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machina

Intervista ad Alberto Asor Rosa

a cura di Giuseppe Trotta e Fabio Milana

0e99dc 1f3d774c6d0e4a27b00016191f836124mv2In ricordo di Alberto Asor Rosa, scomparso il 21 dicembre 2022, pubblichiamo l'intervista a lui dedicata, contentuta nel libro L'operaismo degli anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «classe operaia», a cura di Giuseppe Trotta e Fabio Milana (DeriveApprodi, 2008).

* * * *

Vorrei chiederti di cominciare dai tuoi anni universitari, tra il ‘52 e il ‘56 credo, quando inizia la tua militanza politica, con l’adesione alla sezione Partito comunista. Vorrei capire se questa scelta aveva radici remote, o se è riferibile a circostanze, persone, relazioni specificamente intervenute in quel periodo.

Le radici erano nella tradizione antifascista della famiglia: padre socialista, partecipazione alla Resistenza qui a Roma con la ricostruzione del Sindacato Ferrovieri e del Partito socialista tra il personale ferroviario. Il passaggio forse è rappresentato dalla crescita di un interesse per il comunismo e il Partito comunista rispetto a una matrice che in realtà non lo era. In questo senso fondamentali sono stati i rapporti con questo gruppo della sezione universitaria Partito comunista, giovani che invece erano già comunisti da tempo, sia per tradizioni familiari che per scelte individuali. Mi riferisco a quella componente con cui io ho avuto rapporti, sia studenteschi sia politici, rappresentata dagli studenti di Lettere e Filosofia di quegli anni, in modo particolare Mario Tronti, Umberto Coldagelli e Gaspare De Caro. Quando io mi sono iscritto alla cellula di Lettere di questa sezione, il segretario era… Enzo Siciliano (!); dopo un po’ di tempo segretario della sezione è diventato Mario Tronti, che era un segretario straordinario, di gran lunga superiore intellettualmente e culturalmente a qualsiasi altro di noi.

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cumpanis

L’Occidente e la curva della rivoluzione

di Roberto Gabriele

"Cumpanis" riceve e molto volentieri pubblica questo importante contributo alla discussione del compagno Roberto Gabriele, auspicando che ciò sia l'inizio di una vera collaborazione

IMMAGINE ARTICOLO GABRIELEDa decenni molti compagni si sono arrovellati per trovare la soluzione al problema della ricostruzione di un partito popolare e di classe dopo la liquidazione del PCI, che ereditasse la parte migliore dell’esperienza comunista in Italia e rappresentasse un punto di ripresa di una visione mondiale del processo di trasformazione socialista.

La spinta emotiva per il crollo dell’URSS e lo scioglimento del PCI hanno portato a conclusioni affrettate su come reagire e questo spiega gli insuccessi registrati fino ad ora da coloro che hanno scelto la via del partito qui e subito. La valutazione è, peraltro, oggettiva e prescinde necessariamente dal grado di serietà o meno con cui questi tentativi sono stati condotti.

C’è bisogno, dunque, di ripartire da una analisi oggettiva delle cose per capire le difficoltà e i problemi da affrontare. L’analisi è tanto più necessaria quando si parla di paesi dell’occidente capitalistico, e tra questi l’Italia, dove l’urto delle contraddizioni è mediato da un sistema politico e da una condizione sociale che deve tener conto del ruolo dell’imperialismo e dei frutti che esso porta comunque alla società che lo esprime. Ricordiamoci a questo proposito ciò che Lenin sosteneva a proposito della classe operaia inglese.

Prescindendo però da considerazioni storiche, per cogliere i dati essenziali delle contraddizioni che vivono oggi anche i paesi capitalistici e porle alla base di un percorso di ricostruzione politica e organizzativa, bisogna necessariamente riferirsi all’insieme della dinamica del sistema imperiale occidentale senza cui non è possibile tracciare una strategia che punti a un processo di trasformazione del sistema economico e sociale anche in Italia.

