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frontiere

Templi moderni: il grande reset e la nuova gnosi

di Andrea Valdroni

95b88692b5d2450259d2048c46a16362Lo Gnosticismo è quindi mortalmente auto-limitante, ma un movimento gnostico è in grado di causare un’enorme distruzione materiale e sociale prima di perire ignominiosamente a causa della sua stessa depravazione spirituale

Thomas F Bertonnau, Voegelin on Gnosticism – A Revisitation

A più di un anno dalla sua iniziale comparsa in Cina, l’origine del Covid 19 è ancora avvolta nel mistero.

Liang Wannian, lo scienziato a capo del contingente cinese del team di ricercatori istituito congiuntamente da Cina e OMS per far luce sull’origine del virus, commentando i risultati del suo gruppo così riassume lo scorso marzo lo stato delle conoscenze: “nessuno ha ancora individuato il progenitore diretto del virus… e dunque la pandemia rimane un mistero irrisolto.

Ad oggi, la scienza semplicemente non ha risposte, tuttavia ciò non impedisce a Mario Draghi, in occasione della sua prima apparizione al G7 in veste di Primo Ministro, di dichiarare perentoriamente che è necessario “curare il clima per combattere il Covid”.

Curiosa affermazione: se non sono note né l’origine del virus né le tappe attraverso le quali questo è entrato in contatto con l’uomo, non si capisce su quali basi il premier italiano si senta autorizzato a mettere in relazione “la lotta al Covid” con un altro fenomeno come il “cambiamento climatico”, anch’esso ancora oggetto di acceso dibattito scientifico, a dispetto della propaganda mediatica a senso unico.

Anche limitandosi al presunto, fumoso, contributo del cambiamento climatico alla diffusione del Covid, non vi è nulla di certo, come spiega il Dr. Aaron Bernstein, direttore dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health, che alla domanda “È vero che il cambiamento climatico ha un ruolo nella trasmissione del Coronavirus?” è costretto a rispondere: “Non abbiamo evidenza diretta dell’effetto del cambiamento climatico sulla diffusione del Covid-19”, pur aggiungendo prontamente però che “sappiamo che il cambiamento climatico altera il modo in cui ci relazioniamo alle altre specie terrestri e ciò influisce sulla nostra salute e sul rischio di contrarre infezioni”, non sia mai che il legame tra Covid e cambiamento climatico venga percepito come una semplice speculazione priva di basi empiriche.

Le parole di Draghi sembrano delineare un manifesto politico tanto scricchiolante, nella sua pretesa di poggiare su basi scientifiche, quanto imponente se si considerano le potenziali ricadute a vari livelli.

Quello del primo ministro italiano non è un caso isolato.

La tendenza da parte delle élite globali a stabilire debolissimi – se non inesistenti – rapporti di causalità tra fenomeni distanti, le cui singole dinamiche perdipiù sono spesso poco chiare, rapporti gravidi di conseguenze “politiche”, dato che forniscono a governi ed enti sovranazionali un formidabile pretesto per adottare provvedimenti che hanno un impatto diretto sui popoli, di solito in senso liberticida, è visibile a livello globale già da tempo e sembra aver ricevuto nuova linfa dall’entrata in scena del Covid.

In vari ambiti assistiamo a una mistificazione del reale, alla creazione di narrative zoppicanti sul piano logico ed empirico, ma efficaci nel plasmare l’opinione pubblica, perché sospinte dall’incessante aggressione mediatica e dalla parallela opera di demonizzazione di chi si oppone criticamente a quelli che, di volta in volta, vengono presentati come “dogmi laici”, riguardo ai quali è vietato anche solo porre domande.

La pena, per ora, è l’accusa sempre più frequente, e sempre più a sproposito, di “negazionismo”.

Dal “contante causa principale dell’evasione fiscale” all’ ”auto elettrica che non inquina”, dall’ “eutanasia compassionevole” all’ ”austerità che fa crescere”, gli esempi sono troppi per essere elencati tutti.

