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ragionieconflitti

Comunisti e sinistra di classe. Che fine hanno fatto in tempi di pandemia?

di Redazione

Loccupazione delle terre incolte in SiciliaLa redazione di ‘Ragioni e Conflitti’ ha posto quattro interrogativi all’attenzione di Alessio Arena (Fronte Popolare), Franco Bartolomei (Risorgimento Socialista), Adriana Bernardeschi (La Città Futura), Mauro Casadio (Rete dei Comunisti), Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo), Marco Pondrelli (Marx21), Marco Rizzo (Partito Comunista), Mauro Alboresi (Partito Comunista Italiano). Segnaliamo che il segretario del Partito della Rifondazione Comunista, benché da noi sollecitato a partecipare al presente forum, ha ritenuto di non fornire alcun concreto riscontro alla nostra richiesta: un vero peccato, un’occasione di confronto mancata. Ecco di seguito gli interrogativi con le relative risposte, la cui lunghezza varia entro lo spazio di una pagina word ciascuna, come raccomandato dalla redazione.

* * * *

1. Pur in un dramma per molti versi imprevedibile, l’emergenza pandemica dovrebbe aver dato a molti la possibilità di vedere che il re è nudo. Da una parte, un Paese come la Cina che addirittura offre materialmente aiuto al più potente Paese capitalistico; dall’altra parte, milioni di disoccupati privi di assistenza sanitaria e una società impegnata a tagliare o privatizzare servizi pubblici essenziali, quindi sciaguratamente inadeguata per rispondere a impellenti esigenze di sicurezza collettiva. Non pensi che ciò offra importanti spunti per una battaglia ideologica, essendo l’occasione per far riflettere sulle caratteristiche e le storture di una determinata organizzazione sociale?

 

ALESSIO ARENA. L’emergenza sanitaria ha reso evidenti diversi punti di collasso del modello di sviluppo attualmente prevalente nel mondo. Negli Stati Uniti, da sempre in prima linea nell’applicazione ortodossa del modello capitalista, il dramma umano è incalcolabile, così come lo è il contraccolpo economico.

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marx xxi

Il ruolo dei comunisti italiani

di Roberto Gabriele

Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione

Congressopcdi1921In un periodo drammatico come questo di scombussolamento economico, sanitario e di equilibri politici nazionali e internazionali, sarebbe importante che da parte dei comunisti italiani si ponesse di nuovo il problema concreto di come affrontare le prospettive.

Sicuramente quelli che si ritengono comunisti pensano di avere un'opinione sulle cose che stanno avvenendo e gli interventi su Marx XXI lo dimostrano, ma il loro pensiero non si è trasformato ancora in un progetto politico che sia collegato alla situazione. Si rischia così di rimanere legati a una concezione di nicchia dell'impegno politico e di esprimere solo esigenze di analisi dei problemi senza trasformare questa analisi in un'ipotesi di lavoro e verificarla nella realtà.

I comunisti possono fare in Italia solo questo oppure si può (e si deve) fare un passo avanti? E' su questo che si dovrebbe aprire la discussione.

Certamente le sconfitte subite a partire dagli anni '90 del secolo scorso hanno lasciato il segno e molti compagni sono cauti e, giustamente, evitano di ricorrere a formazioni partitiche virtuali che possono soddisfare solo le manie di protagonismo di qualche cattivo maestro. Ma allora domandiamoci: qual è il ruolo oggi dei comunisti italiani? Sono destinati solo a mantenere viva una tradizione storica, oppure affinchè questa tradizione abbia un'incidenza reale, devono saper coniugare il loro punto di vista col corso degli avvenimenti?

Noi siamo ovviamente per la seconda ipotesi. La condizione però è che si mettano in chiaro alcuni punti essenziali su cui una nuova prospettiva si può aprire, il primo dei quali riguarda proprio il modello delle relazioni tra comunisti, cioè la forma in cui rapportarsi per superare la sconfitta e riprendere un cammino che non sia di pura testimonianza.