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Guerra, crisi capitalista ed esigenza dell’unità delle forze comuniste, antimperialiste e anticapitaliste

Adriana Bernardeschi intervista Alberto Fazolo

Intervista ad Alberto Fazolo, giornalista, saggista, economista, militante politico antifascista e comunista. Esperto di questioni internazionali, ha vissuto due anni nel Donbass ed è autore, tra l'altro, del libro "In Donbass non si passa. La Resistenza antifascista alle porte dell'Europa", un reportage dai fronti di battaglia del Donbass, in vendita su diversi portali e-commerce

IMMAGINE INTERVISTA FAZOLO 696x928Ci troviamo all’apice della crisi del modello di sviluppo capitalista, una crisi strutturale a quel sistema economico che come già successo in passato trova la sua remissione (sempre temporanea) attraverso politiche di guerra (palliativo della sovrapproduzione) e attraverso la messa in scena della faccia “cattiva” del capitalismo, quella delle destra eversiva in grado di minare il sistema democratico per raggiungere i suoi scopi di massacro sociale. Di fronte a questo scenario, le recenti elezioni politiche hanno dato conferma della complessiva debolezza delle forze che si propongono di superare questo sistema in senso progressista, e del prendere vigore invece di quelle reazionarie e postfasciste, che raccolgono il malcontento popolare sempre più disorientato perché troppe volte tradito da chi avrebbe dovuto rappresentarlo.

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Quali sono stati, a tuo parere, gli errori più cruciali della sinistra di classe che hanno condotto a questo risultato di estrema debolezza?

R: Secondo me sono stati fatti degli errori sia di metodo che di merito, e alcuni errori sono un po’ a metà strada fra merito e metodo. Analizzare gli errori è un passo necessario per potersi migliorare risolvendoli e non ripetendoli in futuro. Secondo me il primo gravissimo errore di metodo è stato quello di accettare le regole del gioco imposte dall’avversario, e l’avversario in questo caso è lo Stato nelle sue massime espressioni, quindi Mattarella e Draghi, che hanno imposto delle elezioni in un momento in cui non ce n’era assolutamente bisogno perché Draghi aveva comunque un’ampissima maggioranza parlamentare che gli consentiva di guidare un governo senza nessuna apprensione.

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Nota introduttiva alla ristampa di «classe operaia»

di Antonio Negri

0e99dc 7d6b29fed9df4fac9d177cb614a250a5mv2Nel 1979 Machina Libri decideva di ristampare «classe operaia», affidando l’introduzione a Toni Negri. Riproponiamo qui il testo per dare seguito al dibattito ex post su quell’esperienza, perché esso non si limita affatto a uno scritto di circostanza. Al contrario, Negri riflette criticamente sui limiti e sulle impasse di «classe operaia», per non tramutarla in un’inutile reliquia o in un vacuo simbolo di rassicurazione «in tempi così atroci». In particolare, sostiene che la trasformazione della composizione di classe e del soggetto di riferimento, ossia il passaggio dall’operaio massa all’operaio sociale, necessita nuovi strumenti per affrontare le inedite ambiguità e contraddizioni che le lotte hanno fatto emergere.

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Perché ristampare «classe operaia»? La decisione non è stata mia: alcuni compagni ritengono utile intraprendere questa iniziativa e mi chiedono di fare una introduzione. Debbo comunque rispondere alla proposta, in maniera affermativa o negativa. Tanto vale dunque fare l’introduzione. Ma solo per argomentare: che cosa?

Il mio consenso o il mio dissenso. Sfoglio le pagine della rivista: mi ci ritrovo, il mio ricordo ci si ritrova. Quante riunioni, quante amicizie fatte e disfatte, quante giornate di tipografia (sì, perché eravamo io e Manfredo Massironi a impaginarla e a farla in tipografia per un paio d’anni). Quante emozioni. Dunque, «classe operaia» va ripubblicata; per quale ragione? Perché è la dimostrazione di una nobile ascendenza delle posizioni politiche che gran parte del movimento svilupperà negli anni successivi? Perché è, con i «Quaderni rossi», la solida pietra sulla quale una nuova corrente del pensiero politico italiano, marxista e proletaria, è venuta costruendosi? E non sono in Italia?  Perché dunque ha una particolare importanza scientifica e le persone che hanno collaborato alla sua fattura, fanno – in una maniera o nell’altra – parte della storia del movimento proletario chez nous?

