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Prospettive della UE, governo Conte e sovranità costituzionale

intervista a Vladimiro Giacchè

Pubblichiamo di seguito un’intervista a Vladimiro Giacchè, economista marxista, a cura di Francesco Valerio della Croce

Suzanne Valadon par Henri de Toulouse Lautrec1) E’ stato evidenziato che il voto del 4 marzo ha aperto una fase nuova nella vita del Paese: le forze su cui si è retta la cosiddetta “democrazia dell’alternanza” nel bipolarismo – ma in realtà speculari nell’applicazione servile delle politiche economiche UE – sono uscite pesantemente sconfitte, aprendo la strada all’ascesa di Movimento 5 stelle e Lega. Credi che si sia aperta effettivamente una fase nuova di transizione per il nostro Paese?

Mi sembra presto per dirlo. Una cosa però possiamo affermarla con ragionevole certezza. La maggioranza dei votanti ha inteso dare un segnale di cambiamento e di rottura precisamente per quanto riguarda il tema, cruciale, dei rapporti con l’Unione Europea. Che questa volontà, che a me appare chiara, possa poi tradursi davvero in politiche che rappresentino un punto di svolta rispetto all’ “applicazione servile delle politiche economiche UE” dei precedenti governi, è un’altra faccenda. Che dipende da molti fattori: la coesione interna del governo e l’effettiva capacità (e volontà) di tenere fede all’obiettivo dichiarato di far sentire la propria voce nel consesso europeo, la pressione ricattatoria che sarà esercitata sul governo affinché venga a più miti consigli (qualche saggio sui mercati l’abbiamo già avuto), infine – la cosa non sembri secondaria – gli orientamenti dell’opposizione in Italia. È evidente infatti che un’opposizione attestata su una linea di ottuso lealismo europeo, in continuità con le politiche rinunciatarie degli ultimi anni, non soltanto si suiciderebbe, ma indebolirebbe le chance del nostro Paese di vedere riconosciute le sue ragioni, e in ultima analisi diminuirebbe le possibilità di un esito non traumatico della crisi dell’Unione.

Perché qui c’è un punto cruciale che non va dimenticato: il progetto europeo si trova in una crisi molto grave, che si deve in parte a “difetti” della sua stessa costruzione istituzionale (i Trattati, almeno dall’Atto unico europeo del 1986 in poi), in parte alla gestione criminosa della crisi economica. La crisi europea può essere solo aggravata da atteggiamenti, in particolare da parte dei governi tedesco e francese, che puntino a continuare a sfruttare le rendite di posizione costruite a danno dell’Italia e di altri paesi, utilizzando rapporti di forza favorevoli (e interlocutori accomodanti).

Qui mi sembra che nulla si possa sperare dall’opposizione del Pd, indistinguibile – su questo come su altri temi – da quella di Forza Italia.

E’ quindi della massima importanza che le forze che si collocano a sinistra di quel partito riescano a profilare una posizione che critichi ciò che è giusto criticare nelle azioni del governo, ma ponendosi da un punto di vista diverso: quello della difesa dei diritti del lavoro, e quindi della sovranità costituzionale.

Ritengo che essere giunti alle elezioni senza avere una posizione corretta e chiara su questo punto, senza aver compreso – cioè – che la difesa della sovranità costituzionale è l’unica trincea che consente di difendere i diritti del lavoro nell’attuale fase della “guerra di posizione”, sia uno dei fondamentali motivi del disastro elettorale della sinistra in tutte le sue declinazioni.

Ho recensito l’ottimo libro di Domenico Moro (La gabbia dell’euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra) pochi giorni prima delle elezioni. Concludevo la mia recensione sostenendo che una ripresa della sinistra dopo le elezioni avrebbe dovuto passare per una riflessione sui problemi trattati in quel libro. Continuo a pensarla così.

 

2) Lo scontro che si è generato negli ultimi giorni prima della gestazione del nuovo governo tra le prerogative delle istituzioni nazionali ed i voleri di quelle comunitarie ha probabilmente reso palese l’immanenza del conflitto tra vincolo interno costituzionale e vincolo esterno UE, di cui ti sei occupato intensamente negli anni passati: in che modo la nascita del nuovo governo interviene nel processo di integrazione europea e nei suoi sviluppi recenti (costituzione Fondo Monetario UE, Ministro delle finanze UE, ecc.)?

