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sinistra

Dall'URSS alla Russia

di Fabrizio Poggi

Se almeno un solo elemento della immensa lezione leniniana ho potuto assimilare (e tentare sempre di applicare) è quello della necessaria e costante analisi dei rapporti tra le classi nell'esame di ogni fenomeno reale. Così che, invogliato dal commento al pezzo di Alexander Höbel - “Inefficienze e difetti dell’economia sovietica” - fatto da Eros Barone, che giustamente mette in rilievo la doverosa analisi dei rapporti di classe nell’analisi della storia sovietica e della sua involuzione a partire dalla degenerazione khruščëviana, propongo questo pezzo, uscito su nuova unità nel 2017 (n. 4), qua e là rivisitato per l'occasione, ma non aggiornato, sperando di dare un piccolo contributo alla discussione

2ebb60473cd67e8167083273a3863e75Dietro le quinte di una cosiddetta “formazione dei militanti” sul tema della storia dell'URSS, si contrabbandano spesso trotskismo, khruščëvismo e gorbačëvismo. Presentando la storia sovietica come un percorso “Dal capitalismo al socialismo e viceversa”, da posizioni idealistiche si attribuisce l'evoluzione e la successiva involuzione dell'esperienza socialista in URSS a soli fattori soggettivi, secondo la vulgata di una presunta “bontà innata” di chiunque si sia opposto a quelle che vengono definite le “criminali” scelte politiche ed economiche della leadership sovietica durante il trentennio in cui Stalin fu alla testa del VKP(b).

Di contro, si è tentato di illustrare sommariamente come quelle scelte riflettessero reali rapporti tra le classi sociali, così come si evince da alcune fonti sovietiche. Delimitazione cronologica e schematizzazione tematica sono soggettive e solo indicative del tema.

* * * *

Nel 1932, sul numero 1-2 della rivista “Pod znamenem marksizma” (“Sotto la bandiera del marxismo”), compare l'articolo di M. Korneev Il secondo Piano quinquennale e l'eliminazione delle classi, che illustra la politica di trasformazione delle campagne in URSS, basata sulla collettivizzazione delle piccole aziende individuali e la definitiva eliminazione dell'ultima classe sfruttatrice rimasta, quella del kulak, i contadini ricchi.

Tra il 1973 e il 1979, intrattenendosi con lo storico Felix Čuev, l'ex membro del Politbjuro, ex presidente del Consiglio dei commissari del popolo ed ex Ministro degli esteri sovietico Vjačeslav Molotov afferma: “contrappongono Stalin a Bukharin e a Dubček. Sono i destri che lo fanno – i residui di kulak non liquidati. Tra Bukharin e Dubček c'è molto in comune”. E poi: “Khruščëv non è stato casuale. Il paese è contadino e la deviazione di destra è ancora forte.

E' pienamente possibile che tra pochissimo tempo vadano al potere gli antistaliniani, probabilmente i bukhariniani”; e ancora: “Le classi sfruttatrici non erano completamente debellate e questo si rifletteva nel partito. Atteggiamenti kulak ce ne sono ancora a bizzeffe nel partito”. (F. Čuev “Sto sorok besed s Molotovym”, ed. Terra, Moskva, 1991, pagg. 375, 407).

Tra queste due date c'è il decennio della industrializzazione, grazie a cui l'URSS, nella guerra di sterminio lanciata da Hitler, riesce a sconfiggere il nazismo; c'è l'a degenerazione khruščëviana, con l'aperto revisionismo politico-ideologico e l'inizio di quelle “riforme” di mercato che, approfondite negli anni '60 e '70, porteranno al decadimento del modello di sviluppo pianificato e, giù giù, al collasso economico e sociale, alle convulsioni della perestrojka e, infine, all'aperta controrivoluzione a colpi di cannone del 1993.

Il kulačestvo, scriveva dunque Korneev nel 1932, è “praticamente eliminato” e si sono sostanzialmente chiusi i “canali per la formazione delle classi nelle campagne”. Per la definitiva soppressione delle classi, occorre la “completa eliminazione degli elementi capitalistici, soprattutto nelle campagne e la piena liquidazione delle cause che generano le differenze di classe”. Di fatto, a fine 1931 oltre il 60% dei contadini erano entrati nei kolkhoz, passati da 57.000 nel 1929 a 224.500 nel 1932 (saranno 250.000 due anni più tardi): le aziende collettivizzate erano il 3,9% nel 1929 e il 65% nel 1933.

Sul n. 3-4 (marzo-aprile 1932) della stessa rivista, D. Bilenkin in Sulle sei condizioni storiche del compagno Stalin, scrive che, contrariamente a quanto sosteneva l'opposizione trotskista, “nel 1926-1927 non c'erano le condizioni oggettive per liquidare il kulak come classe, dato che non si era ancora in grado di sostituire il grano del kulak con la nostra produzione, dei kolkhoz e sovkhoz”.

E' così che sul numero 1 del 1935, titolando La dittatura del proletariato cambia il volto della classe operaia, P. Olešinskij cita Molotov, che al VII Congresso dei Soviet dell'URSS afferma che “la struttura sociale del paese è mutata: <gli elementi borghesi sono solo quasi un ricordo>. E' raddoppiata la popolazione proletaria rispetto al 1913 e i kolkhozniki costituiscono più della metà della popolazione: le due classi insieme rappresentano oltre i ¾ della popolazione dell'URSS”.

Anche l'editoriale del secondo numero della rivista, con Vigilanza bolscevica, inizia con Vjačeslav Molotov che, parafrasando Lenin - “La Russia della NEP è diventata la Russia socialista” - illustra le caratteristiche del paese, divenuto industriale; liquidati gli elementi capitalisti; sconfitto e sostanzialmente liquidato il kulak; nel commercio, liquidato il settore capitalistico privato, quello sovietico è ora l'unico tipo sviluppato. Al nemico di classe sconfitto è stata tolta la base economica; ma sarebbe un “rozzo travisamento del bolscevismo cadere in un opportunistico autocompiacimento e credere che la lotta di classe nel nostro paese sia terminata”. Il nemico di classe è sconfitto, ma non annientato, scrive l'editoriale; le sopravvivenze del capitalismo sono vive nelle coscienze. I resti delle classi sfruttatrici non sono del tutto eliminati: “non è completamente cessato il processo di nascita di nuovi elementi capitalisti, dal momento che esiste ancora una piccola agricoltura sminuzzata, un artigianato, dei falsi artel”.

Al XV Congresso del partito (1927), Stalin aveva infatti detto che “le radici sociali dell'opposizione si celano nella rovina degli strati piccolo-borghesi della città, nella loro bramosia di “migliorare” lo Stato nello spirito della democrazia borghese. Con l'incremento del peso dell'economia socialista, una parte della piccola borghesia va in miseria; l'opposizione esprime lo scontento di questi strati per l'ordine della rivoluzione proletaria”.

Anche V. Berestnev, nel n.6 della rivista, in Il paese sovietico verso l'età adulta, torna a citare Molotov, e scrive che “Il socialismo nel nostro paese, un sesto del globo terrestre, ha vinto definitivamente e irrevocabilmente”; poi: “l'URSS, da paese in cui coesistevano sistemi economici diversi, si è trasformato in un paese in cui domina il sistema economico socialista, sulla cui base matura l'unità di interessi di operai e kolkhozniki”. L'URSS, scrive Berestnev, “occupa il secondo posto mondiale dietro agli USA e il primo in Europa per produzione industriale. Per estrazione di petrolio, produzione di ghisa, macchine, trattori, occupiamo il primo posto in Europa”.

Il bilancio delle conquiste si avrà il 5 dicembre 1936 con l'adozione, da parte del VIII Congresso straordinario dei Soviet, della nuova Costituzione dell'URSS. Essa certifica come, in conseguenza dei mutamenti “sopravvenuti nell'economia dell'URSS, si è modificata anche la struttura di classe” della società e “parte dal fatto della liquidazione del regime capitalista, dal fatto della vittoria del regime socialista”, con la “proprietà socialista della terra, delle foreste, delle fabbriche, delle officine e degli altri strumenti e mezzi di produzione; soppressione dello sfruttamento e delle classi sfruttatrici”(Stalin).

Nessuna velleità soggettiva quindi, ma sempre istanze di classe, espresse da questo o quell'altro esponente dell'opposizione.

