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linterferenza

Immigrazione: percezione, contraddizione reale, depistaggio

di Fabrizio Marchi

ambulanti abusivi spiaggia 1862473Il fatto che la domanda di contenimento dell’immigrazione se non (in parte) un’aperta ostilità nei confronti degli immigrati provenga dalla “pancia” dei ceti popolari, non significa affatto che questo “sentimento” di ostilità sia giusto e politicamente ben riposto per il solo fatto che provenga da quegli stessi ceti.

La differenza tra la destra populista da una parte e i comunisti e i socialisti dall’altra, è che la prima, a differenza dei secondi, sposa tutto ciò che arriva da quella “pancia”, tutte le contraddizioni e tutte le spinte e le controspinte di vario genere, siano esse “progressiste” o reazionarie, e le alimenta indipendentemente dalla loro natura, gettando benzina sul fuoco – perché il suo unico obiettivo è conquistare consensi purchessia – e mescolare queste spinte con quelle che provengono dai ceti medio e medio alto borghesi di cui sostanzialmente difende gli interessi.

Il populismo di destra (perché ne esiste anche uno di Sinistra, pensiamo a quello latinoamericano, ad esempio, che invece ha svolto e svolge un ruolo positivo perché non è affatto interclassista e rappresenta gli interessi delle classi proletarie e popolari e non a caso è combattuto sia dal grande capitale internazionale che dalle borghesie locali e nazionali alleate con quello), che in Italia è fondamentalmente rappresentato dalla Lega, rappresenta in ultima analisi gli interessi di quella parte di borghesia nazionale che non è riuscita (perché non ne aveva la forza e la “potenza di fuoco” economica) ad entrare a far parte del gotha del grande capitalismo transnazionale e allora si è “rifugiata” in una sorta di difesa del fortilizio, del proprio giardino di casa.

Questa difesa si traduce sostanzialmente nella richiesta di uno stato protezionistico e mercantilistico (e neocorporativo) in materia di politica economica, che appunto “protegga” le aziende (e gli interessi) della suddetta borghesia (e i suoi profitti) dall’aggressività del grande capitale transnazionale che tende strutturalmente a risucchiarle (non credo ci sia bisogno di scomodare i “grandi vecchi” per spiegare la tendenza del capitale al monopolio…).  Non tutte le borghesie nazionali, ovviamente, sposano questa linea. In America Latina, come già detto, le borghesie locali (quelle brasiliane e venezuelane in primis, che sono le più potenti in quel quadrante geopolitico) sono alleate con il grande capitale internazionale e naturalmente con gli USA dai quali prendono ordini.

In Europa la situazione è parzialmente diversa perché, appunto, una parte delle borghesie locali non sono riuscite a stare al passo con quello che viene definito il “processo di globalizzazione capitalista” dal quale sono state relativamente marginalizzate, sia dal punto di vista economico che politico, e sono penalizzate dal grande capitale finanziario che oggi si incarna nell’UE. In fondo, siamo in presenza di una sorta di “conflitto di classe” fra questa parte di borghesia nazionale e il grande capitale internazionale. Naturalmente, questa borghesia locale, ha necessità, in questa fase storica, di avere l’appoggio dei ceti popolari colpiti, in primis, anch’essi (molto più, di quanto non lo sia la borghesia…), dall’aggressione del grande capitale che si concretizza nelle politiche di austerity forzata e neoliberiste dell’UE.  Il compromesso, fra gli altri, che rende possibile questa alleanza è proprio la chiusura e l’ostilità nei confronti degli immigrati. Questa borghesia locale si guarda bene, ovviamente, dallo spiegare ai ceti popolari che l’immigrazione è una delle inevitabili e strutturali conseguenze dello “sviluppo” capitalistico che da sempre ha necessità del famoso “esercito industriale di riserva” che serve come strumento di pressione e di ricatto sui lavoratori stabilmente occupati. Del resto anche lei se ne è sempre servita, fin dai tempi in cui masse di meridionali emigravano al nord, sia successivamente quando un discreto numero di immigrati stranieri sono stati inseriti nel circuito produttivo. Non tutti, ovviamente, sia nell’uno che nell’altro caso, altrimenti sarebbe venuta meno la funzione dell’ ”esercito industriale di riserva”. Un certo numero di quei lavoratori immigrati (autoctoni e/o stranieri) deve restare senza lavoro perché in questo modo i lavoratori occupati restano in una condizione di costante ricatto. E’ una delle leggi elementari che sono alle fondamenta dell’economia capitalista.

