Non ci sono vie di mezzo
Ugo Boghetta, Carlo Formenti, Mimmo Porcaro
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Mentre scriviamo si sta insediando un governo che è espressione di una coalizione sociale instabile e che è destinato a sua volta a generare instabilità. La coalizione sociale va dalle medie e piccole imprese ai professionisti, dagli operai ai disoccupati e precari. L’egemonia spetta allo strato superiore, quello più direttamente favorito dalla flat tax. Ma questo strato, per recuperare quanto perduto a seguito della globalizzazione, deve necessariamente appoggiarsi allo strato inferiore e quindi abbozzare una redistribuzione di ricchezza. Da ciò nasce un programma che è un mix di reaganismo (taglio delle tasse) e di politica espansiva, una politica che, anche se non può affatto dirsi keynesiana (il deficit serve in gran parte a compensare il minore introito fiscale, l’occupazione è pensata come effetto indiretto della detassazione e degli incentivi alle imprese…) è comunque sufficiente a mettere in allarme la Commissione europea. Quanto maggiore sarà la redistribuzione verso il basso, tanto maggiore sarà l’urto con l’Unione europea. Al contrario, più il governo sarà accomodante con Bruxelles, più entrerà in conflitto coi suoi elettori: e non sarà sufficiente, a quel punto, dirottare la rabbia verso gli immigrati e verso tutte le altre “classi pericolose”. Il dominio incontrastato della borghesia transnazionale ha subito una battuta d’arresto: domani forse riuscirà ad assorbire la defezione della borghesia nazionale, ma per adesso l’acuta sofferenza degli strati popolari e delle piccole imprese fa sì che il governo debba accentuare l’instabilità e mettere sul tavolo, finalmente, le vere questioni. In prospettiva a pesare non sarà tanto quanto scritto nel programma ma l’andamento reale delle contraddizioni e l’emergere della vera natura dei soggetti della coalizione.
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E’ per questo che, anche se negli ultimi giorni tutto è sembrato volgersi in commedia, la “crisi di maggio” ha rivelato la natura intimamente drammatica della politica italiana. Ed anche se il governo formato in extremis sembra aver rammendato gli strappi, esso sarà in realtà teatro ed attore di contrasti durissimi: tra le due componenti della maggioranza, tra il governo e l’Europa, oppure tra il governo e gli elettori.
Il fatto è che il centrismo, morto il 4 marzo, è stato definitivamente sepolto da Sergio Mattarella il 27 maggio. Il 4 marzo i bisogni, spesso disperati, di gran parte della popolazione italiana si sono espressi con nettezza e sembravano aver trovato un governo disposto, per amore o per forza, a rispondervi. Ma un’adeguata risposta metterebbe in crisi il rapporto dell’Italia con l’Unione europea: il 27 maggio la contraddizione principale del nostro paese è quindi esplosa direttamente. Innescata dagli scontri tattici di oggi l’esplosione ha rivelato in un lampo gli scontri strategici di domani. Certo, anche dopo la sepoltura il fantasma del centrismo continuerà a svolazzare qua e là, suggerendo moderazione e mezze misure: ma chiunque lo seguirà andrà incontro ad una sconfitta.
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Tra le varie mosse dei protagonisti di questi giorni (non tutte geniali, bisogna dirlo) spicca quella di Sergio Mattarella. Inopinatamente (e, pensiamo, suscitando perplessità sia nei partiti amici che nei partner internazionali), il nostro non soltanto ha scelto di drammatizzare lo scontro in modi che non hanno precedenti, ma ha scelto anche di dire, e da subito, l’indicibile verità: e cioè che l’Unione europea e l’euro sono nemici della democrazia e della giustizia sociale. E’ difficile che siano state Berlino e Parigi a suggerire una mossa così scopertamente autolesionista. E’ più probabile che si tratti del panico di una classe dirigente che sta in piedi ormai solo grazie alla connivenza con l’Unione stessa e grazie alla tipica minaccia di tutti i “legittimisti”: dopo di noi il diluvio.
