma questa strada è l’unica che non comporta una recessione, almeno non in modo automatico.
Lo svilimento della moneta, nel nostro caso del dollaro, è inevitabile nel contesto del Grande Giubileo ma produce un serio problema all’America di Trump: la perdita del ruolo del dollaro come moneta di riserva e di commercio mondiale.
Come vedremo sembra che la proposta trumpiana si basi su un riduzione della zona controllata dall’impero americano, dove il dollaro se pur svalutato potrà mantenere il suo ruolo, abbandonando al suo destino il resto del mondo
È comunque ovvio che durante l’attuale Grande Reset si percorreranno tutte e tre le strade e che sarà il mix globale a definire chi ci guadagnare e chi ci perderà di più.
In conclusione la crisi finanziaria sarà risolta ma la remissione della moneta-debito comporterà un rischio molto elevato di provocare una crisi economica. Cioè il problema finanziario e quello economico vanno in direzioni opposte. Per alleviare la crisi economica bisognerebbe stampare denaro come se non ci fosse un domani, ma così facendo si corre il rischio che il denaro non valga più nulla come nella Repubblica di Weimar. Viceversa ridurre il carico di debiti e di moneta, con le prime due strade, causa sempre una recessione economica.
Bisogna quindi muoversi lungo un crinale sottile, con il rischio costante di cadere nel baratro.
Qual è la strategia dei trumpiani per gestire il Grande Giubileo?
Rispondere a questa domanda è davvero difficile. C’è chi sostiene che Trump stia procedendo a tentoni e non abbia affatto una strategia precisa (categoria sempre più numerosa) e c’è chi sostiene che è tutto risolto e che bisogna fidarsi ma sono davvero rari i commentatori che ci illustrano un ‘come’ e un ‘perché’.
Il capo degli economisti trumpiani dovrebbe essere Stephen Miran, un giovane quasi sconosciuto, che è stato nominato Chairman del Council of Economic Advisers, che ha però poche pubblicazioni al suo attivo. L’unica, a nostra conoscenza degna di nota è ‘A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System’ del novembre 2024, che crediamo sia l’unica che ci possa dare qualche lume sulle intenzioni del Presidente…
Bisogna però premettere che Trump non ha seguito le raccomandazioni contenute nel documento durante l’ implementazione dei dazi, tanto da farci un po’ dubitare del ruolo del giovane economista all’interno della amministrazione americana. Ad esempio Miran insisteva sulla loro implementazione graduale proprio perché paventava il pericolo di un innalzamento improvviso dei tassi di interesse, cosa che è puntualmente successa e che ha costretto Trump a una immediata retromarcia. Ma non abbiamo conoscenza di altre pubblicazioni economico-finanziarie che possano definirsi ‘trumpiane’.
Il documento comunque delinea il seguente scenario strategico. Preso atto che gli Stati Uniti non hanno più le risorse per ambire alla leadership mondiale, si punta alla creazione di una zona di influenza americana più o meno autonoma tramite quello che è chiamato ‘Accordo di Mar-a-Lago’ dal nome della residenza di Trump in Florida, una sorta di nuova Bretton Woods.
Trattasi di una presa d’atto di buon senso e di un obiettivo ragionevole. Se gli imperi non possono più avere un ruolo mondiale non è detto che debbano scomparire ma possono puntare a un ruolo più limitato e locale.
Non possono però lasciare in mano al potenziale nemico il controllo delle proprie risorse strategiche. Con l’attuale globalizzazione gli Stati Uniti non sarebbero in grado di fare una guerra alla Cina perché la maggioranza della componentistica militare proviene dalla stessa Cina. Non potrebbero costruire navi per difendere Taiwan perché non hanno più cantieri navali. Non sarebbero neppure più in grado di pensare alla propria salute perché la quasi totalità degli antibiotici proviene pure dall’estero.
Urge quindi correre ai ripari, in primis definendo il confine dell’impero. I dazi hanno appunto anche questo ruolo: la definizione del confine, perché ai paesi amici non saranno applicati e a quelli nemici sì, almeno per quanto riguarda i prodotti di rilievo strategico. L’Accordo di Mar-a-Lago prevederà appunto la creazione di una security zone intorno agli States di cui faranno parte i paesi che:
1) investiranno in Buoni del Tesoro americani;
2) compreranno i nuovi century bonds, cioè titoli di credito americani a 100 anni;
3) fino a che non lo faranno saranno soggetti ai dazi.