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La requisitoria di Sahra Wagenknecht e i suoi limiti

di Marx XXI

Sahra1Il titolo del libro di Sahra Wagenknecht – dirigente storica della Linke, partito di cui è stata vicepresidente dal 2010 al 2014 – rischia di suscitare aspettative eccessive: Contro la sinistra neoliberale (Fazi editore) evoca infatti una svolta radicale, una presa di congedo netta e senza tentennamenti da ciò che le sinistre – non solo la tedesca, bensì tutte le sinistre occidentali – oggi rappresentano. Ci si aspetterebbe, insomma, di leggere una condanna senza appello, del tenore di quella contenuta nella lettera aperta di Hans Modrow alla Linke che abbiamo rilanciato su questa pagina https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2022/02/lettera-di-hans-modrow-alla-linke-hans.html

Viceversa il punto di vista della Wagenknecht è più sfumato e contraddittorio. Non che manchino accenti durissimi nei confronti di quella che l’autrice definisce “sinistra alla moda”: come vedremo fra poco, la sua requisitoria è lunga, dettagliata e argomentata, così come è corretta la sua analisi delle radici di classe del fenomeno politico in oggetto. A lasciare perplessi è però il tentativo di tracciare un confine fra neoliberalismo “di sinistra” e liberalismo tour court; un approccio che legittima l’idea secondo cui il liberalismo di sinistra tradizionale, o liberal socialismo, non è il grembo che ha partorito l’attuale sinistra neoliberale, bensì qualcosa di completamente diverso, un patrimonio di idee e valori da cui si potrebbe trarre il materiale per rifondare una “vera” sinistra. Ma procediamo con ordine.

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nicomaccentelli

Programmi

di Nico Maccentelli

We Can Do ItHo preso le sintesi(1) dei programmi di due liste che intendono porsi in opposizione e alternativa politico-sociale ai governi fin qui avuti nel nostro paese e qui mi fermo, capirete poi il perché. I programmi sono di Unione Popolare per De Magistris e Italia Sovrana e Popolare. Li riporto qui sotto:

Partiamo da quello di Unione Popolare. Ebbi a suo tempo a criticare i testi del Brancaccio, di Tomaso Montanari e Anna Falcone, che intendevano ricostruire una sinistra alternativa al sistema vigente, ma senza mai nominare gli attori di questo sistema, mai un avversario, mai un nemico. Il risultato era una pappa melensa di buone intenzioni intrisa di giustizia sociale, ambiente pulito, parità di genere, diritti civili. Tuttavia persino quei testi, così come i programmi di Coalizione Civica e di altre listarelle della sinistra “radicale” in quota al PD per alleanze, erano meno vaghe, generiche, prive di sostanza del programma di UP.

Prendiamo alcune parole d’ordine: “Ricompensare e rispettare il lavoro”: che cosa vuol dire? Tutto e niente. Anche il padrone che usa i caporali per i campi di pomodori ricompensa il lavoro: a due euro l’ora… e allora? Mah, si poteva dire salario minimo a 10 euro, che viene detto ma nelle vertenze (e la questione della comunicazione immediata è una delle tare degli autoreferenziali…), abolire leggi come il jobs act, ripristinare l’art 18 e ampliare i diritti e le tutele sul lavoro, un governo che non guarda i profitti ma la piena occupazione, il reddito, il salario… macchè, due righe per non dire nulla sul lavoro.

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cumpanis

La “questione comunista” e la fase che viviamo

di Fosco Giannini

50735“Si abbonda nei dettagli, quando a mancare è l’essenza”. È una citazione di Luigi Pintor, che invita noi comunisti italiani a non perderci in mille fumisterie, ma andare all’essenza delle cose. E tale essenza è la seguente: il movimento comunista italiano versa, oggi, in una crisi profondissima, una crisi innanzitutto teorica, ideologica e conseguentemente sociale e politica, una crisi enorme di radicamento, di militanza, di capacità di elaborazione tattica e strategica. Tutto ciò in forte e nefasta controtendenza con lo stato delle cose del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario mondiale che, in questa fase, governa circa un quinto dell’intera umanità e agisce positivamente su oltre la metà della popolazione mondiale e su tanta parte degli Stati del mondo.