Naturalmente, neanche la cosiddetta “sinistra” politicamente corretta, liberal o radical che sia, si è perigliata di spiegare ai ceti popolari le cause strutturali dell’immigrazione, limitandosi ad un atteggiamento “buonista”, caritatevole e genericamente solidaristico nei confronti degli immigrati. Non c’è da stupirsi, naturalmente. Questa “sinistra” (che in Italia si incarna nel PD e negli insignificanti cespugli alla sua “sinistra”) ha da tempo rotto ogni rapporto con una visione di classe, socialista e comunista della realtà diventando organica, politicamente e ideologicamente, al grande capitale e all’UE, e non è nelle condizioni di spiegare le ragioni strutturali del fenomeno dell’immigrazione. Se lo facesse verrebbe meno al ruolo che le è stato attribuito, quello cioè di garante della governance per conto appunto del grande capitale e dell’UE a trazione tedesca, che lei stessa ha fatto di tutto per ricoprire.  Fedele alla linea e al compito che le è stato assegnato, copre ideologicamente quello che è un gigantesco processo di sradicamento sociale planetario (fondato – non dimentichiamolo – sulla guerra imperialista e neocolonialista permanente ai danni di quegli stessi paesi e di quegli stessi popoli dai quali inevitabilmente prende corpo il fenomeno dell’immigrazione) finalizzato a moltiplicare quell’ esercito industriale di riserva a cui facevo cenno poc’anzi e a renderlo sempre più docile (perché sotto costante ricatto anch’esso). La presunta solidarietà, dunque, espressa da questa “sinistra” nei confronti degli immigrati non ha nulla a che vedere con una sacrosanta solidarietà di classe (cioè tra oppressi e sfruttati, indipendentemente dalla loro provenienza, appartenenza etnica e tanto meno pigmentazione della pelle), ma con un atteggiamento “buonista” che è soltanto la coperta ideologica che serve a giustificare quel processo di cui sopra.

Ora, come dicevo all’inizio, a differenza della destra populista, i socialisti e i comunisti non fanno proprie e non alimentano le contraddizioni in seno al popolo (e lo scontro fra lavoratori autoctoni e immigrati è senza dubbio una di quelle) bensì cercano di affrontarle, di governarle e di risolverle in senso appunto socialista.  E’ importante ricordare che tra gli anni ’50 e ’60 in Italia (ma anche in Europa) ci fu un gigantesco fenomeno migratorio che vide masse di uomini e donne meridionali (milioni e milioni…) riversarsi nel nord Italia (e anche allora, lo ricordo bene, si parlava di “invasione”) in cerca di lavoro e di una esistenza più dignitosa. Quel fenomeno non fu affatto indolore e provocò fortissime lacerazioni, anche in seno alla stessa classe operaia del nord. Forse ora molti non lo sanno ma è bene ricordare i famosi cartelli che venivano appesi fuori dai palazzi a Torino e a Milano in cui si scriveva “Affittasi ma non ai meridionali”, che ricordavano quelli che venivano appesi fuori delle legazioni occidentali e giapponesi in Cina (prima della benemerita rivoluzione maoista che pose fine a tale scempio e cacciò le potenze straniere dal paese) dove c’era scritto “Vietato l’ingresso ai cinesi e ai cani”. Qualcuno obietterà che i meridionali erano italiani e non stranieri. Dal mio punto di vista è ovviamente una obiezione priva di fondamento perché non distinguo certo gli esseri umani in base alla loro provenienza etnica o geografica, ma è bene sottolineare che in quegli anni tra i ’50 e i ’60 tra un immigrato calabrese, pugliese o napoletano da una parte e un milanese o un torinese dall’altra, c’era la stessa identica distanza culturale, di usi, costumi e linguaggio, che c’è oggi tra un immigrato maghrebino, africano o asiatico e un italiano. E chi lo nega è in malafede.

Quelle contraddizioni non esplosero non solo perché c’era lavoro in relativa abbondanza (l’esercito industriale di riserva è sempre esistito e sempre esisterà in un qualsiasi contesto capitalistico…), ma soprattutto perché esisteva ancora un movimento operaio, socialista e comunista, in grado di esercitare egemonia e di governare e risolvere quelle contraddizioni. I partiti comunisti e socialisti – sebbene non fossero di certo rivoluzionari (anche il PCI era in via di “socialdemocratizzazione”) – mantenevano però una visione di classe, erano fortemente radicati fra le masse e seppero affrontare, governare e risolvere quelle “contraddizioni in seno al popolo” spiegando ai lavoratori e ai ceti popolari del nord che gli immigrati non erano nemici ma solo dei lavoratori e degli sfruttati come loro, e che si doveva lavorare e lottare uniti contro i veri padroni, e non farsi la guerra. Se non ci fossero stati quel movimento operaio e quel grande Movimento Comunista e Socialista in grado di esercitare quel ruolo e di spiegare alle masse come stavano le cose, non so come sarebbe andata a finire, ed è assai probabile che avremmo assistito a conflitti anche devastanti, dal momento che l’impatto di milioni di immigrati meridionali in uno spazio relativamente piccolo (le città del nord Italia) e in un lasso di tempo molto breve era, a mio parere, anche più forte di quello dato oggi dal fenomeno migratorio diluitosi in tutto il paese e in tutto il continente europeo (quindi in uno spazio molto più ampio) e in un lasso di tempo molto più lungo. E’ bene ricordare che l’afflusso massiccio di immigrati negli ultimi anni è stato causato dalle devastanti guerre imperialiste mosse alla Libia e alla Siria, quindi sarebbe giusto e coerente prendersela con chi ha provocato quelle guerre, cioè la NATO e l’UE e non con chi da quelle guerre e da quelle condizioni di sfruttamento e povertà è in fuga.

