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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”

I diversi destini del PCC e del PCI all’ombra della fine dell’URSS

Intervista a Fulvio Bellini*

Immagine secondo editoriale Intervista BelliniIl 2021 è stato l’anno di due importanti anniversari: quello della nascita dei partiti comunisti cinese e italiano. Molto si è scritto e dibattuto su questi temi. Qual è la tua opinione?

La prima riflessione sembra banale, ma solo apparentemente: salta all’occhio il destino diametralmente opposto che questi due partiti hanno avuto nel medesimo arco di tempo. Entrambe le organizzazioni politiche sono nate tra mille difficoltà, in Italia a causa del subitaneo avvento del ventennio fascista, in Cina a causa dell’inevitabile avversione delle potenze occidentali che là spadroneggiavano, dell’occupazione giapponese e dell’ostilità del Kuomintang di Chiang Kai-shek. Entrambi i partiti hanno avuto ruoli centrali nelle rispettive guerre di liberazione nazionali, e non si può negare che anche nel dopoguerra, in considerazione dei diversi contesti politici internazionali, e di collocazione rispetto ai propri governi, sia il PCC che il PCI hanno svolto ruoli centrali nella storia dei rispettivi paesi.

Ruoli sempre propositivi, comunque tesi al raggiungimento dell’obiettivo supremo che, a mio avviso, un partito socialista deve avere nella sua azione politica: come viene prodotta la ricchezza e come viene distribuita, che in altri termini possiamo definire come la lotta della supremazia tra il potere economico e quello politico.

La svolta che ha decisamente divaricato la storia dei due partiti è avvenuta certamente agli inizi degli anni Novanta, ed è coincisa con la fine dell’epopea dell’Unione Sovietica. Quell’evento ha determinato due conseguenze opposte: ha segnato la fine del Partito comunista italiano come soggetto politico di massa, mentre ha spronato i comunisti cinesi ad imprimere la svolta che ha portato il gigante asiatico ad essere la grande potenza che oggi conosciamo.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Intervista a Bruno Casati

Dallo scioglimento del PCI all'attuale crisi del movimento comunista italiano

di Bruno Casati*

“Cumpanis” ha posto a Bruno Casati, come ad ogni altro interlocutore/interlocutrice di questo Speciale, “L’essenza, per le fondamenta”, alcune domande, le cui risposte l’Autore ha preferito sintetizzare in questo unico testo

Immagine primo editoriale Interviste Bruno CasatiNegli anni ’80, e men che meno nel decennio precedente, non si ebbe mai la percezione della gravità che, nel PCI, andava ad assumere un doppio fenomeno. Il primo dato dai riformisti che, ancora con Berlinguer vivente, conquistano la maggioranza nella Direzione e nella Segreteria Nazionale del Partito, tanto che Berlinguer opera la “seconda svolta di Salerno”, con cui recupera il rapporto che si era allentato con la base comunista, forzando le regole del centralismo democratico e solo così aggirando il dissenso della Direzione.

Il secondo fenomeno si configura nel manifestarsi, cautamente all’inizio, di una nuova generazione di comunisti. È la leva dei giovani della FGCI degli anni Sessanta che, nell’80, diventati quarantenni alzano la testa. È la loro la prima generazione che non può, ovviamente, disporre del “cursus honorum” dei precedenti gruppi dirigenti del PCI: i fondatori di Livorno, i quadri della clandestinità, poi della Spagna, della Resistenza, del “partito nuovo” di Togliatti e, infine, della “via italiana al socialismo”.

I giovani della FGCI del Sessanta sono, invece, entrati direttamente negli apparati del partito dopo qualche anno di università, taluni, senza aver mai diretto, tutti, una lotta di fabbrica o di territorio. Però sono molto ambiziosi e si propongono di farsi largo nel partito, ma prima devono liberarsi dei padri. L’operazione rasenta l’impossibile fintanto che resta in campo Berlinguer, che avrà pure perso la maggioranza della Direzione ma resta l’ultimo grande dirigente per il quale si possa parlare di “sacralità del capo”. Pertanto, bisogna liberarsi di Berlinguer e della sua intransigenza che lo aveva portato sia alla critica frontale del craxismo che alla denuncia del malcostume interno al partito. I Riformisti filo craxiani che controllano la Direzione, la CGIL e alcune importanti federazioni come quella di Milano, sono d’accordo con i quarantenni rampanti e si apprestano cinicamente a usarli.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Contro la gabbia del “biopotere”