Dunque, agli inizi degli anni '30, si parlava di quasi completa eliminazione delle classi. Ma, quarant'anni dopo, Molotov sosteneva che “Le classi sfruttatrici non erano completamente debellate. La deviazione di destra è ancora forte. Dove è la garanzia che non prenda il sopravvento?”(F. Čuev cit.). Di fatto, già con la svolta di Khruščëv, si era aperta la strada all'economia di mercato: soprattutto in agricoltura, si arriva al punto che, secondo l'Accademia delle scienze, a inizio anni '60 i kolkhozniki guadagnavano meno della metà degli altri lavoratori; da qui la fuga dai kolkhoz e un esborso di svariate tonnellate di oro per acquistare il grano dai paesi capitalistici. In generale, se con Stalin i ritmi medi annuali di crescita erano del 10,6%, con Khruščëv scesero a meno del 5%. Sul piano politico: “competizione pacifica” con l'imperialismo, “passaggio pacifico”, “Stato e partito di tutto il popolo”, collaborazione tra le classi e smantellamento della dittatura del proletariato, rimossa anche formalmente dal programma del partito nel 1961.

Nel 1962 appare sulla Pravda l'articolo dell'economista Evsej Liberman “Piano-Profitto-Premio”; nel 1965 la rivista americana Time esce con la faccia di Liberman in copertina e la scritta “The communist flirtation with profits”. In estrema sintesi, la “riforma” Liberman-Kosygin (Aleksej Kosygin fu primo ministro dal 1964 al 1980) tendeva praticamente a eliminare ogni regolamentazione nell'attività delle imprese, riducendo da 30 a 9 il numero degli indicatori stabiliti dal piano e puntando su categorie quali profitto, prezzo, premio, credito. Il fulcro del nuovo sistema risiedeva nell'autonomia delle imprese, nell'aumento di indicatori integrati di efficienza, quali profitto e redditività; agli indicatori della produzione lorda, subentravano quelli del valore venduto. Le aziende sceglievano autonomamente come attuare il piano, in termini di valore e non di quantità. L'economia prese a funzionare non più come un unico organismo, bensì come somma di imprese, in cui ognuna perseguiva il proprio interesse. O meglio: la dirigenza di ogni impresa perseguiva i propri interessi, gettando le basi per la formazione di una nuova classe, pur se ancora appena in embrione.

Molto approssimativamente, e detto in modo grezzo: la stessa strada delle “riforme” proposte da Ota Šik in Cecoslovacchia, proseguendo il decentramento della gestione iniziato nel 1958, con la riduzione del numero di standard centrali da soddisfare. Ragion per cui appare poco credibile la motivazione dell'intervento armato del 1968, con la sola volontà di “soffocare la riforma economica” avviata a Praga da Dubček e Šik, che in fefinitiva poco si differenziava da quella di Liberman-Kosygin. Tanto che, nel 1978, nel decimo anniversario dei fatti, nuova unità scriveva che “noi abbiamo condannato l'intervento sovietico in Cecoslovacchia, perché dietro non c'era la difesa dello stato socialista, della classe operaia al potere, ma una politica imperialistica per mantenere subordinati i popoli dell'est europeo per i propri fini di sfruttamento economico. Il movimento della primavera di Praga, il socialismo dal volto umano di Dubček, le libertà democratico-borghesi che venivano ripristinate, erano il risultato di una restaurazione già attuata nel campo dell'economia che, mentre apriva i mercati ai monopoli americani e tedeschi, tendeva a stabilizzare il potere di una nuova borghesia, meno legata agli interessi economici dell'URSS”.

Dunque, se in Unione Sovietica, negli anni '30 e '40, c'era un unico generale khozrasčët, autofinanziamento, ora la redditività dell'azienda deve essere assicurata dai prezzi di vendita all'ingrosso: le aziende decidono gamma e varietà di prodotti, numero di addetti, contratti con fornitori e acquirenti. La riforma Liberman-Kosygin sarà alla base delle “riforme” del 1987-1988, che spianano la strada al golpe yankee-eltsiniano.

Così che, nel 2017, la russa ROTFront scriveva che “Tra la sinistra democratica, è diffusa l'opinione che la primavera di Praga rappresentasse la lotta delle masse popolari per un "socialismo dal volto umano", contro le distorsioni burocratiche. Tuttavia, questi compagni restano muti di fronte a due semplici domande: cosa differenzia la primavera di Praga dalla perestrojka gorbacioviana? Si può pensare che la primavera di Praga potesse concludersi con qualcosa di più dignitoso della perestrojka? Si dice che i leader della primavera di Praga non si esprimessero contro il socialismo: è effettivamente così. Ma anche Mikhail Gorbačëcv chiedeva sempre <più socialismo!>”.

Nel 2016, in “La riforma che ha affossato l'URSS”, Artëm Krivošeev (https://nstarikov.ru/blog/62818) esaminava i principali punti della riforma Liberman-Kosygin e scriveva tra l'altro che l'economia sovietica postbellica presupponeva che “i vari settori si integrassero l'un l'altro, secondo il principio dell'autofinanziamento nazionale; il Gosplan controllava severamente la produzione in numero di pezzi prodotti e non secondo il valore realizzato... Il piano statale stabiliva all'impresa annualmente produzione (per tipo), sua qualità e prezzo, che copriva i costi di produzione e assicurava un certo profitto. Con ciò, costi e profitti non erano correlati. Il profitto significava semplicemente la differenza tra prezzo e costo. Dirigenza e intero personale dell'impresa miravano a ridurre i costi di produzione”.

Nel periodo staliniano, scriveva Krivošeev, il “Gosplan controllava strettamente la produzione, in pezzi, degli articoli più importanti. Gli indicatori di piano erano stabiliti ai vertici. Già sotto Khruščëv, il Gosplan aveva ridotto significativamente il numero di indicatori di nomenclatura previsti, sostituendoli con piani "po valu" (volume totale di produzione espresso in valore): se prima si parlava di 1.000 pezzi di prodotti concreti, ora si parlava di prodotti per 1.000.000 di rubli”.

Veniva insomma allargata l'autonomia produttiva delle imprese, tenute a determinare autonomamente l'assortimento della produzione, a investirvi fondi propri, stabilire rapporti contrattuali a lungo termine con fornitori e destinatari finali, determinare il numero di addetti e dimensioni dei loro incentivi materiali. Una delle conseguenze, fu quella di “fermare la crescita reale della produttività del lavoro. Perché aumentare la produttività del lavoro se il suo obiettivo è ridurre il costo delle risorse e il tempo per unità di produzione? L'impresa è interessata ad aumentare i costi di produzione”.

Krivošeev citava poi il professor Vitalij Bykov, secondo cui “L'interesse per l'aumento dei costi ha portato al barbaro abuso di risorse materiali, con i costi cresciuti delle spese per il lavoro passato. Ad esempio, le imprese metallurgiche erano interessate a produrre laminati contenenti più metallo possibile, fino, mettiamo, allo spessore massimo consentito. Quindi, da questo laminato, con un diametro di 100 o addirittura 200 mm, si affilava un albero, per un aspiratore o un compressore, del diametro di 50 o 25 mm".

Un'ulteriore conseguenza fu la diminuzione del numero di manufatti in forma naturale, cioè in pezzi. Con un aumento del costo dei prodotti e della quantità di materiali consumati per la loro produzione, cala gradualmente il numero effettivo di prodotti: “... nel 1985, il prodotto lordo e il reddito nazionale erano aumentati di 2,8 volte rispetto al 1965 in termini monetari. Ma, durante lo stesso periodo, per ogni rublo di reddito nazionale e prodotto lordo, era diminuita di 2 volte, in termini materiali, la produzione di grano, carne, latte, verdure, tessuti, scarpe e di 4 volte quella delle patate".

Come risultato, mentre le statistiche ufficiali registravano ogni anno un aumento della produttività del lavoro a livello nazionale, di fatto la maggior parte della crescita era dovuta alla banale sopravvalutazione del valore dei prodotti. Ancora un esempio riportato da Bykov: ““... Cosa fosse questa “crescita” dei primi due piani quinquennali dopo la riforma, si può vedere dall'esempio di una fabbrica tessile di Mosca, che l'autore ha potuto visitare nel 1971. La direzione della fabbrica raccontava scaltramente di come in 5 anni avesse aumentato la produzione, ovviamente in termini di valore, più di 2 volte e la produttività del lavoro di 2 volte. Alla domanda, come fossero riusciti ad aumentare la produttività del lavoro di 2 volte senza rinnovare le attrezzature, senza introdurre nuove tecnologie e senza ridurre il personale industriale e produttivo, fu risposto quanto segue. Nella precedente pjatiletka, la fabbrica produceva tessuti leggeri, come calicò e satin. Dopo la riforma, erano passati a tessuti costosi e pesanti: lana e panno. Naturalmente, i macchinari avevano iniziato a ruotare più lentamente: invece di 1 milione di metri lineari di tessuto leggero, 700-800 mila metri di tessuto pesante. Come si può vedere, la produttività reale del lavoro era diminuita del 30-20%. Ma il costo di un metro di tessuto era aumentato di oltre 2-3 volte e, insieme a esso, la produttività del lavoro era aumentata di 2 volte. Ecco ottenuta la crescita di due volte della produttività del lavoro in termini di valore".