Com’è come non è, sta di fatto che il Presidente della Repubblica ha dichiarato che Bruxelles non consente nemmeno una parziale revisione della legge Fornero e nemmeno un timido abbozzo di sostegno al reddito. E che, se si deve scegliere, il Presidente della Repubblica sta con Bruxelles e non coi poveracci che devono fare un lavoro di merda fino a 67 anni o con quelli che un lavoro non ce l’hanno, nemmeno di merda. Questo, al di là del contenuto esplicito del discorso, è il significato implicito che gli italiani hanno colto benissimo. Che l’euro sia incompatibile con la democrazia e con la giustizia sociale, oltre che con una ragionevole logica economica, non lo dicono ormai solo i Giacché, i Bagnai, i Cesaratto, e non lo diciamo soltanto noi: lo dichiara ufficialmente la più alta autorità dello stato. Non appena l’idea della rottura dell’euro è passata dal regno della speculazione intellettuale a quello della pur remota eventualità politica, la risposta di fatto (per quanto mascherata con la burla Cottarelli) è stata lo scioglimento del Parlamento. Per tacere del riferimento “ai mercati” come fattore condizionante e ineludibile. Il secondo incarico a Conte, sembra togliere per il momento tutti d’impiccio, ma non può far dimenticare quel che si è visto.
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E’ impossibile non comprendere la natura di questo passaggio e le sue conseguenze irreversibili su tutte le forze politiche italiane. Per la prima volta, ad una esplicita richiesta popolare di inversione di tendenza (poco importa, qui, se affidata a partiti che quasi certamente non sapranno realizzarla), avanzata nella forma più “solenne” possibile, ossia come scelta elettorale, è stata esplicitamente opposta l’indiscutibile “legge” dell’Unione europea, dell’euro e della Finanza: “mercati insegneranno agli italiani come votare” ha detto il commissario europeo. Per questo, d’ora in poi, chi non sostiene la necessità della rottura dell’Unione europea e dell’euro si pone di fatto sulla linea di Mattarella, e quindi non è più semplicemente un indeciso, un ignavo, un opportunista: è un reazionario. E chi, pur sostenendo quella necessità, non prende sul serio il problema dell’ interesse nazionale, declinandolo dal punto di vista delle classi subalterne e perseguendolo con la più ampia alleanza sociale, non è più un utopista o un inconseguente: è un pericoloso sbruffone. Nessuna delle attuali o eventuali aggregazioni della sinistra radicale, ammesso che abbia un senso, può avere un minimo di efficacia se non parte dalle premesse poste dalla “crisi di maggio”. Non è più il tempo dei Varoufakis, degli Tsipras. Non è più il tempo delle lucide analisi antieuropeiste recitate in ambienti ultraeuropeisti. Non è più il tempo dell’estremismo moderato che vuole stracciare i trattati europei ma guarda caso non vuole parlare di exit. Non è più il tempo del “né con questo, né con quello”. Chi in questa crisi ha sostenuto Mattarella sta con il grande capitale transnazionale ed è suo servo. Chi ha criticato Mattarella sta invece già, di fatto, con la borghesia nazionale e con le larghissime fasce di popolo che al momento le si sono aggregate (dicono in tanti:“ abbiamo provato gli altri, ora mettiamo alla prova questi) e i cui bisogni radicali fanno sì che tutto si radicalizzi.
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Ma per continuare con lucidità sono necessarie due condizioni:
Prima di tutto, data l’attuale mancanza di credibili alternative, allo stato dei fatti bisogna modulare l’atteggiamento nei confronti del governo gialloverde. Ossia criticarlo sui punti inaccettabili, incalzarlo sugli obiettivi di redistribuzione, sostenerlo nel caso di duri attacchi europeisti (che certamente verranno più per l’ “eurofobia” che per la xenofobia), proporre, se ne siamo capaci, un più efficace modo di conflitto con l’Unione europea. Se non si fa questo si cade nell’orbita del Pd, di Berlusconi, dell’eurismo.
Ma d’altra parte, e questa è forse la cosa più importante, bisogna essere ben più radicali di Salvini e Di Maio, e quindi assumere direttamente e senza alcun dubbio la questione dell’exit come piano A. E poi elaborare, diffondere, spiegare un programma tendenzialmente socialista, ossia fondato non semplicemente su un aumento del deficit, ma sulla presenza di un nuovo apparato bancario-industriale pubblico, e sottoposto al controllo civico, che persegua direttamente la piena occupazione e l’ammodernamento tecnologico (condizione per diminuire la dipendenza del paese) e che oltretutto sia capace di far fronte, meglio di quanto riuscirebbe il semi statalismo della Lega e del M5S, alle inevitabili e dure reazioni politiche e finanziarie all’exit. Se non si fa questo si resta alla coda di Salvini e Di Maio. Senza una prospettiva socialista non si ricostruisce capacità egemonica dei confronti delle masse che hanno votato per i gialloverdi e si rischia al contrario di aumentare la presa popolare di questo governo.