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tempofertile

Delle contraddizioni in seno al popolo: Stato e potere

di Alessandro Visalli

092916 istatSu “La fionda” si sta svolgendo un dibattito di grande interesse che ha preso avvio il 21 maggio con un articolo[1] di Rolando Vitali, per poi alimentarsi in particolare con il denso articolo[2] di Diego Melegari e Fabrizio Capoccetti del 27 maggio, e al momento concludersi con il pezzo[3] del 4 giugno di Lorenzo Biondi. La posta di questo scambio è l’analisi strategica del presente e delle forze che in esso si muovono, e quindi l’identificazione delle azioni politiche e relative alleanze. Dunque, è una posta di primaria importanza.

Per confrontarsi con queste posizioni bisognerà ricostruire gli argomenti portati, in particolare dall’articolo centrale, e descrivere cosa sta accadendo in questa fase, quale è la forza che muove la situazione, come si può tentare di reagire ad essa.

 

Parte prima: l’argomentazione.

L’articolo di Melegari e Capoccetti, che svolge un ruolo centrale di sistemazione delle analisi e dei concetti, muove dal corretto sentore di un disastro incombente sul paese per dedurne l’urgenza di un’azione e, insieme, da quella che chiama “asfissia politica” dell’area del sovranismo costituzionale, democratico e di ispirazione socialista, al quale sente di appartenere. Ed al quale sono diretti, di converso, gli strali polemici di Vitali. Chiama “asfissia”, ovvero la mancanza di fiato e quindi di vita, “politica” la condizione nella quale si respinge l’energia vitale degli unici che effettivamente si muovono. Questa mossa è prodotta, a loro parere, da una non ben chiara, ritrosia a comprendere, o ad accettare, che la presunta dicotomia tra la piccola borghesia ed i ceti dei lavoratori dipendenti proletari sia stata ormai definitivamente superata, o almeno confusa, dalle trasformazioni neoliberali seguite al crollo del “compromesso keynesiano”.

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la citta futura

Per non fare la fine dei cavalli

di Bruno Casati*

Un’analisi sulla fase, sui nuovi modi di produzione del capitale e su alcuni errori del “bertinottismo”.

Come contributo al dibattito e alla collaborazione tra comunisti, riceviamo e pubblichiamo questo articolo che uscirà sul prossimo numero della rivista Cumpanis edita dalla Città del Sole e diretta da Fosco Giannini.

business 3443583 640 300x180Nel nome della ragionevolezza e del buon senso, da più di trent’anni si viene invitati a rassegnarci all’immutabilità dello stato delle cose esistenti: “non ci sono alternative e, in ogni caso, i mercati non le consentirebbero”. Così si sentenzia e, a chi obietta, si agita il monito della Grecia che, solo per aver tentato modesti aggiustamenti, fu umiliata. Alla signora Thatcher, a suo tempo, fu affibbiato il nomignolo di “Tina”, che era poi l’acronimo del suo motto “there is no alternative” [non c’è alternativa] da allora assunto come motto da tutto l’Occidente. E fu una resa incondizionata senza ribellioni che, in trascinamento, portò all’affermazione, non contrastata, che non esistono le classi e, pure le categorie di destra e sinistra, vanno archiviate con tutto il Novecento.

Oggi, se si permane in questa condizione di sudditanza, anche la lotta alle disuguaglianze, che sono il portato della resa, non esce dagli appelli di poche anime belle e dagli inascoltati sermoni di un Papa, sempre più isolato. Forse è arrivato il momento almeno di domandarci una buona volta che cos’è mai questo stato delle cose esistenti che, per dogma, deve restare inalterato. Ci aiuta a decriptarlo, tra i pochi, il filosofo marxista István Meszáros che, nella sua recente e monumentale opera, sono 913 densissime pagine (Oltre il capitale, Ed. Punto Rosso, 2016), ci racconta del folle divario che, nel tempo, si è venuto a configurare tra gli USA e il resto del mondo, secondo cui gli Stati Uniti d’America, che hanno una popolazione inferiore al 5% relativamente a quella mondiale, consumano da soli il 25% di tutte le risorse del pianeta.

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lordinenuovo

Riprendere la nostra storia per riaprire la strada al futuro

di Norberto Natali

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo del 2013 sulla figura di Pietro Secchia

Longo Secchia Togliatti 600x4002xE’ il momento di vuotare il sacco (quasi tutto).