Questo è quello che dovrebbero fare i socialisti e ci comunisti, se esistessero ancora. Siccome però non esistono più, le masse popolari, del tutto sprovviste di coscienza di classe, incapaci di produrre una autonoma narrazione politica e giustamente schifate da una pseudo “sinistra” di cui hanno ormai capito la reale natura, finiscono per essere inevitabilmente preda del populismo di destra. Il quale non ha, ovviamente, nessuna reale velleità di classe, anticapitalista e antimperialista (altrimenti non sarebbe tale…) e si guarda bene dal portare avanti, al di là delle chiacchiere, una vera battaglia contro l’Unione Europea e tanto meno la NATO. Del resto, quella borghesia locale e nazionale che quel populismo di destra rappresenta non ha nessuna vera intenzione di rompere con i “mercati” (figuriamoci…) e fondamentalmente neanche con l’UE con la quale vuole solo rinegoziare alcuni questioni. Non è un mistero che l’attuale governo legastellato sia stato “benedetto” dall’attuale amministrazione USA che nella fase attuale è in competizione con la Germania e gioca al “divide et impera” in ambito europeo per impedire il rafforzamento dei rapporti economici e commerciali (e quindi anche politici) con la Russia e in prospettiva anche con la Cina. Cose che non si dicono ma si sanno a meno di non prendere come oro colato le veline che ci vengono propinate dai tg dei media ufficiali …

Il M5S, all’interno di questa alleanza populista gioca un ruolo diverso, perché, a differenza in parte della Lega, rappresenta anche legittime esigenze popolari di protezione e sicurezza sociale, il che non cancella la sua natura ideologicamente interclassista (anche il PCI era un partito interclassista in quanto a composizione sociale ma non lo era ideologicamente e la classe operaia, per lo meno fino ai primissimi anni ’70, era ancora in grado di esercitare una certa egemonia politica). E’ per questo che prima o poi le legittime spinte sociali (salario, reddito di cittadinanza, sicurezza del lavoro e contrasto al precariato) che esso si è comunque in questa fase trovato, a torto o a ragione, a rappresentare, potrebbero entrare in conflitto con gli interessi di quella borghesia locale che costituisce il blocco sociale trainante di questa alleanza nonché lo zoccolo duro della Lega e quindi anche a costituire un fattore destabilizzante all’interno della neo compagine di governo. Ma questo è un altro discorso che richiede una riflessione ad hoc che farò prossimamente.

Un’ultima considerazione che potrebbe sembrare contraddittoria con quanto appena detto e probabilmente, almeno in linea teorica lo è. Però sono convinto che ciò che conta è la prassi, l’effettiva e concreta determinazione delle cose.

Ora, se è senz’altro vero che oggi gli immigrati costituiscono potenzialmente quell’esercito industriale di riserva funzionale a mantenere i lavoratori autoctoni più o meno stabilmente occupati in una condizione di pressione e di ricatto, tuttavia non c’è alcun dubbio – lo dice la realtà e non il sottoscritto – che fino ad ora non si è mai, e dico mai, verificato un conflitto fra lavoratori autoctoni e immigrati sul lavoro e per il lavoro. Mai. Tutti i conflitti, peraltro molto limitati rispetto alla narrazione prodotta da una parte dei media di regime (quelli controllati dalla destra) sono stati e sono di natura territoriale, quasi “tribale” e il più delle volte gonfiati mediaticamente, come alcuni episodi accaduti ad esempio a Roma dove i fatti reali sono stati scientemente deformati. E’ il caso del Tiburtino dove un immigrato etiope tempo fa fu accoltellato non è ancora ben chiaro da chi per poi essere accusato di aver aggredito un bambino e molestato una donna.   La qual cosa (del tutto inventata) ha provocato la reazione di alcuni abitanti del quartiere e l’intervento della “volante nera”, cioè di “quei bravi ragazzi” di Casapound (ammanicati con la peggiore criminalità organizzata romana) la cui attività principale è quella di fare scorribande contro gli immigrati per “difendere gli italiani”.

Naturalmente, ciò non significa che anche fra gli immigrati non ci sia chi delinque, ma questo è tutt’altro discorso che riguarda la più che legittima esigenza di sicurezza da parte delle persone (tutte, autoctone e immigrate) e non ha specificamente a che vedere con la presenza degli immigrati. E’ bene sottolineare che la criminalità organizzata in Italia è prevalentemente autoctona (mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona), controlla pezzi interi di territorio e organizza decine e decine di migliaia di persone. Poi ci sono anche le mafie straniere che agiscono sul territorio nazionale (penso a quella russa, ad esempio) ma quella legata alla presenza degli immigrati (come quella nigeriana) è sicuramente marginale rispetto alle altre (il che non significa che non debba essere combattuta con la stessa determinazione).  Dopo di che esiste anche una violenza spicciola, agita da alcuni immigrati, così come esiste quella agita da alcuni autoctoni. Ma, anche in questo caso, come vediamo, la questione è quella della sicurezza, della prevenzione e della repressione della violenza e della criminalità, e non ha nulla o solo in parte (nel senso che su milioni di persone immigrate è fisiologico che ci sia chi delinque…) a che vedere specificamente con l’immigrazione. L’equazione immigrazione/criminalità è, dunque, chiaramente una forzatura politica e ideologica.

Vediamo ora quegli aspetti “tribali” a cui facevo cenno sopra perché la questione è assai più complessa di quanto possa sembrare. Lo farò con un esempio di vita vissuta e di esperienza empirica. Del resto sono un empirista convinto, da sempre sostengo che in tema di “scienze sociali” quelli che hanno fatto vera scienza si contino sulle dita, forse, di un paio di mani, e che non c’è nulla di più vicino al vero dell’esperienza diretta, naturalmente confrontata e confutata con quella degli altri, altrimenti si scivola nel soggettivismo.