Ossimori lapalissiani vengono spacciati per verità autoevidenti, conquiste dell’ “uomo nuovo” da rivendicare con orgoglio e tenacia.

Emerge così un nucleo di “convincimenti” (la consistenza epistemologica è tale), che a prescindere dal campo di applicazione sono accomunati dall’obiettivo di rifondare su basi nuove la società, modificando alla radice valori e stili di vita.

Dalla fissazione transumanista alla teoria del gender, dalle fisime degli ambientalisti – tese a colpevolizzare gli esseri umani, “troppi” ed “inquinanti” – all’abolizione della proprietà privata – ovviamente teorizzata nel pensatoio dei miliardari di Davos – le élite sembrano dirci che l’uomo, così come ingenuamente lo abbiamo immaginato fino a ieri, è “sbagliato”.

Inutile sottolineare il formidabile assist fornito dal Covid ai nuovi “rivoluzionari”: grazie al virus infatti, aspetti essenziali della socialità, corrispondenti ad alcuni dei bisogni più profondi dell’uomo in quanto zoon politikon, da un giorno all’altro sono considerati “pericolosi” e pertanto, vengono vietati: configurano veri e propri “reati”. Un cambiamento radicale, traumatico, ma necessario, ci dicono, per “proteggere la nostra salute”.

La smania prometeica di rifondare l’umanità, di azzerare un “mondo” e “ricostruirne un altro migliore” (l’onnipresente slogan “Build Back Better”), senza mettere mai in dubbio la bontà dell’ideologia sottostante, ma rivestendo il tutto di una presunta “scientificità”, impermeabile a ogni critica, è alla base di quel conglomerato di progetti per il genere umano elaborato dal gotha del capitalismo transnazionale che si riunisce annualmente a Davos, e che va sotto il nome di Grande Reset.

L’agenda del Grande Reset, ben presente nei media mainstream a dispetto delle consuete accuse di “complottismo” rivolte a coloro che la citano, e sposata di recente dall’Unione Europea per bocca di Ursula Von der Leyen, è incentrata in sostanza sullo smantellamento dell’attuale assetto capitalista mondiale per far posto ad un governo centralizzato che dovrebbe guidarci verso un futuro caratterizzato da minor benessere e qualità di vita, minore consumo di risorse fossili, ridotte libertà civili e da un’accelerazione verso l’automazione di buona parte dei lavori oggi svolti dall’uomo.

Si tratta di un ampio progetto di riconversione non solo economica, ma anche antropologica e sociale, descritto dettagliatamente dal presidente del Forum di Davos, Klaus Schwab, nel libro La Quarta Rivoluzione industriale con toni tutt’altro che rassicuranti: ad esempio, dichiara senza mezzi termini che il transumanesimo è parte integrante del Grande Reset, quando ci informa che “la quarta rivoluzione industriale porterà alla fusione delle nostre identità fisica, digitale e biologica”, fusione che, chiarisce, avverrà anche attraverso l’impiego di microchip sottocutanei in grado di leggere il pensiero.

In un altro passo spiega che “le nuove tecnologie permetteranno alle autorità di accedere allo spazio privato delle nostre menti, per leggerne il pensiero ed influenzare il comportamento“. E ancora, prevede che le nuove tecnologie consentiranno alle forze dell’ordine di predisporre programmi di prevenzione del crimine in stile Minority Report.

Per far luce sui profondi mutamenti sociali ed economici invocati dall’élite di Davos, prontamente “sposati” e imposti dalle classi politiche dei paesi avanzati, e soprattutto sull’ humus culturale alla base di questi progetti, riteniamo utile rispolverare l’opera del filosofo tedesco Eric Voegelin (1901 – 1985), per l’attuale e calzante analisi della modernità da lui condotta, ci serviremo ampiamente dell’ottimo studio di Nicoletta Stradaioli, ricercatrice presso l’Università di Perugia, La Modernità e i suoi “progetti”: l’interpretazione di Eric Voegelin.