Alessandro Testa intervista Alberto Sgalla

Alberto Sgalla, nato in Ancona il 24.11.1948, dove vive, già docente di discipline giuridiche-economiche in istituiti tecnici e licei a Varese e Ancona, ha pubblicato in rivista saggi di filosofia politica e 4 romanzi (Il colore del vuoto, ed. Transeuropa 2000; Senza commozione, ed. Pequod 2005; Federico Onori, ed. Cattedrale 2009; Café Le Antille, ed. Italic Pequod 2014). Ha militato nel corso degli anni ‘70 nell’area “operaista”, con un’attenzione al pensiero di Hegel e un’ispirazione leninista.

51gxw6CUyOLCi piacerebbe cominciare quest’intervista chiedendoti una riflessione sullo Stato Postmoderno, sulla sua evoluzione come sovrastruttura e sui suoi legami con la maniera specifica con cui si è evoluto il capitalismo.

Siamo entrati in una nuova epoca, che non è definibile se non con il prefisso post- (postindustriale, postmoderna, postfordita, postumana, postverità eccetera), epoca di transizione da un non-più al trionfo dell’indefinito, del senza-identità, segno del caos della crisi, della società dell’incertezza, dove tutto è cedevole, disperso, movimento che non conduce da nessuna parte, se non all’accumulazione di profitti e poteri privati. Occorre comunque dare significato alle trasformazioni e la critica comunista resta la migliore per capire “lo stato di cose presenti”, critica totale, affermativa, vitale.

Con il postmoderno è avvenuta:

– la marxiana sussunzione reale della società al capitale, che ha completamente assorbito la società in sé, la società informatizzata e automatizzata, la società ridotta a mercato e spettacolo; il capitale non ha più un esterno, non ha niente fuori di sé, si presenta come forza produttiva primaria, separata dal lavoro, che sembra destinato ad uscire definitivamente di scena;

– la modificazione della natura dello sfruttamento dalla quantità alla qualità, con processi di creazione del valore che non trovano più al loro centro il lavoro di fabbrica;

– l’incapacità del capitale di pianificare lo sviluppo inteso come movimento dialetticamente compiuto, il capitale appare come vuoto apparato di costrizione, un parassita della cooperazione del lavoro vivo che si autovalorizza;

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carmilla

Ti ricordi del 15 ottobre… Due movimenti e un paese in caduta libera

di Jack Orlando

external content.986tf34rtyÈ il 15 ottobre del 2011. A Roma. Una turba inferocita devasta il centro storico. Il tentativo di convogliare l’opposizione sociale alle misure di austerity sotto un cartello di compatibilità riformista va in fumo, assieme a un blindato dei carabinieri, in frantumi con la celeberrima madonnina di coccio. L’indignazione ha ceduto il passo alla rabbia. E menomale.

È un biennio movimentato, quello del 2010-2011, in mezza Europa.

Nel portare avanti lo scontro c’è una composizione eterogenea di lavoratori, disoccupati, teppisti, occupanti di casa e democratici arrabbiati, ma soprattutto c’è una grossa componente di giovanissimi, a cavallo tra le scuole superiori e l’università, reduci e colpo di coda dell’Onda studentesca che, nel loro piccolo, hanno appreso l’arte dell’esercizio della forza in piazza, sanno come respirare in mezzo ai gas lacrimogeni, sanno avanzare e indietreggiare, erigere una barricata e disselciare un viale. Una componente che vive quel giorno anche come un salto di qualità, un possibile inizio.

Invece il salto è un inciampo. Si cade a terra tra i distinguo e i “però”, tra le dissociazioni e le dietrologie, tra le scuse al capo dello Stato e il paternalismo forcaiolo dei salotti TV.

Un giorno è poca roba nel grande schema delle cose, eppure quel giorno il mondo guarda Piazza San Giovanni, una festa di fuoco e pietre che volano, i giornali sono in fibrillazione, i commentatori tra lo scatenato e l’attonito, la politica dissimula il brivido sulla schiena con una caterva di contumelie e intimidazioni. La Grande Minaccia, il pericolo per la democrazia, è una gioventù che ha scritto sul suo vessillo di guerra “non chiediamo il futuro ci prendiamo il presente!”.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”

Intervista a Carla Filosa

Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie

istockphoto 851154908 170667baD. Lo sviluppo di una società socialista presuppone condizioni oggettive e soggettive ben precise. A tuo avviso, queste condizioni sono presenti oggi o sono ancora molto al di là da venire?

