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Su una campagna elettorale a senso unico

di Carlo Formenti

populismo 1A una settimana dal voto la campagna elettorale tocca vertici di isteria parossistici. Il raduno “sovranista” internazionale indetto da Salvini in Piazza Duomo ha offerto lo spunto per mettere nello stesso sacco tutte le critiche radicali nei confronti delle politiche antipopolari dell’Unione Europea, etichettandole come neofasciste, razziste, xenofobe, sessiste e quant’altro. Giornalisti, opinionisti, intellettuali, “esperti” di economia e politica internazionale, ex presidenti e presidenti in carica, esponenti di tutti i partiti di destra “moderata”, centro e sinistra si sono mobilitati per invocare la Santa Alleanza contro il pericolo fascista e chiamare l’elettorato a respingerlo votando compatto per i partiti europeisti. Prima di spendere due parole sulla consistenza reale di questa presunta minaccia, vorrei analizzare il fondo di Ferruccio de Bortoli sul Corriere del 19 maggio, per poi accennare a un passaggio del discorso di Salvini e a una battuta del leader dell’M5S Di Maio.

De Bortoli esordisce notando che in questa campagna di tutto si discute meno che di Europa, dopodiché – fatta la concessione di rito al “riemergere dei fantasmi totalitari del Novecento che solo una Ue più forte può esorcizzare” – ci spiega quali sarebbero i veri temi da affrontare: sottolinea la contraddizione fra Salvini e i suoi alleati stranieri, i quali, in caso di vittoria, si guarderebbero bene dall’accoglierne le richieste in materia di ridistribuzione dei flussi migratori; respinge la “rappresentazione elettorale dell’Europa sorda, austera, a guida tedesca e cuore bancario” (peccato che non sia una “rappresentazione elettorale” ma il volto spietato di quell’Europa che ha ridotto in miseria il popolo greco per salvare gli interessi delle banche francotedesche); invita a non mandare a Bruxelles candidati “inesperti, inadeguati” (si sa che gli unici candidati esperti sono quelli che condividono i principi neoliberisti);

ricorda che l’Europa unita fa paura a Stati Uniti, Russia e Cina (ma perché – domanda per gli europeisti critici di “sinistra” – dovremmo preferire ai nazionalismi dei singoli Paesi un nazionalismo europeo che miri a sfidare quei grandi Paesi sul terreno della competizione imperialista? Vogliamo forse una pax europea come preambolo alla guerra con il resto del mondo?); ricorda infine che tutte le velleità di riduzione dei vincoli sul debito sono illusorie perché, passate le elezioni, “Il 13 e 14 giugno si riuniranno i ministri delle Finanze europei. Business as usual. Qualunque sia il voto”. Finita la festa gabbato lu santu. Altro che difesa della democrazia contro la minaccia sovranista: la posta in gioco è impedire turbative al dominio dei mercati, i veri padroni dell’Europa. La parola d’ordine è non disturbare il manovratore.

Veniamo a Salvini e Di Maio. Il primo, in un passaggio del suo discorso milanese, che i cronisti hanno definito insolitamente moderato, ribatte a chi lo definisce estremista: “Gli estremisti stanno a Bruxelles e hanno governato vent’anni l’Europa in nome della precarietà e della povertà”. Il secondo, quasi in contemporanea, mentre manifesta per l’ennesima volta il suo pentimento per gli analoghi discorsi che l’M5S faceva fino a poco fa ed esibisce una tardiva verginità europeista, si accoda al coro elettorale antipopulista e antisovranista dicendo che bisogna essere preoccupati delle ultradestre europee. Siamo abituati alle capriole di un movimento che si allontana sempre di più dalle velleità antisistema della prim’ora e cambia livrea ideologica anche più volte al giorno, a conferma che la sua unica ideologia è ormai il governismo (il che lo fa rientrare a pieno titolo nella comunità dei “vecchi” partiti). Sta di fatto che questa svolta, subentrata non molto tempo dopo avere civettato con il movimento dei gilet gialli, fa sì che in Italia Salvini sia rimasto il solo – a parte alcune piccole formazioni sovraniste di sinistra – a dire la verità sull’Europa.

E le sinistre? Investono tutte le energie in pagliacciate come la mobilitazione contro la presenza al Salone di Torino di una minuscola casa editrice di estrema destra (che ringrazia per la pubblicità), laddove in quella sede si era visto in passato ben di peggio senza che si muovesse alcunché. Oppure sfilano in contromanifestazione vestiti da Zorro, scagliandosi contro il razzista Salvini ma tacendo sulla minaccia ben più grave alla democrazia che viene da una Ue che incarna il totalitarismo dei mercati. È chiaro che Salvini è lontano dal rappresentare una vera alternativa a quel totalitarismo: rappresenta gli interessi di quegli strati di borghesia italiana che pagano un prezzo salato alla globalizzazione e, quand’anche si battesse realmente per sganciare l’Italia dal carro della Ue a trazione tedesca, sarebbe per agganciarla al carro americano (da un’egemonia liberista all’altra). È altrettanto vero che incarna un’ideologia conservatrice e reazionaria che è giusto contrastare, senza dimenticare, tuttavia, 1) qual è il nemico più pericoloso per gli interessi delle classi subalterne; 2) che non siamo di fronte a un reale pericolo di ritorno del fascismo. Il fascismo è stato un fenomeno di ben altra dimensione e portata storica, di cui gli antifascismi elettorali interessati – quelli di regime – o sprovveduti – quelli delle sinistre radicali che sognano il ritorno agli scontri degli anni Settanta perché credono così di certificare la loro ormai residuale esistenza – conoscono poco o nulla. L’unico risultato che questi ultimi otterranno sarà quello di fare da mosche cocchiere per le élite di regime che orchestrano questa campagna, le quali, come scrive Fulvio Grimaldi, usano l’antifascismo come arma di distrazione di massa. Un’arma potente che, dopo Macron, ha regalato la vittoria a Sanchez, entrambi rappresentanti di forze “progressiste” ferocemente antipolari in politica interna, atlantiste in politica estera nonché sostenute dalle lobby del capitale finanziario globale.

Comments

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CLAUDIO DELLA VOLPE
Saturday, 25 May 2019 14:45
direi totalmente condivisibile; grazie a Carlo Formenti per dire cose che parecchi pensano ma nessuno dice
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