L’opera di Voegelin muove da un’analisi serrata della tradizione filosofica, politica e religiosa dell’Occidente colta nei suoi snodi cruciali, per giungere ad una critica radicale della modernità: ne La Nuova Scienza Politica (1952), indaga la degenerazione della scienza politica, e ne motiva la crisi profonda con il processo di assorbimento dei metodi e dei principi delle scienze esatte da essa intrapreso.

Il mondo socio-politico viene progressivamente assimilato a quello fisico, e si ritiene di poterlo studiare con gli stessi strumenti quantitativi, pretendendo di arrivare a formulare leggi universali.

Secondo Stradaioli:

La mentalità positivista della modernità intende il mondo socio-politico come speculare a quello fisico: una realtà uniforme e omogenea, in cui, espellendo dall’indagine i dati dell’esperienza umana non riconducibili al mondo fenomenico, scompare la singolarità dell’uomo, ridotto ai soli aspetti biologico-fisici. La scienza politica si limita allora allo studio sterile del politico e, accumulando fatti e rifiutando la funzione di analisi critica, si riduce a essere doxa.

Questa degenerazione della scienza politica moderna è, per Voegelin, estremamente rischiosa, perché tende con tinte sempre più marcate a voler possedere il senso di ogni situazione. Se tutto è riconducibile alla sfera mondana, a relazioni causali, a relazioni mezzi-fini, in cui possedendo il mezzo (cioè la scienza) il fine è logicamente raggiungibile, la scienza stessa presume di poter tutto afferrare e trasformare al servizio di un’unica idea. Ecco il pericolo della ragione scientista-positivista della modernità.

In Scienza, Politica e Gnosticismo (1959) Voegelin ritorna sulla crisi in cui versa la scienza politica e ne individua nel “divieto di fare domande” un tratto saliente, diretta conseguenza dell’errore scientista, analizzando il pensiero di Marx come esempio paradigmatico di questa degenerazione.

Per Voegelin, alla base del modello marxiano vi è una rivolta contro Dio e la conseguente divinizzazione dell’uomo, ritenuto in grado di creare un paradiso “nella storia”, che coincide con un nuovo ordine sociale e politico, e il cui sbocco non può che essere totalitario.

Affinché questo sistema non crolli, infatti, è necessario

resistere a quegli interrogativi che chiamano in causa una fonte trascendente dell’essere e del suo ordine, che potrebbero altrimenti metterne in crisi la sua logica. Ne consegue, perciò, che ogni idea del sistema stesso è fatta salva, come fosse un dogma.

La secolarizzazione quindi viene riconosciuta come un altro fattore responsabile della degenerazione della modernità e nella crisi spirituale che essa determina, nella tendenza ad esaltare l’uomo capace di redimersi da sé, Voegelin scorge la riemersione dello gnosticismo.

Sulla scorta di Voegelin, riteniamo che lo gnosticismo sia un paradigma utile per comprendere il Grande Reset.

Per gnosticismo si intende una serie di movimenti eretici sorti nell’ambito del cristianesimo a partire dal II secolo dopo Cristo, per opera di gruppi di “eletti” che, convinti di essere in possesso di una conoscenza superiore (la gnosi, appunto), pervengono alla visione del divino e del vero, salvandosi così dal mondo terrestre, imperfetto e maligno.

Secondo Eugene Webb, la gnosi per Voegelin può essere definita come “una diretta acquisizione o visione della verità che non necessita di riflessione critica, il dono speciale di un’élite cognitiva e spirituale¹”.

Lo gnosticismo è “un tipo di pensiero che rivendica un’assoluta padronanza cognitiva della realtà” e che “ritiene che la propria conoscenza non debba essere oggetto di critica”(1). Può presentare sia connotazioni trascendenti, come nei movimenti gnostici antichi, sia immanentistiche, come nel caso del Marxismo.