Fra le tante ragioni ci sono quelle di risolvere alcuni stranissimi “misteri” della nostra situazione politica.

Provo ad elencarne alcuni, senza badare al loro ordine di importanza:

1. Il PCI è oggetto di una sistematica cancellazione dalla memoria collettiva, dalla storia d’Italia che non ha eguali per alcuna altra forza sociale e politica. Ciò si integra, paradossalmente, con una campagna di deformazione e denigrazione della sua storia e della sua identità che alcuni portano avanti, tuttora, quasi quotidianamente.

Ciononostante viene completamente eliminata una parte assai importante del PCI che è quella simboleggiata dalla figura e dall’opera del compagno Pietro Secchia. Una sorta di occultamento nell’occultamento (potremmo dire: una cancellazione al quadrato) veramente significativa.

Solo un mese fa, Giorgio Napolitano ha rilasciato un’intervista alla Repubblica di oltre un’ora, quasi interamente dedicata alla storia del PCI: sembra che Pietro Secchia, con tutto ciò che rappresenta e significa, non sia mai esistito.

2. Trenta-quarant’anni fa c’erano alcune forze di estrema sinistra dedite all’attacco, anche violento, contro il PCI. Nel migliore dei casi si giustificavano lamentando “l’accordo DC-PCI”. I discendenti politici di quelle forze, oggi, si coalizzano e si candidano con un partito (il PD) composto da esponenti del PCI e della DC e che è la principale componente degli attuali, maledetti, governi fondati sull’accordo PD-PDL.

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manifesto

«È giunta l’ora di invocare il diritto di resistenza»

Roberto Ciccarelli intervista Sergio Bologna

sergio bolognaCinquant'anni dallo Statuto dei lavoratori, una storia del lungo Sessantotto italiano che inizia nel 1960, dura fino al 1985, e ha cambiato profondamente tutta la società. Parla lo storico del movimento operaio Sergio Bologna: «Nel 1970 quello Statuto fu una conquista democratica, anche se la prassi operaia era più avanti. A chi vuole scrivere oggi statuti dei lavori rispondo che prima bisogna cambiare prima i rapporti di forza tra capitale e forza lavoro. Dopo potremo adottare nuove leggi. Esiste già la Costituzione, basta per tutelare il lavoro. Iniziamo a parlare di conflitto e dal suo primo movimento: la resistenza»

* * * *

Il modo più proficuo per cogliere il significato dell’avanzata impetuosa della classe operaia, e la sua sconfitta, tra il 1960 e il 1985, è quello di mettersi nei panni di un giovane oggi alle prese con la precarietà. A Sergio Bologna, storico del movimento operaio e tra i fondatori della rivista Primo Maggio, potrebbe domandare dove sono finite le conquiste costate tanti sacrifici? Dove sono finiti tutti i diritti?

“Certo – risponde Sergio Bologna – parlando di quel periodo così lontano, ti viene la curiosità di sapere che percezione ha oggi un giovane lavoratore dei suoi diritti. È consapevole di avere dei diritti, sa cosa vuol dire difendere un diritto sul luogo di lavoro? Lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori del maggio 1970 è stato un importante gesto di civiltà, il riconoscimento e la tutela dei diritti sindacali un passo avanti del sistema democratico. Eppure moltissimi quadri sindacali e le stesse correnti politiche a noi più vicine lo consideravano già vecchio, già superato.

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jacobin

È di nuovo Primo Maggio

Andrea Bottalico e Francesco Massimo

Un nuovo progetto raccoglie l'eredità della più longeva delle riviste operaiste. E rilancia gli assi principali: l’inchiesta storica e militante assieme all’attenzione alle trasformazioni del lavoro e alle nuove figure sociali che le accompagnano

primomaggio jacobin italia 1320x481La rivista Primo Maggio (1973-1989), fondata e animata da Sergio Bologna, Cesare Bermani, Bruno Cartosio, Primo Moroni e altri fu di gran lunga la più longeva delle riviste «operaiste» (Quaderni Rossi pubblicò dal 1961 al 1965; Classe Operaia dal 1964 al 1967; Contropiano dal 1968 al 1971; Rosso dal 1973 al 1979). Questa longevità la rende una rivista meno legata alle contingenze politiche come potevano essere le altre – esposte ai capricci dei rapidi e imprevedibili avvicendamenti storici e di fase – e con un respiro di analisi più profondo. La sua longevità le permise di attraversare due decenni di segno opposto: prima quello dell’ascesa vorticosa e poi quello del lento declino del movimento operaio. E forse questa capacità di resistere, raccogliere energie e produrre analisi anche procedendo contro – ma in molti casi anticipando: si pensi alle intuizioni sulla crescente importanza della logistica così come del lavoro autonomo – il corso della storia rende quell’esperienza particolarmente affascinante e utile per il presente.