Una crisi, questa del movimento comunista italiano, che si manifesta nel pieno della sconfitta strategica del sistema capitalista, platealmente incapace di uscir fuori dalle gigantesche contraddizioni – sociali, economiche, politiche, culturali – da esso stesso prodotte se non attraverso l’acutizzazione dello sfruttamento operaio generale e internazionale, sulla spoliazione dei popoli e attraverso le guerre.

In sintesi: è lo stesso, attuale, contesto storico e internazionale a rendere oggettivamente necessaria la presenza del partito comunista in Italia, necessitato il suo ruolo politico e sociale. Sarebbe lo stesso quadro mondiale a favorire l’unificazione e il rafforzamento del movimento comunista italiano, se ciò non fosse scientemente impedito dalla presunzione e dalla cieca ostinazione alla divisione praticata dai diversi gruppi dirigenti comunisti italiani.

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cumpanis

Rivoluzione e Partito comunista

di Renato Caputo (Collettivo La Città Futura)

Perché non si può realizzare il fine senza il mezzo indispensabile alla sua realizzazione, né il mezzo è effettivamente tale senza il fine al quale è necessario

IMG 20220720 173842Come è nota la scienza politica moderna si fonda sul pensiero di Machiavelli, al centro del quale vi è la radicata convinzione che un grande obiettivo divenga praticabile – non rimanendo una mera utopia – solo nel momento in cui si individuano e si mettano a frutto i mezzi indispensabili alla realizzazione di tale grande ideale. Nella nostra epoca quest’ultimo, naturalmente, non consiste più nella fondazione di un moderno e unitario Stato nazionale – grande obiettivo e ideale storico dell’epoca di Machiavelli – ma nella realizzazione di uno Stato socialista quale necessaria e indispensabile fase storica di transizione da una società capitalista e/o imperialista a una società comunista. Per poter seriamente e conseguentemente operate in funzione di questo grande ideale e renderlo praticabile necessariamente abbiamo oggi bisogno – come peraltro ci insegna già Gramsci – di un mezzo indispensabile, cioè di quello che il più significativo marxista e comunista italiano definiva il “moderno principe”. In effetti, come argomenta già Gramsci, suffragando la propria tesi con una grande raccolta di dati e di esempi storici, nella nostra epoca il soggetto rivoluzionario non può più essere un grande personaggio storico universale, come il Principe, ma un soggetto collettivo, cioè il partito politico effettivamente rivoluzionario, il partito comunista.

Non a caso la prima grande battaglia politica condotta da Marx e da Engels è stata volta a trasformare la Lega dei giusti nella Lega dei comunisti e la loro prima grande opera teorica della maturità ha portato alla realizzazione di un efficacissimo strumento, indispensabile al passaggio dal socialismo utopistico al socialismo scientifico, cioè la realizzazione di un grande Manifesto del partito comunista.

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cumpanis

Senza partito comunista non c’è rivoluzione

di Alessandro Testa

IMG 20220801 105021 1024x768"Senza un’avanguardia che operi per sostenere la classe nel suo faticoso cammino verso l’acquisizione di una sua coscienza propria e quindi, verso la comprensione dei suoi reali interessi e finalmente verso una lotta senza quartiere contro l’inumano e alienante modo di produzione capitalistico e contro le sue sovrastrutture – Stato, modelli sociali, cultura (o meglio “dis-cultura”) – di quale rivoluzione si potrebbe mai sognare?"

Riprendiamo in queste brevi note alcune delle riflessioni, di grande profondità teorica e importanza pratica, poste dal compagno Valentini, proponendoci di chiosarle con qualche commento che possa, nello spirito di franchezza dialettica propria della discussione ideologica marxista leninista, esaminarne la portata ed eventualmente sottolinearne eventuali criticità o punti meritevoli di approfondimento.