R. Ponendo attenzione alle contraddizioni immanenti al processo di accumulazione, si entra nel cuore della crisi attuale, di massa di plusvalore prodotta che non può essere realizzata, cioè trasformata in profitto. Per questo si licenzia senza grossi intralci normativi, riducendo il più possibile i costi relativi al capitale variabile, cercando contemporaneamente di stabilire accordi vantaggiosi per l’acquisto di materie prime a prezzi minori, e se non è possibile mediante la diplomazia, lo spionaggio o i servizi segreti, si destabilizzano paesi con guerre a bassa intensità o per interposta persona a scopo di rapina delle risorse, come possibile. In altri termini lo sfruttamento lavorativo, mai sufficiente per l’accumulazione di plusvalore, dev’essere integrato con la ricerca delle priorità immediate sulla concorrenza internazionale, nella corsa infinita alla supremazia pena la distruzione o vendita necessitata della propria attività produttiva, o in forma mediata, finanziaria. Il ricorrente fenomeno delle controverse dislocazioni produttive mostra inoltre non solo l’attivazione continua del dumping salariale, ma soprattutto la concorrenza tramite l’uso degli stati nell’ottenimento di facilitazioni fiscali, legislazioni depenalizzanti, fruizione di infrastrutture gratuite, appalti per investimenti a basso rischio, ecc.

Questo per quanto concerne la produzione. Per quanto invece riguarda la distribuzione del valore e plusvalore prodotto, a sfruttamento compiuto, i problemi delle proporzioni tra diversi rami produttivi e delle capacità di consumo delle società cui ci si rivolge (nazionali o estere) consistono nella distribuzione antagonistica, propria del capitale, per cui questa avviene in modo sperequato tra una grande massa di persone e una più ristretta di ceti abbienti.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”

Alessandro Testa intervista Alessandro Volponi

Immagine secondo editoriale 1Alessandro Volponi, laureato in filosofia e giurisprudenza, ha insegnato per qualche decennio storia e filosofia nel liceo classico di Fermo; durante gli anni ‘70, militando nel P.C.I., ha ricoperto ruoli istituzionali come consigliere e assessore comunale e in seguito, negli anni ‘90, consigliere e assessore provinciale con Rifondazione. Collabora con diverse riviste, tra cui “Cumpanis”, nonché con l’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione. È membro del direttivo della sezione provinciale dell’A.N.P.I. 

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Le teorie degli economisti classici, “eretici” e marxisti, al di là delle inevitabili e ben conosciute differenze, manifestano talora inaspettati e sorprendenti punti di convergenza; potresti dirci cosa ne pensi?

Se c’è un “eretico” divenuto nel tempo un classico, quello è certamente John Maynard Keynes, protagonista inconsapevole del più straordinario caso di convergenza tra economisti dal background così diverso quale quello dell’accademico inglese e quello di Michal Kalecki. 

Lord Keynes rifiuta persino di leggere Marx, malgrado l’insistenza dell’amico Sraffa, arriva a rivalutare Malthus per affermare la centralità del problema della domanda effettiva, scopre delle verità contro-intuitive come il fatto che è falso che la flessibilità dei salari renda impossibile la disoccupazione e finalmente sconcerta il mondo proponendo il deficit di bilancio come rimedio alla crisi; Kalecki, scrivendo in polacco tre anni prima della Teoria generale e poi ancora un anno prima, formula nel modo più preciso ed essenziale i temi sostanziali della “rivoluzione keynesiana”. 

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L’attualità e la necessità storica del partito comunista

Intervista a Marco Rizzo

Intervista de “La Pravda”, organo del Partito Comunista della Federazione Russa, al segretario generale del Partito Comunista Marco Rizzo

