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la citta futura

Marxisti cinesi e italiani a confronto

di Alessandro Pascale

Il movimento comunista italiano dovrebbe riflettere profondamente sulla necessità di approfondire la questione cinese, la quale rimane oggetto di mistero o di repulsione per molti comunisti italiani che, accettando il giudizio liquidatorio del marxismo occidentale, rischiano di stare dalla parte sbagliata della barricata

3b1f6cfb04191062fa576eb6c620f4fa XLDomenica 14 ottobre si è tenuto a Bologna il “V forum europeo sulla via cinese”. Promosso dall’Accademia di Marxismo presso l'Accademia delle Scienze Sociali della Repubblica Popolare Cinese e dall’Associazione Marx21, il seminario ha visto la partecipazione anche della Fondazione Gramsci Emilia Romagna e dell’Istituto Confucio dell’Università di Bologna, configurandosi come un fondamentale momento di confronto tra i marxisti italiani e alcuni dei più prestigiosi esponenti del think tank cinese, giunto alla terza tappa europea dopo aver tenuto conferenze in Portogallo e Spagna.

Davanti ad una sala gremita (250 persone presenti, molte richieste di partecipazione respinte per insufficienza di posti disponibili) hanno portato i propri saluti e svolto interventi di alto livello anche accademici italiani non prettamente marxisti, oltre a rappresentanti del PCI e del PRC. Assenti invece delegazioni ufficiali di PaP e PC. Il seminario si è strutturato in quattro sessioni, precedute dai saluti di apertura. Vista l'eccezionalità dell'evento, pare utile offrire di seguito un breve sunto di ogni intervento.

 

Saluti di apertura

Ad aprire gli interventi è stato Deng Chundong, presidente dell'Accademia del marxismo e “capo” della spedizione cinese, che ha motivato la partecipazione all'incontro e più in generale la politica attuale cinese così: “l'obiettivo è contribuire al progresso dell'Europa”.

Yang Han, direttore dell'Ufficio stampa dell'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia, ha ribadito che “la Cina non chiederà agli altri Paesi di copiare il suo sistema”, vantando poi i successi della via cinese al socialismo: “il 30% della crescita mondiale, per molti anni consecutivi, è merito della Cina”. Una crescita resa possibile grazie alla politica di “apertura” e “liberalizzazione” nella “globalizzazione” attuale. Han ha criticato gli impulsi crescenti al “protezionismo” che stanno prendendo piede in Occidente di fronte ad una globalizzazione sempre più egemonizzata dalla Cina, proponendo piuttosto la necessità di una “riforma del sistema della governance mondiale”.

Andrea Catone, direttore della rivista MarxVentuno ha stigmatizzato la scarsa conoscenza della via cinese al socialismo, sollecitando la necessità di disporre di maggiori “traduzioni dei lavori cinesi”. Il suo intervento di apertura è stato caratterizzato dagli accenti posti sul tema dell'internazionalismo, in linea con i cambiamenti avvenuti nello Statuto del PCC nel 19° Congresso, in cui è stata messa per iscritto la volontà di lavorare per la “futura umanità”, dando un'ottica universalistica al progresso ottenuto finora.

Xu Ying, direttrice dell'Istituto Confucio di Bologna, ha sottolineato come l'organizzazione da lei guidata svolga un importante lavoro non dedito soltanto all'aspetto linguistico e culturale, ma latamente politico e pedagogico, sottolineando il successo avuto da una serie di libri per bambini incentrati sulla figura di Mao Tze-tung.

Carlo Galli, presidente della Fondazione Gramsci dell'Emilia-Romagna, ha aperto il suo intervento ricordando tra gli applausi del pubblico la scomparsa di Domenico Losurdo, parlando poi della Cina come di uno “Stato comunista altamente sviluppato”. Difficile che Galli non abbia chiaro che nel marxismo uno Stato per definizione non può essere comunista, per cui tale affermazione è sicuramente eccessiva, dato che gli stessi cinesi affermano di non aver neanche ancora iniziato a costruire il socialismo (progetto in programma per il 2050). L'espressione è però forse rivolta polemicamente a quei comunisti che hanno “scomunicato” (non comprendendola) la strategia di classe della politica cinese, o forse è un omaggio ulteriore allo stesso Losurdo che ha messo in discussione l'astrattezza e l'utopismo dell'ottica marxiana che prevede l'estinzione dello Stato nella società futura.