Valentini pone sin dall’inizio una considerazione forte e piuttosto tranchant: a suo avviso più che di comunismo bisognerebbe – in questa fase storica – parlare piuttosto di rivoluzione. Il suo incipit, forte e deciso, è questo:

“Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale”.

Come tutti gli intellettuali di vaglia, Valentini supporta la sua idea con dovizia di riflessioni e puntuali citazioni di Marx, Engels e altri giganti del pensiero comunista, citazioni che per non dilungarci non riportiamo qui, rimandandovi alla lettura del saggio integrale del compagno, pubblicato in un precedente numero di Cumpanis.

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cumpanis

Questione comunista o questione della rivoluzione in Occidente?

di Sandro Valentini

A partire da questo intervento inviatoci dal compagno Alessandro Valentini, apriamo un dibattito sulla fase attuale del movimento comunista in Italia e il ruolo del Partito Comunista

copertina 16Comunista o rivoluzionario?

Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale. Non è che non consideri le esperienze in cui i comunisti svolgono un ruolo importante, decisivo, strategico. Per esempio in Cina, in Russia, in Vietnam, a Cuba e in altri paesi, ma non è un caso che queste esperienze, tolte delle eccezioni, siano vive, influenti, contino in paesi non occidentali e siano espressione di complessi processi storici, che piaccia o no, si riflettono e pesano nello scenario internazionale.

D’altronde occorre avere in mente la storia. Lenin trasforma la fazione bolscevica del Partito socialdemocratico russo in Partito comunista e fonda sulla spinta dell’Ottobre l’Internazionale perché è certo del trionfo anche in Occidente, nel breve periodo, della rivoluzione. I partiti comunisti non nascono dunque per condurre una battaglia di lunga lena, non era questa la prospettiva indicata dai comunisti russi, ma per fare da subito la rivoluzione in quanto imminente. I partiti comunisti, solo alcuni anni dopo la loro nascita, che tra l’altro coinciderà con la loro sconfitta in Europa, cercheranno – e solo pochi ci riusciranno – di riorganizzarsi per darsi una politica di lungo respiro, che avrebbe dovuto tenere conto del ripiegamento del Pcus, con Stalin, sul socialismo in un solo paese.

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marx xxi

Un punto di vista critico su Mélenchon e la NUPES

di Redazione

Melenchon1 scaledSo che la situazione è tragica per la sinistra in Italia e questo porta una parte dei militanti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa per avere una speranza di riguadagnare posizioni. Una parte di loro attende la soluzione dall’estero. Negli anni ho visto tante mode passare (e a volte ritornare più volte): senza grosse analisi né tentativi di comprendere la situazione italiana, ho sentito di volta in volta le parole d’ordine “facciamo come Izquierda Unida”, “facciamo la Linke italiana”, “facciamo come Podemos”, “ci vuole Syriza anche da noi!” e tante altre varianti che ho dimenticato.

La concretizzazione più significativa è stata nel 2014, quando si creò in Italia una lista elettorale che conteneva il nome del segretario di un partito estero. L’altra Europa con Tsipras è forse l’esempio paradigmatico di questa tendenza a trovare l’escamotage elettorale che permetta di ritrovare una rappresentanza istituzionale, che avrebbe (nella loro idea) la conseguenza di aprire una breccia nel sistema comunicativo e con essa ricostruire una presenza stabile della sinistra in Italia. Inoltre si avrebbe accesso ai magri fondi pubblici.

La vacuità di questo punto di vista, determinato da una comprensibile disperazione, è determinato dal fatto che esso non è “democratico”. L’assenza della sinistra dalla società italiana, dai suoi conflitti, dalle sue associazioni, dai sindacati, dalle scuole e dalle università, determina una logica e democratica conseguenza dell’assenza dalle istituzioni. Peraltro va sottolineato che le istituzioni dovrebbero essere viste come un mezzo per raggiungere gli obiettivi e non un obiettivo in sé. In tutto questo non vengono osservate invece le esperienze continentali in cui la sinistra è riuscita a costruire una solida base sociale che l’ha portata anche ad ottenere posti istituzionali (come il Ptb in Belgio), ma solo dopo un paio di decenni di oscuro e duro lavoro sociale.