Ma questo non era il peggio, scriveva Krivošeev; la cosa più triste era un'altra: l'economia divenne incontrollabile e “iniziò a funzionare non come un singolo organismo, ma come un insieme di imprese che perseguono i loro interessi nelle piccole città e non dell'intero sistema nazionale. La riduzione della produzione reale e contemporaneamente "l'adempimento" del piano in termini di valore portarono a un'inflazione nascosta sotto forma di deficit di prodotti: i redditi, grazie a premi e crescita dei salari, divennero significativamente più alti della reale produttività del lavoro. Si creò carenza di beni di consumo, soprattutto prodotti meno cari, di cui la popolazione aveva bisogno, ma che le imprese non erano interessate a produrre, per il loro poco valore. Ciò causò un crescente malcontento tra la popolazione. Precipitò la disciplina delle forniture e fu assestato un duro colpo alla cooperazione tra fabbrica e fabbrica. La produzione di macchinari non è infatti un grande impianto che produce tutto da solo: centinaia di imprese correlate prendono parte alla produzione di macchinari e attrezzature. La mancata consegna di un pezzo "da una copeka", componente essenziale per un altro impianto, bloccava spesso intere catene”.

Di nuovo Vitalij Bykov: “... La fabbrica di Revda (regione di Sverdlovsk) per la lavorazione di metalli non ferrosi, non aveva fornito alla “Teplokontrol” di Kazan 19 tonnellate di laminato di bronzo per la produzione di molle per manometri, così che questa era stata costretta ripetutamente a fermare la produzione. Senza una molla da quattro copeke, non si può produrre un manometro e così, nel 1982, la “Teplokontrol” non aveva potuto produrre 428mila manometri. Tra i circa 18mila acquirenti della “Teplokontrol”, c'erano anche l'impresa di escavatori di Kovrov, quella di macchine utensili di Alapaev, le fabbriche meccaniche di Barnaul, l'impianto moscovita "Rassvet" e molte, molte altre... Il prezzo di un manometro è di 4,70 rubli. Ma l'interruzione della sua fornitura porta al fatto che un gran numero di imprese di escavatori, macchine utensili e altre attrezzature del valore di decine di migliaia di rubli non possono rifornire per tempo i propri destinatari”.

Nel corso di una tavola rotonda svoltasi a fine 2016, il rappresentante del RKRP (Partito comunista operaio russo) affermava che si può riconoscere come socialista la natura sociale dell'URSS “perché: la proprietà privata dei mezzi di produzione era stata eliminata a metà degli anni '30; l'economia nazionale era condotta secondo un unico piano; i prodotti erano distribuiti in base al lavoro, aumentava costantemente la quota di fondi di consumo pubblico e molti sussidi per assistenza sanitaria, alloggi e altro erano distribuiti in base ai bisogni; scopo della produzione non era l'utile della singola azienda, ma il benessere generale di tutta la società; non c'era disoccupazione: non agiva la legge generale dell'accumulazione capitalistica, cioè la pressione dell'esercito industriale di riserva sul livello salariale”. Con le riforme economiche di mercato, invece, “lo sviluppo dell'interesse delle singole imprese, contrapposto a quello generale, portò al rafforzamento degli interessi della burocrazia di partito. Gli elementi di mercato nell'economia, uniti alla bassa efficienza della pianificazione statale, si rifletterono in idee non socialiste nella coscienza delle masse. Tutto questo insieme ha portato al crollo del sistema sovietico”.

Artëm Krivošeev concludeva che “I direttori cominciarono allora a porsi il problema della "riforma" del sistema politico, per arricchirsi più in fretta. E' così che cominciò a formarsi la “élite” della perestrojka, su cui poi fece perno Gorbačëv”.

Il resto, è cronaca dei “malvagi anni '90”: colossi statali svenduti a prezzi di favore, soprattutto nei settori estrattivo ed energetico; giganti industriali messi all'asta, con capitali stranieri che facevano man bassa in settori strategici; imprese privatizzate, valutate centinaia di miliardi di dollari, vendute per pochi miliardi sul mercato internazionale. Sul fronte sociale, tra il 1988 e il 1993 si registra il minimo di nascite di tutto il periodo postbellico, con una media annuale di 1,4 milioni di nati vivi; si privatizzano sanità e fondi pensione.

Oggi, tra crisi economica, crollo del prezzo del petrolio, sanzioni occidentali e bassi salari, cade la natalità e aumenta la mortalità per suicidi e alcolismo. Con oltre 22 milioni di persone ufficialmente sotto la soglia di povertà e altri 30 milioni che arrivano a malapena a fine mese, i poveri costituiscono il 35% della popolazione. Cinque milioni di russi prendono meno di 11mila rubli: il salario medio nazionale a fine 2015 era di 42mila rubli, mentre quello reale si è fermato a 34mila; 72 persone su 100 vivono con meno di 15mila rubli al mese. Il 10% dei russi più agiati è di 16,8 volte più ricco del 10% dei poveri e l'1% dei ricchi possiede il 71% del patrimonio nazionale. Secondo l'ufficiale VTsIOM, un russo su dieci non ha abbastanza soldi per un'alimentazione completa e uno su quattro per i vestiti.

Se a inizi anni '30 l'URSS poteva vantare la fine della disoccupazione, il passaggio della giornata lavorativa a 7 ore e, più tardi, Stalin poteva prospettare la sua riduzione addirittura a 5 ore, nel 2009, secondo il Rosstat (Comitato statale di statistica) c'erano in Russia 7 milioni di disoccupati, pari a circa il 7,7% della forza lavoro; nel 2016 si parlava di oltre 4 milioni di disoccupati, pari a circa il 5%. Nel 2015 i disoccupati registrati ufficialmente erano 1 milione. Ma, nel 2013, su una popolazione in età lavorativa di circa 87 milioni, la vice Primo ministro Olga Golodets aveva dichiarato che “Nei settori a noi noti, sono occupati 48 milioni di individui. Non è chiaro dove siano occupati, in cosa siano occupati e come siano occupati tutti gli altri”.

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Paolo Selmi
Saturday, 21 September 2019 16:18
Noto con dispiacere che anche questa discussione, inizialmente nata sotto i migliori auspici, e proseguita quasi miracolosamente con due schivate degne del Mohammed Ali dei temi migliori, è naufragata - e non ne faccio una questione di Tizio o di Caio - nella consuetudine delle accuse reciproche, della nullificazione degli argomenti dall'interlocutore e della liquidazione delle questioni da lui poste dentro le peggiori caselle delle proprie forme mentali. Cosa che non mi stupisce, né rincresce più di tanto.

Peccato, perché questa volta, e la cosa mi fa veramente dispiacere, è che ricordo che si stava parlando d'altro. Si stava cercando di metterci nei panni di un soggetto, direttore, collettivo, commissione, ecc. che doveva gestire e risolvere problemi di inchiesta sui bisogni, raccolta dati, ricerca, progettazione, ingegnerizzazione, pianificazione dell'attività produttiva su larga scala, in un'economia da almeno vent'anni COMPLETAMENTE socializzata, ovvero - a scanso di equivoci per chi intendesse socializzato come uomo animale sociale, ecc. - A PROPRIETA' INTERAMENTE SOCIALE DEI MEZZI DI PRODUZIONE, dovendo promuovere una propria identità, un proprio modello di sviluppo, alternativo a quello capitalistico, COERENTE con i principi fondamentali di creazione e ripartizione del reddito netto dati da una Costituzione, come Fabrizio ricordava, E NON ALTRI; tale filo stava inizando a dipanarsi in maniera positiva, tra l'altro con il contributo di tutti, con uno spunto sul centralismo democratico da approfondire anche in campo economico, sull'utile, o surplus, da definire in maniera pianificata nel momento in cui si tratta di fare cenoobrazovanie, come considerare i costi in una nazione dove non tutte le realtà produttive sono fatte con lo stampino, come potrebbe essere da noi, peraltro, ma dove i prezzi devono essere il più possibili omogenei per evitare che uno vada a comprare la macchina in Piemonte e non dove vive in Puglia; si stava iniziando a parlare quindi di formazione dei prezzi e pianificazione, di come conciliare bisogni, esigenze di consumo e fruizione per messa in linea (ovvero settore B e A tradizionalmente intesi) da un lato, e capacità produttive sempre crescenti dall'altro (e anche qui, che direzione dare a tale crescita, sotto quali forme), e invece prima una provocazione, poi un'altra, poi un'altra ancora e "il naufragar m'è dolce in questo mare"...