Negli scorsi due anni un gruppo di militanti e intellettuali – in buona parte ricercatori/trici precari/e – di diverse generazioni ha fondato il collettivo Officina Primo Maggio con l’obiettivo di recuperare e rivisitare l’esperienza dell’omonima rivista degli anni Settanta e Ottanta: in particolare la centralità del metodo dell’inchiesta – storica e militante – l’attenzione alle trasformazioni del lavoro e alle nuove figure sociali che le accompagnano. Ne avevamo parlato su Jacobin Italia con Sergio Bologna nello scorso gennaio. In quell’intervista Bologna ha insistito su un punto centrale del metodo della vecchia e nuova Primo Maggio:

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cumpanis

I comunisti e l’Unione Europea

di Ascanio Bernardeschi

L’unità dei comunisti quale condizione per la costruzione di un fronte anticapitalista è più che mai necessaria e i numerosi, minuscoli, ciascuno per conto suo ininfluenti, movimenti comunisti dovrebbero fare un esame di coscienza e andare verso la ricomposizione, abbandonando effimere rendite di posizione

Iniciativa de Partidos Comunistas y Obreros para estudiar y elaborar sobre asuntos europeos y coordinar su actividadIl disegno interclassista originario

Per ragionare sull’Unione Europea (Ue) occorrerebbe preliminarmente demistificare la retorica sulla bontà del disegno originario di un’Europa “libera e unita” tratteggiata da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel loro confino di Ventotene. Si tratta di un disegno interclassista in cui la divisione fondamentale non sta “lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo” ma lungo la “nuovissima linea” che divide chi lotta per “la conquista e le forme del potere politico nazionale” da chi considera “compito centrale la creazione di un solido stato internazionale”. Un internazionalismo che prescinde dalla divisione in classi. Le “gambe” di questo processo federalista dovevano essere del tutto esterne ai partiti politici antifascisti esistenti e infatti, nell’agosto del 1943, venne costituito il Movimento Federalista Europeo, con carattere di apartiticità.

Certamente non mancano toni di pacifismo, giustizia, antirazzismo, antiautoritarismo, contrarietà a qualche imperialismo – non tutti, per la verità – e perfino accenni ad aspirazioni socialisteggianti, ma non c’è traccia del ruolo protagonista delle classi lavoratrici, del loro antagonismo rispetto allo sfruttamento capitalistico. Pare insomma che una società superiore possa essere costruita attraverso la concordia sociale e un volemosi bene indifferenziato di “tutti gli uomini ragionevoli”, in cui anche gli imprenditori che “vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche e dalle autarchie nazionali” dovrebbero fare la loro parte.

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nuovadirezione 

Tornanti. Una mappa

di Nuova Direzione

tornanti

1) Premessa

L’epidemia di Covid-19, che ha investito l’intero pianeta ha costretto al blocco o a un fortissimo rallentamento tutte le economie occidentali, rappresenta un tornante storico che determina un “prima” ed un “dopo”. Una nuova fase sta avanzando con rapidità assolutamente imprevedibile e con pari incertezza. Una nuova fase esige di aggiornare le parole d’ordine.

Il presente testo rappresenta il contributo che Nuova Direzione propone alla discussione collettiva per la costruzione di una piattaforma di ispirazione socialista ed in grado di coniugare una prospettiva di difesa della indipendenza e sovranità democratica e nazionale con un chiaro orientamento egemonico imperniato su un blocco sociale coerente con questa. Sono necessarie per la fase chiarezza teorica e programmatica, da una parte, e la massima convergenza di forze e d’azione possibile, dall’altra. Ma la prima istanza, senza visione non c’è azione coerente, implica che l’eventuale soggetto, pur potendo allearsi tatticamente anche con forze diverse, dovrà avere una chiara e coerente linea politica. A questo fine le proposizioni che seguono.

