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Cosa ci si deve aspettare?

intervista a Leonardo Mazzei

Pubblichiamo l’intervista che Leonardo Mazzei ha rilasciato per la prestigiosa testata tedesca Makroskop

10 ottobre 2020 7D. Il governo cerca di imporre un secondo lockdown che colpisce anche i diritti politici. Quale è il ragionamento del governo, delle èlite in generale – e le reazioni su scala popolare?

R. Proprio oggi, domenica 25 ottobre, è uscito il nuovo Dpcm (Decreto del presidente del consiglio dei ministri) che punta a restringere ulteriormente la libertà di movimento ed attacca il diritto al lavoro di milioni di persone, in particolare quelli dei servizi turistici e della ristorazione. A differenza di quanto avvenuto a marzo, adesso la linea del governo è quella della chiusura progressiva. Ma continuando così alla fine il risultato non sarà molto diverso. Questa strategia viene perseguita con un Dpcm a settimana. Un modo che, se da una parte mostra le difficoltà di Conte, dall’altro sembra fatto proprio per generare, oltre alla paura, un’assoluta incertezza sul futuro. Il precedente Dpcm, del 18 ottobre, ha stabilito di fatto la sospensione del diritto a riunirsi in luoghi pubblici. Contro questa lesione dei diritti democratici, attaccati in parallelo a quelli sociali, manifesteremo il 31 ottobre davanti alle prefetture dei capoluoghi di regione. Il ragionamento delle èlite sembra chiaro: siccome la crisi è gravissima ed il malessere sociale è alle stelle, la sola tecnica di governo che può funzionare è la strategia della paura. E’ una linea che presenta dei rischi anche per il blocco dominante, ma che finora – come dimostrato anche dai risultati delle elezioni regionali di settembre – ha funzionato. Che continui a funzionare è invece tutto da vedersi. Proprio a causa del clima di paura, la reazione popolare è stata finora modesta. Ma a tutto c’è un limite. E i fatti degli ultimi giorni, a Napoli e non solo, ci dicono che le cose stanno finalmente cambiando.

 

D. A Napoli si sta sviluppando una protesta anche militante? Cosa ci si deve aspettare? C’è una direzione politica?

R. A Napoli la protesta è scattata contro il coprifuoco imposto dal governatore della Campania, De Luca. Sono scese in piazza le categorie più colpite da questa misura, con i ristoratori e i commercianti in prima fila. Ovviamente le iniziative di lotta non sono mai completamente “spontanee”, ma in questo caso possiamo parlare di una protesta auto-organizzata. Pur se assolutamente necessaria, è presto infatti per pretendere una direzione politica. Ora l’obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare ed estendere l’azione di lotta, mirando soprattutto proprio al governatore De Luca, che in questi mesi si è posto alla testa del fronte emergenzialista e securitario. Fra l’altro, l’epidemia in Campania sarebbe stata tranquillamente affrontabile se la Regione avesse aumentato i posti di  terapia intensiva nella misura prevista (e promessa) in primavera. Cosa che invece non è stata fatta. “Non vogliamo morire di fame per non rischiare di ammalarci di Covid”, questo hanno affermato i napoletani in rivolta. “Lavoro, dignità, libertà”, queste le loro parole d’ordine, che ricalcano quasi alla lettera quelle della nostra manifestazione del 10 ottobre. Ora queste parole d’ordine devono trasformarsi in obiettivi concreti, ma intanto la mobilitazione ha ottenuto un primo importante risultato: il lockdown regionale è stato bloccato proprio grazie alla manifestazione dell’altra sera. Un giorno dopo il suo famoso “si chiude e basta”, De Luca è stato costretto al passo indietro. Adesso dice che “il lockdown è impossibile senza ristori dal governo”. Chiede dunque soldi per le categorie colpite, ma quei soldi per ora non ci sono. E, nonostante le odierne promesse di Conte, che al massimo fanno presagire la solita elemosina, non sarà facile arrivare a risposte concrete.

 

D. Come sovranisti democratici quali saranno i vostri prossimi passi?

R. Il primo compito dei sovranisti democratici sarà quello di stare con chi lotta. Certo, il Paese è spaccato, ma è necessario schierarsi con la parte che non intende subire un disastro sociale catastrofico. In secondo luogo, i sovranisti democratici dovranno raccogliere la grande spinta all’unità presente nelle proprie fila. Una volontà unitaria esaltata dalla manifestazione di Roma. Come Liberiamo l’Italia ci muoveremo senz’altro in questa direzione. L’auspicio è che anche gli altri facciano la stessa cosa.