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nicomaccentelli

Arcobalenite

di Nico Maccentelli

Schermata 2022 07 09 alle 14.47.59Riguardo la dichiarazione di intenti che nella cordata Manifesta-De Magistris riunisce tutto il gotha della sinistra cd di classe, non posso non fare alcune osservazioni. Chi mi conosce sa che io provengo dall’area che ha in Potere al Popolo! l’ultima significativa espressione politica di un percorso iniziato anni fa e poi confluito in PaP insieme alla compenente napoletana che aveva dato vita dal CS Je so’ pazzo, a questa organizzazione. Se ben mi ricordo, prima con ROSS@, poi con Eurostop, l’elemento strategico della politica antagonista messa in campo era la rottura con l’UE e l’uscita dalla NATO, nell’ipotesi di costruire un’area Euromediterranea, la cd ALBA Euromediterranea.

Or bene, già nella dialettica interna alla nuova formazione la rottura con l’UE si era stemperata in una più blanda rottura con le politiche neoliberiste della medesima, a dire che tutto sommato poi questa architettura oligarchica ed élitaria si potesse riformare: un vecchio tormentone rifondarolo che ha condotto di sconfitta in sconfitta quegli spezzoni che si mettevano insieme elettoralmente sin dai tempi della lista Arcobaleno. L’ultimo scazzo è stato sul rapporto con la CGIL. Ma ritengo questo aspetto del tutto secondario e una conseguenza di scelte politiche fallimentari già a monte.

A monte poiché l’aver completamente ignorato le vaste lotte sociali contro le restrizioni pandemiche degli ultimi due anni e passa, costituisce un vulnus insormontabile. Diventa insormontabile l’autoreferenzialità di una politica circoscritta alle proprie aree di riferimento, mentre i “sovranisti”, persino componenti politiche già esistenti o createsi nel corso della lotta e derubricate dai nostri a “terrapiattisti”, “novax”, “fascisti” e chi più ne ha più ne metta, si muovevano come pesci nell’acqua in un vasto movimento di massa che raccoglieva ampi settori popolari a partire dal precariato che sia delle libere professioni o del lavoro subordinato.

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marx xxi

Note sulla questione comunista in Italia

di Fausto Sorini

comunisti indianiCredo che abbia fatto bene Marco Pondrelli, direttore del nostro sito, ad aprire con un editoriale il dibattito sulla questione comunista, con una particolare attenzione all’Italia. Perchè se è vero – come scrive – che “oggi nell’Unione europea la forza dei comunisti è marginale, … se guardiamo al caso italiano la situazione è ancora peggiore, desolante” e “di scissione in scissione oramai gli iscritti ed i militanti dei tanti partiti sono sempre meno e i gruppi dirigenti sono sempre più litigiosi e lontani dal mondo del lavoro”, privi di autentico radicamento nella società e nei luoghi del conflitto sociale.

Sappiamo bene che le ragioni più profonde di questa situazione, nel Paese che pure fu patria del partito di Gramsci, di Togliatti, di Longo, di Secchia, vengono da lontano e rimandano ai processi degenerativi insiti nella “mutazione genetica” del PCI, nella sua dissoluzione, nella incapacità dei gruppi dirigenti sorti dopo la fine del PCI di ricostruire una forza comunista anche piccola nelle sue dimensioni, ma solida ed espansiva, relativamente omogenea sul piano ideologico, della collocazione internazionale, della concezione dell’organizzazione, espressione dei settori di avanguardia del mondo del lavoro, dei giovani, degli intellettuali (cioè leninista non solo a parole).