Il sottoscritto, che non vive a Beverly Hills né tanto meno a Vigna Clara o ai Parioli, abita in quartiere piccolo e piccolissimo borghese come tanti altri che si trova proprio davanti ad un parco. Alcuni anni fa, per circa due anni, un gruppo di immigrati ha dormito sotto un grosso albero, proprio davanti a casa mia, d’estate, d’inverno, sotto la pioggia, la grandine o il sole battente. Non hanno mai dato fastidio a nessuno e non hanno mai commesso alcun reato, al più hanno rubato un paio di biciclette ma non è neanche sicuro che siano stati loro. Personalmente, nutrivo un moto spontaneo di solidarietà nei loro confronti, provando ad immedesimarmi (senza riuscirci) nella loro miserabile condizione. Nel mio stesso palazzo e in quello accanto, c’erano altri condomini che invece hanno cominciato a rumoreggiare, a chiamare la polizia municipale senza nessun motivo se non per ragioni di “decoro”, invocando al “Non se ne può più, è uno schifo, fanno la pipì davanti a tutti, il quartiere si degrada, le case si deprezzano” e in procinto di dare vita ad un “comitato di cittadini”, sul tipo di quelli che tutte le sere o quasi vanno in onda su una becera trasmissione di Rete 4 di cui non faccio il nome per ragioni di decenza. Da rilevare che il quartiere è stato degradato per decenni, dal momento che quel parco, il Parco della Caffarella, è stato per molto tempo una sorta di deposito di armi per la malavita organizzata e gruppi estremisti di destra, nonchè luogo di spaccio e consumo massiccio di droga. Molti giovani venivano anche trovati morti con una siringa in vena e il tutto si risolveva con un trafiletto di due righe (due) sulle cronache locali, tanto il fenomeno era diffuso. Nessuno però, mai si è preoccupato in quegli anni di dare vita ad un “comitato di cittadini indignati”. Al contrario, la presenza di un, peraltro ridotto, gruppetto di immigrati, ha invece aperto le cataratte di quelli che “proprio non se ne può più, è ora di farla finita”. Gli stessi, naturalmente, che abbozzano tutti i giorni i rimbrotti del capoufficio (che se potessero squaglierebbero nell’acido muriatico), che pagano zitti e mosca la rata di Equitalia maggiorata con interessi degni del peggiore strozzino della camorra e la rata del mutuo della casa che fingono essere di loro proprietà ma in realtà è della banca che gli ha “prestato” i soldi e che li tiene per le palle per una vita intera. Difficile ribellarsi al sistema, molto più facile prendersela con il gruppetto di immigrati che dorme sotto l’albero. Ma questo lo sappiamo già; la miseria umana è forse superiore a quella della filosofia…

Cosa voglio dire? Voglio dire che c’è un problema di PERCEZIONE diversa dello stesso fenomeno e che varia da persona a persona.  Ma qual è l’impatto reale di quello stesso fenomeno sulla vita delle persone, al di là e oltre la percezione? Personalmente (ma anche per qualcun altro), l’impatto reale di quel gruppetto di immigrati sulla mia vita era pari allo zero. Per altri, nella mia stessa identica condizione economica, sociale e abitativa, sembrerebbe invece che fosse molto alto.  Qual è la realtà vera al di là delle singole percezioni? Fondamentale ricordare che nel mio stesso quartiere, l’Appio Tuscolano, sono migliaia e migliaia gli immigrati che vivono e lavorano più o meno regolarmente e che non procurano fastidio a nessuno.

Ora, non sono uno scienziato sociale (figuriamoci…) né ambisco ad esserlo, ma ho la presunzione di essere un attento e lucido osservatore della realtà (e Roma è una città campione da questo punto di vista, la metropoli italiana per eccellenza, a metà strada fra Napoli e Milano) e credo di poter affermare con un margine di sicurezza decisamente alto che il problema della presenza degli immigrati sia legato in larga parte ad una questione di percezione più che di impatto reale. Certo, ci sono quartieri dove la presenza di immigrati è massiccia e questo talvolta crea indubbiamente dei problemi di convivenza che nessuno intende negare. Ma non mi sembrano tali da giustificare il clima di emergenza che si è costruito e che è stato in larga parte costruito e alimentato e sulle quali alcune forze politiche hanno costruito le loro fortune. Mi sembrano, in tutta sincerità, ben altre le emergenze e resto convinto che l’emergenza immigrazione sia in gran parte un depistaggio.

In conclusione, mi rivolgo soprattutto ai miei amici scienziati sociali, intellettuali (senza virgolette…) e teorici e analisti della complessità chiedendogli di interpretare la realtà non sulla base dei libri letti ma sulla base della realtà concreta.  Cosa ne pensate? Ne vogliamo parlare? La discussione è aperta e, per quanto mi riguarda, non pretendo di essere portatore di nessuna verità. Però mi pare che le questioni messe sul piatto non siano così peregrine e mero frutto della mia fantasia.