Se le dottrine gnostiche antiche rifiutavano il mondo materiale nella sua interezza e dichiaravano un’evasione nel trascendente, per raggiungere la salvezza, le dottrine gnostiche moderne progettano, invece, secondo Voegelin, di liberare l’uomo dalle tenebre terrene, costruendo una nuova realtà immanente, purificata e perfetta, attraverso l’azione umana.

Una “perfezione” che oggi le èlite sembrano concepire soprattutto in termini di drastica riduzione dell’“inquinamento”, controllo della popolazione, anche attraverso la compressione dei rapporti sociali, e superamento dei limiti biologici e intellettuali dell’uomo grazie allo sviluppo della tecnologia.

Alla base della concezione gnostica della modernità vi è la ferma convinzione che il disordine insito nel mondo possa essere trasceso attraverso quel complesso di conoscenze, appannaggio di un ristretto gruppo di eletti, che costituiscono la gnosi. L’obiettivo finale, secondo Voegelin, è quello di immanentizzare l’eschaton cristiano, cioè di creare niente meno che una sorta di paradiso in terra.

Una modifica così radicale della struttura del reale implica chiaramente l’idea di rivoluzione. Le masse, tuttavia, non hanno voce in capitolo, ad esse il “mondo nuovo” è semplicemente imposto, e non potrebbe essere altrimenti, dal momento che solo le élite sono depositarie della conoscenza. Di più: vige il “divieto di fare domande”.

Se infatti la “gnosi” non ha lo scopo di indagare la realtà, ma di ricrearne una nuova, immaginaria, allora è essenziale

controllare ogni aspetto del sistema posto in essere; e un risultato del genere è ottenibile solo se il mondo è alla portata dello gnostico stesso, ovvero sotto il controllo dell’uomo.

Questo controllo richiede che sia cancellato ogni riferimento trascendente, cioè l’umana ricerca del fondamento della sua esistenza.

Un sistema dunque foggiato al fine di commettere l’assassinio di Dio, un deicidio assolutamente indispensabile alla creazione di un ordine socio-politico perfetto e finale a opera esclusiva dell’uomo.

L’impiego del concetto di gnosticismo da parte di Voegelin per interpretare la modernità non è esente da critiche, con riferimento al rischio di perdere di vista la complessità di fenomeni come i movimenti politici di massa contemporanei e all’assunzione, problematica secondo alcuni, di una continuità tra “gnosi antica” e “gnosi moderna”.

La distinzione tra gnosi antica e gnosi moderna è trattata da Augusto Del Noce nell’introduzione all’edizione italiana de La Nuova Scienza Politica.

Del Noce ritiene si debba distinguere tra le due concezioni dal momento che entrambe ateizzano il mondo ma con modalità differenti.

La gnosi antica rifiutava infatti il mondo terreno, imperfetto ed effimero, creato non da Dio ma da sue “emanazioni”, mentre la gnosi moderna, post-cristiana, concepisce l’immanenza come unica dimensione umana, e va alla ricerca di formule per costruire un mondo terreno nuovo e “purificato”.

Riteneva poi Del Noce che la gnosi moderna, diversamente da quella antica, si rivolgesse alle masse e avesse velleità rivoluzionarie. Nel tumultuoso panorama globale odierno, ci sembra di notare la permanenza di una gnosi aristocratica, che si riflette nel paternalismo delle élite globali, autoincaricatesi di decidere le sorti dei popoli, ma che viene adottata dalle masse anche a seguito dell’indottrinamento mediatico sempre più pervasivo, in una versione ovviamente “volgarizzata”.

In relazione a quelli che riteniamo essere gli aspetti gnostici del progetto del Grande Reset è illuminante questo passaggio dello studio della Stradaioli:

Nella lettura di Voegelin la modernità è indissolubilmente legata al razionalismo scientista-positivista che, cancellando qualsiasi riferimento alla metafisica classica e cristiana, non tiene conto della pluralità delle dimensioni dell’essere e imprigiona la ragione nella dimensione empirico-materiale della realtà.