A oltre 30 anni dalla fine del PCI – essendo pure stati alcuni di noi protagonisti di esperienze che risalgono già agli anni ’70 del secolo scorso (Interstampa nel PCI, l’Ernesto in Rifondazione, MarxXXI prima serie nel PdCI) – possiamo dire responsabilmente che tutti questi tentativi sono falliti o sono stati sconfitti: sia per limiti soggettivi interni a loro stessi, sia per una inferiorità troppo grande nei rapporti di forza con chi è sceso in campo per osteggiarli, dall’interno e dall’esterno.

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perunsocialismodelXXI

La requisitoria di Sahra Wagenknecht e i suoi limiti

di Carlo Formenti

690x388c50Il titolo del libro di Sahra Wagenknecht - dirigente storica della Linke, partito di cui è stata vicepresidente dal 2010 al 2014 – rischia di suscitare aspettative eccessive: Contro la sinistra neoliberale (Fazi editore) evoca infatti una svolta radicale, una presa di congedo netta e senza tentennamenti da ciò che le sinistre – non solo la tedesca, bensì tutte le sinistre occidentali – oggi rappresentano. Ci si aspetterebbe, insomma, di leggere una condanna senza appello, del tenore di quella contenuta nella lettera aperta di Hans Modrow alla Linke che abbiamo rilanciato su questa pagina https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2022/02/lettera-di-hans-modrow-alla-linke-hans.html

Viceversa il punto di vista della Wagenknecht è più sfumato e contraddittorio. Non che manchino accenti durissimi nei confronti di quella che l’autrice definisce “sinistra alla moda”: come vedremo fra poco, la sua requisitoria è lunga, dettagliata e argomentata, così come è corretta la sua analisi delle radici di classe del fenomeno politico in oggetto. A lasciare perplessi è però il tentativo di tracciare un confine fra neoliberalismo “di sinistra” e liberalismo tour court; un approccio che legittima l’idea secondo cui il liberalismo di sinistra tradizionale, o liberal socialismo, non è il grembo che ha partorito l’attuale sinistra neoliberale, bensì qualcosa di completamente diverso, un patrimonio di idee e valori da cui si potrebbe trarre il materiale per rifondare una “vera” sinistra. Ma procediamo con ordine.

Il bersaglio della Wagenknecht sono coloro che non pongono più al centro della propria attenzione i problemi sociali e politico-economici bensì le tematiche relative allo stile di vita, alle abitudini di consumo e ai giudizi morali sui comportamenti.

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lacausadellecose

Dugin o non Dugin

di Michele Castaldo

Aleksandr Dugin 2Scrivo queste note prendendo spunto dalle polemiche di alcuni interventi su sinistrainrete.info circa l’utilità di leggere o meno Dugin. Dico subito che molte domande ed altrettante risposte sono mal poste. Chi mi conosce sa che non vado per il sottile e sono solito affrontare le cose di petto, come dovrebbe fare chiunque ama richiamarsi alle ragioni del comunismo.

Anche un uomo di destra può dire cose interessanti? Posta in astratto la domanda chiunque può dire delle cose interessanti, anzi Pirandello dice che per conoscere certe verità di un villaggio bisogna ascoltare il personaggio ritenuto « lo scemo del villaggio », ma Dugin non è « lo scemo del villaggio » e se si apre un dibattito sulle sue tesi vuol dire che le questioni che stanno a monte sono molto più complicate di come le vogliamo rappresentare. Non meniamo il can per l’aia e veniamo perciò alla questione teorica a monte. Prometto di non fare sconti e parto con un esempio.

Molti compagni della mia generazione (i canuti nei paraggi degli ottanta ormai) hanno letto La città del sole di Tommaso Campanella, il filosofo calabrese vissuto tra il ‘500 e il ‘600. Un filosofo apprezzato e stimato. Bene. Ne La città del sole quando parla della procreazione – cito a memoria – indica un criterio di selezione della specie umana, ovvero che i figli devono essere generati da coppie sane preventivamente accertate. Un criterio molto prossimo a Campanella lo esprimeva Hitler, o i filosofi di regime del nazionalsocialismo tedesco. Il nazionalismo tedesco è stato eletto a « male assoluto », mentre Tommaso Campanella continua a essere stimato nella sinistra come un grande filosofo idealista.