In ultimo rivolgo un appello ai sovranisti di destra, ai vetero e neo reazionari, ai complottisti, ai teorici del fantomatico “piano Kalergi” e a quelli “che la causa di tutto è da individuare nelle ONG che lucrano sul traffico di immigrati”. Che ci siano ONG che lucrino sul traffico degli immigrati è scontato, del resto siamo in un sistema capitalista dove TUTTO è mercificato e quindi è ovvio che ci sia anche chi specula sugli immigrati camuffandosi da salvatore di vite. Ma non c’è alcun dubbio che il fenomeno dell’immigrazione sia strutturale al sistema capitalista, al di là di quelle ONG taroccate e dei Soros che ci mettono lo zampino (e ce lo mettono).

Evitate, dunque, per favore, di aprire querelle interminabili perché tanto non vi rispondo, non perché vi snobbo, sia chiaro, ma semplicemente perché sono cose di cui abbiamo dibattuto fino allo stremo delle forze e sulle quali nessuno riuscirà a convincere l’altro per la semplice ragione che i nostri approcci sono troppo distanti per poter arrivare ad una sintesi condivisa.

Comments

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Eros Barone
Friday, 22 June 2018 21:25
Caro Fabrizio, il problema del ruolo degli intellettuali in un processo rivoluzionario, come ben sai, è stato al centro delle riflessioni e delle indicazioni di Marx, Engels, Lenin, Stalin, Gramsci ecc. In merito al comportamento di certi 'uomini di legno' condivido le tue fini osservazioni e mi rifaccio, da un punto di vista teleologico, ad un'equazione del Sessantotto e dintorni, che considero ancor oggi fondamentale: 'rrr = rrm' (rendere rivoluzionari i rivoluzionari per rendere rivoluzionarie le masse). Nelle file del movimento di classe non può esservi spazio né per il solipsismo autoreferenziale né per la "boria dei dotti" (o presunti tali). Come sosteneva Ernesto Che Guevara, la rivoluzione ha bisogno di "intellettuali brillanti e onesti".
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Fabrizio Marchi
Friday, 22 June 2018 11:11
Caro Eros, diciamo che sei molto diplomatico. Molto spesso c'è un fossato profondissimo tra ciò che una persona professa e ciò che una persona realmente è. Un esempio già l'ho portato (Fusaro) ma ne avrei potuti portare molti altri. Non conosco di persona Azzarà e quindi il mio giudizio è parziale ma il suo modo di porsi, per lo meno quando scrive i suoi articoli e soprattutto quando si rivolge altri altri è inaccettabile, una miscela di supponenza, arroganza e dogmatismo. Naturalmente chi non è d'accordo con lui o chi esprime delle critiche o esplora dei territori che fuoriescono dal suo seminato, cioè da un marxismo dogmatico (e per nulla dialettico), viene immediatamente bollato come "rozzobruno" o altri simili epiteti. Da questo punto di vista, il comportamento di Azzarà è del tutto simile a quello della "sinistra" politicamente corretta, liberal o radical che sia, che scomunica chi non è allineata al suo pensiero come appunto rossobruni, reazionari, maschilisti, fascisti, ecc. ecc. Tempo fa, non ricordo in quale occasione, su facebook un comune amico aveva condiviso un mio articolo e lui ha commentato dicendogli che doveva selezionare le sue amicizie altrimenti gli avrebbe tolto l'amicizia, perchè lui non può essere amico di chi è amico con un rossobruno (che sarebbe il sottoscritto, secondo il suo misero setaccio...). Non ricordo neanche quale fosse l'articolo (forse sul femminismo - tema tabù - ma non ne sono sicuro...). Proprio questo atteggiamento arrogante, dogmatico e spocchioso - caratteristico della "sinistra" politically correct e di alcuni sedicenti intellettuali marxisti - è ciò che ha contribuito in misura determinante a spingere la gente verso i vari populismi e comunque ad allontanarla dalla Sinistra, che ormai non esiste di fatto più. Invece di prendercela con la gente "normale" e denigrarla, insultarla e dipingerla con i colori più cupi, sarebbe molto più utile un bel bagno di umiltà e capire dove, come e perchè si è sbagliato (tantissimo...). E per fare questo bisogna liberarsi di tanta zavorra, provare ad aprirci ad una riflessione a 360 gradi e soprattutto affrontare tutti i temi, soprattutto quelli considerati tabù inviolabili...Una cosa è certa; uno come Azzarà non lo potrà mai fare, perchè ilruolo che si è "conquistato" lo deve proprio al suo essere in quel modo.... Per cui facesse l'accademico (per meriti intellettuali, naturalmente...) ma non ci rompesse i maroni, come si suol dire, e abbassasse la cresta anche sul web. In genere quelli come lui dal vivo smussano di parecchio gli aspetti più spigolosi del loro carattere...
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Eros Barone
Friday, 22 June 2018 01:15
Ho letto gli autoschediasmi di Azzarà e li ho, in parte, apprezzati. Noto però che è incapace di interagire con i commenti che vengono svolti e con le obiezioni che gli vengono mosse. Sarà un materialista, ma è assai poco dialettico...
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Fabrizio Marchi
Tuesday, 19 June 2018 14:04
Caro Mario, il fatto che una persona sia saccente, arrogante, intollerante e dogmatica, non significa che non possa talvolta dire anche cose giuste…