La nostra economia non va riavviata, né rimessa in piedi, ma interamente “reimpostata”, ri-organizzata.

A questo fine dobbiamo fare un breve passo indietro per allargare lo sguardo.

 

2) Dove siamo

Gli sviluppi politici promossi nell’era neoliberale, e specificamente nella sua fase di più accentuata globalizzazione economica, a partire dagli anni ’90, hanno avuto come esito una radicale depoliticizzazione della popolazione.

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laboratorio

La ricostruzione di una ipotesi comunista per la società del XXI secolo

di Laboratorio 21

Leonardo editoriale1. La sinistra radicale e i comunisti stanno vivendo quello che, in Europa e soprattutto in Italia, è il periodo peggiore della loro storia. Ciò appare paradossale se pensiamo alla profonda crisi strutturale del modo di produzione capitalistico in atto, che dovrebbe fornire argomenti alla sua critica. La verità è che la stessa identità comunista ha necessità di essere ridefinita: cosa vuol dire essere comunisti oggi e soprattutto cosa è il comunismo? La risposta a queste domande e la ripresa del movimento comunista richiedono tempo e soprattutto non possono avvenire mediante scorciatoie politicistiche o ideologico-dogmatiche. Si può risalire la china solo con un lungo e radicale lavoro di rielaborazione della storia del comunismo novecentesco e di comprensione del modo di produzione capitalistico e della società che vi sorge sopra.

 

2. Quella della sinistra radicale e dei comunisti è una profonda crisi, inserita all’interno di una fase di grande trasformazione dell’economia e della società dell’Italia e dell’Europa a sua volta inserita in una grande trasformazione del capitalismo a livello globale. I cambiamenti in atto nella struttura socio-economica hanno avuto conseguenze sulla sovrastruttura politica, determinando la crisi del bipolarismo tra centro-destra e centro sinistra – che in Italia si basava su coalizioni ruotanti attorno a Forza Italia-Partito delle libertà e al Pds-Ds-Pd. Nello stesso tempo lo spazio un tempo occupato dai partiti “centrali” è stato occupato, da una parte, da forze cosiddette populiste come il M5s e la Lega, che hanno drenato gran parte del voto della sinistra radicale e comunista e soprattutto di ampi settori di classe lavoratrice, e, dall’altra parte, dall’astensionismo di massa.

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carmilla

La classe operaia che non volle farsi Stato: Linea di condotta

di Sandro Moiso

Emilio Quadrelli, Autonomia Operaia. Scienza della politica, arte della guerra, dal ’68 ai movimenti globali, in appendice la ristampa anastatica del numero unico della rivista Linea di condotta del 1975 con una introduzione inedita, Interno 4, 2020, pp. 352, 20 euro

1d46491dc1c63712c0d5b76467db509e 800x493“Cos’è un grimaldello di fronte a un titolo azionario? Che cos’è la rapina di una banca confronto alla fondazione di una banca? Che cos’è l’omicidio di fronte al lavoro?” (L’opera da tre soldi – Bertolt Brecht)

Credo sia giusto, in questo quarantunesimo anniversario del 7 aprile e del teorema Kalogero, tornare a parlare di un’opera giunta alla sua terza edizione. A quattro anni dalla seconda (2016) e a dodici dalla prima (2008). Un’opera, quella di Emilio Quadrelli, che non soltanto ripercorre la storia dell’autonomia operaia italiana, dai primi anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta, a partire dal conflitto e dall’iniziativa di classe che la fondarono e le diedero le gambe su cui marciare, ma che, in questa nuova edizione, aggiunge un dato di tutto rispetto: la ristampa anastatica del numero unico della rivista Linea di condotta uscito nel 1975, accompagnata da un’esauriente Introduzione a cura dello stesso Quadrelli.