Questa anomalia politica potrà portare l’Italia a divenire l’ “anello debole” del processo di integrazione europea o prevarrà una normalizzazione come avvenuto con la Syriza greca (anche alla luce dei primi obiettivi indicati dal governo in materia economica e sociale)?

Io credo che la formazione del nuovo governo italiano sia stato un evento dirompente quanto inatteso. E a ragione, visto che il nostro era sino a qualche anno fa il paese più “europeista” – il che poi in pratica purtroppo ha significato: il paese i cui rappresentanti hanno sacrificato gli interessi rappresentati, e in particolare quelli dei lavoratori e degli strati sociali più colpiti dalla crisi nel nostro paese, sull’altare dell’integrazione europea (considerata – soltanto da noi – come buona e progressiva a prescindere dai suoi concreti contenuti).

E’ chiaro che ora si è aperta una partita durissima, e che la posta in gioco è precisamente la “normalizzazione greca” del nuovo governo.

Anche per questo è importante che la sinistra di opposizione, quale che sia il giudizio che ritiene di dare dell’operato governativo, profili in modo molto netto la propria posizione su questo punto. Rifiutando ogni compromesso con i poteri dominanti in Europa e ovviamente, ancora prima, evitando di illudersi che questi poteri possano rappresentare un alleato fosse anche solo “tattico” dell’opposizione al governo attuale.

 

3) ll governo 5 Stelle-Lega nasce su una consenso interclassista, registrando nettamente il sostegno anche di una parte della borghesia nazionale. La stessa priorità data alla riduzione delle tasse sulle imprese rappresenta un timbro pesante posto dalle classi dominanti del Paese sulla politica fiscale del nuovo governo, in piena continuità col passato recente. Già dai primi giorni d’insediamento si sono registrate ambiguità e conflitti su questioni significative come la politiche estera, il rapporto del Paese con l’imperialismo americano, politiche sociali, politiche del lavoro, solo per citare alcuni esempi.

Ad oggi, l’approccio governativo verso questi grandi temi sta riscontrando una sostanziale continuità con il passato. Nella stessa aggressività usata in materie come l’immigrazione verso il nostro Paese, è possibile notare l’assoluto silenzio nei confronti delle responsabilità dell’Occidente nel passato e, conseguentemente, l’assenza di interventi in discontinuità con le politiche imperiali e di saccheggio. Come ritieni che i comunisti e le organizzazioni comuniste debbano porsi di fronte a queste contraddizioni ed, in generale, a questa fase politica?

Premetto che non ho alcun titolo per dare indicazioni a nessuno, e in particolare a nessuna organizzazione politica, meno che mai nella fase attuale. È una premessa doverosa da parte di chi, come il sottoscritto, non fa parte di alcuna organizzazione e non ritiene di essere dotato di ricette magiche per suggerire “linee” a chicchessia. Credo più in generale che ci si debba guardare dall’attribuire un ruolo di indirizzo attribuito a “intellettuali di area” che spesso finiscono per essere portatori soltanto delle proprie personalissime riflessioni.

Detto questo, sui temi che mi hai proposto penso questo.

Dal punto di vista sociale credo che il massimo radicamento questo governo lo abbia tra i disoccupati, la classe operaia e la piccola borghesia. Mi sembra per contro che la grande borghesia non si sia ancora abituata a quanto avvenuto il 4 marzo e a quello che ne è seguito.

Dal punto di vista sia del programma di governo che della sua composizione, mi sembra evidente che esistano linee diverse, a volte confliggenti tra loro. Solo il tempo potrà dirci quali interessi/linee prevarranno.