immagine sez.Interviste RizzoMarco Rizzo, nato a Torino il 12 ottobre 1959, figlio di un operaio della FIAT, si dedica alla politica fin da giovane e si iscrive al PCI nel 1981. Fa parte dei circoli culturali marxisti che venivano definiti “filosovietici” da chi stava mutando genericamente l’anima di quel partito. In quel frangente entra in contatto con grandi dirigenti comunisti, intellettuali e partigiani come Arnaldo Bera, Aldo Bernardini, Armando Cossutta, Raffaele De Grada, Gianni Dolino, Ludovico Geymonat, Lucio Libertini, Sergio Ricaldone, Pino Sacchi, Alessandro Vaia, che segneranno la sua vita politica di militante e dirigente. Tra gli ideatori di Rifondazione Comunista, dopo lo scioglimento del PCI, arriva a ricoprire l’incarico di segretario di Torino e poi di Coordinatore Nazionale. Fondatore insieme a Cossutta e Diliberto del Partito dei Comunisti Italiani. Deputato Europeo e tre volte Deputato Nazionale. Infine, fonda nel 2009 Comunisti Sinistra Popolare, che si trasforma in Partito Comunista col I° Congresso del 2014, seguito poi dal II Congresso del 2017 e il III Congresso del 2020, in cui viene eletto è confermato Segretario Generale. Ha tre figli, laureato in scienze politiche, giornalista e amante della storia e del cinema.

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D. Pandemia, crisi economica globale, collasso del lavoro e delle prospettive per il “futuro”. In Italia, in Europa e nel mondo, da questo stato delle cose la coscienza e lotta di classe ne escono rafforzate, indebolite o del tutto sconfitte? A che punto siamo e cosa ci aspetta?

R. La lotta di classe è il motore della storia. Essa sta continuando in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Il punto che caratterizza fondamentalmente oggi la situazione politica tra i vari paesi è il rapporto tra la politica da un lato e l’economia e la finanza dall’altro.

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cumpanis

Unire i comunisti, incendiare l’autunno!

di Fosco Giannini

Immagine per secondo editorialeGli USA di Joe Biden stracciano violentemente, irridendola, la bandiera della lotta imperialista alla Donald Trump, tutta guerre doganali e neo-protezionismo, e fanno di nuovo garrire nel vento planetario quella della minaccia militare, dell’aggressione diretta alla Russia e alla Cina, della messa in campo delle truppe USA-NATO-Ucraina per la conquista del Donbass e della Crimea, con i marines collocati direttamente sul fronte russo, per una guerra “regionale” come premessa inevitabile e preventivata alla guerra mondiale.

Qualcuno può credere davvero, infatti, che un’eventuale e sempre più cercata, da Biden, guerra Ucraina-Russia, con gli USA e la NATO a dirigere le operazioni a Kiev, circoscriverebbe il fuoco in Crimea, nel Donbass, con una Cina, sul fronte antimperialista, silente e un Giappone, sul fronte filoamericano, dormiente?

Di nuovo risuonano ora, drammaticamente, come ai tempi delle guerre in Vietnam, in Jugoslavia, in Iraq, in Libia, in Siria, in Afghanistan, le parole dense di denuncia e apprensione che pronunciò il presidente Dwight Eisenhower, nel suo discorso di saluto alla nazione il 17 gennaio 1961, quando, attraverso le radio e le televisioni, si rivolse al popolo americano e ai popoli del mondo avvertendoli del pericolo immane, per la pace mondiale, rappresentato dal “complesso militare-industriale” americano e dalla sua fame di guerra.

Con l’espressione complesso militare-industriale-politico, coniata proprio in quello storico discorso di commiato, Eisenhower si riferiva all’intreccio inestricabile di affari e interessi tra i gruppi del capitalismo industriale militare americano, gli Stati ove queste industrie erano e sono tuttora collocate, le più alte gerarchie delle Forze Armate americane e gli influentissimi rappresentanti politici di questo fronte all’interno del Congresso, del Parlamento americano.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Intervista ad Ascanio Bernardeschi

a cura di Alessandro Testa

Il problema vero è il partito: senza un partito effettivamente internazionalista e rivoluzionario, i comunisti sono tali solo idealmente, in quanto manca lo strumento per “abolire lo stato di cose presente”

Immagine Primo EditorialeAscanio Bernardeschi si è a Siena con la tesi "La teoria della crisi economica nel sistema di analisi di Marx”. La tesi venne premiata dalla rivista del Pc "Politica ed economia". Militante della Fgci e poi Pci dal 1963 fino allo scioglimento del partito. Ha aderito subito a Rifondazione di cui è stato segretario di circolo, membro della Segreteria provinciale e del Comitato politico regionale; è stato anche Consigliere provinciale per due legislature. Ha scritto per diverse riviste sia stampate che online ed è attualmente responsabile Economia e Lavoro del giornale comunista La Città Futura.