Continuo per posta elettronica con chi fosse interessato. Un caro saluto a tutti.

Paolo
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Eros Barone
Friday, 20 September 2019 21:32
Conoscendo gli articoli sulla Russia e sulla storia dell’URSS che Fabrizio Poggi è venuto pubblicando nel sito di “Contropiano”, la lettura del presente articolo non è stata una sorpresa ma una conferma. Intervengo allora su tre questioni: 1) il significato della ‘riforma’
Liberman-Kosyigin; 2) la categoria del revisionismo come articolazione fondamentale della periodizzazione storica e della conoscenza scientifica della dinamica dei conflitti di classe nell’Unione Sovietica; 3) un invito a Mario M. 1) Come è noto, la ‘riforma’ in questione mirava a conferire ai prezzi di vendita dei prodotti il ruolo di regolatori della riproduzione. In base a tale ‘riforma’, ogni unità produttiva poteva continuare nella produzione se (e solo se) il ricavato della vendita dei suoi prodotti le consentiva di farlo, acquistando quanto le era necessario (ovviamente ai prezzi correnti sul mercato così liberalizzato). Ogni unità produttiva poteva in tal modo riprodursi su scala allargata, quindi ingrandirsi nella misura corrispondente al profitto realizzato con la vendita dei suoi prodotti. Da qui nasceva la spinta a vendere al prezzo più alto, a produrre ciò che si vendeva meglio e quindi a impiegare le risorse produttive a vantaggio non solo dei settori privilegiati interni (quelli che chiedevano beni e potevano pagarli), ma anche dei settori internazionali; ma veniva inoltre alimentata la spinta verso lo sviluppo di un mercato creditizio (per ingrandirsi è necessario farsi prestare denaro) e, passo dopo passo, verso lo sviluppo del capitale finanziario. L’introduzione della “verità dei prezzi”, così definita da Liberman nel famoso articolo del 1964, si configurava quindi come uno dei primi passi verso l’eliminazione dei residui delle misure di transizione dal capitalismo al comunismo e, per converso, come uno dei primi passi verso la restaurazione del capitalismo. 2) Il carattere dirimente della presa di posizione verso il moderno revisionismo, giustamente richiamato da Poggi come fondamentale criterio ermeneutico nella periodizzazione della storia dei conflitti di classe nell’Unione Sovietica, ma ignorato da chi non riconosce che, nell’affrontare e svolgere correttamente il tema-chiave della pianificazione, la giusta soluzione della questione del moderno revisionismo sta alla transizione socialista come la freccia al suo bersaglio. 3) Tenga ben presente due massime latine di grande importanza metodologica: a) “oportet studuisse”; b) “distingue frequenter”. In tal modo eviterà di fare affermazioni perlomeno arrischiate sulla teoria marxista del
valore-lavoro e delle classi sociali, in merito alle quali La rinvio alle obiezioni e precisazioni svolte da Mario Galati con la consueta pertinenza. Riguardo alle concezioni di Silvio Ceccato, di cui Mario M si professa estimatore, aggiungo soltanto, con tutto il rispetto per questo studioso sicuramente originale, che mi è sempre sembrato il tipico rappresentante di quell’“esperantismo filosofico” che Gramsci, in una nota dei “Quaderni del carcere”, vede “specialmente radicato nelle concezioni positivistiche e naturalistiche” declinate in termini di logica formale e metodologia generale, laddove “la logica e la metodologia generale vengono concepite come formule matematiche, astratte dal pensiero concreto e dalle concrete scienze particolari”. Dopodiché, Gramsci riconosce che “ogni forma di pensiero deve ritenere se stessa come ‘esatta’ e ‘vera’ e combattere le altre forme di pensiero; ma ciò ‘criticamente’”. La conclusione di metodo e di contenuto che Gramsci trae da questa premessa è allora che “la quistione è sulle dosi di ‘criticismo’ e di ‘storicismo’ che sono contenute in ogni forma di pensiero”. Ebbene, a me non pare che nella forma di pensiero che caratterizza Ceccato queste dosi risultino particolarmente elevate.
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Mario Galati
Friday, 20 September 2019 17:17
Il tema dell'articolo sarebbe la parabola dell'economia e della società sovietica secondo i suoi meccanismi e la sua logica interna di sviluppo nel contesto in cui si è trovata. Si può anche manifestare il proprio dissenso dalla impostazione presupposta dall’articolista con affermazioni generali che eludono il tema proposto; ma se non si tangono neppure i fatti oggetto di discussione per inquadrarli nella versione alternativa caldeggiata, al fine di smentire o correggere le tesi dell’articolo, e si gettano sul tavolo le solite affermazioni generali e generiche tutte da dimostrare, il risultato sarà solo quello di deviare la discussione. Tuttavia, provo a rispondere a Mario M.
1-Le classi (classi sociali, nell'accezione marxiana, non generiche classificazioni sociologiche) non esisterebbero, dunque sarebbe inutile leggere i mutamenti sovietici in questa chiave. Ma è accettabile la chiave di lettura alternativa proposta? A me non sembra accettabile la spiegazione dei cambiamenti per opera e virtù dello spirito santo, sotto forma di arbitraria volontà soggettiva, magari di menti malate e malvagie. Troppo facile, non c'è bisogno di studiare per approdare a questo passepartout universale dell'agire umano e della storia.
2-Le classi sociali (che siano “il frutto dell’operare dell’uomo”, nel senso di prodotto storico-sociale, e non di dato naturale, non ci piove; ma che esse non esistano è un altro paio di maniche) non esisterebbero e perciò non esisterebbero neppure i capitalisti, ma solo un sistema oggettivo e impersonale gestito dalla tecnocrazia, come suggerito da Galbraith. Non credo sia così. Galbraith ha preso l’aspetto della concentrazione e centralizzazione capitalistica, la socializzazione crescente della produzione, la sua complessità e la sua gestione su larga scala, tutte cose che richiedono competenze complesse (tema già anticipato da Engels come ulteriore preparazione delle condizioni per il passaggio al socialismo), e ne ha dedotto che ormai comandano i tecnici che applicano queste regole. Il capitalista è ridotto a semplice percettore di utili e tagliatore di cedole. Bisognerebbe chiedersi cosa sono questi semplici tagliatori di cedole, perché continuano a sopravvivere come escrescenza inessenziale del sistema, qual è la loro funzione sociale e se essi, essendo in balia del potere tecnocratico, siano esposti alle decisioni dei tiranni tecnocrati contrarie ai loro interessi. In pratica, se si dovesse accogliere la tesi ideologica di Galbraith dovremmo concludere che siamo già al socialismo. Confondere produzione socializzata (la produzione è sempre necessariamente sociale, in qualsiasi sistema e modo di produzione) e socialismo (cioè, autogoverno dei produttori senza proprietà privata dei mezzi di produzione in prospettiva del comunismo senza classi sociali) significa innalzare una cortina fumogena sulla realtà sociale e dimenticare che ciò che distingue i diversi modi di produzione sono i rapporti di proprietà, ovvero la divisione del lavoro, ossia i rapporti sociali (nella concezione marxista sono tutti sinonimi). Da quando Galbraith ha esposto le sue tesi, gli inutili percettori di cedole sono rimasti proprietari dei mezzi di produzione, hanno assunto alle loro dipendenze i tecnici-tecnocrati, li hanno pagati (sempre più profumatamente, è vero. La legge della concorrenza nel mercato delle competenze tecniche e gestionali non è mai stata abrogata o sospesa) e li hanno sostituiti quando non più graditi. Questi tecnici, così poco tecnocrati e così tanto dipendenti, sono stati e sono funzionari del sistema nel suo complesso, è vero, ma del sistema dominato da una specifica classe sociale: i capitalisti. Ergo, sono stati e sono funzionari dei capitalisti.
3-Che una attività umana, una attività produttiva, una prassi sociale, un lavoro non sia in sé una attività creatrice di valore (di scambio. Meglio precisare) è la scoperta dell’acqua calda del marxismo, non la sua confutazione. Dovrebbe essere noto che per Marx la legge del valore lavoro è una legge economica storica del modo di produzione capitalistico, della produzione di merci nel sistema mercantile maturo della produzione di massa della società industrializzata. Non è una caratteristica in sé delle cose (termine giuridico rigettato da Marx). Tanto è vero che nella merce occorre distinguere tra valore di scambio e valore d’uso e che in regime capitalistico non tutti i prodotti soggiacciono alla legge del valore lavoro, essendoci delle eccezioni. E inoltre, sempre secondo l’ABC del marxismo, occorre legare a questo discorso la distinzione tra lavoro astratto e lavoro concreto.
4-Il giudizio positivo sull’Unione Sovietica e su Stalin non è semplicemente sulle “prestazioni economiche di una nazione”, ma sul processo di liberazione dei lavoratori dal dominio, dall’oppressione e dallo sfruttamento capitalistico e sulla capacità di riorganizzare la società e di soddisfare i bisogni essenziali delle masse, non impoverendo la società, ma arricchendola, secondo una concezione economico-sociale e antropologica diversa da quella "economica" capitalistica. Una “prestazione economica” che non si fonda sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che non va a vantaggio solo di alcuni strati della società e a discapito di altri, che non si basa sul colonialismo e sul razzismo, che è una tappa del processo di universalizzazione del concetto di genere umano. L’ignominia che si cerca di caricare su Stalin e sul comunismo attraverso la menzognera equiparazione con Hitler e il nazismo (per mezzo di quella autentica barzelletta della teoria del “totalitarismo” alla Arendt e dei cosiddetti nemici gemelli) ricade interamente su chi la diffonde. Chi la diffonde equipara il razzismo all’antirazzismo, il colonialismo all’anticolonialismo, la violenza degli schiavi per ottenere la liberazione alla violenza dei padroni che li tengono sottomessi, l’universalismo comunista alla feroce e barbara discriminazione nazista tra gli uomini e i popoli (interna al paradigma liberal-capitalistico. Non dimentichiamolo). Chi opera questa confusione e si dimostra indifferente rispetto a queste scelte di campo nella concreta lotta storica, preferendo rifugiarsi comodamente nel paradiso delle anime belle “superiori” alle miserie della lotta concreta, fa la cosa più conservatrice (perchè oggettivamente complice della violenza in atto), ipocrita e immorale che si possa concepire.
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Paolo Selmi
Thursday, 19 September 2019 23:31
Mario M, benvenuto nella discussione!
Una questione più impegnativa dell'altra... per cui alle dieci di sera è anche difficile rimettere insieme il filo di un ragionamento che provi a partire dal tuo.
Sono tutte peraltro questioni di primaria importanza. La prima, potrebbe essere vista anche in questa maniera. Le classi, viste come gruppi sociali omogenei per collocazione rispetto a un rapporto di produzione dato (banalizzo, padrone e dipendenti, artigiani, ecc.), sono scomparse. Meglio, i padroni godono di ottima salute, il resto è andato in frantumi e si è degradato fino alle periferie più anguste di un sottoproletariato non solo destinato a restare tale, ma che vede progressivamente ingrossare le proprie fila.