Una rivista uscita in numero unico, con datazione di copertina luglio-ottobre 1975, che avrebbe preceduto di poco «Senza tregua. Giornale degli operai comunisti», uscito poi in nove numeri tra l’autunno di quello stesso anno e il settembre del 1977, di cui si è occupato recentemente sempre Emilio Quadrelli per Red Star Press (qui) proprio per riportare alla luce un’esperienza di analisi e pratica politica militante troppo a lungo rimossa dalla ‘storia ufficiale’ di ciò che è entrato nella memoria collettivaa come Autonomia Operaia.

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lafionda

Perchè la fionda?

di Geminello Preterossi

san davide 1Perché è lo strumento di chi si ribella all’oppressione.  Di chi non può contare su grandi risorse materiali né gode di protettorati mainstream, ma mira dritto perché ha il coraggio delle idee. La forza dell’irriverenza, che fa analizzare in contropelo i luoghi comuni. La passione intellettuale e politica di chi non aderisce alle idee ricevute, ma sottopone tutte le tesi a una verifica attenta. L’ostinazione ragionata di chi non ha paura di smentire la propaganda, squarciando il velo della post-verità del sistema neoliberista.  La lucida coerenza di non negare i fatti, o edulcorarli, per approfondire e cercare di capire di più, senza fermarsi di fronte alle convenienze, alle interpretazioni di comodo.

La fionda è uno spazio pluralista e libero di elaborazione culturale e politica, promosso da una comunità di persone che condivide alcune precise idee – statualiste, autenticamente democratiche e antiliberiste -, senza compromessi contraddittori né opacità furbesche. Ma che ha l’autentico desiderio di confrontarsi, di dare luogo a un dibattito vero, fecondo, senza tabù.  Questo deve essere il tempo della nitidezza e dello spirito critico che non arretra di fronte a nulla. Solo così sarà possibile ripartire non gattopardescamente, ma cambiando paradigma.

La fionda di Davide contro Golia. Ma anche la fionda di Gian Burrasca. 

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In questo sito-rivista si parla di cose serie, non di sovranismo, moltitudine, democrazia sovranazionale e governo mondiale, diritti dei consumatori al posto di quelli dei cittadini, virtù del mercato da contrappore allo Stato, e via cantando con i ritornelli del  neoliberalismo, nelle sue varie declinazioni, e dell’alterglobalismo, viziato di sulbalternità culturale e antistatualismo.

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nuovadirezione

Documento preparatorio della Tesi sul socialismo del XXI secolo

di Carlo Formenti e Alessandro Visalli

Contributi e revisioni: Andrea Zhok, Mimmo Porcaro, Onofrio Romano, Thomas Fazi

soc xxi sard1. Socialismo o barbarie

Viviamo una fase storica in cui il socialismo appare, al tempo stesso, impossibile e necessario. Mentre la prospettiva socialista sembra oscurata da secoli di errori politici, teorici e culturali, l’alternativa socialismo o barbarie non è mai stata attuale come oggi. Questo perché quarant’anni di rivoluzione neoliberista hanno trascinato il mondo sull’orlo del collasso economico, politico, sociale e ambientale. Il capitalismo contemporaneo, in misura superiore a tutte le forme che lo hanno preceduto, distrugge a ritmo accelerato ogni struttura sociale e comunitaria, fino alle famiglie e agli stessi individui; genera disuguaglianze crescenti, che crescono su se stesse fino ad assumere proporzioni intollerabili; appiattisce il potere politico sul potere economico, distruggendo i fondamenti della democrazia; sconvolge l’ambiente in misura tale da minacciarne le condizioni di compatibilità con la specie umana.

Il combinato disposto della rivoluzione tecnologica – in particolare nei settori della comunicazione, dei trasporti, dell’intelligenza artificiale e della robotica industriale -, della deregulation finanziaria e della globalizzazione dei mercati di merci, forza lavoro e capitali genera effetti devastanti sulle condizioni di lavoro e di vita di miliardi di esseri umani. In tutto il mondo sono in atto “riforme” del lavoro che prevedono la riduzione delle tutele dal licenziamento, la proliferazione di mercati del lavoro che contemplano livelli diversi di tutele giuridiche, sanitarie, infortunistiche, assistenziali, ecc. dei lavoratori, l’autorizzazione di forme di lavoro precarie e a bassa retribuzione, l’accettazione di elevati tassi di disoccupazione, il depotenziamento dei diritti sindacali e la conseguente decontrattualizzazione dei rapporti di lavoro.