 

I Sessione - “Lo spirito del 19° Congresso Nazionale del PCC e le tendenze della politica cinese”

La prima sessione è stata introdotta da Vladimiro Vaia, dirigente del Comitato Nazionale Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna, che ha ricordato la storia poco nota dei 300 cinesi che hanno combattuto nella guerra di Spagna del 1936-39, raccolti dalla Brigate Internazionali promosse dal Comintern.

Francesco Maringiò ha battuto l'accento sul fatto che il 19° Congresso abbia posto estrema attenzione al “lavoro ideologico quotidiano”, fondamentale in un contesto di permanenza e contatto continuo con elementi capitalistici interni. Ha poi anche osservato come il PCC si sia posto come obiettivo politico, certamente ambizioso, quello di lavorare per la “felicità” del proprio popolo. È in effetti “la prima volta nella Storia che un Partito/Governo” si pone questo obiettivo, di cui si trova traccia anche nella Dichiarazione d'Indipendenza statunitense. In quel caso però non era previsto che ciò valesse per gli schiavi, né sembra aver trovato degna realizzazione.

Yuan Guandle, vice-segretario di partito dell'università della Mongolia Interna, ha stutturato il suo intervento sulla lotta interna presente dentro il PCC per pervenire a maggiori “serietà” e “disciplina”, secondo una politica iniziata fin dal 1987 con una serie di cambiamenti nello Statuto del Partito, a cui sono seguiti ulteriori provvedimenti nei Congressi del 1992 e del 2012. È infatti evidente alla dirigenza che la politica di “apertura” globale, mettendo i cinesi in contatto con rapporti di produzione capitalistici e con diverse ideologie, comporti rischi di degenerazione interna; motivo per cui si lavora anzitutto ad una politica di “tolleranza zero” verso ogni forma di corruzione.

Marco Pondrelli, direttore del sito Marx21.it, ha fatto riferimento alle lezioni teoriche di Losurdo e di Fagan, riprendendo le due tipologie di capitalismo identificate da quest'ultimo: un “capitalismo finanziario”, caratterizzante l'Occidente negli ultimi 40 anni, e un “capitalismo produttivo” con forte presenza del “pubblico”. Quest'ultimo, sviluppatosi nell'epoca del “trentennio glorioso” (1945-75), può rivivere oggi in Occidente e affermarsi in altri Paesi asiatici grazie al progetto cinese della Belt and Road Initiative (BRI). In questa ottica deve essere netta l'opposizione al “liberoscambismo selvaggio”, mentre occorre ribadire che una “politica sovrana” non significa necessariamente “nazionalismo”, ricordando come la sinistra italiana abbia nel proprio DNA l'ottica patriottica. Elogiando la politica cinese di cooperazione pacifica svolta in Africa, Pondrelli ha affermato che “creare ricchezza e sviluppo è la strada per fermare l'immigrazione” che si manifesta sotto forma di vere e proprie tragedie umanitarie.

Zhou Lisheng, decano del collegio del marxismo dell'università Normale di Jiangxi, sostiene che il “socialismo cinese è entrato in una nuova era”: grazie ai progressi ottenuti negli ultimi 40 anni, la produttività sociale è aumentata a tal punto che la Cina è oggi all'avanguardia in molti settori. Il 19° Congresso ha quindi potuto dare maggiore attenzione ai nuovi “bisogni sociali” su temi come “democrazia” e “ambiente”, ammettendo l'esistenza di una “serie di contraddizioni su diversi livelli” che però sono studiate dal Partito, il quale ha ben compreso la necessità di un'attiva partecipazione politica popolare. Questa è una delle caratteristiche del “socialismo a caratteri cinesi”: un “continuo feedback” tra “il PCC e il popolo”, in una dialettica in “continua evoluzione”.