Il dazio è quindi una forma di ricatto per costringere i paesi alleati a farsi carico del debito americano. Miran quindi immagina una furbesca quarta strada rispetto alle tre da noi indicate: il nostro debito lo facciamo pagare a qualcun altro. America first, le tre strade restano le uniche possibili ma sarà un problema non più nostro.
È infatti ovvio che in un contesto inflazionistico come l’attuale parlare di century bonds non è altro che proporre un default mascherato perché tra cento anni il bond non varrà più nulla, qualunque sia il tasso di interesse previsto. Il debito sarà quindi rimesso in quanto mai pagato. Ma il costo della operazione sarà, in grande parte, a carico dei paesi alleati, se vogliono rimanere alleati.
La brutalità della operazione, in perfetto stile trumpiano, può non piacere ma in una certa ottica deve considerarsi normale: tutti gli imperi in difficoltà devono drenare risorse dalla periferia verso il centro per sopravvivere e così hanno sempre fatto nella storia.
Si usano simpatici giri di parole per illustrare il concetto, come ‘reallocation of interest rate risk from U.S. taxpayers to foreign taxpayers’ cioè la ‘riallocazione del rischio sul tasso di interesse dai contribuenti americani a quelli esteri’.
Ma più chiari di così non si potrebbe essere: il nostro debito dovete pagarlo voi, subito. Vi daremo delle cambiali a 100 anni ma sappiate che per allora non varranno niente. Nel frattempo l’America si re-industrializzerà contando sui dazi alla Cina e sull’indebolimento del dollaro.
Come convincere i presumibilmente riottosi paesi alleati a sottoscrivere gli accordi di Mar-a-Lago?
In primis con i dazi che hanno quindi un puro valore tattico per i paesi ‘amici’, a cui non saranno applicati non appena tali paesi compreranno i century bonds. Ma mantengono un valore strategico contro i dumping della Cina, alla quale saranno sempre applicati.
Se mai il documento di Miran rappresentasse la politica americana Giorgia Meloni dovrebbe tornare da Washington proprio con una proposta che vede una sostanziale riduzione dei dazi in cambio del sostegno al default americano.
Ma c’è un modo più forte per convincere gli indecisi: la minaccia di escludere i paesi che non aderiranno dall’ombrello difensivo americano. Tali paesi non saranno più ‘difesi’ dall’esercito americano che infatti viene potenziato invece che ridotto. Anche qui si usano simpatici giri parole ma è evidente che il vero collaterale dell’accordo è il Pentagono: se il paese non interessa lo abbandoniamo al suo destino ma se interessa organizziamo un bel colpo di stato e vedrai che dopo i century bonds ce li compra. Anche qui la brutalità può non piacere ma la geopolitica non è un pranzo di gala.
In terzo luogo viene aggiunto un argomento tecnico ma di rilievo: siccome la ristrutturazione del debito americano verso titoli di lunghissimo termine rende gli asset molto meno liquidi e quindi rende le riserve in valuta inutilizzabili, ai paesi amici saranno assicurati accordi di swap tra le loro valute e il dollaro che risolvono il problema della liquidità. Le linee di swap saranno assicurate o dalla Fed o, udite udire, dal Treasury Exchange Stabililization Fund, cioè dal nuovo fondo sovrano alle dirette dipendenze del governo. È un punto molto importante perché implicitamente dice: noi non vogliamo mettere in discussione il sistema vigente, cioè la Fed. Quando l’emergenza sarà finita si potrà ripartire come al solito con un nuovo ciclo di accumulazione gestito dai banchieri e non abbiamo intenzione di nazionalizzare la Fed. Ma se non collabori sei fuori: ‘you’re fired’.