Dopo di che una cosa è Losurdo e un’altra i suoi “nipotini”… Non è detto che gli allievi siano sempre all’altezza dei maestri, anzi, molto spesso non è così. Potrei portare tanti esempi ma oggi quello più conosciuto è senz’altro quello di Fusaro, allievo di Preve. Si può condividere o meno, averne le opinioni più disparate ma non c’è dubbio sul fatto che Preve fosse un filosofo di razza. La stessa cosa non mi sento di dirla di Fusaro che sarà pure un grande “animale mediatico” ma certamente non è all’altezza del suo maestro, neanche un po’…(soprattutto sul piano umano, oltre che teoretico…).
C’è anche da dire che molto spesso (è umano, troppo umano…bisogna capire…) i maestri si lasciano sedurre dagli allievi, specie i più brillanti, salvo poi riconoscere a posteriori (quando è troppo tardi) l’errore commesso.
L’essere comunisti, inoltre, a mio parere, non significa solo essersi studiati tutti i “sacri” testi di Marx, ma anche e soprattutto porsi in un certo modo rispetto alla realtà e alle persone. A mio parere il materialismo dialettico di Azzarà è dogmatico e il suo modo di porsi è da intellettuale piccolo borghese con la puzza sotto il naso. Non è di questa gente che abbiamo bisogno oggi…Però, come ho già detto, queste sono solo opinioni personali che nulla hanno a che fare con il dibattito politico e filosofico-politico…
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Mario Galati
Tuesday, 19 June 2018 12:38
L'essenza umana "ha la sua base nella natura", non "hanno...". Scusate l'errore.
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Mario Galati
Tuesday, 19 June 2018 12:35
Nella concezione marxista natura e cultura non sono separate e si fondono nella storia. L'essenza umana, o l'essere dell'uomo, come complesso di relazioni sociali che si sviluppano nella storia hanno la loro base nella natura. Ma il rapporto natura, cultura e storia è più complesso di quanto non ci appaia a prima vista. In genere, tendiamo ad attribuirgli dei confini ben definiti e certi che ricaviamo dall'esperienza empirica; ma io non mi sento sicuro dei nostri giudizi, tranne che sugli istinti tendenti a soddisfare i bisogni vitali fondamentali.
Quanto ad Azzará, è della scuola di Domenico Losurdo, che io ritengo fondamentale, uno dei pochi contributi originali attuali, per capire e valutare ciò che avviene. Capire i meccanismi delle democrazie "herrenvolk", con le sue delimitazioni variabili, cooptazioni ed esclusioni, ci può far capire molto anche della fase attuale e dei cosiddetti populismi di destra (in particolare del rapporto con l'immigrazione). Ciò che a proposito scrive Azzará in una sua nota, pubblicata anche su questo sito, lo trovo giusto e decisivo.
Dobbiamo stare attenti a non fare involontarie concessioni a certe forze reazionarie.
Può anche dare fastidio lo stile polemico e senza sfumature delle sue asserzioni. Io lo leggo con gusto, anche se non sempre condivido i giudizi tranchants sulle posizioni di alcuni compagni accusati di rozzobrunismo.
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Fabrizio Marchi
Monday, 18 June 2018 23:30
Il concetto di identità nazionale e culturale di cui parlo io non ha nulla a che vedere con la terra e il sangue...quello è un nazionalismo ovviamente reazionario, direi anzi apertamente razzista ed esclusivista...
Come ho già detto in un precedente commento però, separare natura e cultura per me non ha senso, è ovvio che una determinata identità culturale e nazionale si sviuluppa anche in un determinato contesto fisico, geografico e ambientale. E' evidente che l'identità di un indios dell'Amazzonia sarà diversa dalla mia e dalla nostra per tante ragioni di ordine sia naturale che culturale, e queste diverse identità (che devono convivere in modo pacifico ed egualitario) devono essere difese e salvaguardate da un processo di omologazione e omogeneizzazione capitalistica che ovviamente ha colpito e sta colpendo soprattutto quelle identità più "deboli" per imporre il nostro "way of life" (che poi è quello anglosaxon e americano). Per ribadire questo non c'era secondo me nessun bisogno di citare Azzarà che farebbe bene a fare un bel bagno di umiltà, visto che si considera una sorta di depositario della scienza marxista e bolla tutti quelli che non la penaano come lui come "rozzobruni"....Ma quest'ultima è solo una considerazione di carattere del tutto personale. Ciascuno è libero di scegliersi le sue relaizoni e le sue amicizie...
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Mario Galati
Monday, 18 June 2018 19:25
La cultura e l'identità nazionali sono importanti. Sono internazionalista e gramsciamo, non cosmopolita da McDonald o da turista coatto, per quanto riguarda i poveracci, tabula rasa ideale per l'uniformità dei consumi, o da ricco, colto e "tollerante" viaggiatore, per quanto riguarda la borghesia che conta.
È la cristallizzazione della cultura e dell'identità, astratte dalla loro storicità e naturalizzate, che sconfina nella reazione e surroga il razzismo biologico.
Il differenzialismo etnico-culturale in voga, apparentemente progressista, è antiuniversalista e sostituisce spesso le barriere razziali.
Sono d'accordo con Azzará che all'universalismo immediato e al particolarismo occorre contrapporre l'universalismo mediato e dialettico, l'internazionalismo.
L'unificazione del genere umano non va bene sotto il dominio del capitale, perché è solo omologazione e appiattimento sotto rapporti di dominio. Quindi, non è vero universalismo.
Ma l'unificazione del genere umano, sotto forma di stato mondiale dei lavoratori, come diceva Gramsci, è l'obiettivo del socialismo. Ciò avviene sotto forma internazionale, non cosmopolita e immediata, dei lavoratori.