Shi Haibing, direttore della scuola di marxismo dell'università Normale di Jiangsu, ha tracciato un percorso chiaro: occorre seguire i concetti fondamentali dell'ideologia marxista; occorre trovare una connessione tra la teoria e “l'empirismo”; la “sinizzazione” non deve far perdere i “nuclei vitali” del marxismo, ma al contempo la cultura millenaria cinese può contribuire ad arricchire tale patrimonio teorico; infine: “abbiamo bisogno di continuare a dialogare con tutto il mondo”, perché “lo sviluppo è continuo e ben lontano dalla sua fine”.

 

II Sessione – La cooperazione economica e commerciale tra Cina e UE lungo la Belt and Road Initiative (BRI)

Prima dell'inizio della sessione è intervenuto il segretario del PCI Alboresi, che ha approfittato dell'assise per ribadire “l'esigenza di un'altra Europa” contraria ai “nazionalismi e ai sovranismi”.

Ad esporre in maniera esauriente il progetto della BRI è stato l'esperto e preciso Diego Angelo Bertozzi, che ha dedicato al tema il suo ultimo libro, di cui si trova un'ottima presentazione su Marx21 a cui si rimanda per approfondimenti.

Ma Zhihui, direttore dell'istituto di economia dell'Accademia delle scienze sociali di Jiangxi, ha ricordato come l'UE sia oggi il primo partner commerciale della Cina, grazie anche al nuovo piano strategico di cooperazione siglato il 21 novembre 2013. Si parla di cifre importanti (674 miliardi di dollari nel 2017) ed in costante aumento, grazie anche al miglioramento nella “composizione delle merci”. A tal riguardo identifica la svolta nella gamma dei prodotti importati ed esportati nell'anno 2000, da cui è conseguito anche un ampliamento dei settori di investimento. Ciò ha portato la Cina a diventare protagonista nella costruzione di importanti infrastrutture in Europa. L'accenno alla Serbia, bombardata e devastata dalla NATO vent'anni fa, non pare casuale.

L'intervento di Vladimiro Giacché ha analizzato le conseguenze positive della BRI sull'Europa e sull'Italia. La BRI si costituisce come un modello economico alternativo a quello dominante in Occidente dagli anni '80, offrendo una via di uscita per superare definitivamente un'impostazione entrata in crisi nel 2007-08. Si prefigura inoltre un nuovo modello geopolitico alternativo al blocco euro-atlantico (egemonizzato da USA e NATO), progetto però poco gradito a Gran Bretagna e Francia. La BRI viene vista dalla Germania come un “ostacolo oggettivo” alla propria espansione economica in Asia centrale, il che spinge sempre più Berlino a vedere la Cina come un concorrente, piuttosto che come un partner. Questi elementi consentono di capire perché nel complesso le cancellerie occidentali nutrono la “speranza che sia un progetto fallimentare”. Anche la politica cinese di privilegiare i rapporti bilaterali è considerata come una minaccia per il blocco franco-tedesco oggi egemone in Europa, il che, dice Giacché, sta stuzzicando in alcuni corridoi di Bruxelles l'idea di creare un potere di veto sugli investimenti, specie quelli riguardanti gli ambiti della tecnologia e della “portualità”. In questo quadro l'Italia può scegliere se continuare ad essere solo un punto di transito per le merci provenienti dalla Mitteleuropa oppure se aderire alla BRI, facendo della “portualità meridionale” il “perno per costruire un ponte tra Africa, Medio Oriente ed Europa”, sfruttando la propria posizione storica di centralità nel Mediterraneo per rilanciare lo sviluppo anche del Meridione. Giacché ha poi concluso il suo intervento ammonendo che la stabilità dell'UE può dipendere “solo dal riequilibrio delle forze interne” e dallo “sviluppo di relazioni paritarie con l'estero”. Rispondendo ad una serie di successive domande dal pubblico Giacché ha affermato che la ricostruzione di un “nuovo ordine monetario mondiale è la sfida dei prossimi anni”.

Dopo l'intervento di Chen Xiaohui, vice preside della scuola di marxismo dell'università di Tecnologia di Dalian, che ha concluso la sessione ribadendo come la BRI sia, oltre che una sfida per la Cina, sicuramente una grande opportunità anche per l'Europa, è intervenuto Mauro Collina, (membro della segreteria regionale del PRC) che ha ammesso la propria “scarsa conoscenza” sull'economia cinese e la necessità di una “riflessione interna nel PRC”, oltre che la necessità di avere un “rapporto più stretto” con il PCC, di cui ha elogiato la politica di sostegno a Cuba e a Venezuela.