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Non si tratta, al momento, né di costruire il fronte popolare, né di costruire il CLN: nell’area che viene dalla sinistra e che cerca faticosamente di creare una nuova prospettiva socialista non esiste nessuno che sia in grado di proporsi come alleato paritario (o comunque non succube) della Lega e del M5S. Si tratta piuttosto di far nascere e crescere dentro questa dura crisi politica un raggruppamento socialista che guadagni man mano capacità di direzione e di influenza politica. Sembra poco, ma nel tempo accelerato di oggi può essere molto.
Per quanto ci riguarda, insieme ad altri compagni, abbiamo iniziato a lavorare in questa direzione a Bologna, il 15 aprile scorso (sulla base di questo documento, largamente condiviso dai presenti). Continueremo a Milano il 9 giugno, a partire dalle 10, presso l’Arci di via Bellezza 16/A (ed il presente articolo è da intendersi anche come nostro contributo a quell’incontro), discutendo della fase politica, delle iniziative da prendere e del profilo organizzativo da darci. Chi si vuole unire è benvenuto. Chi vuol fare le stesse cose in altro modo sarà benvenuto domani. L’importante è capire che il 27 maggio non ha svelato solo la natura dell’europeismo, ma ha chiarito anche ai sordi e ai ciechi che la sinistra italiana (schierata in larghissima maggioranza dietro Mattarella), rotto da tempo ogni rapporto col comunismo e col socialismo è tornata ad essere quello che normalmente è: una delle frazioni politiche delle classi dominanti, generalmente legata alle industrie emergenti, ogni tanto protezionista, ogni tanto liberista, a volte progressiva, a volte, come oggi, puramente reazionaria. Comunque vada, un movimento socialista in Italia si costruirà contro la destra e contro la sinistra.
Comments
http://www.varesenews.it/lettera/la-mano-di-crozza-nella-formazione-del-governo-renziloni/
Si inizia raccogliendo le forze e si comincia ad agire.
Ma che un governo eletto in una tornata elettorale che ha raccolto il malcontento dei "cittadini", incentrato su due organizzazioni come Lega e 5S, pur volendolo (ma non ci pensa minimamente) possa operare una svolta di questo genere, non è pensabile.
Per quanto al latino gentile Sig. Barone non tema, alla attuale pars destruens seguirà anche per la pars costruens.
Saluti
Fred
Quanto all'esportazione di capitale, intendo dire che una delle cause della distruzione dei paesi da cui partono i migranti sono proprio gli investimenti capitalistici occidentali che dominano le loro economie e i loro stati (pensi alla Shell che "investe" in Nigeria. Pensi al microcredito, uno dei modi "solidali" di "aiutarli" a casa loro, che alimenta ulteriore dipendenza, sottosviluppo e conservazione per loro, e profitti per noi).
Ho l'impressione che l'"aiutiamoli a casa loro" significa mettere ancora il naso a casa loro per trarre ulteriori profitti. Secondo lei una forza come la Lega, ma in generale il sistema capitalistico, intende veramente aiutarli a casa loro?
Le liberalizzazioni che teme sono già andate in scena, fu Prodi e poi gli altri a vendere ovvero svendere.
Favori al padronato? ha già dimenticato i voucher?
Nel quadro di un maggior sostegno allo sviluppo economico e di infrastrutture nei paesi coinvolti dai flussi migratori verso l'Italia come mezzo di contrasto ai flussi migratori che il governo in carica suggerisce, cosa significa esattamente quello che lei scrive "esportazione imperialista di capitale"? Secondo me il sostegno dato dal nostro paese alle rivoluzioni e alle guerre che hanno o che stanno insanguinando quei luoghi favoriscono i flussi, anzi sono necessari alle politiche di imperialismo e neocolonialismo e quindi al capitale! Come ho già scritto, in concreto io, non avendo votato il 4 marzo non sostengo né la lega né il m5s ma piuttosto mi rallegro del fatto che chi ha fatto scempio dei diritti dei lavoratori, di chi studia, della sanità e della giustizia sia ora all'opposizione o quasi non conti più un fico secco! Come lei ho dei dubbi sulla nuova classe dirigente al potere ma già sapere che quella vecchia non c'è mi fa vedere il futuro con maggiore ottimismo.