La questione nazionale, per es. nella decolonizzazione, ha avuto un'importanza fondamentale nel movimento comunista. Ma, intrecciata alla questione di classe, non deve scadere in nazionalismo reazionario.
Dobbiamo stare attenti a non scivolare in questo errore. Su questo sono d'accordo con Azzará, anche se il suo monito sembra rivolto in modo indistinto, come hai avuto modo di rilevare.
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Fabrizio Marchi
Monday, 18 June 2018 15:22
Un precisazione importante però, Mario. La questione dell’identità culturale di un popolo non va interpretata e declinata solo in termini reazionari. Sarebbe un errore grave. Tutti i movimenti nazionali di liberazione anticolonialisti e antimperialisti hanno sempre fatto leva sulla difesa della propria cultura e identità, proprio perchè l’imperialismo - che non è solo economico, militare e politico, ma anche ideologico e culturale - puntava a distruggere l’identità culturale di quegli stessi popoli. Oggi il capitalismo ormai dominante a livello planetario deve ridurre il mondo ad un gigantesco Mc Donald, dal Polo Nord alla Papuasia, e quindi è ovvio che per fare questo deve distruggere anche le identità culturali dei popoli per omogeneizzarli e uniformarli all’ideologia capitalista. Certo, l’ideale è quando questa identità culturale si sovrappone alla coscienza di classe (che è anch’essa un forma di identità…), questo è accaduto in alcuni contesti, a Cuba, in Vietnam, in Angola e per un certo periodo in parte anche in Palestina. Spesso però non è stato così e non è così, e i movimenti di liberazione nazionale si sono declinati non in termini di classe e socialisti ma nazionalistici. Questo però non significa affatto che siano necessariamente reazionari.
Per cui, anche da questo di vista, bisogna fare attenzione e fare i necessari distinguo. La parola stessa “identità” a sinistra fa drizzare immediatamente i capelli anche a chi non li ha. Ma anche questo è un grave errore figlio della “sinistra” politicamente corretta. I comunisti hanno sempre (giustamente) sostenuto le lotte di liberazione nazionale, anche quando non erano guidate da forze comuniste e socialiste, e non si sono mai scandalizzati del fatto che quelle stesse lotte facessero leva sull’orgoglio nazionale (pensiamo anche oggi a Cuba dove l’orgoglio nazionale è il collante che tiene in piedi il paese…) e sulla storia, gli usi, i costumi e le tradizioni dei popoli che l’imperialismo cercava di sradicare proprio tentando di distruggere le loro culture.
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Fabrizio Marchi
Monday, 18 June 2018 14:47
Sono sostanzialmente d'accordo con Mario Galati. Nel merito due miei vecchi articoli dove sostengo di fatto la stessa tesi: http://www.linterferenza.info/editoriali/una-considerazione-scabrosa/
e http://www.linterferenza.info/editoriali/allarmi-son-fascisti/
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Mario Galati
Monday, 18 June 2018 12:11
Nella sostanza non mi trovo in opposizione con quanto detto da Marchi. Ho solo detto che la questione antropologica è per me secondaria e subordinata a quella economico-sociale e politica. Questa percezione istintiva diffidente e ostile è naturale soltanto nel quadro di contraddizioni attuale e in assenza di organizzazioni di massa in grado di contenerle entro limiti corretti e reali. Non so se in una situazione di benessere e sicurezza economico-sociale scatterebbe ugualmente l'istintiva diffidenza. Quel che è certo è che sarebbe contenibile entro limiti accettabilissimi e rimarrebbe allo stato latente ed embrionale.
La questione territoriale è comunque originata dall'insicurezza. Basti osservare come questa diffidenza e ostilità non scatti nei confronti degli stranieri ricchi. In un paese vicino al mio hanno costruito un piccolo quartiere per danesi benestanti e nessuno ha percepito ostilità e diffidenza o gridato all'invasione, o ha pensato alla comunità ghettizzata. Anzi, la cosa era ben vista come occasione positiva.
Alla stessa base del razzismo ci sono la gerarchizzazione e lo sfruttamento, necessità di origine socio-economica, non naturali. Lo stigma razziale colpisce sempre strati sociali inferiori o coloro che rientrano nello stereotipo esteriore storicamente consolidato su quella base (il nero, per es., anche se ricco).
Per il resto, condivido le considerazioni realistiche di Marchi. Non ho nessuna visione romantica e trasfigurante (e postmoderna) della differenza, delle minoranze, delle "culture", ecc.
Sarà che che sono di estrazione popolare e certi ambienti non mi sono estranei.
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Fabrizio Marchi
Sunday, 17 June 2018 11:20
Caro Mario, a mio parere, la questione è sia di ordine ideologico/culturale che antropologico, perchè gli esseri umani – e questa è la loro specificità – sono esseri naturali e culturali nello stesso tempo ed è impossibile separare questi due aspetti. Fin da quando i nostri antenati scesero dagli alberi iniziò il processo culturale.