 

D. Il 10 ottobre avete fatto la Marcia della Liberazione, la più grande protesta dall’inizio della crisi covid. Avete cercato di connettere una risposta sociale immediata con un programma di investimenti pubblici per il lavoro e il ritorno alla sovranità popolare e nazionale. Come è il vostro bilancio?

R. Il bilancio è assolutamente positivo, sia in termini quantitativi che qualitativi. La manifestazione del 10 è stata in assoluto la più numerosa che si sia svolta in Italia in tutto il 2020. Ed il legame tra i temi sociali e la critica all’emergenzialismo ha funzionato. Naturalmente, non ci nascondiamo che ci vorrebbe molto di più. I settori sociali presenti in quella piazza sono importanti, ma ancora insufficienti. Ciò a causa del clima soporifero che il governo è riuscito ad imporre durante l’estate. Ma abbiamo già visto che ora il clima sta cambiando.

 

D. La stampa vi ha attaccato come negazionisti mettendovi insieme con i fascisti. Come avete reagito? Ha funzionato l’attacco o siete stati in grado di difendervi?

R. E’ anche considerando questo contesto che abbiamo tratto un bilancio assolutamente positivo della manifestazione. Mentre l’atteggiamento del Ministero dell’Interno è stato corretto, altri apparati dello Stato hanno lavorato all’infiltrazione ed alla denigrazione. L’infiltrazione l’abbiamo respinta, sia politicamente che concretamente in piazza. La denigrazione a mezzo stampa è stata invece l’arma più potente del potere. Visto che non potevano silenziarci, stavolta hanno deciso di denigrarci con una campagna senza precedenti negli ultimi anni. Volerci confondere con i fascisti di Forza Nuova, calunniarci con l’accusa di “negazionismo”, è stato il modo per oscurare i contenuti veri (a partire da quelli sociali) della manifestazione. Stavolta le fake news dei media sistemici hanno raggiunto vette impensabili. I comunicati del comitato organizzatore, che respingevano i tentativi di infiltrazione dell’estrema destra, che affermavano che noi non neghiamo affatto l’epidemia ma ne contestiamo fortemente la sua gestione politica, sono stati completamente ignorati dai media mainstream al gran completo. Proprio per questo abbiamo già querelato e stiamo querelando per diffamazione tutti gli organi di informazione che si sono resi responsabili di questa gigantesca campagna di denigrazione. Dalla nostra parte abbiamo avuto decine di media alternativi (web tv, tv satellitari, dirette Facebook) che hanno ripreso la manifestazione per un totale di un milione e 600mila visualizzazioni, di cui 300mila sulle nostre pagine Facebook. E’ chiaro che è la battaglia di Davide contro Golia, ma l’abbiamo combattuta al meglio.

 

D. Il governo Conte sembra più stabile, almeno in confronto alla situazione di un anno fa quando sembrava debolissimo. È vero che l’accordo sul Recovery fund lo ha aiutato?

 R. Sì, è così e bisogna averne piena consapevolezza. La cosa ha funzionato anche grazie al processo di normalizzazione della Lega. Il partito di Salvini, come pure “Fratelli d’Italia”, non si oppone al Recovery fund bensì solo al Mes. Ma questo è assurdo, dato che – viste le condizioni previste – il Recovery fund è in realtà un super-Mes. Ormai per la coalizione di destra (e neppure tutta, vista la posizione di Forza Italia) l’opposizione al Mes è solo una bandiera senza sostanza. Questo alimenta ovviamente le illusioni sul Recovery fund propagandate dal governo. Certo, i fatti smentiranno tutto ciò, ma affinché venga pienamente compresa la pericolosità di questa nuova trappola europea ci vorrà tempo. E’ quel tempo che fa il gioco del presidente del consiglio. Questo non vuol dire che nella stessa maggioranza di governo non vi siano forti fibrillazioni, ma né M5S né Pd hanno la forza e l’interesse di far cadere Conte adesso.