Saluti
Fred
Quanto agli "investimenti nei paesi di provenienza in contrasto flussi migratori", si spaccia una delle cause dell'immigrazione (l'esportazione imperialista di capitale) per un rimedio, colorandolo con una maschera di aiuto e solidarietà.
E poi, questi continueranno nel quadro NATO.
Per quanto riguarda i diritti delle persone, forse si intende più attenzione ai diritti sociali rispetto a quelli civili. Ma non è contrapponendo i diritti civili a quelli sociali che se ne esce.
Non è che aiutiamo i lavoratori togliendo diritti agli omosessuali.
Questa è la classica demagogia insinuata dalla destra: false contrapposizioni e divisioni; falsi obiettivi.
Nel mio intervento precedente c'è un altro errore: "socialismo destrorso" invce che, correttamente, "sovranismo destrorso". Soliti stravolgimenti del t9.
Cordialità
Fred
Ribadisco quanto già esposto in altri interventi - 'repetita juvant' - anche a costo di stufare - 'continuata secant' - chi, come Lei, ha la gentilezza e l'interesse di leggere le mie analisi della fase politica. Orbene, la prima cosa da ripetere, giacché forse non è così scontata come dovrebbe essere tra i frequentatori di questo sito, la lucidità di alcuni dei quali sembra essere un tantino offuscata dalla polvere di pimperimpera del populismo, è che il governo Di Maio-Salvini è un governo delle classi proprietarie e sfruttatrici contro il proletariato e i popoli oppressi.
Si tratta infatti di un governo decisamente antioperaio e antipopolare, probabilmente ancora più a destra di quello che è passato alla storia come il governo più a destra nella storia della repubblica (mi riferisco al governo Tambroni del 1960). A livello delle dichiarazioni, chi rende esplicita la natura forcaiola e il programma istituzionalmente razzista di tale governo è sicuramente Salvini (tanto che lo stesso Maroni lo ha esortato ad abbassare i toni). Ma il carattere antipopolare e atlantista degli altri rappresentanti è altrettanto evidente: esponenti della Confindustria, ideologi neoliberisti, azzeccagarbugli di regime, mediatori del complesso militare-industriale, mestatori populisti (costoro sono i peggiori nemici del popolo) e, 'last but not least', un ministro dell'istruzione che, memore forse del binomio 'libro-moschetto', si propone di fare dell'educazione fisica l'asse della riforma scolastica. La verità è questa: non vi è alcun membro del governo/contratto Lega-M5S (un 'monstrum' anticostituzionale) che abbia un legame, sia pur labile, con il movimento operaio e con le migliori tradizioni della sinistra (nel criticare con la massima durezza, come è giusto, i cedimenti, i trasformismi e le capitolazioni della quale occorre fare, tuttavia, attenzione a non gettare via il bambino con l'acqua sporca). Il contratto firmato da Di Maio e Salvini, con il prof. Conte quale garante e/o esecutore, è un 'mix' di sciovinismo e autoritarismo borghese, di misure antioperaie e bellicismo, di xenofobia e repressione.
Il “contratto di governo” prevede il rafforzamento dell'industria bellica e la chiusura di fabbriche come l’Ilva, la reintroduzione dei 'voucher', il 'monstrum' anticostituzionale della 'flat tax', la riduzione generalizzata del salario e la distruzione dei contratti collettivi (attraverso il “salario minimo” per legge), la demolizione dei diritti dei lavoratori (assenti nel programma, come la sicurezza sul lavoro), il salvataggio delle banche con fondi pubblici, le stragi in mare e la detenzione nei lager per i migranti, una politica di guerra più vicina all’“interesse nazionale”.
Riguardo all'illusione che il M5S possa svolgere anche soltanto una funzione di presidio democratico-borghese, l'evidenza è inequivocabile: il M5S è la scala per l’ascesa al potere della destra xenofoba e fascista.
Ciò detto, anzi ripetuto, l'amico Fred mi pone giustamente la classica domanda: che fare? Rispondo che è necessario rilanciare da subito la mobilitazione di massa contro i licenziamenti e le misure a favore dei padroni, per la cancellazione della legge Fornero e del 'Jobs Act', contro la xenofobia e la repressione, per por fine alla politica di guerra imperialista. Il governo Salvini-Di Maio va rovesciato costruendo un vasto fronte di lotta su queste rivendicazioni di classe. Occorre dunque lanciare la parola d'ordine dello sciopero generale, in modo da orientare in una direzione precisa la resistenza delle masse e da far cadere il prima possibile nelle fabbriche e nelle piazze il governo nazionalista e populista di M5S–Lega.