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È cosa nota che il modello di produzione capitalistico passa per crisi ricorrenti, che sono un inevitabile prodotto delle sue contraddizioni interne. Per prima cosa, ci farebbe piacere discutere con te della natura della crisi globale che l’occidente sta vivendo oggi, a partire da elementi storico-economici che mettano in luce le basi teoriche di quello che sta succedendo.

Occorre prima di tutto sgombrare il campo dalla diffusa opinione secondo cui questa crisi sia provocata dalla pandemia, come pure da quella che la crisi del 2007/8 fosse provocata dalla cattiva finanza; certamente il coronavirus oggi e i mutui subprime precedentemente hanno fatto da detonatore, rendendo la crisi ancora più devastante, ma le cause vengono da molto più lontano e hanno a che vedere con il processo di accumulazione capitalistica.

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marx xxi

Sul documento-appello “Costruire l’opposizione al governo Draghi”

di Andrea Catone*

Alcuni compagni mi sollecitano alla lettura e a un commento sul documento-appello “Costruire l’opposizione al governo Draghi”, elaborato e diffuso qualche settimana fa. Rispondo volentieri, scusandomi del ritardo

GOVERNO DRAGHI ARTICOLO 1200x900Condivido ciò che mi sembra essere il “nocciolo duro” dell’appello: la proposta di (traduco in un linguaggio politico della tradizione comunista) dar vita a un fronte ampio di forze sociali, culturali, politiche, unito sulla base di un programma minimo di classe adeguato ai mutamenti della fase economico-politica attuale sul piano internazionale (presidenza Biden) e nazionale (governo Draghi). Esprimo quindi la disponibilità a lavorare alla costruzione di tale fronte, per trasformare la buona intenzione che esso esprime in concreta realtà vivente, renderlo operativo, dargli testa, corpo e gambe. Cosa che è, nella situazione attuale – come gli stessi estensori dell’appello non si nascondono – molto difficile.

Per affrontare la grande questione che l’appello pone occorre definire con la massima chiarezza possibile:

– la fase politico-economica attuale analizzata dal punto di vista delle “classi subalterne”;

– gli obiettivi di fondo che, rispetto all’analisi di questa fase determinata, il fronte unito deve porsi;

– i soggetti – sociali, politici, culturali – che possono essere uniti nel fronte sulla base del programma.

In merito al contesto internazionale e alle sue implicazioni a livello nazionale

Il documento scrive (le sottolineature sono mie, AC):

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cumpanis

Liquidare il dogma

Intervista a Carlo Formenti

“Liquidare il dogma secondo cui il socialismo è possibile solo laddove le forze produttive hanno raggiunto un elevato grado di sviluppo”

a apoCarlo Formenti, politico, giornalista e scrittore ben conosciuto nell’ambiente marxista, nasce a Zurigo nel 1947 e si trasferisce a Milano pochi mesi dopo; la sua vita politica inizia nei primi anni Sessanta, quando il padre lo inserisce nella formazione bordighista in cui militava.

A partire dal 1967, frequenta i gruppi maoisti, finché contribuisce a fondare il Gruppo Gramsci; dal 1970 al 1974 si dedica all’attività sindacale, che interrompe per completare gli studi, laureandosi nel 1976, con una tesi sull’impatto delle tecnologie informatiche sull’organizzazione del lavoro, pubblicata da Feltrinelli con il titolo Fine del valore d’uso.

Dalla fine degli anni Settanta abbandona la politica attiva, limitandosi alla lotta ideologica e teorica; negli anni ‘80 è caporedattore del mensile “Alfabeta”, e ai primi del Duemila diviene ricercatore all’Università di Lecce, dove riprende le ricerche sulle conseguenze economiche, politiche, sociali e culturali della rivoluzione tecnologica.

Torna alla vita politica attiva negli ultimi cinque anni, militando in alcune formazioni della sinistra sovranista, per avvicinarsi infine al Partito Comunista guidato da Marco Rizzo. Fra i suoi libri più recenti: Utopie Letali (Jaka Book 2013), La variante populista (DeriveApprodi 2016), Il socialismo è morto viva il socialismo (Meltemi 2019).

* * * *

Innanzitutto grazie per aver accettato di condividere con noi alcune tue riflessioni su tematiche di grande respiro internazionale e italiano. Come prima questione, ci piacerebbe chiederti quali riflessioni possono essere fatte sul cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi”, e in particolare cosa questo ci può insegnare riguardo alla transizione tra il modello capitalista e quello socialista.