Per cui, per come la vedo io, questa separazione netta fra cesura e cultura che operano le vulgate sia di destra (“ontologista”, per cui nulla può cambiare e tutto è immutabile perché la natura umana è quella che è ed è immutabile) che di sinistra (tutto è cultura per cui tutto può essere plasmato) è un grande errore. Non solo, entrambe le vulgate (nulla può mutare e tutto può mutare) portano inevitabilmente a concezione politiche inevitabilmente dispotiche, anche se in forme diverse. Ma questo è un discorso ancora più lungo e complesso che ci porterebbe assai lontano e che tuttavia va affrontato. Viene rimosso più o meno da tutti, anche e soprattutto a “sinistra” e anche e soprattutto dai marxisti, purtroppo. Devo dire che sono tanti, troppi, gli aspetti che i marxisti ancora rimuovono o non prendono in considerazione, e questa rimozione o indifferenza dal mio punto di vista è grave perché se era tutto sommato comprensibile che questi aspetti di natura antropologica, psicologica, sessuale fossero ignorati 150 anni fa, oggi non lo è più.
Tornando alla questione in oggetto, ribadisco che l’ostilità e il potenziale conflitto (per lo meno in Italia) nei confronti degli immigrati ha secondo me poco a che vedere con il razzismo e molto più con questioni di ordine “territoriale” e quindi tribale. Per dirla con una battuta, non è il colore della pelle il problema ma la convivenza nello stesso territorio con altre persone percepite come estranei. E quindi questa percezione diventa psicologicamente destabilizzante. Nel momento in cui poi viene alimentata e pompata ad arte, è ovvio che si ingigantisca sempre di più.
Di natura invece completamente diversa il “conflitto” con i rom e gli zingari nel complesso. Qui il razzismo non c’entra veramente nulla. E in questo caso il “buonismo” ipocrita e politicamente corretto della “sinistra” ha fatto ancora più danni. Dobbiamo dirci chiaramente che la tradizione e la cultura nomade non esistono più da decenni, e la difesa ideologica di questa presunta cultura (che non esiste più…) diventa soltanto nei fatti la copertura e la giustificazione ideologica di comportamenti e di una prassi di vita delinquenziale, spesso anche molto grave, come ad esempio, fra gli altri, educare ed addestrare i bambini e le bambine a rubare, e naturalmente ad agire in modo violento nei loro confronti qualora non portino a casa il risultato. I campi rom sono situati sempre nelle borgate e nei quartieri popolari periferici, ed è ovvio che questo generi problemi, perché se vai a rubare a casa della gente o agisci in modo violento è ovvio che poi questa reagisca in modo altrettanto violento (che non voglio giustificare ma solo capire…), ed ecco che a quel punto scatta inevitabilmente la guerra fra poveri. Sono anche queste contraddizioni che una SINISTRA seria dovrebbe saper gestire e una volta, in effetti, era in grado di farlo. Perché negli anni ’60, quando i partiti comunisti e socialisti, che non erano rivoluzionari ma avevano ancora, tutto sommato, una visione di classe ed erano radicati fra le masse, queste contraddizioni venivano governate e gestite, perché si sapeva parlare sia agli uni che agli altri. E non lo si faceva con il “buonismo” ipocrita politicamente corretto ma con un uso sapiente della dialettica ma anche della forza (concetto ben diverso dalla violenza…). Non solo, anche in ambito rom ci sono contraddizioni di classe enormi. Pensiamo alla famosa famiglia Casamonica, un clan criminale e ricchissimo, peraltro ammanicato con la destra, sia quella estrema neofascista che quella liberal-liberista di Forza Italia.
Quello che voglio dire è che solo un approccio autenticamente di classe, marxista e socialista, può risolvere queste contraddizioni che proprio la “sinistra” politically correct, liberal o radical che sia, ha contribuito (anche se può sembrare paradossale) ad esasperare.
Questioni lunghe, complesse e contraddittorie ma proprio per questo non procrastinabili. Ci si doveva pensare molto, molto prima, prima cioè che queste contraddizioni, non gestite e non governate da un punto di classe, diventassero il bordo di coltura della destra. E ora chissà come e quando si riuscirà e prosciugare quel brodo…
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gianni
Saturday, 16 June 2018 23:36
L'immigrazione ha portato nel nostro paese ad un aumento della classe operaia smentendo la tesi di chi ne teorizzava la scomparsa confermando la validità della scienza marxista. Se la classe operaia si era ridotta dagli anni 80 in poi con i processi di ristrutturazione con l'immigrazione è aumentata.
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Mario Galati
Saturday, 16 June 2018 16:30
La percezione di invasione del proprio spazio "tribale" (che nella cultura degli intellettuali di destra viene tradotto nel concetto della perdita di identità culturale e nazionale, bene immateriale che la comunità ha storicamente costruito, ma che non altrettanto viene ammessa in perenne sviluppo, venendo piuttosto cristallizzata in una identità naturalizzata) probabilmente prende le mosse da una "istintiva" diffidenza e da un immediato fastidio per il diverso, una immediata xenofobia; ma sicuramente non sopravviverebbe e non si svilupperebbe al di fuori di un impianto sistemico culturale-ideologico, un impianto pregiudiziale, di ostilità verso gli immigrati poveri (è importante sottolinearlo).
Oggi non ci sono più le organizzazioni di massa comuniste e socialiste a contrastare le spinte del sistema.
Mi sembra che il problema possa essere racchiuso tutto sul piano economico-sociale e politico individuato da Fabrizio Marchi.
Forse Marchi richiede anche uno sviluppo di tipo antropologico; ma credo che la riflessione antropologica sia secondaria e subordinata, seppure utile.
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