Perdonami questa sociologia da bar e da dieci di sera, ma mi rendo conto che questa "lumpenizzazione" non fa che aumentare, questo progressivo imbruttirsi, da parte non solo del lumpen-proletariat classico, ma di ormai interi blocchi di classi una volta pienamente consapevoli della propria dignità, della propria fierezza, di uno spirito di solidarietà concreto, tangibile, dato dal lavoro fianco a fianco, certo, ma non solo, da una sovrastruttura che agiva come collante ideologico, e che ora sembra compromessa, se non scomparsa. Il padronato è riuscito nel capolavoro di metterci l'uno contro l'altro. E' riuscito a dire, alla fine, "anche tu, pensionato, dai, sotto sotto sei un piccolo padrone, con la tua dipendente che ti guarda a mezza giornata o intera, magari in nero, magari senza permesso di soggiorno. che differenza c'è tra te e me con il mio Ambrogio che quando avverto un leggero languorino parte col vassoio?" Ci ha giocato, ahimé, anche un intero pezzo di società civile, Mario, su questo. Mio padre era ed è aclista: abbiamo discusso infinite volte su questo punto, sul fatto che se io non sono autosufficiente e ho la sfortuna di vivere non in Svezia ma in un posto dove se non hai 2000 euro al mese per una struttura di cura "convenzionata" puoi crepare, mi arrabatto come posso per farmi aiutare, ma non per questo divento un padrone: non ne ho la mentalità e se il buon Dio mi avesse dato ancora due gambe funzionanti, ne avrei fatto volentieri a meno. Altro che "leggero languorino!". Eppure, su questo si consumano fiumi d'inchiostro, trattati sociologici, ecc. A me piacerebbe che si consumassero altrettanti fiumi di inchiostro per studiare come abolire, per davvero, i rapporti di produzione che ci stanno frantumando e mettendo contro l'uno con l'altro.

Quanto hai notato non può non ripercuotersi sul secondo argomento. Il lavoro salariato, sempre più parcellizzato, frantumato, schiavizzato, ridotto a voucher o falsamente nascosto dietro una "partita iva"; il lavoro "autonomo", che tanto autonomo poi non è. La capacità di un capitalismo sempre più onnipervasivo di reificare e mercificare qualsiasi cosa tocchi, dalle pieghe più remote della psiche al più minuscolo oggetto, invisibile anche al microscopio, crea continuamente nuovi "lavori", intesi come estensione pressoché illimitata del fenomeno di mercificazione di una prestazione di manodopera in attività più, meno, o per niente produttive, da effettuarsi contro denaro. Lavori "atipici", era l'eufemismo usato per descriverli verso la fine dello scorso millennio, in CdL a Milano. Anche qui, una critica radicale dell'attuale modo di produzione non può non immaginare un'intensa, altrettanto radicale, riorganizzazione del lavoro. Un lavoro a cui va restituita la dignità perduta, anzi tutto: perché un netturbino che esegue con coscienza il proprio lavoro è di un'immensa utilità sociale, sicuramente maggiore della mia che porto merci, ma lo stesso non posso dire di un operatore di un call center con una lista di contatti rubata a qualche elenco da qualcuno sopra di lui, consegnata e da chiamare a raffica. Abolendo i rapporti di produzione scellerati che hanno prodotto questo lavoro disumanizzante e alienante, anche questo lavoro scomparirà, come scompariranno quei poveri cristi in bicicletta che fanno avanti e indietro per Milano a consegnare pizze a chi non ha voglia di alzare il sedere.

Il terzo argomento sfonda una porta aperta. Anzi, mi hai fatto venir voglia di rileggere Guerra e Pace, quando Lev N. Tolstoj paragona le due figure, quella di Napoleone e quella del generale Kutuzov, immortalata quest'ultima da un'interpretazione magistrale nel film di Bondarciuk: "Una figura semplice, modesta e perciò veramente IMMENSA come questa non poteva esser plasmata in quella forma menzognera dell’EROE EUROPEO, preteso guidatore di uomini, che la storia ha inventato. PER UN LACCHE' NON CI POSSONO ESSERE GRANDI UOMINI, PERCHE' IL LACCHE' HA UNA CONCEZIONE SUA PROPRIA DI GRANDEZZA (Простая, скромная и потому истинно величественная фигура эта не могла улечься в ту лживую форму европейского героя, мнимо управляющего людьми, которую придумала история. Для лакея не может быть великого человека, потому что у лакея свое понятие о величии". IV tom, IV parte, V capitolo)". E qui neanche i missili a tre stadi arrivano...

A proposito di missili, torno a bomba al discorso precedente, con un piccolo PS. Un'idea di produzione pianificata basata su blocchi modulari, intercambiabili, come quella di una linea di produzione di carrozzerie di auto che può diventare, con le opportune riconversioni, una linea di vagoni ferroviari, ecc., ci mostra ancora una volta il vantaggio del modo socialistico di produzione su quello capitalistico. Una fabbrica di autoveicoli, oggi, per mantenere il saggio minimo di profitto, quindi dividendi a fine anno per gli azionisti, ecc, deve riempire il mondo di auto, deve intasarlo. In un Paese socialistico certo, la produzione era aumentata di sette volte in meno di vent'anni, ma fosse durata l'URSS altri vent'anni, avremmo visto sicuramente un suo stabilizzarsi, se non addirittura un suo ridursi. Perché? Perché fatte le dovute scorte, mantenuto un regime di ricambistica sufficiente a garantire e prolungare la vita degli autoveicoli in circolazione, e calcolato il volume di ricambio periodico di autoveicoli, non serviva costruire sempre più macchine. Non solo, nessun operaio sarebbe tornato a casa con la disperazione di un'imminente chiusura di stabilimento. Liberare forze produttive per altri progetti assegnati a quello stabilimento, anzi, avrebbe magari comportato necessità di ulteriore manodopera, in appoggio a quella esistente.