L’uomo è così ridotto a essere un tassello di un mondo omogeneo del quale si pretende di conoscere leggi di sviluppo in via assoluta e definitiva.

Tale visione di perfettismo logico-razionale appartiene alla vasta famiglia delle dottrine gnostiche che si basano su un rigoroso immanentismo, sul rifiuto di qualsiasi tensione con il fondamento trascendente della realtà e sulla convinzione di possedere la conoscenza perfetta, per dare vita a un ordine politico definito e assoluto.

Gli ideatori del progetto, più che dalla scienza in sé, sembrano essere affascinati dall’idea che la società sia “plasmabile”, che un ordine sociale sia raggiungibile solo attraverso la tecnica, il calcolo razionale, gli uomini e i popoli semplici unità da assemblare come in una catena di montaggio.

Prosegue la Stradaioli:

La nuova gnosi costruisce una «seconda realtà» in cui l’uomo è rappresentato onnipotente e capace di autorendenzione.

La natura umana è così trasfigurata e alla grazia divina si sostituisce la volontà di potenza dell’uomo. La modernità persegue una vera e propria «rivolta gnostica», una rivolta gnostica che si fonda sulla convinzione (assurda nella prospettiva voegeliniana) che si possa trasformare la natura umana e la realtà attraverso la scienza e l’azione sociale, sostituendo ad un ordine, avvertito come imperfetto ed ingiusto, uno nuovo scevro da difetti. L’esito di tale dominazione esistenziale non può che essere il totalitarismo, come il XX secolo ha dimostrato.

È esattamente l’urgenza rivoluzionaria degli oligarchi dietro il Grande Reset, con la loro smania di spazzar via un mondo per ricostruirne uno “migliore”, assistiti dalla lotta al Covid, con in mente in realtà una società totalitaria, appena imbellettata, si fa per dire, con qualche tocco di “sostenibilità”.

Rientra pienamente in questa concezione gnostica anche la fissazione transumanista, col suo anelito a superare l’uomo, ormai antiquato, grazie al progresso formidabile della tecnica, fino a rilanciarne il vecchio ‘sogno’: l’immortalità.

Ma se da un lato le élite sono in grado di finanziare e orientare ricerche scientifiche con l’obiettivo di conquistare un significativo allungamento della vita o di creare una colonia su Marte, dall’altro l’imponente sviluppo tecnologico sembra avere per le masse risvolti inquietanti(8,9).

Non ci riferiamo solamente all’emergere di quello che è stato definito da Shoshana Zuboff, docente di Harvard, “Capitalismo della sorveglianza”, e cioè il nuovo modello di accumulazione capitalistica per il quale “l’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali e poi venduta come prodotto di previsione nel nuovo mercato dei comportamenti a termine, dove operano imprese smaniose di conoscere i nostri comportamenti futuri”.

Notiamo infatti, a mò di provocazione, che sembra essere all’opera una sorta di principio di conservazione dell’intelligenza collettiva, alla stregua dei principi di conservazione studiati in Fisica, in base al quale, ad ogni passo avanti dell’Intelligenza Artificiale, nelle vesti ormai quasi “popolari” del Machine Learning o in quelle più esoteriche del Deep Learning e affini, corrisponde un passo indietro dell’intelligenza umana a livello globale, mantenendo costante il livello complessivo.

Come spiegare altrimenti le reazioni irrazionali, invarianti rispetto al censo e al livello di istruzione, davanti al diffondersi di un virus respiratorio e la diffusa incapacità di mettere in discussione anche la più improbabile delle narrative propinate dai media?