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cumpanis

“L’essenza, per le fondamenta”. Intervista ad Alberto Lombardo

a cura di Alessandro Testa

IMMAGINE PER PRIMO EDITORIALE. LOMBARDO 1024x767Alberto Lombardo è nato a Caltanissetta il 22 aprile 1958 e lì ha fatto i suoi studi primari, frequentando il locale Liceo Classico; ha studiato poi a Palermo Statistica e Scienze Economiche, dove allora insegnavano alcuni tra i più importanti fondatori della statistica e della demografia italiana. Ricercatore nella Facoltà di Ingegneria a 25 anni, dopo 9 anni Associato e dopo altri 9 Ordinario di Statistica per le Scienze sperimentali e Tecnologiche, con interessi scientifici rivolti prevalentemente alle metodologie di sperimentazione nel campo tecnologico e agrario. Membro del Consiglio Direttivo della Società di Statistica dal 1998 al 2002. Iscritto a sedici anni all’Unione della Gioventù Comunista (m-l), partecipa al ’77 palermitano. Brevi e contrastati passaggi al momento dei primi passi di Rifondazione Comunista nel 1991. Successivamente svolge una breve attività nel Confederale dei Cobas. In seguito si iscrive al PdCI per pochi anni. Nel 2007 incontra Rizzo e nel 2009 partecipa alla fondazione di Comunisti-Sinistra Popolare, che nel 2014 diventa Partito Comunista, dove viene eletto nel Comitato Centrale e nell’Ufficio Politico, incarico che mantiene tutt’ora. Attualmente nell’UP del PC ha la responsabilità del Dipartimento Esteri, del Dipartimento Formazione e dirige l’organo on-line lariscossa.info. Per il Partito ha redatto due testi di divulgazione interna: MARX200 e ENGELS220-LENIN150.

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Ogni volta che si affrontano tematiche “alte”, si vedono spesso inarcare i sopraccigli di coloro i quali pensano che certe tematiche al giorno d’oggi siano puro divertissement per intellettuali annoiati. Cosa ne pensi?

La lotta nel campo teorico è di primaria importanza per l’organizzazione proletaria rivoluzionaria.

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machina

Mattarella e il passato oppresso

di Paolo Virno

Un intervento di Paolo Virno che prende spunto dalle esternazione del presidente della Repubblica in occasione della commemorazione di Aldo Moro lo scorso maggio. Una rivendicazione degli anni in cui «si sviluppò uno scortesissimo potere operaio ed ebbe luogo il primo e unico tentativo di rivoluzione comunista in seno al capitalismo maturo»

0e99dc fe485a9a693b420e99978925bc1ee0abmv2Si stanca qualsiasi parola, di più non puoi farle dire. Non è sempre vero, però. Ero sicuro che le parole mie, e di Gianni Riotta e degli altri ragazzi del coro, in lode del presidente Mattarella fossero ormai esauste, simili a moscerini tramortiti dal falò. Poi ho ascoltato le meditazioni presidenziali sugli anni Settanta, pronunciate il 9 maggio, anniversario della morte di Aldo Moro. E ho letto l’intervista pensierosa sullo stesso argomento, rilasciata poco dopo a «la Repubblica» dal custode della Costituzione. Mi devo ricredere: nomi e aggettivi, d’un tratto rinvigoriti, scalpitano per migliorare e correggere e ampliare gli elogi già archiviati. 

Ho esitato a lungo a scrivere, convinto che i fatti su cui ha indugiato Mattarella siano noti a coloro che hanno più di sessant’anni, ma non ai giovani lavoratori precari che, soli, potrebbero seminare disordine e panico nel capitalismo contemporaneo. Se mi sono deciso, è perché non riesco a mettere la sordina al monito di un filosofo ebreo morto suicida, secondo il quale la redenzione del passato oppresso (gli anni Settanta, nel nostro caso) è affidata per intero ai conflitti più attuali, ingaggiati da uomini e donne che con quel passato non hanno dimestichezza alcuna. Uno sciopero riuscito dei dipendenti di Amazon riscatterà certi episodi tumultuosi di mezzo secolo fa, restituendo loro verità e buonumore. Per questo, però, non sembra inutile dare qualche notizia, scarna quanto un segnale stradale, sul passato oppresso che attende redenzione dai dipendenti di Amazon. Pongo dunque rimedio, con un ritardo imbarazzante, al peccato di omissione di cui mi sono macchiato nei confronti del suggestivo album di ricordi che il garante della democrazia, in balia di mutevoli stati d’animo, ha sfogliato nello scorso maggio. 