Un caro saluto a tutti.
Paolo
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Mario M
Thursday, 19 September 2019 21:04
Alcune osservazioni:

- Il termine classe si trova di frequente nel testo e nei commenti, perché cardine di una visione economica e di una lotta politica, ma io oggi non lo ritengo utile, anzi forse fuorviante per capire e modificare la situazione. Per inciso va detto che troviamo il termine classe in diversi contesti: le classi scolastiche, le classi dei numeri, le classifiche, le classificazioni ecc. Cioè le classi non si trovano così pronte in natura ma sono il frutto dell'operare dell'uomo. Comunque John Kenneth Galbraith aveva fatto osservare già negli anni 60 che al capitalista proprietario dei mezzi di produzione era subentrata la tecnostruttura (Il Nuovo Stato Industriale); e oggi siamo tornati indietro, addirittura scavalcando il passato, perché le figure che si impongono sono degli imperatori di internet (Zuckerberg, Bezos, Page & Brin,…)

- Non riesco a dare il dovuto valore al valore-lavoro: in tantissime occasioni una stessa attività può essere vista sia come gioco sia nel suo opposto come lavoro, una stessa attività costituisce il mestiere più antico e la pratica più piacevole. Trovo illuminanti a questo proposito gli scritti di Silvio Ceccato (Un Tecnico Fra i Filosofi - Come Non Filosofare) soprattutto in un sintetico manualetto, La Mente Vista da un Cibernetico, http://www.methodologia.it/testi/Ceccato1972.doc

- Il giudizio sulle prestazioni economiche di una nazione non deve essere confuso col giudizio etico-politico sulla persona che guida la nazione, altrimenti dovremmo ammirare Hitler che col suo economista Hjalmar Schacht riuscì a far decollare l’economia della Germania, e a sostenere uno sforzo bellico senza pari, tenendo in scacco le maggiori potenze per oltre cinque anni. Un gerarca ha sterminato un popolo, un altro ha sterminato una classe politica e rivoluzionaria senza precedenti nella storia che lo aveva preceduto. Sotto questo aspetto, cioè della malvagità e del crimine come metodo, i due personaggi sono equivalenti.
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Paolo Selmi
Thursday, 19 September 2019 19:33
Cari Fabrizio e Mario,

grazie a voi per i vostri spunti.

Fabrizio, le dinamiche del potere che hanno fatto sì che, negli anni Settanta, si passasse progressivamente a un lassismo di costumi, direi proprio, forse il termine che sto usando non è del tutto improprio, a bocce molto ferme è proprio in questo periodo che sono, progressivamente, approfondite.

A cosa mi riferisco: a una classe di burocrati che, dieci-quindici anni più tardi, sarebbero divenuti oligarchi. Ho ancora impresse nella mente le parole di Bajbakov il quale, nel presentare i risultati della IX pjatiletka, notava che l'agricoltura era in sofferenza. Nella "gestione precedente", chiamiamola così, sarebbero volate teste. Lì niente. E' come, banalizzo, se vai dal capo e gli dici: capo la pratica finisce in perdita, di migliaia e migliaia di euro, e il capo ti dà una pacca sulla spalla e ti congeda. La prossima volta non ci vai neppure, dal capo. L'impressione che sto ricavando è che si era creato questo clima in molte realtà. Non in tutte, il caso dell'automobile, per esempio, che anzi doveva essere una finestra del made in URSS nel mondo, le teste le faceva volare. Stesso discorso per il complesso militare-industriale. Non dimentichiamoci, finora non l'ha notato ancora nessuno, ma vale la pena di ricordarlo, che IN URSS PRODUZIONE CIVILE E MILITARE SPESSO ANDAVANO A BRACCETTO. Un caso fra tutti: le "mie" macchine a rullino. L'ARSENAL di Kiev non faceva solo le Kiev 60 e 88, ma era "arsenal" anche per qualcos'altro. Stesso discorso la FED, intitolata al buon Dzeržinskij, oltre a fare le telemetro che si trovano ancora in qualche mercatino dell'usato, produceva anche armamenti. Stesso discorso per la KMZ, che faceva le Zenit e, ancora oggi, visori notturni, mirini per fucili, ecc. Quando un direttore si trovava, per necessità o per comodo, nel dover fare "il gioco della torre", tipo "metto sulla linea questo o quello?"... chi buttava dalla torre e metteva in coda?

La faccenda, quindi, è complessa. Mario, noti giustamente che il capitalismo, i rapporti capitalistici di produzione, c'entrano poco. Anch'io, più vado avanti, ho la stessa impressione. Il direttore a mandare avanti i mirini (che dovevano spaccare il capello in quattro a centinaia di metri di distanza) e nel lasciare che le macchine fotografiche perdessero la leva di avanzamento perché fissata male, non ne ricavava un utile in termini capitalistici. Faceva il minimo del minimo indispensabile. E qualcuno da sopra glielo faceva fare.

Ecco che l'idea di "centralismo democratico" acquista un valore. Il consumatore come soggetto, non più pollo da spennare, con la sua scelta, con la sua critica (vera, non mandate una lettera che tanto non vi rispondiamo), orienta il pianificatore su cosa realmente significa "bisogno". Serve una grande capacità di coordinamento. Settore A e Settore B contano fino a un certo punto, e anche qui Hoebel resta ancorato a schemi di critica desueti, a dir poco. Va bene, esisteranno sempre mezzi di produzione e mezzi di consumo, ok. Ma come la mettiamo con una macchina da, a questo punto, trentamila pezzi, con pezzi che escono dalla stessa linea su cui potrei mettere, tranquillamente, stampi per fare macchinari? Ecco che i due settori si devono intersecare, devono dialogare tra loro, ma non solo: forse devono anche cominciare a ragionare in termini realmente di LEGGE FONDAMENTALE DEL SOCIALISMO, o modo socialistico di produzione: allineare, accostare il più possibile, la struttura dei risultati, dei prodotti, a quella dei bisogni. punto.
Tradotto: c'è bisogno di molle per macchine tessili (settore A)? devo essere in grado di attrezzare la linea per farlo. Devo poi passare a molle che finiscono su un'auto o su una moto (settore B)? Stesso discorso. Chi lo decide? Il piano. Sulla base di cosa? dei bisogni reali, della lista d'attesa per avere una macchina o una macchina tessile in grado di soddisfare la richiesta di semilavorati da passare all'industra del confezionamento che, magari, in quel momento è in sofferenza.

Troppi dati? Tanti, sicuramente. Troppi, non so.
Mario facevi riferimento alla cibernetica. Mi è appena passata sotto gli occhi una macchina americana (un assemblaggio, in verità), che è in grado con una telecamera di registrare (4 tera di memoria) il processo sulla linea, ma non solo, di verificare le anomalie, trasferire il segnale a un monitor e a una tastiera e, nel frattempo, azionare un braccio meccanico o un deviatore per togliere QUEL pezzo dalla produzione. Ancora: un responsabile di GDO oggi ha sul tablet non solo gli acquisti in tempo reale, le chiusure dei negozi, con tutte le statistiche possibili annesse e connesse... ma anche I GIRI DEI TORNELLI E QUANTE PERSONE PASSANO (entrando e uscendo) in rapporto a quanti scontrini emessi (capacità di vendita/cazzeggio, tradotto in soldoni). E sulla base di questo, in quel bell'ambientino, volano teste, gente va a casa, chiudono e aprono punti vendita come funghi, ecc.

Ora, davvero, molti di questi strumenti potrebbero risultare UTILISSIMI al pianificatore, per capire se un prodotto è sulla giusta strada, per capire le percentuali di scarto, ecc. E ridurre ancora di più le possibilità, ai furbi, ai corrotti, ai burocrati, di farla franca. Al netto che c'è bisogno di educazione civica, anzi tutto, che un direttore di un collettivo, un capo officina, un capo turno, devono essere scelti sulla base della loro passione, della consapevolezza piena della missione che sono chiamati a compiere, e delle loro competenze, nello svolgere il lavoro che sono chiamati a svolgere. Che, per assurdo, ma neanche più di tanto, perché parliamo di cose realmente accadute, e che mi han dato tanto da riflettere, un muro va tirato dritto, anche se sei in un campo di sterminio con un kapo che ti sputa addosso ogni volta che passi davanti a lui e senza sapere se arrivi a domani.

Parliamone. Più approfondiamo questi temi, e più - a mio modesto parere - siamo sulla strada giusta.