È come se gli slogan dei tecno-fanatici di Davos, capitanati da Schwab, nascondessero il desiderio di assimilare l’uomo alla macchina non per garantirgli un’intelligenza “aumentata” grazie alla tecnologia ma, con in vista la dissoluzione dell’uomo stesso, lo scadimento di questo al rango di macchina, di dispositivo, più efficiente certo, come il capitalismo di Big Tech esige, ma sempre meno umano: un’inarrestabile discesa nel subumano. L’antico odio gnostico per le masse si ripresenta, sotto nuove vesti, ma sempre con i medesimi intenti distruttivi.

Con Voegelin: alla radice dei mali della modernità c’è una patologia ontologica, spirituale (il nosos platoniano), culminante nello scientismo positivista che affligge anche la scienza politica moderna e che limita l’indagine intellettuale al solo dominio empirico, bandendo ogni velleità metafisica, ogni ricerca del fondamento della realtà.

A una “nuova scienza politica” spetta, secondo Voegelin, il compito di mostrare l’insensatezza del progetto della modernità gnostica e di servire da rimedio terapeutico a «tendenze immanentistiche e inclinazioni totalitarie» che elidono il «problema dell’origine»: il rimedio non sta in una precisa teoria politica, ma nella «irriducibile pratica di interrogazione».

La scienza politica deve pertanto configurarsi come una ricerca che riveli le strutture dell’essere e che elabori politiche orientate dall’apertura verso il fondamento trascendente dell’esistenza, recuperando la politiké epistéme platonico-aristotelica, non come semplice riproposizione della filosofia antica, bensì come «rinnovamento dello spirito del filosofare». Essa non rifiuta, infatti, il mondo reale, non fugge da esso e non ha la pretesa di fondarne uno perfetto; ma aprendosi alla realtà sovrasensibile si sottopone ad un limite: quello di non afferrare mai in via definitiva e certa l’ordine politico perfetto.

La via d’uscita dalla palude gnostica è l’apertura alla realtà trascendente che per Voegelin non si consolida mai in una conoscenza esatta e assoluta dell’uomo e della società in cui vive; al contrario produce un’interrogazione continua sul fondamento dell’ordine politico, una “tensione erotica verso il terreno dell’esistenza”.

Ma chi, oggi, in Italia, è in grado di recepire un messaggio simile? Chi può traghettarci fuori dalle secche di una scienza politica che, infettata dallo scientismo positivista, ha perso come asse della propria indagine il summum bonum trascendente?

Mentre nel panorama nazionale (e globale) odierno vengono adottate misure sempre più liberticide col pretesto della lotta ad un virus respiratorio, (il coprifuoco e soprattutto i vari “pass vaccinali” come misura di salute pubblica, insieme al DDL Zan come misura d’igiene politicamente corretta per sterilizzare il dibattito politico, sono il punto di non ritorno), in un contesto di imbarbarimento culturale e morale generalizzato, la proposta del pensatore tedesco, per quanto di auspicabile realizzazione e teoricamente solida non sembra essere alla portata né del ceto politico, né di quello intellettuale.

Non è infatti il caso di riporre eccessiva fiducia in una classe politica sempre più incolta e miope, coesa solo nel servire gli interessi globalisti, che ricopre di una coltre di finti buoni propositi grondanti una melassa velenosa, e negli intellettuali, dentro e fuori l’accademia, in larga parte meri dispensatori di banalità, intenti soprattutto a giustificare ogni mossa del capitalismo terminale, come già osservò Costanzo Preve.

https://youtu.be/GnyMi1BgBrU

Possibile che non ci si renda conto del colossale inganno, con l’eccezione di sparuti gruppi di “ribelli”, più o meno isolati, miracolosamente impermeabili alla propaganda? Possibile, ahimè, perché è sempre più rara, anche nelle fasce più deboli della popolazione – una volta in questo senso le più ricettive e ancora oggi potenzialmente le più vitali – quella saggezza evangelica che ammoniva: “Dai frutti li riconoscerete“ (Matteo 7,15 -20).


Note
[1] Webb, Eugene, Eric Voegelin: Philosopher of History, University of Washington Press, Seattle, Washington, 1981.

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