Se si leggono l'articolo di Paccosi e gli avvertimenti di Azzará, si nota, in effetti, che questa posizione sovranista rischia di essere egemonizzata dagli USA, nella loro guerra commerciale contro la Germania. La quale Germania, a sua volta, è entrata in rapporti con la Cina, con le esportazioni di mezzi di produzione, e con la Russia, per un importante gasdotto. In tal modo rischiamo di fare gli utili idioti per gli USA, i quali, dopo aver favorito la nascita dell'area economica europea per mantenere un blocco antisovietico unito sotto il controllo Nato e Americano, vogliono ora disfarsene per i loro mutati interessi economici e strategici (pensano di poter controllare meglio singoli stati e una Germania indeboliti).
In sostanza, la rottura dell'euro potrebbe svolgere una funzione anticinese e antirussa, a favore del capitalismo e imperialismo USA.
Aggiungendo ciò a quanto detto da Eros Barone, è evidente che bisogna andare cauti.
Ma andare cauti non significa abbandonare la critica all'UE e spingere per la sua rottura. Non possiamo fare da supporto al polo imperialista europeo, in funzione antiUSA e proCina e proRussia. Non possiamo accettare la subordinazione alla Germania, attraverso l'UE, per contrastare l'egemonia USA pensando di favorire un polo Germania-Cina-Russia.
Tra l'altro, il conflitto USA-UE, dollaro-euro, segue delle linee tattiche di conflitto economico e di dipendenza dalla struttura politico-militare NATO (USA), che fornisce la tutela all'intero sistema imperialista e all'UE, condizionandone le velleità.
La strada è rompere l'euro e l'UE, ma anche il quadro NATO.
Come ha fatto notare Manlio Dinucci, Lega e 5S mettono in discussione l'UE ma non la NATO, a conferma di quanto detto. Non c'è da meravigliarsi. Essi esprimono la visione della piccola borghesia e di una frazione della media e alta borghesia (affine a quella trumpiana). Sul piano internazionale propongono una subordinazione agli USA-NATO. Sul piano sociale non gli concederei la minima apertura di credito, come fanno gli autori dell'articolo, convinti della necessità di qualche concessione compromissoria da parte del nuovo governo.
Per capire l'aria che tira, l'assassinio di San Ferdinando può dirci qualcosa.
Dunque, all'uscita in senso socialista occorre aggiungere l'uscita in senso antimperialista.
Ma certamente hanno ragione gli autori dell'articolo nel sostenere che posizioni moderate e mezzane non hanno spazio.
Il nostro compito è favorire una forza autonoma.
Grazie per una Sua cortese risposta e mi scusi la confusione
Cordialmente
l'importante per voi è appoggiare gli interessi delle borghesie nazionali i cui tratti comportamentali e ideologici sono fascisti.
Auguri per il vostro viaggio con Meloni, Salvini e Di Maio. Quanta intelligenza sprecata!
inter-imperialistico, dimostra anche quanto sia fallace un presupposto che noi spesso assumiamo implicitamente, e cioè che ogni 'critica' della società sia rivoluzionaria e, per converso, che ogni 'critica rivoluzionaria' sia marxista. Il che non è sempre esatto, o per lo meno non lo è sempre completamente, né in pratica né in teoria. Non sempre, infatti, la critica marxista alla società è stata, soprattutto in questi ultimi decenni, rivoluzionaria; come non sempre una critica rivoluzionaria alla società è stata marxista. Continuando a declinare il rapporto tra questi due termini, è doveroso osservare che in certi casi, ad esempio, c'era rivoluzione ma non classe operaia; in altri, c'era marxismo ma non rivoluzione, e così via. Questo intreccio di posizioni dimostra che le potenzialità rivoluzionarie sono più numerose di quante gli schemi ne abbiano indicate; ma dimostra anche la necessità, più attuale che mai, di seguire ciascuno di questi processi nel suo pratico farsi e nelle conclusioni politico-ideologiche, cui approda, senza dare per scontato che là dove ci sia movimento non ci sia bisogno di critica, o viceversa.