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militant

Didier Eribon, Ritorno a Reims

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti

di Militant

retour a reims 1bA volte capita di imbattersi senza nemmeno volerlo in libri che si rivelano molto più interessanti di quanto non si immaginasse quando li si è presi in mano. Ritorno a Reims, di Didier Eribon e pubblicato in Italia nel 2017 per i tipi della Bompiani è sicuramente uno di quei casi. Si tratta di un lavoro difficilmente catalogabile perché lo si potrebbe approcciare come un piccolo saggio di sociologia sulle trasformazioni delle classi popolari francesi, oppure, senza per questo sbagliare, potrebbe essere letto tranquillamente come l’autobiografia di un proletario cresciuto in un ambiente pieno di pregiudizi che si ferma a riflettere sulla propria omosessualità e sul percorso di soggettivazione e “reinvenzione di sé” che l’ha portato a scappare dall’ambiente sociale della sua infanzia e della sua adolescenza, fino a farne, come lui stesso si definisce, un “transfugo di classe”. A ben vedere, però, la definizione che più si addice a questo libro è quella data dallo stesso Eribon: un’analisi storica e teorica fortemente ancorata, però, ad un’esperienza personale. La morte del padre, che non vedeva ormai da anni, spinge infatti l’autore ad intraprendere un viaggio di ritorno verso quel “periurbano imposto”, quello spazio istituito della segregazione urbana e sociale in cui sono stati spinti a vivere i suoi genitori, due operai di tradizione comunista che nella loro vita avevano avuto la fabbrica come unico orizzonte sociale possibile.

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intellettuale collettivo

Sulla crisi strutturale della sinistra

di Alessandro Pascale

Il 2 febbraio il compagno Gordan Stosevic mi ha contattato per pormi alcune domande sull’attualità politica italiana ed internazionale, concentrando l’attenzione sulle problematiche riguardanti il movimento comunista. L’intervista sarebbe dovuta uscire sul suo sito Ilgridodelpopolo.com; Stosevic si è visto però impossibilitato a pubblicare il pezzo in questione dato che il suo sito è stato nel frattempo oggetto di un attacco informatico.

Abbiamo convenuto assieme di darne quindi pubblicazione su questo portale [ap].

maraPer iniziare l’intervista, la sinistra vive più una crisi ideologica o politica oggi?

– Innanzitutto intendiamoci sul significato del termine “sinistra”, espressione che nel senso comune è ormai associata ad una visione liberista e liberale che nei migliori casi ha leggere sfumature di socialdemocrazia ma che è strutturalmente incapace di mettere in discussione il sistema vigente. Questa “sinistra” così intesa ha ancora un suo seguito di massa ma è palesemente in crisi, anche se continua ad essere considerata un argine contro il “ritorno del fascismo”, presunto o reale che sia. Distinguerei tra persone e gruppi organizzati che si sentono interiormente dalla parte del progresso sociale ma che mancano degli strumenti ideologici per comprendere l’inadeguatezza della propria proposta politica, da persone e gruppi che invece utilizzano strumentalmente l’identità di sinistra per introdurre idee e temi storicamente appartenenti alla destra. Questi ultimi, ossia la destra che si camuffa da sinistra, sta tutto sommato bene, dato che il suo obiettivo principale è quello di impedire il risorgere di una coscienza di classe anticapitalista. Mi sembra di poter dire che la crisi dei primi, ossia della “vera” sinistra, sia figlia di una dialettica figlia di una serie di rigetti ideologici e politici che si sono stratificati nel tempo. Se dovessi identificare il “peccato originale”, direi che la crisi ideologica della sinistra parte dalla destalinizzazione del 1956. Da lì è iniziata l’opera di smantellamento progressivo della teoria di riferimento. In URSS e in Occidente nel giro di poco più di 30 anni si è passati dall’egemonia del marxismo-leninismo al ripudio completo delle teorie di Marx ed Engels, a favore del ritorno in grande stile di un “liberalismo” sempre più restio al compromesso sociale e improntato in senso elitario. La “fuga” dal marxismo è un atto sciagurato che ha fatto regredire culturalmente e politicamente l’intero movimento progressista occidentale.