Quale atteggiamento tenere? Nel merito, mi aiuto con un esempio. Personalmente non sono un fautore della flat tax. Mi sembra che essa sia più un tributo alla piccola borghesia che al grande capitale o agli evasori (che come noto la flat tax se la procurano da soli in altri modi). Credo che da sinistra abbia senso opporsi a questa proposta in nome di provvedimenti alternativi (investimenti in infrastrutture fisiche e della conoscenza che finanzino un piano del lavoro, ad esempio). Ma credo anche che si debba assolutamente evitare di farlo in nome dei “conti in ordine” e dell’obbedienza al fiscal compact o alle “regole di Maastricht”. Questo significa che bisogna avere una propria agenda.

Quanto al resto, francamente per ora non vedo tutta questa continuità in politica estera. E precisamente per il motivo che ricordavi anche tu: le ambiguità e le diverse opinioni che sussistono tra i due partiti di governo su aspetti anche molto significativi. Io però preferisco le “ambiguità” alle posizioni di inequivocabile e assoluta sudditanza a cui ci avevano abituato i governi precedenti. Vedo ora qualcosa di diverso: un tentativo di smarcarsi da alcuni degli errori più gravi commessi in passato, in particolare per quanto riguarda la politica nei confronti della Russia. E’ ovviamente possibile che prevalgano i richiami all’ordine in sede UE e Nato. Ma lo scenario più probabile a mio avviso non è questo, bensì lo smarcamento su alcuni temi e la continuità su altri, magari attraverso una “politica dei due forni” che proverà a giocare gli uni contro gli altri alleati europei e statunitensi.

Più in generale, penso che su tutti i temi chiave (politiche economiche dell’eurozona, euro, politica internazionale, immigrazione, unione bancaria ecc.) a sinistra bisognerebbe per prima cosa chiarirsi le idee e assumere posizioni sensate. E su quelle, poi, sviluppare un’autonoma iniziativa.

Purtroppo invece la sensazione che giunge all’esterno è oggi quella di una babele di voci da cui si distinguono al massimo degli slogan autoconsolatori ma privi di qualsiasi effetto politico.

Tutto questo dovrà cambiare, e in fretta. Pena la fine della sinistra politica in questo Paese. Il messaggio che viene dalle amministrative del 24 giugno mi sembra chiaro.