 

III Sessione – Nuovi approcci negli scambi culturali tra Cina ed Europa

Ad aprire la III sessione è stata Li Yan, direttrice dell'Istituto di teoria di base dell'educazione ideologica e politica presso l'Università Normale del Nord-Est. La professoressa ha sottolineato come sia sempre maggiore l'interscambio culturale in ambito universitario tra Cina ed UE, e soprattutto come si stiano modificando i flussi: sono infatti sempre di più gli studenti europei che vanno a studiare in Cina. Nel 2015 sono stati 45 mila, il 12% in più rispetto al 2012. Sempre dal 2012 sono presenti sempre più docenti e professori in Unione Europea per insegnare non solo la lingua cinese, ma anche per spiegare le sue politiche.

Antonio Fiori, docente dell'università di Bologna, ha confermato la varietà di programmi che attestano un sempre maggiore interscambio culturale tra le università italiane e quelle cinesi, grazie ad esempio a programmi come l'Erasmus Mundus Joint Degrees e il Jean Monnet Actios, quest'ultimo teso a costruire un network comune per consentire un'interazione costante.

Chen Yanbin, professore alla scuola di marxismo dell'università Normale di Jangsu, spiega che “per comprendere la Cina bisogna comprendere la famiglia cinese”. La cultura della “casa”, comprendente i concetti di “famiglia” e “nazione”, fanno infatti parte del “socialismo a caratteri cinesi”. La famiglia costituisce il “nucleo cellulare della società”, fatto evidente fin dalla presentazione del nominativo di ogni cinese, che al nome personale antepone il cognome ereditato dagli antenati. “Se crolla la famiglia crolla quindi anche la società”, non ultimo perché essa è il fondamento di un sistema di valori che comprende virtù, disciplina, comportamento, cortesia. Non mancano ragioni di convenienza socio-economica, come ammesso candidamente: “fare figli significa creare previdenza sociale”, infatti “se tutti i 18enni andassero via di casa subito per noi sarebbe un problema sociale”, venendo a mancare un sostegno fondamentale per gli anziani e palesandosi, forse, anche un problema di insufficienza quantitativa del patrimonio edilizio che deve ospitare un miliardo e 300 milioni di persone. Ciononostante il “modello di emancipazione dei giovani occidentali è un punto di interesse e di approdo per noi cinesi”, lasciando così intravedere possibili evoluzioni in tale paradigma.

Stefano Azzarà, direttore della rivista Materialismo storico, ha tenuto un intervento dedicato alla figura di Domenico Losurdo, il cui ruolo nel favorire la comprensione storica, politica e filosofica della Cina in Occidente è stato fondamentale. Nella prima parte del suo discorso Azzarà ha ricordato il viaggio a Pechino di Losurdo, svoltosi nel 1973 con l'Associazione Italia-Cina, e la successiva prudenza nel giudicare la “svolta” di Deng di fine decennio, a dispetto degli strali e delle accuse lanciate da altri intellettuali dell'epoca. Azzarà ha ricordato alcuni degli aspetti principali dell'elaborazione losurdiana, quali l'opposizione alle letture meramente “economicistiche” del marxismo e la presentazione della lotta di classe come “teoria generale del conflitto”. “Lotta nazionale”, “marxismo” e “socialismo” sono stati quindi per Losurdo componenti indispensabili per il “successo cinese”. Nel finale del suo intervento Azzarà si è lasciato andare a discutibili considerazioni personali non scevre da polemica, identificando una “svolta” della politica statunitense nella presidenza Trump e stigmatizzando il ritorno al “sovranismo” che attecchirebbe “purtroppo anche a sinistra”. Infine ha chiuso affermando che Losurdo, pur consapevole della difficoltà, riponeva “speranze nella democratizzazione” dell'ONU e dell'UE, ribadendo così di essere in linea con la strategia tracciata da Alessandroni in un suo recente saggio che si è già provveduto a criticare.