In sostanza quindi il documento di Miran dice: il problema del debito è risolto perché lo facciamo pagare ad altri contando sulla nostra forza militare, i dazi hanno un puro valore tattico e non saranno applicati ai paesi amici (quelli che si fanno carico del nostro debito) e la security zone americana sarà tax free. Ma saranno sempre applicati alla Cina che deve uscire dal nostro mondo. Il dollaro dovrà svalutarsi secondo tempistiche decise a Mar-a-Lago per ridare competitività alle industrie americane, visto che oggi è sopravvalutato perché ci dobbiamo pure fare carico di fornire liquidità al commercio mondiale (altro eufemismo in stile dilemma di Triffin ma tant’è) ma resterà la moneta di riferimento e di riserva all’interno della security zone.
Il resto del mondo si arrangi. Sarà caricato di dazi (mirati, per prodotto o filiera più che per paese) perché non potremo certo comperare lì componenti strategiche essenziali che devono essere prodotte in patria né dovranno possedere troppi titoli americani perché non dovranno avere potere finanziario su di noi.
Insomma si tratta di un documento coerente ed elaborato da persone non certo prive di mestiere. Non solo viene raccomandata prudenza e gradualità nella gestione dei dazi ma ci si dilunga anche sulla dimensione degli stessi che non deve essere eccessiva per non incorrere in effetti indesiderati. Ad esempio fino al 20% non ci si deve preoccupare, al di sopra si può ricorrere solo e dazi mirati e non generalisti.
Secondo il nostro personale parere, nel documento di Miran non si affronta il nodo principale: la produzione della moneta, la fine della moneta-debito e nascita della moneta-credito non più bancaria ma si tratta di una approccio rivoluzionario che evidentemente Trump e il suo entourage non condividono.
Tale scelta di fondo dovrebbe invece placare i banchieri americani che sono chiamati a collaborare. Finita l’emergenza, amici come prima.
Il gradimento dei banchieri europei sarà invece molto minore perché dovranno farsi carico di grande parte del debito americano, come del resto si è già visto.
Non si tratta quindi di una vera e propria rivoluzione ma di una gestione della emergenza finanziaria ed economica degli Stati Uniti pronti a scaricare sul resto del mondo tutto lo scaricabile e a fare da soli con quello che resta del loro impero.
Certo stiamo giocando con il fuoco: ‘first start small and take small steps. Gradualism is necessary’, come dice Miran.
Ma le raccomandazioni del documento di Miran e del suo Council of Economic Advisers sono state bellamente ignorate dai provvedimenti di Trump: nessuna gradualità e dazi enormi alla Cina.
Perché?
Forse la tempistica affrettata è stata dovuta al voler scatenare la crisi il prima possibile per arrivare alle elezioni di mid-term con una economia già in ripresa. Inoltre l’entourage di Trump deve affrontare le conseguenze di una poison pill, una pillola avvelenata, lasciata dall’amministrazione Biden: il rinnovo di ben 9 trillion $ del debito di 36 trillion $ entro l’anno.
Lo sbilancio su debiti a breve è foriero di grandi problemi, come si è detto, e la ristrutturazione dello stesso proposta nel documento deve portare a un allungamento dei termini ma certo deve farlo cercando di mitigare gli interessi.
Ipotizziamo cioè che il ragionamento dell’entourage trumpiano sia stato il seguente: i dazi faranno finalmente esplodere la bolla dei mercati azionari, gli investitori usciranno dalla borsa e porteranno i loro denari sull’obbligazionario, facendo diminuire gli interessi così che noi potremo rinnovare i nostri 9 trilioni di dollari con una certa comodità, a buone condizioni e allungandone i termini.
Sulla carta il ragionamento avrebbe anche potuto tornare ma Miran aveva avvertito che si stava giocando con il fuoco e infatti non è andata così.
Durante il previsto crollo di Wall Street dovuto alla introduzione dei dazi, ‘molti’ hanno cominciato a vendere Treasury bond come se non ci fosse un domani, ‘al meglio’ e l’ipotetico travaso di liquidità in uscita dalla Borsa non è bastato a contrastare il crollo del loro prezzo portando a un innalzamento immediato degli interessi. Se infatti una obbligazione con un nominale di 100 rende il 5%, chi la acquista poniamo a 90 porta a casa un rendimento del 15%! Si deve ricordare sempre che se i rendimenti salgono i prezzi scendono. I rendimenti a lungo dei titoli americani sono saliti di 50 punti base in una sola settimana, più o meno un record di tutti i tempi.