 

D. D’altra parte Salvini sembra in caduta libera. Perché? E come finirà?

R. Forse parlare di caduta libera è troppo, ma la crisi del salvinismo è palese. E personalmente la cosa non mi stupisce affatto. Paradossalmente il vuoto di proposta di Salvini è risaltato meglio all’opposizione di quando stava al governo nella comoda posizione di ministro anti-migranti. Il fatto è che l’immigrazione è questione seria, ma non è il principale problema del momento. E sul resto Salvini è apparso privo di qualsiasi idea. Credo che ciò sia avvenuto in parte per i suoi evidenti limiti politici e personali, in parte per il prevalere nella Lega della posizione europeista del blocco del Nord, imperniato sulla figura di Giorgetti e sui governatori del Veneto e della Lombardia. La cosa di gran lunga più probabile è che l’attuale crisi sfoci in un pieno processo di normalizzazione di quel partito. Lo stesso Salvini ha dichiarato ormai di accettare l’euro, di essere disposto ad appoggiare Draghi alla presidenza del consiglio od a quella della Repubblica (il mandato di Mattarella scadrà tra poco più di un anno). Ma credo che il sigillo ufficiale a questa operazione verrà posto con l’ingresso della Lega nel PPE. Tema che è oggetto di trattativa ormai da mesi. Può darsi che questo percorso presenti ancora qualche asperità, ma la strada è chiaramente tracciata.

 

D. Il governo Conte I veniva definito come sovranista. Entrambi i suoi componenti, sia la Lega sia i pentastellati, hanno lasciato questo campo e sono ritornati nell’ambito dell’europeismo. Stanno rappresentando la loro base popolare, o si sono persi?

R. Il governo Conte I non era dichiaratamente sovranista, anche perché aveva al suo interno la Quinta Colonna sistemica (rappresentata in primo luogo dal ministro dell’Economia, Tria) imposta da Mattarella. Era però un governo basato su una maggioranza parlamentare costituita da due partiti considerati a vario titolo come sovranisti. Un mix da cui emergeva comunque un governo con elementi e spinte sovraniste. Ciò portò a diversi momenti di aspro conflitto con la Commissione europea. Gradualmente la componente sovranista venne via via ad indebolirsi nei primi mesi del 2019, fino alla caduta del governo nell’agosto di quell’anno. Dovendo dare un giudizio sintetico, direi che quella crisi è stata più che altro la risultante dell’incapacità dei due partiti di governo di tenere fede alle premesse sovraniste, o quanto meno “euroscettiche”, che li aveva portati all’alleanza del maggio 2018. Poi, la boria e la pittoresca inettitudine di Salvini contribuirono a dare il colpo di grazia a quell’esperienza, ma il flop sostanziale c’era già stato. Alla prova dei fatti né Lega né Cinque Stelle erano stati in grado di reggere lo scontro con l’Unione europea e i suoi accoliti nostrani. Un’incapacità aggravata dalla scelta di non voler ricorrere, neppure quando sarebbe stato facile e vantaggioso, alla mobilitazione popolare. Vista in un’ottica sovranista democratica e costituzionale, il capitolo Lega e Cinque Stelle è da considerarsi ormai chiuso. Dalla base di quei partiti qualcosa verrà, e qualcosa sta già venendo, ma la strada che hanno intrapreso è chiaramente senza ritorno.

 

D. Il senatore dei Cinque Stelle, Paragone, ha annunciato alcuni mesi fa la creazione del partito Italexit. Come va avanti questo tentativo?

R. La mossa di Paragone, che noi abbiamo salutato positivamente perché fatta esplicitamente in nome dell’Italexit, deriva da due fatti. Il primo è proprio la conseguenza di quanto detto su Lega e M5s. C’è una larga parte della popolazione che è espressamente (lo dicono tutti i sondaggi) per l’Italexit. Ed è una parte che oggi è assolutamente priva di una degna rappresentanza. Il secondo fatto è la crisi, che la gestione del Covid ha aggravato prepotentemente. La mossa è stata dunque azzeccata, ma il processo di costruzione del partito non va avanti spedito come dovrebbe. Come Liberiamo l’Italia sosteniamo questo tentativo proprio perché risponde ad un’esigenza politica che riteniamo centrale da anni. Ma il nostro è un sostegno condizionato ad alcuni elementi. In primo luogo vogliamo un partito coerentemente basato sui tre punti chiave del manifesto presentato da Paragone a luglio: Italexit, lotta per l’uscita dal neoliberismo, attuazione della Costituzione del 1948. In secondo luogo vogliamo un partito di lotta, che agisce a tutti i livelli per arrivare all’uscita dall’UE. Dunque un partito che si presenta alle elezioni, ma non un partito elettoralista. Un partito radicato socialmente e territorialmente, capace di organizzare e rappresentare il popolo lavoratore, non un partito leggero. Siamo per un partito con un leader ben identificato, ma che non sia l’ennesimo partito personale. Vogliamo infine un partito che sappia dialogare sul serio, per aggregare il più possibile le varie componenti dell’arcipelago del sovranismo costituzionale. Su tutti questi punti, come su altri, la discussione è aperta.

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