Dopo il brevissimo intervento di Chen Airu, ricercatrice associata all'Accademia del marxismo, si è entrati nel vivo della IV sessione.

 

IV Sessione – La Comunità di futuro comune e lo sviluppo europeo

Zhao Zhongyuan, preside della scuola di marxismo dell'università di Guangzhou, ha sostenuto che il PCC è “creatore di una strategia internazionale per migliorare il mondo”. Questa strategia pone molteplici sfide da affrontare, e comporta una certa flessibilità tattica, che può portare a stringere “alleanze”, “ma non accordi esclusivi”. L'ottica è quella del sistema “win-win”, rimanendo “rispettosi dell'ecologia”. In questo senso manifesta estrema contrarietà al ritorno di un clima da “guerra fredda”. Il PCC preferisce concentrare l'attenzione sul necessario sviluppo, lavorando a “ridurre le disuguaglianze interne, specie tra città e campagna” e al “rafforzamento dello sviluppo degli altri Paesi sottosviluppati”.

Applaudito e menzionato nel finale da Deng Chundong è stato l'intervento di Francesco Galofaro, professore di semiotica al Politecnico di Milano, il quale in maniera originale ha tracciato un quadro su come l'identità cinese sia stata percepita dagli occidentali, partendo con un curioso aneddoto di Marco Polo, che scambiò gli sconosciuti rinoceronti per degli unicorni. Introducendo concetti dell'etnologia Galofaro ha spiegato come le visioni distorte della Cina, siano esse passate e presenti, dipendano dallo sguardo dello spettatore, il quale inizialmente è benevolo: Samir Amin ricordava come la Cina imperiale sia stata a lungo percepita come un modello esemplare per l'organizzazione tecnico-amministrativa. L'approccio diventa ostile (da parte occidentale) nel XIX secolo: nell'epoca del colonialismo, dell'imperialismo e dell'acquisizione della superiorità tecnologico-militare occidentale, la Cina diventa una terra da sottomettere; per giustificare le aggressioni e le guerre contro i cinesi inizia il processo di imbarbarimento e disumanizzazione, per il quale si diffondono stereotipi e falsità ricorrendo ad ogni tipo di strumento di propaganda, perfino fumetti. Oggi invece l'opera di disinformazione è messa in atto dai principali media, anche quelli apparentemente neutrali, come Wikipedia, le cui fonti principali sulla Cina, perfino sui dati statistici, sono in buona misura di provenienza anglo-sassone, ed in particolar modo riconducibili ai circuiti della CIA e della NATO, come dimostrato grazie ad un apposito algoritmo creato dallo stesso Galofaro.

Niu Qiuve, professore della scuola di marxismo dell'università di JiNan, ha anch'egli fatto un piccolo excursus storico, ricordando come i contatti tra Cina ed Europa siano antichi, ma che la loro “ritualità” sia una “novità odierna”. Rispondendo implicitamente alle accuse di imperialismo provenienti dalla borghesia e perfino dal fuoco amico di una certa “sinistra”, Niu ha ricordato come in passato le “regole di scambio” tra i due mondi siano state a lungo “unilaterali”, ossia imposte con la forza dall'Occidente al resto del mondo, chiaramente a svantaggio di quest'ultimo. Radicalmente diverso in tal senso il sistema “win-win” che consente di ottenere vantaggi economici reciproci.