Nel rinnovo del proprio debito il Tesoro dovrà essere competitivo con questi tassi di interesse altrimenti l’investitore compererà i Treasury bond venduti al meglio e sarà un disastro sul fronte del loro rinnovo.
Chi sono stati questi ‘molti’?
Nessuno lo sa. Si è subito pensato alla Cina, seconda maggiore detentore del debito americano (ne possiede per circa 750 mld $) ma dalle prime verifiche sembra non sia vero. Sembra invece accertato che il Giappone, primo detentore di Treasury (più di un trilione di $) sia invece intervenuto massicciamente. Da una analisi di Goldam Sachs parrebbe però che il suo solo apporto non potesse essere sufficiente. Privati? Ma perché avrebbero dovuto farlo?
Il cerchio si stringe, la BCE o addirittura, udite udite, una Fed nemica?
Di certo c’è solo che i detentori del debito americano hanno un ‘potere’ che non può essere bellamente ignorato e che l’ingresso sul mercato di venditori istituzionali poderosi, con una motivazione più ‘politica’ che economica, ha sovrastato i flussi di denaro in uscita dall’azionario rendendo insostenibile l’imposizione drastica dei dazi, che infatti è stata immediatamente abbandonata.
Ritornerà l’amministrazione Trump ad ascoltare Miran e il suo Council of Economic Advisers invece che gli improvvisati consulenti del suo entourage?
Non si sa, anche se pare che sia stato proprio Trump a dire: ‘Abbiamo esagerato’ e a imporre l’immediata retromarcia. Per la sua storia personale Trump non sembra essere uomo da guerre commerciali ma che preferisca arrivare a compromessi, anche se con stile decisamente da cow-boy.
Pochi però sottolineano il problema principale che è emerso da questi comportamenti: la perdita di credito, la qual cosa può anche essere marginale in altri contesti ma non certo in economia.
In economia e finanza il credito è tutto, la moneta ‘è’ credito.
La vendita di titoli americani (e/o la mancanza di acquisti) sono proprio la cartina al tornasole che ‘molti’ non ‘comprano’ Trump o addirittura lo vendono perché non sanno dove andrà a parare.
Le incertezze mostrate in questi giorni dall’amministrazione Trump possono minarne la credibilità e purtroppo si tratterebbe di un fenomeno irreversibile. Il cigno nero arriva proprio quando si perde la fiducia.
Chi vivrà vedrà. La prossima visita di Giorgia Meloni dovrebbe già fornire prime indicazioni, non solo per l’Italia ma per tutti i paesi potenzialmente ‘alleati’.







































Comments
Da una analisi di Goldam Sachs parrebbe però che il suo solo apporto non potesse essere sufficiente. Privati? Ma perché avrebbero dovuto farlo?
Privati, perche' avrebbero dovuto farlo....
Chissa' perche'
Molte delle produzioni cinesi, messicane ecc che gli Usa importano non sono di proprieta' di aziende Usa?
Le delocalizzazioni non comportano che la Cina e' la fabbrica del mondo per fonto suo (in alcuni settori si, tipo terre rare), ma in altri settori e' fabbrica del mondo conto terzi. Siamo sicuri che chi capitalista Usa fa produrre la componentistica in Cina e lucra abbia preso benissimo la questione dei dazi?
Ma credo che l'articolo sia ormai datato, il buon donaldo il daziatore ha ritrattato persino sulla Cina ...
https://m.youtube.com/watch?v=b_z9dHeitIo&pp=ygULb3R0b2xpbmEgdHY%3D#searching
su Powell che dire .. non ricordate che nel precedente mandato e' stato lo stesso donaldo (lo dice persino wikipedia)
elevated to chairman by President Donald Trump (succeeding Janet Yellen) and renominated to the position by President Joe Biden
Credo ne vedremo delle belle ...non sono cosi sicuro che riusciranno a far pagare il loro enorme debito al resto del mondo ... puo ' essere che il resto del mondo (una parte consistente del resto del mondo, non certo l'europa) glielo faccia rimangiare e prima che abbiano tempo di reindustrializzarsi e riarmarsi (servono decenni) ... e' il tempo migliore