Un caro saluto a tutti.
Paolo

PS i dati sulle auto sono quantitativi, pezzi, unità prodotte su tutte le linee /veicoli pesanti/leggeri/trasporto pubblico per anno.
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Mario Galati
Thursday, 19 September 2019 14:35
Fabrizio Poggi si dimostra molto ottimista quando indica le tare ideologiche, filosofiche e culturali di pretesi marxisti e comunisti che riducono "la storia, sovietica e non solo, a puri e semplici scontri soggettivi, di correnti o di idee, ma mai di classi, dei loro interessi, della loro lotta, ora sotto traccia, ora più acuta".
Egli deve scendere ancora più in basso, sino a toccare gli abissi di chi riduce la storia a psichiatria. Psicopatologia, teratologia, demonologia: ecco le vere scienze storiche. Pensate un po', sarebbe bastata una cura psichiatrica per Stalin e, a cascata, la storia sarebbe stata un'altra. Non ci sarebbe stato neppure Hitler, perché, come è noto, è anch'esso una creatura di Stalin.
Si eleva su un livello solo apparentemente più alto il pensare che un po' di resistenza e di folklore locale "orizzontale" possa affrontare la lotta di classe, rispondere alla necessità di superare il capitalismo e riorganizzare il mondo (il mondo, non il proprio pianerottolo) in senso socialista e comunista.
Poggi e Selmi stanno fornendo spunti interessanti che non dovrebbero cadere nel vuoto.Chi può abbandoni le litanie ripetitive insensate e li colga. Credo che il punto da approfondire riguardi l'obiezione di Selmi all'imprecisione di Krivošeev sugli obiettivi di piano per valore e non più per pezzi assegnati alle aziende. E, più in generale, l'obiezione che un mutamento drastico in senso valoriale-mercantile della pianificazione non avrebbe consentito la crescita produttiva di circa sette volte. Ma nell'articolo di Poggi si accenna all'inflazione camuffata che avrebbe gonfiato la produzione reale. Qui si pone il problema se l'aumento indicato da Selmi si riferisca al dato quantitativo o a quello monetario.
Altro spunto interessante è la questione della centralizzazione "democratica" della pianificazione, nella quale le singole unità produttive si relazionano correttamente con il centro coordinatore. In qualche modo c'entra anche la questione dell'adattamento della produzione ai bisogni, ossia, in un certo senso, il capitalistico equilibrio tra domanda e offerta (oggi più semplice grazie alle tecnologie informatiche, come altrove suggerito da Selmi).
Mi permetto di suggerire che tra utile o profitto socialista, il termine giusto forse sarebbe surplus, eccedenza, differenza tra produzione e consumo, necessario anche nell'economia socialista.
Infine, se ho colto bene, nell'articolo di Poggi c'è una precisazione del concetto espresso da Hobel, e criticato da Eros Barone, sul problema dell'orientamento produttivo sbilanciato a favore dei beni di produzione rispetto a quelli di consumo. Non si trattava tanto di assecondare una logica consumistica capitalistica, quanto del fatto che, a causa degli obiettivi aziendali di piano espressi in termini di valore e non di pezzi, di quantità di beni reali, si tendeva a produrre beni più "importanti" e costosi, sprecando e trascurando la produzione per le esigenze più quotidiane e creando quelle carenze con le file conseguenti ai negozi.
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Zenobia van Dongen
Thursday, 19 September 2019 10:21
L'ideologia che spinse l'industrializzazione sovietica (il cosiddetto terzo periodo) era un'ideologia radicale che sottolineava una forma estrema di lotta di classe. L'idea stessa di "kulak" era una fantasia ideologica. Non ci sono mai stati kulak. Il potere era centralizzato nella persona di Stalin, che era completamente paranoico ed esercitava una tirannia durissima. L'ideologia determinava tutto. Non c'erano sfumature. La minima deviazione ideologica potrebbe cagionare l'esecuzione sommarissima. In queste circostanze, l'ideologia che guida la politica interna è stata trasferita meccanicamente anche alla politica estera. I partiti comunisti stranieri erano rigidamente controllati da Mosca e ripetevano le divise provenienti da Mosca. L'atteggiamento settario risultante richiedeva ostilità nei confronti dei socialdemocratici. Pertanto tutti i partiti comunisti - incluso il partito comunista tedesco - hanno evitato di fare causa comune con i socialdemocratici per resistere al fascismo. Di conseguenza la classe operaia era divisa e in Germania i fascisti furono in grado di prendere il potere. Distrussero senza sosta le organizzazioni della classe operaia e si prepararono per le guerre di conquista. Dopo alcuni anni hanno invaso l'Unione Sovietica.
L'autore afferma che grazie all'industrializzazione l'Unione Sovietica è stata in grado di vincere la guerra contro il fascismo. Ma il fascismo fu in grado di attaccare l'Unione Sovietica solo grazie alla stupidità e al dogmatismo del partito comunista sovietico, che sono in gran parte attribuibile alla psicopatia di Stalin.
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marku
Thursday, 19 September 2019 10:17
Dal sogno rivoluzionario oppure dall'utopia ma anche dal mito rivoluzionario
al becero capitalismo di stato controrivoluzionario
Dal combattente Comunista all'apparitcik
squallido e antisocialista

https://it.wikipedia.org/wiki/Apparat%C4%8Dik

è normale che i successori dei rivoluzionari abbiano rispolverato concessioni liberalizzanti dell'economia per
tappare i buchi ideologici e produttivi che via via si manifestavano nella burokrazia cenralizzata ove chiaramente al primo posto venivano i bisogni materiali e la riproduzione di classe della neo borghesia comunista

di conseguenza è normale che se a Stalin è succeduto Kruschev
a Gorbachov succedesse uno Ieltsin qualsiasi
che prendendo ordini da washington per prima cosa instaurasse un iper capitalismo a conduzione mafiosa

Nel frattempo le classi popolari chiaramente esauste e massimamente scontente o hanno subito la contro rivoluzione oppure l'hanno apertamente sostenuta aprendosi le porte del baratro ipercapitalista in cui rimpiangere apertamente il comunismo che pure garantiva se non il benessere occidentale, un lavoro assistenza sanitaria, scuole ,case e un piatto caldo (magari di cavoli o patate) a pranzo e cena.
E scusate se era poco.
Cina, Cuba e Vietnam sono sulla stessa strada.
Sopravviveranno esse o moriranno travolte dalla loro stessa banca centrale?

Approfondire il passato è cosa utile e necessaria
la memoria Comunista è il seme fondante della quercia Comunista del futuro.

l'ideologia orizzantale Zapatista ed il combattentismo paritario armato e plurale delle YPG sono la strada tracciata del Comunismo del XXI secolo
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fabrizio
Thursday, 19 September 2019 10:12
Un grazie sincero al compagno Paolo Selmi per le osservazioni scientifiche e metodologiche al mio pezzo, che in realtà, quando fu concepito (e, come specificato nell'introduzione, solo qua e là ora rimaneggiato: come detto a Tonino, ho eliminato molte parti più storiche, lasciando solo alcuni dei riferimenti a "Sotto la bandiera del marxismo" e aggiungendo invece alcuni dettagli in più sulla riforma Liberman-Kosygin, che allora avevo sforbiciato) aveva quasi esclusivamente uno scopo polemico, molto contingente. In sostanza, una disputa nei confronti di chi basa una cosiddetta “rifondazione” sull'ostracismo verso tutto quanto ricordi anche di sfuggita il “demoniaco stalinismo”, tanto da inserire addirittura nel preambolo dello Statuto il relativo “rigetto” di “ogni concezione autoritaria e burocratica, stalinista o d’altra matrice”, riducendo così la storia, sovietica e non solo, a puri e semplici scontri soggettivi, di correnti o di idee, ma mai di classi, dei loro interessi, della loro lotta, ora sotto traccia, ora più acuta.
Quello che Paolo Selmi, all'inizio delle sue osservazioni, definisce, “l'argomento dell'economia sovietica”, nel mio pezzo costituiva solo la cornice con cui cercare di dare una base al tema dello scontro di classe che, lungi dall'essersi esaurito, covava ancora e che sarebbe esploso, manifestandosi magari in altre forme, come lo stesso Molotov riconosce negli anni '70. Da qui, probabilmente, in alcune parti, una “certa approssimazione” che, ovviamente, non è mai scusabile.
Per inciso: un tema da dover essere scandagliato, non superficialmente, nell'esame dello scontro di classe in URSS, potrebbe essere quello della parte avuta (se davvero l'ha avuta) in questo processo dall'applicazione della Costituzione del 1936. In questa direzione un contributo importante mi sembra sia stato portato dall'ormai classico (anche se l'ho scoperto solo pochi anni fa) lavoro di Jurij Žukov “Inoj Stalin”.
Un grazie per le precisazioni linguistiche, di cui terrò senz'altro conto.
fpoggi
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Paolo Selmi
Wednesday, 18 September 2019 23:57
Caro Fabrizio,
sono davvero felice che, almeno fra queste pagine, l'argomento dell'economia sovietica stia ritornando all'ordine del giorno. Anche perché se non ne parliamo noi, se non ne discutiamo noi, se non la studiamo e ricerchiamo noi, dubito che lo facciano altri. La prima parte del lavoro dei compagni di Nuova Unità, pone diciamo la condicio sine qua non qualsiasi discorso di economia di piano va a farsi benedire: la proprietà sociale dei mezzi di produzione. Settore misto, no piano. Perché un piano possa funzionare, e funzionare organicamente, occorre la proprietà sociale dei mezzi di produzione. Altrimenti parliamo d'altro, di programmazione, di incentivi, di cuneo fiscale, di tutto e di più la mente umana abbia escogitato per regolare INDIRETTAMENTE il flusso di capitali. Nel Paese dei Soviet questo non è mai accaduto in quel mezzo secolo che va dalla metà degli anni Trenta alla metà degli anni Ottanta.