Comments

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Mario Galati
Thursday, 05 July 2018 15:40
A me sembra chiaro il significato del sintagma "sovranità costituzionale": ritorno ai principi fondamentali della costituzione, antitetici a quelli ordoliberisti dell'UE che li sostituiscono automaticamente (sottinteso: alla costituzione precedente alla manipolazione neoliberista). In questo senso, il ritorno alla sovranità nazionale non è un concetto nazionalistico e sciovinista alla coda della borghesia nazionale. Pur essendo una costituzione borghese, in essa vi è traccia dell'influenza del movimento dei lavoratori. Cosa del tutto assente nei principi UE, frutto della sconfitta totale subita. Non è che tutti i regimi borghesi sono uguali e i lavoratori sono indifferenti al loro assetto.
La struttura costituzionale è più avanzata e rappresenta un terreno di lotta migliore.
I meccanismi e i principi UE rappresentano una vera sovversione della repubblica democratica fondata sul lavoro (certo, ma è ovvio, non della repubblica dei soviet).
Per quale motivo non agitare la parola d'ordine del ritorno alla costituzione?
Le forze sovraniste di destra agitano strumentalmente talvolta il ritorno alla sovranità costituzionale (preferiscono la sovranità, o la sovranità nazionale, tout court), essendone tra i principali distruttori e, in ogni caso, essendo completamente infedeli alla costituzione.
Ma questo fatto non dovrebbe privarci di questo strumento.
Piuttosto, la discussione dovrebbe incentrarsi sulla possibilità o sull'opportunità di questa parola d'ordine come terreno di lotta adeguato ai rapporti di forza attuali, o, invece, su altre dal contenuto economico-sociale e politico più immediato e socialista.
E perché non su entrambe?
Il fatto è che occorre ripartire da una vera e propria opera di alfabetizzazione che impegnerà molto a lungo. In questa situazione di arretratezza il richiamo alla costituzione potrebbe servire.
Non sarà una parola d'ordine rivoluzionaria, ma nella situazione concreta attuale è tutt'altro che subalterna all'avversario di classe.
Tutto ciò favorisce l'imperialismo USA? Ma evitarlo non potrebbe significare condiscendenza ad un polo imperialista europeo a guida tedesca (o franco-tedesca)?
Il terreno è minato. Un orientamento corretto potrebbe scaturire solo da una organizzazione e da una elaborazione collettiva. Frantumati come siamo riusciamo ad esprimere solo una babele di posizioni. E ognuno ritiene esatta la propria.
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Eros Barone
Tuesday, 03 July 2018 15:34
Sarebbe opportuno che Giacchè spiegasse che cosa intenda con il sintagma di "sovranità costituzionale" (sic!) e, se esso ha un senso, in che rapporto stia con altri due sintagmi quali la "sovranità popolare" e la "sovranità nazionale". Di confusione e di mistificazione ve ne è così tanta, che non pare davvero il caso di incrementare la dose. Siccome l''economista marxista' si propone di difendere gli "interessi nazionali" (di che cosa? dell'imperialismo straccione?), mi sembra indispensabile ribadire che in un regime capitalistico e in un contesto inter-imperialistico non esiste un "interesse nazionale" in cui la classe operaia possa riconoscersi, l’unico interesse imposto e prevalente essendo quello della borghesia imperialista. Donde consegue che non esiste (e, anche se esistesse, non va appoggiata) una ‘borghesia nazionale’ e che, pertanto, occorre escludere l’uso fuorviante di espressioni come 'sovranità costituzionale' e/o ‘sovranità nazionale’ applicate alle vicende interne della UE: ‘questa’ Europa è stata infatti voluta dalle classi dominanti di ciascun paese aderente (basti pensare che l’inserimento nella Costituzione del pareggio di bilancio, intangibile dogma liberista, è stato approvato con una maggioranza quasi assoluta: la "sovranità costituzionale" comprende anche questo aspetto?). Sennonché coloro che, come Giacchè e Bagnai, affermano che il bersaglio da colpire la Germania della Merkel (come se la Francia di Macron fosse una vestale illibata), oltre a sbagliare mira politica, forniscono all’arciere che tiene sotto tiro l’intero continente, cioè agli USA del fascista Trump, la freccia con la quale mantiene la sua minaccia (solo in Italia 40 basi militari e 90 testate nucleari del tutto al di fuori di ogni controllo da parte del governo). Anche se il sovranismo marxisteggiante è un sordo volontario, sarà il caso di ribadire che il modo in cui si pone il tema della lotta per la sovranità nazionale deriva per i comunisti dalle indicazioni contenute nell’articolo di Lenin “Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”, ove l’obiettivo della lotta per la sovranità e l’indipendenza nazionale acquista un contenuto politico e sociale avanzato in un processo rivoluzionario guidato dalla classe operaia e dai suoi alleati (gli strati salariati non produttori di valore): processo che, vigendo la legge economica dello sviluppo ineguale, può nascere anche nel quadro del polo imperialista europeo, di cui l’Unione Europea è il braccio economico-finanziario e la Nato il braccio politico-militare. La premessa è questa: il governo Di Maio-Salvini nasce da una crisi politica dirompente e ne prepara altre, sia all’interno sia a livello internazionale. La conseguenza da trarre è quest'altra: è quindi fondamentale e vitale per la sinistra di classe prepararsi a sfruttarle per contrastare la spinta reazionaria e populista (non per darle spazio) e tenere aperta la prospettiva della lotta per la democrazia e il socialismo.
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Antonio Guida
Monday, 02 July 2018 08:33
L'analisi è decisamente interessante ma la foga antieuropeista spinge a considerare fondamentale la difesa degli interessi nazionali. Per certi versi non riesco ancora a credere che tanta intelligenza vada poi a parare nella fede sovranista e nazionalista. Per me la soluzione è nel superamento delle barriere e delle lobbies europee e non nella difesa miope dell'interesse nazionale. Dimentichiamo sempre che non ci volevano nel club della moneta europea. Non penso che uscirne sarebbe una tragedia per il nucleo fondante dell'Europa tranne che in questo contesto di debolezza che provocherebbe la fine dell'intera impalcatura europea. Ma perché le analisi non si spostano dal contro l'Europa a cosa succede nel caso l'Italia uscisse o fosse invitata ad uscire?
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