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cumpanis

“Speciale”! L’essenza, per le fondamenta

A giorni su "Cumpanis"!

Progetto politico-editoriale di Fosco Giannini e Alessandro Testa. Interviste a cura di Alessandro Testa

Immagine per il lancio dello Speciale 696x518Quadro internazionale e pericoli di guerra; imperialismo/antimperialismo dopo la caduta dell’URSS; crisi del movimento comunista in Italia; percorsi per l’unità dei comunisti e delle comuniste. “Cumpanis” interroga i dirigenti, gli intellettuali, gli economisti, i filosofi comunisti, marxisti italiani per contribuire a una prima “accumulazione intellettuale originaria” da investire per il grande compito che la fase oggettivamente richiede: ricostruire un partito comunista nel nostro Paese all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro di classe, un partito di quadri con una linea di massa.

Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall’esaltazione delle forme più anguste di azione pratica”. Lenin, 1902, Che fare.

La prima parte di questa affermazione di Lenin è tanto nota da essere divenuta una sorta di litania tra i militanti comunisti: litania, certo, ma mai “prassi teoretica” da parte dei gruppi dirigenti comunisti italiani successivi alla lunga “cronaca annunciata” del suicidio del PCI.

Mai questa litania si è concretizzata nell’impegno a sciogliere i grumi teorici che la storia del dissolvimento e depauperamento del movimento comunista italiano – che tra il lungo processo di socialdemocratizzazione del PCI e questi ultimi, “nostri”, tre decenni è giunta al mezzo secolo di azione attiva nefasta – è andata moltiplicando.

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rete dei com

“Il capitalismo distrugge il mondo. Una sfida per i comunisti nel XXI Secolo”

Assemblea nazionale della Rete dei Comunisti – Roma, 2 e 3 luglio 2021

di Rete dei Comunisti

“Dopo oltre venti anni nel terzo millennio, è tempo che i comunisti di questo Paese e di quest’area del mondo si mettano di nuovo al passo con la Storia, individuando gli assi portanti del prossimo futuro nonché delle modalità con cui è possibile esercitare un ruolo attivamente rivoluzionario in questi tempi. Saper guardare al futuro è la chiave di volta per superare definitivamente la sindrome da sconfitta che ha afflitto tutta la cosiddetta “sinistra” dopo la Caduta del Muro”

AssembleaNazionale rdc 2021Così recita l’incipit della prima tesi che la Rete dei Comunisti porterà in discussione nella sua assemblea nazionale di inizio luglio. Una assemblea che cade al termine della fase più acuta – per i paesi occidentali –della pandemia, formidabile acceleratore di quella crisi sistemica del modo di produzione capitalistico sulla quale, in questi anni, abbiamo concentrato la nostra analisi e la nostra critica militante.

I fatti che si susseguono ogni giorno ci pare diano ragione, ancora una volta, ai fondamenti della teoria marxista sulla formazione sociale dominante e sulla sua potenziale caducità. In forme sempre originali si ripropongono ciclicamente le storture di fondo di un sistema che non riescea rispondere ai bisogni di sviluppo armonico dell’umanità, per sé e nella sua interazione con la natura e la biosfera.

La gestione criminale della pandemia è stata, e continuerà ad essere, una cartina di tornasole della condizione sociale entro la quale i vari modelli di capitalismo tenteranno di imporre, per il prossimo futuro, la continuità dello sfruttamento della mano d’opera e della natura.

Con il progressivo venir meno dei rapporti di forza determinati dalla spinta dell’Ottobre e dal potente conflitto di classe del ‘900, gli “spiriti animali” del capitale rispondono all’attuale crisiaccelerando i tempi della competizione globale, in uno scontro di tutti contro tutti,soprattutto controquei nuovi soggetti statuali – in primis la Cina – in grado di mettere in discussione l’egemonia affermatasi nella breve epoca della globalizzazione ad egemonia statunitense, seguita all’89.

In questo frangente storico i comunisti sono chiamati a dare risposte all’altezza delle sfide che hanno di fronte. L’assemblea alla quale vogliamo chiamaretutti i nostri iscritti, ma anche tutte le soggettività comuniste e conflittuali, organizzate o meno, intende proporre un confronto sulle sfide che emergono dalla crisi di egemonia del presente modo di produzione.