Occorre quindi cominciare a delimitare il campo di ricerca e lavorare su quel mezzo secolo. Che è quello che l'articolista compie nella seconda parte del suo lavoro, basato essenzialmente sulla traduzione del saggio di Artёm Krivošeev che citi e che ho letto con molto interesse.

Mi permetto un'osservazione di tipo traduttologico: pribyl' (прибыль) è l'equivalente russo di PROFITTO se si parla di capitalismo, di UTILE invece (o altri termini equipollenti) se si parla di socialismo. In altre parole, lo usava Plechanov per tradurre Marx quando parlava di "Profit", ma anche Stalin quando parlava di utile netto con cui maggiorare il prezzo di produzione. Un esempio a caso, giusto per capirci: "Нам нужна известная прибыль. Без прибыли мы не можем образовать резервы, накопление, обеспечивать задачи обороны, удовлетворять общественные нужды. Здесь видно, что есть труд для себя и труд для общества. " Noi abbiamo bisogno di un utile certo. Senza utile non non possiamo creare riserve, accumulazione, consentire i compiti di difesa nazionale, soddisfare i bisogni sociali. Qui è evidente cosa è il lavoro per sé e il lavoro per la società" (Intervista del 15 febbraio 1952 sui temi di politica economica Беседа по вопросам политической экономии 15 февраля 1952 года http://grachev62.narod.ru/stalin/t18/t18_254.htm)
E' evidente il motivo per cui MAI mi permetterei di tradurre qui pribyl' con "profitto". Chiedo a questo punto lo stesso grado di correttezza traduttologica anche per chi parla, NELLA STESSA ACCEZIONE, di pribyl' dieci o vent'anni dopo. Nessuno si intascava niente, se non i classici benefit che il burocrate, detentore del potere, in ogni situazione e in ogni epoca cerca di portare a casa (e anche sotto Stalin, finché non cominciarono a volare teste, la corruzione c'era, ... se Master i Margarita fosse stato pura fantascienza, non avrebbe riscosso quell'amore che ancora oggi riscuote da parte dei lettori sovietici e di tutto il mondo, perché, sia chiaro, di "ragioniere Casoria" è pieno il mondo). Niente capitalismo, niente profitto, almeno nel senso marxiano del termine: altrimenti chiamiamo tutto profitto, anche quando lo scrive Stalin.

Altro appunto, che spero mi permetterai. Lo "chozrasčët (in russo: хозрасчёт), abbreviazione di calcolo economico (in russo: хозяйственный расчёт, traslitterato: chozjajstvennyj rasčët)" (pappa pronta da wikipedia): a parte la c al posto della k (stesso discorso per Nikita S. CH. e kolCHoz, ma ora non divaghiamo), non significa "autofinanziamento", ma "calcolo economico". Per wikipedia poi "prevedeva l'autofinanziamento", e qui potrei rispondere con un bel "si e no", ma a parte questo non era "autofinanziamento". Era il bilancio, il calcolo delle entrate e delle uscite.

Arriviamo ora al pezzo di Krivošeev. Il blog che lo ospita prevede la possibilità di commenti. Provo a leggertene qualcuno, poi ti dico come la penso.
как принималось решение о замене одного планируемого товара на другой?
Come è intrapresa la decisione di cambiare una merce pianificata con un'altra?
в какие временные рамки? In quale lasso di tempo?
каков был планируемый ассортимент в 30-х, 40-х, 50-х, 60-х?
Qual'era l'assortimento pianificato di merci negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta e Sessanta?
для скольки заводов производилось планирование в 30-х,40-х,50-х,60-х?
Quante fabbriche producevano secondo piano negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta, Sessanta?
какова численность сотрудников Госплана в эти же годы?
Quanti collaboratori del Gosplan c'erano in quegli anni?

Domande concrete, che mostrano chiaramente dove l'interlocutore vuole arrivare: un'economia di sussistenza, nel momento in cui si va oltre il "minimo biologicamente necessario" (биологически необходимого минимума dice un po' sopra), deve risolvere problemi sempre più complessi, CHE NON POSSONO PIU' ESSERE GESTITI CENTRALMENTE. Possono essere coordinati dal centro, DEVONO essere coordinati dal centro, ma non possono essere decisi UNICAMENTE dal centro. "Centralismo democratico", del resto, pur nascendo in ambito politico e non economico, significa anche questo.

Altrimenti... auguri: un caso semplice: l'industria automobilistica, che peraltro mette in luce altre imprecisioni del Krivošeev (tipo la statistica in termini di valore e non di pezzi, anche qui, si e no, in un bilancio si, in un obbiettivo di piano NO). Qualche dato ("anno - auto prodotte", da L. M. Šurgunov, V. P. Širšov, "Auto del Paese dei Soviet" (Автомобили страны советов), Moskva, DOSAAF SSSR, 1983)

1931 - 4.005 (p. 41)
1938 - 211.114 (Ibidem)
1945 - 74.657 (p. 80)
1953 - 354.175 (Ibidem)
1960 - 523.591 (Ibidem)
1971 - 1.142.607 (p. 106)
1976 - 2.025.000 (Ibidem)
1980 - 2.199.000 (Ibidem)

Ora, consideriamo solo che i modelli più semplici di auto, non le Toyota di adesso con le loro 30.000 parti e componenti (https://www.toyota.co.jp/en/kids/faq/d/01/04/),
quelle di allora, avevano, esempio,

4721 diverse parti, per la VAZ-2101 (Fiat 124 https://autodealer.ru/soft/acat/models/2)

3479 diverse parti per la VAZ-2103 (https://autodealer.ru/soft/acat/models/64)

che moltiplicate per 4 per alcuni pezzi, o per qualche decina, o svariate centinaia (viteria), almeno i 10.000 pezzi li superavano sicuro.

Aggiungiamo quindi quattro zeri i numeri di cui sopra, e cominciamo ad apprezzare, almeno con l'immaginazione, cosa comporti uno sforzo produttivo di queste dimensioni. In un'economia, un modo di produzione, dove non esistevano né profitto né padroni.

E poniamoci la domanda: un biliancio produttivo di singole aziende staccate fra loro, come afferma il blogger russo, fatto "a un tanto al tòc", a soldi con svolgimento a piacere, tipo parole crociate schema libero, davvero avrebbe consentito la produzione del 1953 di aumentare di sette volte in meno di vent'anni?

E che dire dei risultati dell'ottava e della nona pjatiletka citati dallo stesso Bajbakov, nel penultimo mio lavoro? (dico penultimo perché ho appena spedito a Tonino l'ultimo, che completerà il IV capitolo).

Tutto questo, al netto dei casi di malaffare, corruzione, falso ideologico, ecc. che popolano le aule giudiziarie e l'aneddotica del globo intero e che, ovviamente, laddove ci sono maggiori regole e progressivamente minori controlli da parte delle autorità vigenti, tendono a crescere (mi ripeterei se parlassi del sommerso in Italia, dei cantieri lasciati a metà, delle cattedrali nel deserto, ecc.) e su cui si può e si deve intervenire.

Qualcosa su cosa aveva pensato il buon Syroezin, e non solo lui, per risolvere alcuni problemi di pianificazione, lo trovi nelle novanta pagine che presto usciranno su questo sito.

Grazie davvero per gli spunti di riflessione che mi hai fornito.

Un abbraccio
Paolo
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