Il magistrale intervento di Andrea Catone ha introdotto degnamente alla chiusura dell'evento, tanto da oscurare la breve relazione conclusiva della professoressa Li Shule sull'inedita interpretazione della concezione marxiana della “comunità reale” nella nuova era. Catone ha iniziato denunciando i grandi limiti del “marxismo occidentale”, dimostratosi “incapace di offrire una guida adeguata per trasformare i rapporti di produzione” e colpevole di non aver più utilizzato “lo strumento della dialettica materialista nell'analisi sulla Cina”. Ha ricordato gli enormi meriti di Lenin nello “straordinario sviluppo del marxismo”, specie con la “teoria dell'imperialismo” che ha consentito al messaggio comunista di assumere una “diffusione mondiale”. Il leninismo si è configurato come una “tappa reale” di “universalizzazione del marxismo”. Catone ha prevenuto eventuali obiezioni sul fatto che l'espansione del marxismo, nato dall'incontro di componenti tedesche, francesi e inglesi nella sintesi offerta da Marx ed Engels, abbia potuto significare una “assimilazione culturale occidentale” da parte dei popoli extra-europei. Ciò non è ammissibile perché il marxismo, specie a seguito della lezione di Lenin, “si cala concretamente nella lingua, nella cultura, nelle tradizioni delle varie nazioni”. Agli albori dell'URSS questo aspetto è stato sottovalutato, nel tentativo frettoloso di fare “tabula rasa” da ogni cultura borghese e reazionaria precedente. Occorre invece evitare un “universalismo astratto e falso”, cadendo così nel cosmopolitismo, cercando invece un equilibrio che tuteli anche dal rischio di precipitare in un “eclettismo” ideologico.

Nelle brevi conclusioni Deng Chundong ha giudicato l'appuntamento estremamente “utile”, proponendo di “portare avanti la collaborazione”. Catone ha risposto proponendo due direttrici di lavoro: la prima, di breve termine, prevede la pubblicazione degli atti del convegno, al fine di offrire un utile strumento a disposizione dei marxisti italiani. La seconda, di lungo periodo, è la richiesta di poter disporre da parte dei cinesi delle loro elaborazioni teoriche in traduzioni linguistiche più accessibili come l'inglese o l'italiano stesso. Nella mail di ringraziamento mandata dagli organizzatori si specifica che le richieste poste sono state accolte, stigmatizzando in conclusione come, fuori dal circuito degli organizzatori, di tale importante appuntamento sia stata data notizia solo da Sputnik Italia e da Radio Cina Internazionale, mentre “i media italiani (anche locali), nonostante tutti gli sforzi fatti per coinvolgerli, abbiano preferito ignorare questo nostro tentativo di dialogo tra la Cina e l’Italia.”

In attesa della pubblicazione degli Atti del Convegno, la speranza è quindi che il movimento comunista italiano possa riflettere profondamente sulla necessità di approfondire la “questione cinese”, la quale rimane oggetto di mistero o di repulsione per molti comunisti italiani che, accettando il giudizio liquidatorio del “marxismo occidentale” e della stessa intellighenzia borghese, rischiano di stare dalla parte sbagliata della barricata. Costoro mancheranno di identificare nella Repubblica Popolare Cinese, non tanto un modello teorico da riproporre e a cui fare riferimento per il nostro Paese, quanto piuttosto un alleato potenziale per una possibile alternativa all'eurocentrismo e all'atlantismo, ossia alle strutture dell'imperialismo che dominano ancora vaste aree del globo, compreso il nostro Paese, potenza imperialista di secondo piano e in pari tempo semi-colonia subalterna agli USA e al grande Capitale internazionale. Gli anticapitalisti che pensino di poter abbattere il sistema socio-economico vigente senza ragionare anche su questo piano, non solo sono destinati al fallimento, ma ritarderanno ulteriormente il rilancio del movimento comunista in Italia. Tale rilancio non può che avvenire ripartendo dalla lezione del marxismo-leninismo, aggiornandola però alla lezione storica dell'ultimo secolo. L'unico modo per svolgere questo lavoro è ripartire non dalle formule magiche, non dai dogmi, non dalle citazioni ripetute meccanicamente, ma dai princìpi originari e dal metodo rivoluzionario del materialismo dialettico.

Comments

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Paolo Selmi
Friday, 26 October 2018 15:57
"Tale rilancio non può che avvenire ripartendo dalla lezione del marxismo-leninismo, aggiornandola però alla lezione storica dell'ultimo secolo"... senza dire a nessuno che nel frattempo è diventato capitalismo, peggio ancora, imperialismo (in barba ai tanto declamati win-win). Limitare l'affermazione del contrario ad "atti di fede" senza entrare nel merito della forma merce e del ciclo di produzione e riproduzione della stessa, così come dei processi di accumulazione ed esportazione di capitale, nonché di devastazione ambientale e sociale prodotta, questo sì "ritarderà ulteriormente il rilancio del movimento comunista in Italia".
Paolo
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